tradimenti
Il delta di Venere


27.11.2024 |
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"Fanno finta che io non sappia, ma rientrando a casa perché avevo perso un aereo, nel silenzio del vicinato, ho sentito ansimare l’estate scorsa..."
Il delta di Venere è la grotta che ci ha fatto uscire dal ventre femminile e risalire fino alla luce.A questo anfratto cavernoso e vitale dobbiamo tutto. E la nostra venerazione, la mia venerazione, è una liturgia che non finisce, come le gocce di sborra che scendono copiose lungo l'asta del glande pensando a te che leggi, a te donna fuori e a te donna dentro, perché scrivo per tutti, anche per voi (bisex, travestiti e transessuali). Il sesso è libertà e libera è la mente di volare dove nessuno può incatenarti a uno stereotipo. Io amo solo la donna, non giudico i vostri vizi e le vostre virtù. E voi lasciatemi godere di chi è nato con la vagina, il culo e la bocca creati per farmi sborrare.
Il delta quindi è il promontorio peccaminoso un tempo interamente ricoperto da cespuglio che celava la vulva e oggi invece morbido, calvo, invitante.
La mano timida della ragazza lo raggiunge quando inizia a sentire un prurito in mezzo alle gambe.
La mano nervosa del ragazzo fruga ansimante alla ricerca di qualcosa.
Sono memorie che uniscono tutti noi, non le cancelliamo. Perché dolce è il ricordo del primo ditalino, innocente, puro nella sua essenza da cerbiatta, quando estraevi l’indice e in qualche caso pure il medio per respirare l’odore gocciolante di un orgasmo muto, al cinema in parrocchia, tra le panche di un teatro di provincia, sui divanetti della discoteca, sul pullman della gita scolastica, nel bagno dei vicini mentre gli altri ascoltavano il vinile.
Non faceva male a nessuno, un po’ di sana masturbazione femminile. Neppure alle amiche che sotto la doccia, dopo l’allenamento di pallavolo, scoprivano il corpo altrui, il seno più pronunciato, le natiche sospese, la schiuma che scivolava morbida su schiene che sarebbero diventate, un giorno non lontano, deschi per uomini infoiati o sulle tettine che crescevano per appagare il piacere altrui, fosse il ciucciare di un infante o quello di un vecchio che lecca le mammelle di Stefania e ogni volta che rivedo la Chiave finisce sempre che mi sego. Quante tra loro avrebbero imparato a giocare di forbice, il sesso che si sfrega su quello dell'amica, sublime.
Per me il delta di Venere era la scoperta di un bambino che si sdraiava sulla sabbia incandescente, fingendo di guardare l’orizzonte, mentre invece cercava solo di infilare lo sguardo tra le ossa del bacino e la valle sacra, per intercettare alla vista il pelo pubico e finirsene nella cabina a segarsi fino allo sfinimento, chiudendo gli occhi e ricercando nella memoria l’immagine rubata visivamente.
Avete già letto, spero, l'ode alla mano che ho scritto tempo fa. La masturbazione maschile è un affar serio, non sono le pugnette dei frettolosi. E se la mano è quella della tua donna, capisci subito perché quando tocca a te toccare, tocchi con maestria per farla sentire sicura e amata da una mano esperta.
Oggi è tutto più facile, sfiora la ginecologia (questo mi fa venire in mente quando con un amico ginecologo mi sono messo il camice pure io, per visionare, da assistente, alcune tra le passere più famose della città, ma questa è un’altra storia).
Non era voyeurismo, ma fame di sesso quella dell’infanzia. E ancora oggi non l’ho sopita.
Dunque il delta di venere appaga i desideri.
Stesi in fondo al letto, la camicia di seta che viene lasciata scivolare verso il ventre, delicatamente, il taglio del piacere e della lussuria che spunta e incanta.
Adoro guardare la mia lei mentre dorme, allargarle leggermente le gambe e immaginare le schiene tese di chi l’ha pompata prima di me. Lei non gioca su A69. Osserva me che osservo voi, maiale in calore. Osserva il mio membro che si fa duro e se ne prende cura, come una brava geisha.
Adoro guardare la domestica che nelle tarde mattinate, quando rientro a casa fingendo di aver dimenticato qualcosa, si mette seduta sul divano e allarga le cosce, i jeans alle caviglie, e asseconda il mio piacere iniziando a masturbarsi con un cetriolo o infilandosi gli acini d’uva che poi passo a pestare col mio uccello per farle bere il mio nettare che scivola dopo l’amplesso unito al sapore del frutto.
