Gay & Bisex
Nei panni di mia madre - 3
di LuogoCaldo
05.01.2022 |
12.662 |
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"“Si mi piace … Pero vieni, ti prego … vieni”..."
Per tutta la giornata non feci che pensare al grosso uccello di Fabrizio.Avrei voluto serrarlo tra le natiche e sentirlo esplodere dentro di me, ma sapevo benissimo che lui bramava altro.
Sdraiato sul letto fissavo il soffitto e mi domandavo perché avessi inscenato quella farsa. Perché gli avevo fatto credere che ero una ragazza?
Il suo appetito primordiale, il desiderio del maschio per la femmina, il magnetismo con cui mi aveva fissato le cosce mi avevano lusingato e non ero riuscito a mantenere il contatto con la realtà.
“Ho bisogno di scopare”. Mi aveva confessato con un filo di voce e avevo avvertito sulla pelle tutta la sua voglia insoddisfatta.
Dei colpi sordi risuonarono contro la lamiera della roulotte.
La mamma si stava passando lo smalto sulle unghie dei piedi.
“Timoteo!” Disse. E si precipitò ad aprire.
“Buonasera …”
L’uomo brizzolato che, quella mattina, si era presentato come il professor Marinelli indugiava sull’uscio, visibilmente imbarazzato.
“Salve …” Lo salutò la mamma.
Poi, vedendo che lui non parlava, lo anticipò: “Deve esserci un equivoco” Esordì. “Il proprietario del motel non abita qui. Le conviene recarsi in fondo …”.
“Oh, nessun equivoco”. La interruppe lui mantenendo un tono della voce molto basso, come se avesse paura di farsi sorprendere.
“Ah … capisco”. Gli sorrise la mamma. E, rivolgendosi a me, aggiunse: “Leo, perché non vai a fare un giro? Il professore è qui per scambiare due parole”.
Mi sollevai con indolenza e imboccai l’uscita, mentre, soffiando, gonfiavo il chewing-gum e lo facevo scoppiare, proprio davanti alla faccia di Marinelli.
“Ciao”. Gli dissi. “Divertiti”. E scesi le scale del camper, sculettando ostentatamente.
Il parcheggio pullulava di ragazzi e intorno a me si respirava l’atmosfera della gita di fine anno. Le casse pompavano una musica psichedelica e un forte odore di fumo fluttuava nell’aria
“Ehi tu…”. Un giovane allampanato richiamò la mia attenzione.
Aveva i lineamenti del viso molto marcati, il naso aquilino e un pomo d’Adamo particolarmente pronunciato.
Mi guardava insieme ad altri due studenti: un ragazzone robusto, con i fianchi grossi e le guance paffute, e un tipo più defilato, basso e straordinariamente peloso.
“Si, parlo con te …”. Confermò. “Sei di qua?”
Annuii sorpreso.
“Io sono Carmine …” Si presentò il mio interlocutore. “Questo è Benito”. Mi disse, indicando l’amico corpulento.
“E io mi chiamo Stefano”. S’intromise il ragazzo più basso.
Mi limitai a sorridere.
“Ma che c’è lì dentro?” Mi chiese Carmine puntando il dito nella direzione della roulotte.
“Una prostituta”. Risposi seccamente. “Tutti i camper che vedi qui ospitano prostitute”.
“Hai capito Marinelli!” Commentò Stefano.
Carmine mi fissava incredulo. Indugiò sui miei abiti e, infine, domandò: “Quindi anche tu …?”
“Pensano che sia una ragazza”. Mi dissi.
“Certo”. Risposi con naturalezza. “Volete provare?”
I tre si guardarono sorpresi.
“E … quanto vuoi per venire in camera nostra?” Mi domandò Benito.
Dei tre mi sembrava il più interessato.
“È così viscido che non gli avranno mai fatto toccare una passera”. Pensai.
Mi ricordò un mio compagno di classe che passava le ore di storia a tormentarsi l’uccello sotto al banco.
“Trenta euro a testa, ma solo la bocca”.
