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Il cugino canoista - Parte 5 - Finale


di LuogoCaldo
15.10.2022    |    11.992    |    11 9.0
"“Cristo santo che minchione mastodontico che hai”..."
Era notte fonda.
Le finestre della casa erano completamente spalancate e, nonostante la corrente, l’afa mi stava facendo bagnare il cuscino.
Mi misi seduto sul letto, cercando di fare meno rumore possibile.
I silenzi della campagna sembravano irreali, si sentiva solo il rumore degli insetti.
Fuori la luna brillava con i suoi riflessi d’argento.
“Gabri …”.
Dal momento in cui mio cugino mi aveva baciato, la sera precedente, non avevo pensato ad altro.
Il sapore fruttato della sua lingua aveva reso più sopportabile il dolore e, appoggiato al suo, il battito del mio petto aveva rallentato, ad un ritmo che mi aveva fatto sentire bene.
“Gabri sei sveglio?”.
Mi voltai verso il giaciglio sul quale Gabriele dormiva e vidi che era vuoto.
Scesi le scale in mutande per capire dove fosse finito e, proprio quando ero quasi arrivato alla fine della balaustra, mi fermai.
“Cristo santo che minchione mastodontico che hai”. La voce di mio padre mi colpì come un cazzotto alla pancia. “E che coglioni gonfi … Se potessi avere un altro figlio lo vorrei esattamente come te”.
“Anche Flavio è un bel ragazzo …”.
“Si certo che lo è, ma come dire … Non è maschio … Non quanto te … L’uomo deve avere certe caratteristiche, Gabrié … Lui invece ha il bacino stretto e le coscette di una gazzella, non l’hai visto? Sembra una femminuccia … Mentre tu … Che culone da toro che hai …!”.
Dovetti forzarmi per percorrere gli ultimi gradini.
Le mie gambe sembravano quasi incollate alla moquette.
Mio padre e Gabriele …
Quell’ ignorante mi aveva fatto sentire in colpa mille volte per la mia omosessualità.
“Se ricchione perché non ti vuoi applicare con le donne”. M’aveva detto.
“E la mamma?” Pensai. “No … È un incubo , non può essere! Devo fermarli.”
Così scattai in fondo alla scalinata ma restai nuovamente paralizzato per la sorpresa della scena che mi si parò davanti.

La sera precedente eravamo tutti riuniti attorno al tavolo della cucina.
La zia aveva cucinato l’arrosto e una quantità di verdure dell’orto il cui gusto era completamente differente da quello dei vegetali che ero abituato a mangiare in città.
“Allora Gabri”. Esordì mio padre. “Come va con la canoa?”
“Bene … Mi sono qualificato per le nazionali”.
“Non fa altro che allenarsi”. Si intromise sua madre. “È sempre in riva al lago col resto della squadra. Se non dovessi sfamarlo mi potrei anche dimenticare di avere un figlio”.
Ridemmo di gusto.
“Si vede …”. Disse papà. “Ancora non mi capacito … Qualche anno fa eri uno scricciolo, come Flavio … Ora guarda che montagna … E che cosce”. Esclamò e, mentre parlava, pose una mano sulla gamba di Gabriele e gli tastò i quadricipiti.
Il ragazzo apparve visibilmente imbarazzato.
“Devi fare canoa anche tu, Armando!”. Gli disse lo zio. “Su e giù e a forza di vogare ti verranno due tronconi così …”.
“Eh …”. Rispose lui sornione. “A cinquant’anni che vogare e vogare … Mi rimane ancora un po' di su e giù … Ma quello che dico io, ahahahahah”.
Quella risata forte riempì la stanza insieme al suono di uno schiaffo sui muscoli di Gabriele.
Provai una sensazione di grande disagio.
Il modo in cui quel troglodita si esprimeva, quella manifestazione di virilità tossica … Tutto appariva ai mei occhi come una mancanza di rispetto nei confronti miei e della mamma.
Anche lei però stava ridendo e pensai che, come al solito, non aveva il coraggio di ribellarsi alla supponenza dell’idiota.
La corte ostentata di mio padre proseguì per tutta la serata.
Dopo cena si portò Gabriele in un angolo e continuò a blandirlo, toccandogli le braccia e chiedendogli delle ragazze che frequentava.
Non riuscii a carpire il senso di quello che si dissero, ma percepii alcuni frammenti della conversazione.
“Sai … Non ho molta esperienza”. Diceva il ragazzo. “Ci sto provando eh …”.
L’interlocutore annuiva con grande attenzione. “Certo non puoi mica ingravidartele tutte …”. Lo sentii affermare.
E poi ancora mio cugino, che evidentemente si stava sentendo compreso, rispondeva: “Si, è un problema serio perché poi non tornano più …”.
Andai a letto con un milione di interrogativi che mi frullavano nella testa e furono probabilmente quelli che mi tennero sveglio e mi indussero a scendere le scale per ritrovarmi dinanzi alla scena che avrebbe cambiato, insieme, il mio passato e il mio futuro.