Adoro guardare la mia amica, per meglio dire la moglie di un caro amico, che il giorno dopo una cena mi ha chiamato per dirmi che si era bagnata. Sì, perché quella troia della mia donna non aveva messo le mutandine. E il vestito estivo lasciava capire, nitidamente, tutto ciò. Così gli amici facevano a gara, silenziosi, per sedersi sul divanetto del giardino, per sbirciare senza farsi notare, poveri illusi. La mia lei non è nuova a queste scelte, spesso le adotta quando siamo ospiti nelle ville dei potenti. Ma quella sera io avevo lasciato condurre le danze, senza alcun senso di gelosia che pure pervade molti pensieri eccitanti. E quando ci eravamo messi a tavola, complice il calore e il buon vino freddo che scorreva a fiumi, avevo lasciato scivolare la mia mano tra le cosce della compagna infilandole, delicatamente, un cubetto di ghiaccio nella fica, che aveva inturgidito il capezzolo fino a lasciare le forchette sospese, tanto era stato il risultato che aveva ammutolito gli astanti. Ebbene la moglie del mio amico, seduta davanti a me perché ha un seno generoso e io sono malato di questo, se n’era accorta. E al telefono, il giorno dopo, mi aveva detto che si era eccitata. A tal punto da tornare a casa e imporre al marito di fare lo stesso, ma quello, goffo, non era riuscito a replicare l’attenzione. E lei la pretendeva adesso da me. Non mi era capitato, ancora, di ascoltare una telefonata tanto esplicita, non prima di una chiavata con una conoscente. E confesso che mi si era subito messo in movimento l’arnese. Così il giorno stesso della telefonata ci eravamo dati appuntamento in un parcheggio di periferia. Io avevo finto di dover portare del ghiaccio per mio figlio che si era infortunato e il barista pure lo aveva creduto nel darmi un tovagliolo con tre o quattro cubetti. Arrivato al parcheggio ero salito sul suo Suv, perché il marito è benestante. Lei aveva osservato il fazzoletto. Aveva allargato le cosce mostrandomi la fica rasata di fresco e ben profumata. E io avevo eseguito il suo desiderio, ammirando in particolare le zinne che sbocciavano. Lei era così calda che del cubetto era rimasto ben poco. Mi aveva intimato di leccargliela e io, incastrandomi nell’auto, l’avevo bevuta di piacere. Fermati, aveva implorato da grande maiala, dammi il cazzo. Niente mia cara, avevo pensato, conduco io le danze. E così dopo che lei era venuta, macchiando il sedile e già sorridevo al pensiero che avrebbe dovuto inventarsi una scusa per lasciare l’auto al lavaggio, l’avevo costretta con la mente a estrarre quelle meravigliose bocce, a farmi massaggiare il cazzo per portarlo allo zenith prima di infilarglielo in gola e sbrodare in pochi secondi, perché il giochino durava ormai da troppi minuti. Da quel giorno continuiamo a vederci quando lei mi chiama e ogni volta arriva senza mutandine o se le sfila (adoro quando le si impigliano al tacco). L’ultima volta proprio venerdì scorso, prima che lei raggiungesse in marito per andare a una cena di gala con tanto di rappresentanti istituzionali. L’ho mandata a ossequiare i notabili di Versilia col culo dolorante e pieno del mio seme. E più mi diceva fai piano, più affondavo la nerchia sapendo che questo l'avrebbe lasciata in imbarazzo.
Adoro guardare le vostre passere sul palco delle esibizioniste per cercare di capire se qualcuna, maliziosetta, la conosco già.
