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Il tormento di un padre (Tanta sborra in fondo al retto) - 5
di LuogoCaldo
10.05.2022 |
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"“In questo modo il passivo viene marchiato e il suo compagno sa quando qualcuno lo sta montando …”..."
“Montami il culo papà … Voglio che la notte mi usi per sborrare …”.Le parole di mio figlio mi rimbombavano nella testa dalla mattina alla sera.
Mi svegliavo col cazzo durissimo e, ancora sotto alle coperte, cominciavo a tormentarlo attraverso il tessuto degli slip.
Evitavo qualsiasi contatto con Annibale per la paura di saltargli addosso alla prima occasione.
Uscivo di casa molto prima che lui si svegliasse e rientravo tardissimo.
Avevo preso l’abitudine di passare da Iryl quasi ogni giorno.
Il ragazzino era divenuto il ricettacolo dei miei istinti più perversi e il mio più caro compagno di giochi.
Dopo quella notte la coltre di omertà che aveva caratterizzato la nascita della nostra relazione s’era lacerata.
Lui aveva conosciuto la bestia e s’era abbeverato dalla fonte del più oscuro dei peccati e io avevo lasciato cadere ogni maschera.
Lo scopavo con disperazione e svuotavo in fondo alle sue viscere il seme che il pensiero di Annibale accresceva costantemente dentro ai coglioni.
“Chiamami come lui”. Mi implorava il piccolo. “Dimmi che mi ami papà … Ahhhh … Si… Così … Così …”.
“Ti amo tesoro mio, papà ti ama moltissimo”. E ragliando come un animale torturato assaltavo quell’ano di velluto con l’obiettivo dichiarato di sgualcirlo.
L’abitudine aveva reso i nostri amplessi non solo più scomposti e disinibiti ma anche più lunghi e fantasiosi.
La troia mi offriva il culo in ogni posizione e indossava il berretto di mio figlio per evocarne la figura.
Io non mi tiravo indietro e, a mia volta, lo provocavo, cercando di decifrare il percorso che lo aveva condotto tra le mie cosce.
“Sei così puttana solo con me o lo fai con tutti?” Gli domandavo.
“Ahah … Con te … Soprattutto con te …” Rispondeva lui laconico.
“E con tuo padre? Lo fai pure con tuo padre? … Cristo che mele che hai ...”
La vacca restava in silenzio e si godeva tutta la violenza dei miei colpi di reni.
“Rispondi!” Gli ordinavo. “L’hai visto l’altra sera che bastone che ha …? Quello se ti incula non ti fa camminare per giorni … Scrofa …!”.
“E che ne sai che non l’ha già fatto … Cazzo quanto sei duro … Hai due palle enormi … Quanto ti arrapi se ti dico che mio padre mi scopa?”.
“Quindi ti scopa?” Ogni volta mi faceva impazzire ma la confessione non arrivava mai. La puttana sapeva che il dubbio mi eccitava più della verità.
“Sborrami in culo ti prego … Cristooooo … Come mio padre … Sborrami in culo come fa lui con Annibale ti prego …”.
“Ne fa tanta?”
“Fanne tanta tu … Tantissima … Voglio che mi coli tra le cosce finchè non torno a casa … Aaaaah …. AAAAAH”.
E ogni notte finiva come voleva lui, col cazzo stragonfio che esplodeva in fondo al suo retto.
Iryl tratteneva il mio seme fino a quando non lo riaccompagnavo.
“Ma poi riesci a cacciarlo? Non diventa secco?” Gli chiedevo curioso.
“No … Lì resta caldo … Lo tengo apposta”.
“Ma perché?” Insistevo “Che ci fai? Non ti da fastidio?”
“No, anzi …. Mi piace”. Rispondeva imbarazzato. “Lo conservo, così quando mi metto a letto ho qualcosa di te”.
“La mia sborra?” Domandavo ilare.
“Si … La tua sborra … Mi infilo le dita nel sedere, le bagno del tuo sperma e me le porto alle labbra … Così mi addormento col tuo sapore in bocca …” Confessava. “E sono felice … Tanto”. Aggiungeva guardandomi con i suoi enormi occhi verdi e lasciandomi senza parole.
