Gay & Bisex
il prete di campagna - 2
di LuogoCaldo
01.12.2024 |
3.261 |
9
"Era impossibile che il ragazzo non ne avvertisse il rigore!
“Se ne è accorto”..."
Il ragazzo, in ginocchio tra le mie cosce, mi fissava.I suoi occhi spalancati erano due immense polle di luce dentro la penombra della sagrestia.
“Debbo confessare peccati della carne, padre …” Esordì.
“Racconta pure, figliolo”. Risposi certo che un fanciullo così giovane non avrebbe potuto raccontarmi altro che la storia delle sue masturbazioni solitarie. “Avrà appena sedici anni!”
“A scuola, padre.” Continuò lui. “È un gioco che va avanti da mesi”.
La sua voce greve era carica di sofferenza e tradiva il contrimento di un adulto piuttosto che l’innocenza della sua età.
“So che dovrei smettere, ma non riesco”.
“A cosa ti riferisci?” Provai a rassicurarlo. “Parla, non aver paura”.
Il piccolo piantò gli occhi enormi dentro ai miei, deglutì rumorosamente e iniziò la sua storia.
“Tutto è cominciato la scorsa estate, Padre.
Avevo concluso l’anno con una grave insufficienza in matematica e il professore Giusto aveva convinto mia madre che la cosa più utile fosse lasciarmi prendere ripetizioni private”.
“Il professor Giusto?” Chiesi sorpreso.
Per un attimo aggrottai la fronte in uno sforzo di memoria ma subito mi rilassai.
Conoscevo Federico Giusto, era un ragazzone di poco più di trent’anni, gaio, rubicondo e imponente, con la pancia prominente e due cosce spesse come tronchi.
Un marcantonio di quasi due metri, con le guance scarlatte e il sorriso scaltro.
Frequentava la parrocchia con la moglie e i due bambini piccoli.
Un padre di famiglia come tanti … O almeno così pensavo.
Certo, alla domenica m’era capitato di sorprenderlo più interessato alle forme delle giovani coriste che non alle mie omelie e in gran segreto pressoché tutte le parrocchiane più assidue m’avevano riportato le voci dei presunti incontri che la sera, dopo le prove del coro, l’omone intratteneva con la giovane contralto all’ingresso del parco, proprio dietro la canonica.
“Lo sa tutto il paese, monsignore”. Sussurravano le donne mentre si facevano il segno della croce. “Li hanno visti sotto la grande quercia. La svergognata con la gonnella sollevata e lui preso dal diavolo che la spingeva contro l’albero … Che vergogna … Povera moglie e poveri figli …”.
“Federico Giusto?” Ripetei.
Il piccolo fauno annuì, sembrò tentennare e poi riprese a parlare.
“Ma devo premetterle una cosa sin da ora, signore: non è tutta colpa del professore … il punto è che anche io …”.
“Ma cosa stai dicendo, ragazzo …?” Sbottai confuso. “Non mi stai facendo capire niente”.
“Mi scusi padre, mi scusi.
È che non so da dove cominciare.
Allora, inizierò dal principio. Voglio farle comprendere ogni cosa, ecco … Io me ne pento, me ne pento veramente … mi capisce?”
Annuii pensieroso.
Mancava poco alla mezzanotte … quella confessione stava prendendo più tempo del previsto.
“Deve sapere padre” Proseguì il piccolo. “Che il mio compagno di banco … Forse lei lo conoscerà … Si chiama Biagio, Biagio Del Mondo … Ha due anni più di me, ha dovuto ripetere per due volte la prima liceo e ora siamo in classe insieme …”
Feci cenno con la testa. “Si. La madre frequenta la parrocchia, è una brava cristiana”. Risposi. “Ma cosa c’entra con il professor Giusto?” Incalzai perplesso.
“Deve sapere padre” Ripeté lui. “Che durante le ore di lezione … Sa, noi siamo seduti all’ultimo banco all’angolo della classe”.
Il ragazzo esitò. La mia curiosità era allo stremo.
Sgranai gli occhi senza comprendere. “Parla figliolo, cosa vuoi confessami?”.
“Ecco padre, non è facile, eppure devo dirlo a qualcuno! Se continuo così rischio di impazzire”.