“E per la fica? Quanto vuoi per la fica?” Insistette Benito. Aveva le labbra umide di saliva.
“Niente, oggi non posso”.
I tre si guardarono negli occhi e si scambiarono cenni di approvazione.
“Va bene”. Disse Carmine. “Però le altre regole le decidiamo noi”
All’ingresso del motel la guardiola era vuota.
Fabrizio e Gerardo dovevano aver già terminato il loro turno.
“Ecco è questa”. Disse Benito, mentre, appoggiandomi la mano sul culo, mi guidava verso la camera.
La stoffa dei calzoni era visibilmente deformata all’altezza del pacco.
Mi guardava come se non avesse mai visto una donna.
Quando fummo dentro fu il primo a sbattermi la lingua in gola.
Provò a toccarmi ovunque e, premendomi contro la parete, mi fece sentire il suo grosso membro eccitato sulla coscia.
“Allora”. Disse Carmine mentre si calava i calzoni. “Stasera giochiamo così: tu indossi questa benda e cerchi di indovinare di chi è il cazzo che stai succhiando. Se non ci riesci ti fai sborrare in gola”.
“Allora giocherò per perdere”. Dissi mentre, guardando Benito, mi coprivo gli occhi e mi inginocchiavo sul tappeto, ai piedi del letto.
“Mani dietro le spalle”. Mi ordinò Carmine. “Si parte!”.
“Apri la bocca”. Sussurrò uno dei tre.
Quel primo cazzo era già umido di umori.
Aveva un sapore molto forte ed era durissimo.
Il giocatore cominciò a sbatterlo in gola con violenza.
“MMMMH …” Mugolava. “Ciucciamelo”.
Dondolavo la testa avanti e indietro. Ingoiavo l’asta e poi arretravo, fino al glande.
Quando picchiettavo la punta con la lingua sentivo che il toro ansimava.
Capii che non avrebbe resistito molto.
“Allora, di chi è?”. Domandò Carmine con voce affaticata.
“Senti che raspo”. Pensai.
“È il tuo”. Risposi.
“Sbagliato”. Sentenziò lui soddisfatto. “Hai perso. Adesso ti fai sborrare in gola”.
Il giocatore non se lo fece ripetere. Mi afferrò la testa tra le mani, mi ordinò di succhiare e cominciò a scoparmi forte, sbattendo i suoi grossi coglioni contro le labbra.
“Aaaaah …che puttana!”. Continuava a ripetere.
Mi stringeva fortissimo la nuca e quasi non riuscivo a tenere la posizione.
“Resta con le mani dietro la schiena!”. Ordinò Carmine.
“Avanti annaffiala che stasera si beve tre minchie questa” Lo incitò uno dei compagni.
Il cazzo si gonfiò all’inverosimile.
Provò a rallentare gli affondi per prolungare la monta ma dopo qualche colpò rinunciò.
“Sto venendo”. Mi preannunciò il porco e chiavandomi rapidamente mi riempì la bocca di sperma.
“Non bere”. Mi ammonì Carmine. “Tienila”.
Aveva la voce rotta. Ma non aveva detto che il cazzo non era il suo?
“La seconda banana vuole entrare così”. Mi avvisò.
Il giocatore posò l’uccello sulle labbra e le violò, mentre un rivolo di liquido seminale mi colava sul mento.
“Ti meriti proprio un bel pieno”. Mi sussurrò il maiale e cominciò a fottermi.
Non mi lasciò fare nulla. Mi scopava come un dannato mugolando rumorosamente.
“MMMMMH … Che vacca …” Ripeteva.
“Allora”. Chiese Carmine mentre ancora avevo l’uccello in bocca. “Di chi è”.
La sua voce era sempre vistosamente eccitata.
“Che stronzo”. Pensai. “Lo sta facendo apposta”.
“È Stefano”. Tirai a indovinare.
“Ancora una volta ti meriti lo scarico”. Disse lui.