Lui e suo padre non vivevano più insieme da anni.
La madre aveva l’aveva lasciato per un altro uomo e s’era portato il piccolo con sé. Si erano trasferiti in una bella casa circondata da un grande giardino e come tutte le famiglie borghesi fingevano di vivere un’esistenza tranquilla, nonostante la presenza ingombrante di quel fantasma molesto.
L’avevo costretto a dirmi dove abitava Alessandro.
Quell’uomo era divenuta la mia ossessione.
Provavo nei suoi confronti una gelosia folle e, allo stesso tempo, un’ammirazione silenziosa.
Il suo grosso ariete aveva perforato il culo di burro di mio figlio e l’oscenità delle sue richieste aveva sradicato dal cuore del mio bambino il bisogno d’incesto che io stesso gli avevo sentito urlare al vento: “Montami il culo papà … Voglio che la notte mi usi per sborrare …”.
Mi appostavo spesso sotto quell’abitazione di periferia.
Nascosto dentro al loden mi sentivo fuori luogo in mezzo ai fabbricati fatiscenti.
Aspettavo che l’amante di Annibale uscisse e lo seguivo da lontano, come uno stalker.
Spesso li sorprendevo assieme. Camminavano distanti e facevano finta di non conoscersi ma, al riparo della prima ombra, si avvicinavano per una carezza fugace o per un bacio proibito.
Mio figlio sembrava un cane appresso a quel marcantonio.
Lo osservava con bramosia e posava lo sguardo sulle sue cosce e sopra al grosso pacco che sporgeva imperioso sotto al tessuto ruvido dei jeans.
Leggevo nei suoi occhi la stessa fame d’amore che intravedevo in fondo a quelli di Iryl. Il bisogno di essere dominato.
La necessità di appartenere a qualcun altro.
Realizzai che spesso, di sera, non troppo lontano dal luogo dove raccattavo il mio amante, i due s’infilavano in un piccolo locale senza insegna, dietro a una porticina anonima appena visibile dalla strada, e che ne uscivano solo molto tempo dopo.
Mi chiesi più volte dove conducesse quel varco, ma non ebbi mai il coraggio di avvicinarmi fino a che una notte, mentre il vento ululava intorno a me, non mi determinai a scoprire cosa ci fosse dietro a quell’uscio misterioso.
La porta era molto vecchia e cosparsa di graffiti osceni che sembravano incisi con le unghie.
Il trillo metallico del campanello sovrastò il rumore del vento.
Un ragazzo allampanato con i capelli rossi e un tappeto di efelidi intorno al naso venne ad aprire. Aveva gli occhi azzurri e il profilo delle labbra appena accennato.
Il sorriso era assonnato, ma lasciava intravedere una fila di denti bianchissimi.
“Sei solo?”. Mi chiese.
Annuii.
Lui levò lo sguardo al cielo e mi rispose seccato.
“Niente da fare allora, qui si entra in coppia!”.
Lo guardai interrogativo. “In che senso in coppia?”
“Il fidanzato, un amico, uno che hai raccattato per strada …” Specificò. “Non credo che tu abbia problemi a trovare qualcuno ...” Aggiunse in modo allusivo.
I suoi movimenti erano effeminati e, mentre mi parlava, si portava la mano sul fianco e tamburellava compulsivamente la punta del piede sul pavimento
“Ma … Perché? Non vedi che sono solo adesso … Non puoi farmi passare lo stesso …?” Estrassi il portafoglio dalla tasca dei calzoni per sembrare più convincente.
“No che non posso, è la regola del locale!” Mi rimbottò lui. “Si entra in due: uno fa l’attivo e l’altro il passivo”. Proseguì. “Il passivo passa avanti e viene introdotto nella stanza delle ghigliottine …”.
“Eh?”. Esclamai stupefatto. “La stanza delle ghigliottine?” Credevo di aver sentito male.
“Ahahah … No, non è quello che pensi!” Chiarì subito lui. “È una stanza la cui parete di fondo ha degli alloggi per i passivi. Inseriscono il busto dentro al buco e lasciano che il culo sporga all’esterno”.