“Non preoccuparti”. Lo rassicurai. “Qui c’è il segreto della confessione. Quello che dici a me resterà tra di noi”.
E perché si sentisse a suo agio gli accarezzai la guancia.
La sua pelle era morbida e liscia come la buccia di una pesca. Per un istante lasciai perdere il racconto e immaginai quanto sarebbe stato bello far scorrere le mani lungo quel corpo delicato, seguire il solco arcuato della schiena e raggiungere la fessura delle natiche tornite, ma il fanciullo interruppe il flusso spregiudicato dei miei pensieri e ricominciò a parlare.
“Allora padre, era forse il principio dello scorso anno e proprio nel corso di una delle lezioni del professor Giusto, Biagio cominciò ad avvicinare la sua gamba alla mia”.
“Un gioco erotico tra fanciulli”. Pensai.
“Non era una cosa insolita”. Aggiunse lui. “Quel ragazzo ha diversi problemi di attenzione, sa …. Disegna oscenità sul banco, attacca le gomme da masticare sul bordo della sedia, lancia le palline di carta alle compagne della fila precedente … Con una è sempre molto provocatorio e come vittoria di una scommessa pare che abbia chiesto di infilarle un dito lì …”.
Deglutii.
“Si, si, lì” Proseguì lui. “Nella vagina intendo. Ma non so perché ora le sto raccontando della scommessa, non è questo il punto! Quello che Biagio fa più assiduamente padre …Ehm … come dire? Oddio che vergogna!”.
“Dì figliolo, dì.
“Si tira le seghe!”
Sbiancai. “In classe? Davanti a tutti?”
“Si padre. Cioè, no! Come cercavo di spiegarle noi siamo in fondo all’aula, nell’angolo. I maestri non hanno una visuale chiara di quello che succede laggiù”.
Ancora una volta sollevò i suoi occhi direttamente dentro i miei e si ammutolì, come se volesse creare attesa. Poi ricominciò.
“Ma io si, padre. Io lo vedevo spesso, col capo chino sul banco, la fronte appoggiata sull’avanbraccio. Si infilava la mano dentro la tuta e cominciava a toccarsi. Andava avanti per ore fino a che il movimento del gomito non diventava così incontrollato che, per la velocità, arrivava a colpire il mio braccio. A quel punto io facevo scivolare le dita dentro alle sue mutande, stringevo e rilassavo il palmo sopra al glande, e poco dopo lo sentivo ansimare pesantemente, come un animale ferito, e trattenere il respiro per non farsi sorprendere”.
“Come avevo immaginato”. Pensai. “Ma cosa c’entra Federico Giusto? Li avrà castigati come doveva. Certo, proprio lui che passa le serate a sbattersi le coriste nel parco!”
Controllai l’orologio.
Ancora venti minuti alla mezzanotte e non ero neppure pronto per la cerimonia. Forse avrei dovuto tenermi le mutande, in quella posizione le palle mi creavano solo ingombro.
“Figliolo si sta facendo tardi, se ne hai ancora per molto …”
Provai a dire, mentre, con finta nonchalance, cercavo di aggiustarmi i coglioni.
“No, la prego, padre, la prego! Mi faccia finire. Ora ho trovato il coraggio ma non so se riuscirò ancora”.
Il capo del ragazzo era chino tra le mie gambe, gli occhi rivolti al pavimento in segno di profondo imbarazzo.
“Che vuoi dirmi? Avanti, sei nella casa del signore, qui non c’è giudizio”.
Lui sollevò il volto triste e, liberandosi dal fardello che gli opprimeva il cuore, mi afferrò i polpacci nel tentativo di non crollare su sé stesso e scoppiò in lacrime.
Quel contegno mi parve subito esagerato. Non sapevo precisamente cosa fare. Forse più che di una guida spirituale il mio avventore aveva bisogno di un supporto psicologico.
Ma ciò che maggiormente mi turbò fu il tocco vellutato delle mani che esitavano sui muscoli delle gambe e si facevano strada tra i peli morbidi. Il cazzo sotto la tunica cominciò ad ingrossarsi e dopo poche carezze divenne duro come l’acciaio.
Serrai entrambi i pugni sul grembo cercando di coprire l’erezione e, con la cappella a pochi centimetri dalle labbra del giovane peccatore, incitai il mio ospite a proseguire la narrazione.