La prima cosa che vidi fu la faccia di mio padre.
Era in piedi accanto al lato lungo del tavolo da pranzo.
Aveva la camicia aperta, i calzoni leggermente abbassati e il grosso cazzo barzotto nella mano.
“Sei proprio un montone”. Diceva mentre accarezzava i muscoli delle spalle di mio cugino, faceva scivolare il palmo lungo la schiena e lo posava sulle natiche enormi del toro, accompagnandone il movimento.
“Che culo da maschio … Vai … Ficca, ficca …!”
Gabriele era in piedi, proprio dove, la sera precedente, la zia s’era seduta a capotavola.
Era completamente nudo e il suo corpo brillava nella penombra traslucido di sudore.
“Aaaah”. Gemeva. “Quanto mi piace la fica, mia fa proprio andare il sangue a cervello”.
“E fottitela …”. Lo incitava papà. “Fottitela. Guarda che porcona che è …”.
Non capii subito quello che stava succedendo.
Mi aspettavo di ritrovarmi dinanzi a tutt’un'altra visione.
Poi però gli occhi si abituarono al buio della stanza e misi a fuoco le sagome.
Il ragazzo stava scopando una donna.
Supina sopra al tavolo della cucina la puttana allagava le cosce tornite per godersi appieno gli affondi dello stallone.
Il bacino di mio cugino era così largo che la sua amante a malapena riusciva ad intrecciare le caviglie sulla curva lombare.
“Ah … Mugolava … Bravo … Trombami … Fallo cornuto tuo zio, trombami …”.
Sbiancai.
Strinsi gli occhi fino a che non divennero due fessure ed ebbi la conferma definitiva.
La vacca che si stava facendo montare sopra alla superfice lignea era mia madre.

Il mondo mi crollò addosso.
La lettura che avevo fatto della mia vita fino a quel momento era completamente sbagliata.
Mia madre non era vittima di mio pare ma ne era la complice silenziosa.
“Dai … Così è capace anche lui di trombarmi”. Gli diceva. “Tutta questa canoa e non mi pare che tu sappia sfondare chissà quanto … Aaaah …”.
“Vai Gabriele … Fottitela forte … Fai finta che stai facendo una delle tue gare e che devi arrivare primo … Che ragazzone che sei. Hai due pettorali che ti stanno scoppiando … Fatteli toccare … Mmmm”.
“Guardalo come lo stai facendo eccitare il cornuto … Aaaaah … Poi si lamenta che suo figlio è frocio … Aaaaah … Che vuoi fare gli vuoi toccare pure la mazza, ricchione?”.
“TUO figlio”. Rispose mio padre. “Non lo vedi che siamo completamente differenti …? Se era figlio mio come mio nipote veniva …”
“Zitto!”. Lo rimbrottò mia madre. “Flavio è TUO figlio …”.
“Ma che state dicendo?”. Li interruppe Gabriele.
Aveva il fiato corto.
“Niente”. Rispose mia madre. “Niente … Pensa solo a scoparmi … Ahhh si, si!”
E per farlo distrarre dal pensiero di quel discorso gli afferrò una mano e se la portò sul seno.
“Spremimi le tette dai …”.
“Puttana”. Sussurrò il nipote improvvisamente sorpreso da quella proposta lasciva.
Aumentò il ritmo della chiavata e ghermì con violenza prima l’una e poi l’altra menna di mia madre.
Stava per accadere quello che già avevo visto succedere.
Incitato da papà Gabriele aveva cominciato a trivellarsi quella cagna come aveva fatto con me e, prima ancora, con Esther e con la vicina di casa.
“Lo sai come va a finire se continuò così …”. Disse.
“Non ti preoccupare … Sfondatela”.
“Cristo che cazzo di cornuto che sei …”.