Ero basito.
“E l’attivo?” Domandai.
“Entra quando vuole e trova le cagne in posizione …” Continuò lui. “Così è libero di montarsele tutte quante …”
“Cristo!” Ero inorridito al pensiero di quello che stava accadendo a mio figlio. “E allora scusa ...” Provai ad insistere. “Perché fai entrare solo le coppie?”.
“Perché ci vuole equilibrio!” Tagliò corto. “Sennò si presenterebbero troppi passivi per troppo pochi attivi …” Il discorso filava.
“E comunque il punto è che questo è un gioco per coppie”. Mi spiegò serio. “Fa leva su dinamiche relazionali …”.
Lo guardai perplesso.
“No davvero!” Proseguì lui entusiasta. “Il gioco prevede che l’attivo peschi un adesivo da questo sacchetto e che lo attacchi sul sedere del passivo”.
Mentre parlava prese il sacchetto da sopra al bancone e me lo mostrò euforico.
“Gli adesivi hanno tutti colori differenti, guarda!” Mi disse invitandomi a sbirciare all’interno.
Annuii fingendo interesse.
“In questo modo il passivo viene marchiato e il suo compagno sa quando qualcuno lo sta montando …”.
Rabbrividii. “Come se fosse un animale?” Sbottai senza riuscire a trattenermi.
“Ahahaha … Ma no, dai … Certo che no …! È tutto terribilmente eccitante, credimi!” Aggiunse calmo. “È proprio per questo che le persone vengono qui …Perché hanno bisogno di condividere … Non ti è mai capitato di vedere l’oggetto del tuo desiderio posseduto da qualcun’altro…?”
Non sapevo cosa rispondere. “Certo che si. È lì dentro l’oggetto del mio desiderio” Avrei voluto urlare. “In questo momento so che qualche toro sta serrando le cosce attorno alle sue natiche di velluto ed è un tormento …”
“C’è a chi piace, sai?” Insistette lui. “O tu sei uno geloso?”
Mi sentivo profondamente turbato.
Il pensiero che quel depravato di Alessandro stesse usando il mio bambino come carne da macello mi mandava il sangue al cervello.
“Comunque se trovi compagnia e riesci a tornare io stasera ho un adesivo rosa …”. Concluse il ragazzo e, mentre si passava la lingua sopra al labbro superiore, mi invitò gentilmente a disimpegnare l’ingresso.
Mi allontanai portandomi addosso un profondo senso di insoddisfazione e sollevai il colletto del cappotto per proteggermi dal freddo.
L’orrore descritto dal giovane ospite continuava a frullarmi nella testa. “In questo modo il passivo viene marchiato e il suo compagno sa quando qualcuno lo sta montando … C’è a chi piace, sai? … O tu sei uno geloso?”
Non riuscivo a fare a meno di chiedermi in quale momento avessi fallito come genitore.
Era certamente colpa mia se mio figlio aveva la convinzione di valere così poco!
Come era possibile che, alla sua età, fosse alla ricerca di questa forma d’amore?
Come era possibile che desiderasse assecondare gli istinti di quel pervertito nel quale si era imbattuto.
“Che bestia”. Pensai. E nello stesso istante mi resi conto che, in fondo, io mi stavo comportando alla stessa maniera con l’ucraino.
Mi diressi verso l’auto intimamente scosso quando, all’improvviso, un’idea mi balenò in mente.
Feci retromarcia e imboccai la strada della piazza.
Il marciapiede sul quale si teneva il mercato sembra un disco volante, costellato dalle luci dei lampioni e avvolto in una coltre di nebbia.
Iryl mi riconobbe da lontano e saltellò gioviale nella mia direzione.
“Ehi, ti stavo aspettando”. Mi disse con gli occhi innamorati. “Come mai sei a piedi?” Mi chiese.
“Stasera c’è un cambio di programma”. Risposi laconico. “Seguimi!” Gli ordinai e col ragazzo attaccato al braccio e le mani ben piantate in fondo alle tasche del loden m’incamminai alla volta del locale dove Annibale e il suo amante avevano già iniziato a giocare.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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