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Ritorno al noccioleto - Parte 3


di LuogoCaldo
02.12.2021    |    9.708    |    7 9.7
"A mezzogiorno il sole era alto e picchiava forte..."
Il mattino seguente passò a prendermi Alfonso.
Guidava un vecchio modello di panda che probabilmente usava solo per la campagna.
“Puoi anche farla lavare ogni tanto questa carretta” esordii volutamente aggressivo.
Mi fissò sorpreso. “Tu ormai sei diventato cittadino, hai pretese troppo alte”.
“Sei tu che hai deciso di non evolvere” lo punsi.
Capii che lo avevo colpito. Fece per rispondere qualcosa ma poi si rabbuiò.
Mentre cambiava la marcia non potei fare a meno di guardargli il pacco.
Incastonato tra quelle cosce enormi sembrava esplodere sotto il tessuto dei calzoni corti.
Ebbi l’impulso di metterci la mano sopra, mentre guidava, di tirarglielo fuori e di farmelo sbattere con violenza in gola.
Poi lui mi soprese. “Senti, grazie.” Mi disse.
Lo guardai interrogativo.
“Ieri sera ero sicuro che tuo zio mi avrebbe chiamato per dirgli che non gli servivo più. Credevo che gli avresti chiesto di non farmi più venire al noccioleto”. Le sue labbra socchiuse erano enormi. Avrei voluto toccarle con le mie e far scivolare la lingua nella sua bocca calda.
“Mi dispiace per quello che è successo a scuola. Sono stato stupido. So che non posso cancellare quello che ti ho fatto, però, se puoi, perdonami”.
Non sapevo cosa rispondere. “Non ti preoccupare” borbottai.

Quando arrivammo al noccioleto zio Gaetano era già li.
C’era molto da fare quella mattina e il lavoro fu massacrante.
A mezzogiorno il sole era alto e picchiava forte.
“Fa troppo caldo” disse zio Gaetano “dobbiamo spostare le foglie prima che prendano fuoco. Salite sulla ruspa vi guido io da sotto”.
Ero distrutto dalla fatica, avrei solo voluto riposarmi.
Alfonso comandava il braccio meccanico con precisione, mentre lo zio, da terra, gli indicava quali mucchi sollevare e dove appoggiarli. Il mio contributo era pressoché inesistente.
Dentro quella cabina la calura era insopportabile.
Alfonso cominciava a grondare. Stille di sudore gli rigavano il volto dall’attaccatura dei capelli e la canotta bianca, ormai zuppa, aderiva al petto, esaltando i pettorali, i capezzoli duri e il ventre prominente.
Tra le mie cosce qualcosa si mosse. I suoi calzoni erano bagnati e il pacco gonfio era ancora più evidente.
“Ti ricordi quello che è successo nel bagno della scuola?” Quasi sussurrai.
Mi fissò terrorizzato.
“Avevi ragione, proseguii. Su tutto.”
Alfonso non sapeva cosa fare. Zio Gaetano continuava ad urlare istruzioni dal basso.
Fu allora che decisi di agire.
Appoggiai la mano sul suo cazzo e cominciai a sfregarla lungo l’asta.
Lui fece per ritrarsi ma lo sentii immediatamente indurirsi.
“Continua a lavorare” gli ordinai. Il piacere lo piegò.
Aprì le cosce e mi lasciò afferrare quell’enorme bastone di carne da sotto la stoffa. Lo sentivo ansimare come un toro, mentre lo sforzo di mantenere il controllo del mezzo si faceva visibile.
L’odore acre del suo sudore mi mandò in visibilio, mi chinai su quel pacco e finalmente lo aprii.
La sua verga imponente svettò fuori dai calzoni.
Era il cazzo enorme che ricordavo, largo e peloso, attaccato a due coglioni giganteschi che, nonostante la sua stazza, risultavano enormemente proporzionati.
Senza che lui potesse capire cosa stesse accadendo ingoiai tutta l’asta di quella minchia imperiale e la lasciai scivolare fino in fondo alla gola, regalandogli un piacere che, ero sicuro, nessuna donna gli aveva mai provocato.
Il suo bacino cominciò a muoversi con violenza, sobbalzando ritmicamente sul sedile.
Il maiale voleva buttarmi dentro anche i coglioni.
“Prendilo tutto puttana” mi diceva sottovoce, mentre zio Gaetano, da lontano, continuava a gridare qualcosa.
Poi, d’un tratto, una mano enorme mi spinse la nuca verso il basso.
Non riuscivo più a respirare mentre lui, recuperato il controllo, piantava la mia bocca tra le sue cosce.
Le mie dita si aggrapparono ai quadricipiti gonfi, affondando nella peluria di quel maschio infoiato.
Fui sul punto di conficcargli le unghie nella carne per farlo smettere di spingere quando un fiotto di sborra calda mi esplose nella gola, seguito da numerose scariche di assestamento.
Mi liberai dalla sua morsa con la bocca piena del suo seme.
Ero sconvolto. Non sapevo cosa fare.
“Devi berla tutta vacca” mi ordinò col tono violento di quando eravamo a scuola.
Ancora una volta era lui che comandava e, ancora una volta, io non sapevo ribellarmi.

“Ero sicuro che fossi più abile a guidare la ruspa” disse zio Gaetano quando fummo a terra.
Alfonso cercò di scusarsi “Non lo facevo da molto, in realtà, la prossima volta andrà meglio”.
“Eri completamente scoordinato, non ti sei proprio concentrato” lo rimproverava lo zio.
“La prossima volta devi prima premere il pulsante della pressione e poi …”
Non riuscivo a seguire quel discorso, la mia erezione non accennava a placarsi.
Prima che lo zio se ne accorgesse corsi lontano da quei due e, quando fui fuori dal loro campo visivo, mi calai i calzoni liberando l’uccello durissimo e cominciai a masturbarmi.
Un desiderio violento si era impossessato di ogni parte del mio corpo.
Mi infilai le dita nel buco del culo ripensando al cazzo gonfio di Alfonso nella mia bocca, al sapore dolce della sua sborra nella mia gola. Quel maschio doveva essere mio, doveva entrare dentro di me, doveva scaricare tutta la sua verga nella mia fica.
Questo doveva accadere perché il cerchio di questa storia potesse chiudersi. Questo doveva accadere perché, finalmente, io potessi pacificarmi con me stesso.
Avrei voluto urlare dal piacere ma, mentre mi contorcevo a terra, fui costretto a mordermi le nocche delle mani e a sborrare in silenzio, certo che quel manzo, nei prossimi giorni, avrebbe dato l’assalto al mio culo.

Quando riuscii a ricompormi tornai al capanno.
Alfonso e lo zio stavano consumando la colazione e con loro c’era una ragazza che non conoscevo.
“Dov’eri, a pisciare?” domandò zio Gaetano.
Feci un cenno di assenso. Poi guardai la nostra ospite con fare interrogativo.
“Lei è Anna” disse Alfonso. “È la mia futura moglie, ad ottobre ci sposiamo”.
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