Mi sentivo confuso.
Mio padre aveva per caso detto che non ero suo figlio?
Non era possibile …
Eppure, a pensarci bene, questo avrebbe spiegato molte cose.
Quell’uomo era così diverso da me.
Non eravamo mai andati d’accordo con lui.
“Non hai ereditato proprio niente, solo il pesce!”. Mi diceva spesso alludendo ai diciannove centimetri che avevo tra le gambe. E ogni volta mi sentivo grato di quella verità.
“Come fa la mamma a stare con uno così …?”. Mi domandavo.
Lei era stata una gran bella donna.
Bassina, minuta, con due grosse tette che avrebbero fatto la felicità di molti maschi.
Io stesso avvertivo un moto inaspettato tra le mutande quando, al mattino, la vedevo china nel bagno con la figa aperta e le pere pesanti.
“Il suo corpo ha qualcosa di caldo ed accogliente”. Pensavo. “Quanto vorrei tornare dentro di lei …”.
E mi convincevo che dev’essere normale che il seno della madre appaia agli occhi del figlio sempre turgido di latte.
Anche ora, mentre Gabriele la stava facendo squirtare, l’uccello mi si era indurito.
“Finalmente si sta prendendo la sua rivalsa sul papà”.
“Avanti”. Gemeva. “Fottimi bestione, fottimi!”
“Spaccala”. Incitava lo stronzo.
Aveva un’espressione da porco che non gli avevo mai visto in precedenza.
Ero sicuro che avrebbe sborrato a breve.
Mi abbassai i calzoni e cominciai a lucidarmi la minchia.
“Cristo santo”. Sbottò mio cugino. “ Così mi viene voglia di romperti cagna di merda”.
Alzò la coscia sulla superfice di legno e le piantò il piede direttamente in bocca.
“Lavamelo vacca, lavamelo …”.
Lei obbedì stravolta da quella furia e cominciò a succhiargli l’alluce.
Come aveva fatto quando aveva scopato me, lui ghermì il lato lungo del tavolo e avviò una monta forsennata.
“Diavolo così me la distruggi …”. Urlò mia madre.
“Zitta troia … E tu, leccami il culo cornuto, leccamelo …”. Ordinò lui.
Una fiammata di desiderio rischiarò lo sguardo di mio padre e mentre lui affondava la lingua tra le mele di Gabriele sentii che le gambe mi cedevano per l’eccitazione.
Mi portai il pugno alla bocca, me lo morsi per trattenere i gemiti di piacere e sborrai sulla moquette della zia, scosso da un orgasmo che prima non avevo mai provato con quella potenza.

“Me la stai distruggendo … Sborra ti prego, sborra …”. Implorava la mamma.
“Vengo cristo, vengo …”
“Che culone che hai … Mmmmmh … Ci sborro sopra cristo, siiii, siiii …”
E mentre loro portavano a termine quell’osceno convivio presi le scale per risalirmene in camera.
“Cazzo si è rotto zia …”. Esclamò Gabriele.
“Non ti preoccupare amore … Ahhhh …. La zia prende la pillola … Mi hai fatto godere moltissimo … Bravo!”.
“Sta tranquillo, montone, hai fatto quello che dovevi … Cazzo quanto vorrei un figlio come te!”. Riprese a dire mio padre.
E una lacrima di delusione mi affiorò direttamente dal cuore, ma, per un moto d'orgoglio, non tracimo' e rimase impigliata tra le ciglia.

I miei genitori rientrarono in città il giorno seguente.
Io, invece, rimasi per tutta l’estate a casa degli zii e partii solo quando fu il momento di tornare a scuola.
Gabriele non mi aveva più proposto alcuna attività e io stesso mi ero guardato bene dal provocarlo.
Ettore, invece, era tornato sovente a salutarci e m’era parso che in più di un’occasione avesse provato a restare solo con me.
Mi ero però impegnato ad evitarlo e, infine, ci ero riuscito.

Avevo pensato molto alla conversazione alla quale avevo assistito.
Dovevo capire se la mia famiglia era veramente la MIA famiglia …
Purtroppo, però, quando si è così giovani non si è in grado di affrontare le situazioni di petto e il seme del dubbio è rapido ad attecchire ma lento a germogliare.
Così, quando nove mesi più tardi facemmo ritorno al lago, ancora non conoscevo la verità e, per giunta, non ero più figlio unico.
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