Adoro guardarvi, somme sacerdotesse degli uccelli, mentre sditalino questa fanciulla, figlia di un amico d’infanzia, che viene a parlarmi dei suoi progetti nella speranza che io la possa aiutare in qualche modo. Me lo ha chiesto lui e pure sua moglie, che reputo inchiavabile ma ha un portafogli a organetto rifornito costantemente dal padre. E allora, per non deludere questa coppia di amici, ho iniziato ad aiutare davvero la figlioletta che ormai ha vent’anni e un fidanzatino ancora un po’ timido. Ho ripreso il libro di De Sade e le ho spiegato la mia filosofia, facendole un bel ripasso di come si fa una masturbazione, di come si lecca il culo di un uomo per aumentarne l’erezione, di come si usa la lingua e pure la bocca, di come si da il culo anche se non lo vorresti ma inconsciamente sai che quello è il tuo destino per una verga come la mia in cerca sempre di nuove prede, di come si ripulisce la punta del cazzo grondante sperma, mentre lo strusci sul seno. A lei faccio vedere le immagini di A69. Lei all’inizio ne era intimidita, certo non frequenta questo mondo, né tantomeno rivela ai suoi genitori che tipo di aiuto io le stia fornendo. Quanto al suo lui, un paio di settimane fa è arrivato con l’auto fiammante accesa fino al mio ufficio, lei è scesa per ritirare dei fogli, faccio subito gli ha detto. Quello non ha neppure spento il motore e io mi sono affacciato alla finestra invitandolo a salire. No grazie, mi ha detto, andiamo di fretta. Appena lei è entrata nel mio ufficio le ho allungato un fascicolo con la mano sinistra, mentre con la destra le facevo scivolare giù la spallina dell’abito. L’ho inginocchiata e mi sono fatto mungere con la gola. E lei accelerava le gozzate per far prima. Finché le sono esploso in bocca e solo allora l’ho lasciata andare raccomandandomi che baciasse subito il suo lui, con la lingua piena del mio umore.
Adoro la fica della mia ex moglie. Da quando ci siamo lasciati la rivedo saltuariamente, una cena veloce prima di tornare a casa informando sempre la mia nuova compagna. Dicendoglielo perché non si innervosisca. Quello che non le dico è che l'ultima volta mi ero messo d'accordo con lo chef e avevo riservato una saletta. L'ingresso dei camerieri rendeva il tutto più eccitante. Le ho sussurrato le parole fatate che la scioglievano quando eravamo findanzati. le ho chiesto come stesse andando col nuovo uomo, un notaio che le ha donato benessere. Le ho chiesto di far scivolare le mutandine quando sarebbe entrato il cameriere. La prima volta che è entrato niente, la seconda niente. Al terzo tentativo con i miei occhi che glielo intimavano, l'ha fatto. Rapida. Ho afferrato la bottiglia di prosecco ancora col tappo e l'ho agitata. Il cameriere è uscito. Ho abbassato la bottiglia fino a stapparla proprio in mezzo alle cosce. La mano sinistra a tener fermo il tappo. La destra che ha infilato il collo di bottiglia nella passera già bagnata dall'eccitazione del proibito. Le bollicine che faticavano a restare dentro la vulva e un lago di nettare che ha macchiato il pavimento. Tutto bene signori? la voce del cameriere educata. Gli avevo rifilato una mancia, anticipando che avrebbe dovuto restare appena fuori la porta. Lei si è fatta tutta rossa per la vergogna. Io mi sono alzato, ho estratto il membro che mi esplodeva. L'ho messa a sedere sul tavolo e l'ho fottuta. Uno, due, tre, quattro, cinque colpi secchi. E lei che non capiva più niente. Ma dai, non... non... Pochi minuti, molto intensi, veri, senza pasticchine per intenderci. E una sborrata appena fuori dalla fica, a macchiarle la peluria rasatina come sempre l'ha portata. Poi mi sono pulito il cazzo col perizoma che si era sfilata e le ho detto, portalo al tuo uomo, con i miei complimenti.
Sono storie quotidiane, che orbitano sempre attorno alla fica perché lì alla fine arrivi.
All’amica di una vita di mia moglie che gliela mangia. Fanno finta che io non sappia, ma rientrando a casa perché avevo perso un aereo, nel silenzio del vicinato, ho sentito ansimare l’estate scorsa. Mi sono avvicinato silenzioso alla camera da letto, convinto di beccare la mia lei con uno. E quando ho strappato via il lenzuolo, sono rimasto senza parole scoprendo che l’amica di tutti i giorni era lì che la slinguazzava nel basso ventre.
Si sono fermate. Addirittura l’amica si è portata il lenzuolo al petto, discreta, quasi per pudore.
Cosa fate, ho chiesto.
Ti posso spiegare, ha abbozzato la mia compagna.
No, cosa vuoi spiegare, continuate vi prego.