“E il Professor Giusto cosa c’entra?” Insistetti.
La voce era calma e controllata ma, dentro di me, il desiderio di sollevarmi la veste e sbattergli la minchia in gola mi faceva fremere.
“Ecco, padre.” Proseguì lui senza lasciare la presa delle mie gambe. “Quegli episodi si ripeterono spesso. Voglio essere sincero: a me Biagio piaceva molto ” Confessò. “Lo so, lo so, sono sentimenti su cui lei avrebbe da ridire. Ma signore io non ero in grado di sottrarmi! Il suo membro era l’organo sessuale più grande che avessi mai visto: lungo, certo, ma anche spesso e duro come se non fosse fatto di sangue e carne, ma piuttosto di ferro o di qualche lega metallica”
I suoi occhi scintillavano come quelli di una fiera affamata.
“Ancora adesso, padre, se penso a quel sesso che a stento riuscivo a ghermire le mie reazioni si fanno incontrollate!” Proseguì. “Ma non mi guardi in quel modo, signore, la prego, ho già troppa vergogna di me stesso”.
“Che cazzo di scrofa!“ Pensai senza proferire parola.
Il piccolo continuava a carezzarmi i polpacci e il suo tocco delicato scatenava dentro di me i pensieri più impuri.
“Vede, padre". Proseguì. “Forse se fossi stato meno impulsivo non mi ritroverei in questa situazione, ma purtroppo per me quelle masturbazioni assistite in fondo all'aula, seppur coperte dal vociare dei compagni, non passarono inosservate proprio a tutti e anzi, ora che ci penso, devo confessare che più di una volta m'ero reso conto che, mentre lavoravo con olio di gomito l’uccello di Biagio, il professore - si, proprio il professor Giusto! - si era avvicinato con fare sospettoso”.
“E tu, figliolo? Hai continuato? Non avevi capito che…?”
“Si padre, mi era vento il dubbio, certo, che quell’uomo avesse intuito che tipo di piacere faceva reclinare la fronte del suo allievo sul banco. Ma avevo voluto sottovalutare il rischio e continuai a sottovalutarlo fino a quando, una mattina, mentre il corpo di Biagio palpitava scosso da un orgasmo incredibilmente intenso, mi resi conto che il professore mi aveva inequivocabilemte colto nell'atto di estrarre la mano umida dalla tuta del mio compagno e portarmela alla bocca per nutrirmi del suo seme.
Orami era però troppo tardi ed infatti poco dopo accadde l'irreparabile”.
“In che senso?" Lo incalzai. "Che cosa accadde? Avanti, figliolo, si sta facendo tardissimo! Ho una messa da celebrare".
Mancavano infatti dieci minuti alla mezzanotte ma il ragazzo non sembrava avere alcuna premura.
Le sue mani, anzi, salirono lungo i polpacci, superarono le ginocchia e si chiusero sopra i quadricipiti mentre il viso, in cerca di una disposizione più comoda, si posava proprio sulla tunica, a pochi centimetri dall' erezione, che, se non fosse stato per la posizione raccolta in cui m' ero accomodato, avrebbe certamente incontrato.
“Ho chiesto di andare in bagno, padre, ero consumato dal desiderio e dopo che il permesso mi venne accordato mi precipitai su per il corridoio con l’impulso impellente di toccarmi.
Spalancai la porta a ventaglio con un’urgenza che non ricordo di aver mai provato prima di allora e, chiuso nell’ultimo vano della fila degli orinatoi, mi calai i calzoni, appoggiai la tempia al muro ed iniziai a segarmi come un folle, immaginando che il mio amico avrebbe fatto irruzione da un momento all’altro per svuotarsi una seconda volta dentro di me …
Ero quasi sul punto di venire quando sentii forzare la maniglia e udii una voce appena sibilata.
- Fammi entrare puttana, sbrigati! –
Riuscii a stento a distinguere quelle parole.
Ero fuori di me dall’eccitazione.
Il mio desiderio più intimo si stava realizzando.
Biagio era lì, ancora eccitato, pronto a creparmi il culo con tutta la violenza dei suoi giovani anni.