Lo stallone si avvicinò. “Te la faccio uscire dalle orecchie” Mi sussurrò e, dopo essersi piantato la bocca tra le gambe, cominciò a pompare.
Martellava la nerchia contro il palato.
Mi sentivo soffocare eppure quell’attitudine mi stava eccitando.
Per lui ero un buco. L’avrebbe piantato con la stessa forza nel culo come in qualsiasi altro pertugio.
Stavo lacrimando quando, senza rallentare, il maiale mi spinse la testa all’indietro, serrò le cosce sulle mie guance e ansimò con urgenza: “In gola … in gola”.
E mentre lo faceva schizzò la sua sborra direttamente nella faringe, provocandomi forti conati.
Passò qualche secondo prima che Carmine riprendesse la parola.
“Doveva essere lui”. Pensai mentre, a mia volta, cercavo di ricompormi.
“Ora l’ultimo giocatore …” Esordì.
Un vociare fitto si levò nel corridoio.
“Cazzo, non adesso …” Disse quello che ancora doveva godere. “È il mio turno!”. Riconobbi l’urgenza nella voce di Benito.
“È Marinelli?”
“Ma no sta scopando quello, dai chiavatela”
“Ma cristo, ci beccano …”.
“Serve uno che piantoni la porta”.
“E chi? Abbiamo pagato tutti”.
“Che diavolo c’entra! Tu hai fatto. Andate voi due, dai.” Suggerì Benito. “Porca troia … per una volta … Ma io vi ho rotto le palle mentre …?”.
“Ok va bene … va bene … Ci mettiamo fuori. Muoviti però”.
Sentii che si rivestivano e, poco dopo, la porta della stanza venne aperta e richiusa rumorosamente.
“Adesso vediamo se capisci di chi è l’ultimo cazzo”. Mi disse Benito e, mentre mi serrava le guance tra le dita, prese a sbattermi il pesce sulla faccia.
“Ti avviso che è il più grosso di tutti”. Annunciò mentre me lo piantava tra le labbra. “Pompa, avanti”.
La cappella era così gonfia che a stento riuscivo a farla entrare.
Lui mi forzò con impazienza.
Si stava finalmente godendo la succhiata.
“Toccami le cosce” Mi ordinò.
Non me lo feci ripetere.
I suoi polpacci erano enormi e i muscoli femorali guizzavano tesi sotto le mie dita.
Gli afferrai le natiche e me lo spinsi dentro la gola aspirandogli la mazza con voracità.
“Ahhhh … aaah …”. Stava impazzendo.
“Non ce la faccio più”. Mi disse.
E prima che potessi accorgermi di quello che stava per succedere estrasse il cazzo dalla bocca, si accovacciò a terra, alla mia altezza, e mi infilò la lingua in gola, piantandomi la mano tra le gambe.
“Ma che cazz …” Sbottò mentre mi spingeva indietro sul pavimento.
“Cristo santo … ma che cosa sei? Porca puttana …”.
Mi sentii sprofondare. Ero stato scoperto.
Il cuore saltò un battito e tamburellò violentemente dentro al petto.
Tolsi la benda.
“È un frocio”. Sussurrò Benito avvicinandosi alla porta per richiamare i suoi amici.
Poi, però, vidi che si fermava, esitava qualche secondo e girava la chiave nella toppa.
Aveva ancora il cazzo durissimo.
Era imponente e il suo corpo nudo era esattamente come lo avevo immaginato: largo, squadrato e compatto.
“Ti sei divertito?”. Mi chiese.
“Non volevo …”. Provai a giustificarmi.
“Ascolta frocio.” Mi interruppe strabuzzando gli occhi. “Adesso hai due possibilità”. Disse. “O chiamo gli altri, gli dico che sei un ricchione e ti gonfiamo di botte”.
“O ti metti a pecora, vestito come una troia, ti sposti il perizoma e mi fai scaricare come cristo comanda”.
E mentre lo diceva mi afferrò i capelli, mi buttò sul letto e mi sollevò la gonna.
“Aspetta …” Provai a dire. “Ti prego non così … è un casino”.