Senza volerlo mi sono seduto, sguainando l’uccello e ho iniziato a menarmelo mentre mi gustavo questo amplesso che ha ripreso, inizialmente timido e poi in crescendo. La mia lei mi guardava goffa e col viso rubizzo, l’amica leccava che era una meraviglia, leggermente inclinata a seguire il profilo del letto. Mi sono alzato, ho preso una crema, la prima che mi passava a tiro. Ho umettato il glande e ho sfondato l’amica, proprio nella fica. Lei si è come paralizzata ma, intelligente, ha capito. E più spingevo la nerchia, più lei leccava bene e più la mia lei alzava gli occhi al soffito. Finché un fiume di sborra ha coperto la schiena dell’amica. È calda, mi ha detto. Sì, te la sei meritata perché mai mi sarei immaginato quanto siete maiale insieme. Poi ho aggiunto: ma adesso succhiamelo bene. Ma come, se sei venuto… ha replicato. Mi piace l’igiene e devi pulirlo.
E lei, la troia, zitta. Le ginocchia serrate a chiudere la mano che ancora si titillava la clitoride, mentre l'amica inginocchiata sucava.
Vuoi che continui per farti venire un'altra volta? ha sorriso maliziosa.
No, non mi serve fare una doppietta, ho risposto reinfilandole il cazzo in bocca.
Lei lo ha estratto e ha ribattuto: ma che modi sono questi? E poi non ti piace forse schizzare sulle tette?
Succhiami il cazzo, zoccola, le ho detto afferrandole la testa e usandola come una spugna. Adoro le tette grosse, gonfie, belle.Tu sei quasi piatta, un po' mascolina, hai il seno da coppetta di champagne, ho pensato. A te ho preso la fica per farti pagare pegno. Avessi saputo prima di questa dote della mia donna, mi sarei nascosto nell'armadio per osservarvi fino all'amplesso. Per poi piantare la mia bandiera nel delta del piacere.
Adoro la fica che ha poca peluria in ricrescita. E' quella di un collega di lavoro che se la tira come una corda dell'arco. Sa di piacere a molti, se non a tutti. Fa sbavare l'amministratore delegato che di nascosto le fa dei regalini ma per ora si masturba pensando a lei, alle sue due bocce che ballano libere sotto il golfino di angora, ai tatuaggi visibili sulle braccia e alla caviglia, a quelli invisibili come il cuoricino che spunta proprio dove un tempo lei portava il baffetto. Lo so perché a sera, sulla strada che riporta a casa, ogni tanto ci fermiamo. E io posso contemplare il lavoro che ho svolto, nell'ultima trasferta di lavoro, quando ho preso un panno caldo di umidità, l'ho umettata tutta, ho messo un po' di schiuma emolliente e ho inforcato un rasoio da barbiere rasandogliela tutta come la pelle di una pesca. Poi ho iniziato a baciarla, conel sue labbra lievemente vele per il numero impressionante di cazzi che ha assecondato. L'ho leccata fino a cancellarmi la lingua, penetrandola con la punta, ciucciandone i liquidi e affondando persino il naso fino a soffocarlo. Lei si è stesa sul letto della camera d'albergo, gambe spalancate, ginocchia piegate, tacco piantanto sul lenzuolo immacolato. Ha estratto il preservativo dalla borsetta. Mi ha detto solo sesso protetto. Il mio cazzo era talmente in tiro che nel cercare di infilarmelo, quello si è leggermente aperto. Quel tanto che è servito al mio uccello per trovare la scusa e la via, fiondarla nell'anfratto cavernoso, penetrarla col corpo e con la mente e alla fine, quando tutto era un crescendo di passione e sudore, con la sua terza naturale che ispirava altri pensieri perversi, ho iniziato a sussurrarle ogni fantasia che mi veniva in mente. Le ho detto che l'avrei vista bene mentre camminava vicino a un cantiere, in gonna e senza mutandine, afferrata per un polso da un operaio coi muscoli tirati che se le sbatteva contro la parete di cartongesso e altri due manovali che si segavano fino a sborrarle in faccia. Che la vedevo bene in treno, un treno pendolari vuoto, mentre allargava le gambe e consentiva a uno studente di strisciarle ai piedi, leccandole i piedi e su fino alle ginocchia e ancora su fino all'inguine per procurarle piacere. Che sapevo di quella volta in cui aveva bisogno di un piccolo prestito e il direttore della filiale, controllando il suo status, le diceva che non poteva erogare ma poi, con lei che rimaneva in guepiere, erogava erogava e irrorava la vulva pisciandole in mezzo alle cosce. E mentre parlavo e colpivo, colpivo e parlavo ho visto Venere che era aperta come un libro davanti a me. Ho estratto il membro grondante umori e lo schizzo bianco è arrivato fino ai suoi capelli, sui quali ho poi pulito l'arnese, prima di rimettermi i pantaloni, per tornre a casa dalla mia dolce compagna.
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