Senza neppure voltarmi feci scorrere il chiavistello fuori dalla serratura e rimasi con la fronte appoggiata alla parete, pronto ad offrire allo stallone lo spettacolo delle mie natiche spalancate.
Il maiale entrò senza proferire parola, richiuse l’uscio, si abbassò i calzoni e ne estrasse il cazzo già duro e umido di umori.
Afferrati i glutei con mani che non immaginavo così ruvide li aprì, piantò il suo ariete dentro di me e iniziò a scoparmi come un forsennato.
Giuro, padre! Non me ne ero accorto. Fu solo in quel momento che, seppur rapito dal desiderio, mi resi conto che l’uomo che si dimenava contro di me era troppo più alto e decisamente troppo più grosso del mio compagno di classe.
E quando la sua mano schiaffeggiò la mattonella di fronte al mio viso esibendo una piccola fede d’oro che brillava nel crespo della peluria delle dita mi decisi a voltarmi e, come ormai avevo sospettato, incrociai lo sguardo stravolto del professor Giusto.
La mia espressione di sorpresa dovette eccitarlo perché il porco cominciò a trivellarmi con maggiore foga, quasi a volermi imporre il silenzio con quella dimostrazione di potenza.
- Sta zitta puttana! - Mi intimò. - È dall’inizio dell’anno che faccio finta di non vedere che ti comporti come una troia in classe. Adesso è il mio turno -
Il professore era irrefrenabile padre. Non riuscii ad oppormi.
Mi limitai a inarcare la schiena lo lasciai fare.
Oh, padre, che vergogna! La verità è che quella furia mi piacque, mi piacque come nulla m’era piaciuto fino a quel momento e mi piacque così tanto che quando finalmente sentii le unghie dell’uomo affondare nella carne dei miei fianchi iniziai anche io a masturbarmi fino a che, mentre lui riversava il suo seme dentro di me, a mia volta produssi fiotti di sborra calda contro la parete del bagno, ansimando come se avessi perso tutte le forze.
L’ eiaculazione del professore fu così copiosa che dopo che lui estrasse il membro dal mio retto tumefatto un rivolo di sborra zampillò dal buchetto.
- Non una parola - Sussurrò il maiale e, chiudendosi la porta alle spalle, mi lasciò lì, contro la parete, sporco degli umori che mi colavano lungo le cosce”.
Il racconto del ragazzo mi aveva sconvolto.
Quel piccolo fauno licenzioso doveva essere il demonio in persona.
Piangeva e intanto si arrampicava sempre più sopra alle mie cosce.
“La prego, padre, mi aiuti a liberarmi da questo fuoco”. M’implorava. “Quell’uomo ha convinto mia madre ad impartirmi lezioni private anche dopo l’orario scolastico ed io anziché sottrarmi ho acconsentito perché non vedo l’ora di rimanere solo con lui, signore, e di concedermi nuovamente come mi sono concesso nel bagno della scuola …”
Sotto la tunica l’uccello stava scoppiando. Perfino l’argine delle mani aveva ceduto e l'asta era ormai completamente tesa contro il suo viso.
Era impossibile che il ragazzo non ne avvertisse il rigore!
“Se ne è accorto”. Pensai. “ Sta salendo ancora più su lungo le mie cosce, tra un po' incontrerà le palle. Le mutande, cristo santo, dovevo mettere le mutande”.
Presi a sudare nonostante fuori stesse nevicando.
Guardai ancora una volta l’orologio. Mancavano cinque minuti alla mezzanotte.
“È ora”. Proruppi agitato. “ Via! Via! È ora!”
E svincolandomi a fatica dalla sua presa spinsi la creatura lontano da me.
Balzai in piedi e, nel tentativo maldestro di nascondere l’erezione, imboccai la porta del bagno per indossare i boxer che avevo lasciato sopra al lavello.
Quando mi voltai il piccolo avventore era dietro di me.
M’aveva seguito continuando a piangere e supplicava che lo perdonassi o lo punissi come meglio ritenevo per quello che aveva fatto.
Il suo sguardo era lascivo e pieno di intenzione.
“È il diavolo che è venuto da me stanotte”. Conclusi terrorizzato.
Col cuore in gola recuperai il messale e intimando al peccatore di abbandonare la casa del signore imboccai la porta della sagrestia per celebrare la messa della notte di Natale.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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