Non riuscivo a sentirmi a mio agio.
Avevo bisogno di essere desiderato come donna, non volevo essere preso in quel modo.
“Stai zitto”. Obiettò lui mentre piegava le ginocchia attorno al mio culo. “Te lo spacco”. Annunciò e cominciò a premere contro lo sfintere.
Il suo uccello era enorme. Non ne avevo mai avuto uno di quelle dimensioni nel sedere.
“Mi fai male fermati”. Urlai.
“Zitto”. Ribadì lui e, serrandomi una mano sulla bocca, con un colpo di reni fece sprofondare tutta la mazza nel retto.
Sentii che qualcosa si lacerava.
Probabilmente persi conoscenza perché quando mi ripresi il porco mi stava scopando come un animale.
Montava senza sosta, si poggiava sulla schiena per farmi sentire il peso del suo corpo e mi infilava la lingua nell’orecchio.
“Fai presto per favore”. Lo implorai piangendo.
“Sei una cagna”. Ripeteva. “Ti piace il cazzo, eh? … Dillo … Dillo”.
“Si mi piace … Pero vieni, ti prego … vieni”.
Mi colpì con così tanta rabbia che non riuscii a frenarmi.
Urlai per il dolore e neppure le sue dita trattennero le mie grida.
Qualcuno provò a forzare la maniglia. “Che cazzo succede là dentro?” Riconobbi la voce di Fabrizio. “Aprite subito o sfondo la porta”.
Mi sentii sprofondare. “No, lui no”. Pensai.
Benito estrasse l’ariete dal mio culo.
“Cristo!” Imprecò esasperato. “Fammi venire o ti sputtano”. Mi guardava con gli occhi da pazzo. Era sul punto di scoppiare.
“Aprite, ho detto”. Ribadì Fabrizio. “Aprite”.
Stava prendendo a spallate la porta.
Non avevo scelta. Serrai il pesce del toro tra le labbra e gli regalai il miglior risucchio che avesse mai ricevuto.
“Cazzò …”. Sussurrò quasi subito. “Vai così che ci sono …”.
Posò il palmo della mano dietro la mia nuca e mi spinse la nerchia in gola.
“Vengo …” Mugolò a mezza voce. “Vengo …” Ed emise così tanti fiotti che il suo seme mi traboccò dalle labbra.
“Pulisciti e vai ad aprire”. Mi disse concitato mentre si tirava su i calzoni.
Fabrizio sbatté il pugno contro la porta. “Vai a prendere la chiave di servizio”. Urlò.
“Apri!”. Ribadì Benito e, avvicinando il suo volto al mio, si portò il dito indice all’altezza del naso e parlò serio: “Siamo intesi io e te …” Disse. “Se canti prima ti smerdo e poi ti ammazzo”.
Corsi verso l’uscita, girai la chiave nella toppa e spalancai l’uscio.
Fabrizio mi guardò sorpreso.
Squadrò Benito ancora intento a sistemarsi la camicia nei pantaloni e poi tornò a fissare me.
“Via da qui”. Urlò, scagliandosi contro di lui. “Esci immediatamente o ti spacco la faccia … esci”.
Il ragazzo non si aspettava quella reazione. “Ehi …”. Si giustificò. “Ma che vuoi? Piano amico … fai piano … ma vaffanculo … ma tienitelo ‘sto mostro …”. Urlò mentre, sfilandosi, si precipitava fuori dalla stanza.
“Cazzo Lea … ma che ti ha fatto?”
I suoi occhi erano pieni di tenerezza.
“Niente … niente …” Risposi, mentre, passata la tensione, non riuscii più a trattenermi e iniziai a singhiozzare.
Fabrizio mi abbracciò e mi tenne stretto al suo petto.
“Piccola …” Sussurrò. “Ehi, ci sono qua io … non fare così … non fare così ti prego”.
Poi mi prese il viso tra le mani e unì le sue labbra alle mie, in un bacio che aveva il sapore delle lacrime.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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