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Il prete di campagna - 8 - Finale


di LuogoCaldo
24.12.2024    |    2.184    |    8 9.7
"Il ragazzo si morse la lingua mentre il maiale gli sbatteva contro i glutei la furia dei suoi lombi e con le piccole dita di velluto risalì la peluria delle..."
Passarono diversi giorni prima che incontrassi nuovamente Flavio.
L’avevo lasciato visibilmente scosso: nel giro di una manciata di minuti aveva scoperto di avere un fratello e che quel fratello era proprio Biagio, il suo compagno di banco, con il quale aveva intrattenuto più di un incontro sessuale.
Certo, m’era venuto in mente che avrei potuto cercarlo, parlargli, aiutarlo ad elaborare la notizia, ma il ricordo di quello che avevo fatto, l’immagine peccaminosa del mio sesso eretto che puntava minacciosamente contro le sue natiche mi aveva fatto desistere.
E soprattutto m’aveva trattenuto l’ormai acquisita consapevolezza che la debolezza di cui ero vittima non rappresentava una condizione passeggera dalla quale la forza della preghiera m’avrebbe potuto affrancare ma era piuttosto il riverbero d’un anelito d’amore radicato che non avrei potuto più ignorare.
La verità è che mi trovavo in una situazione di stallo e non ero in grado di decidere in autonomia come comportarmi così, come spesso avevo fatto in passato, mi risolsi a chiedere consiglio allo zio Vescovo che mi invitò a udienza al principio dell’anno nuovo.
Si trattava ormai d’aspettare qualche altro giorno.
“Farò esattamente quello che mi dirà lui!” Conclusi. “Del resto, come adulto e strumento del signore, devo sforzarmi di trovare il modo di aiutare questi due ragazzi”.
La scelta di latitanza parve premiarmi e tutto sembrò andare per il verso giusto fino a che, la notte dell’ultimo dell’anno, durante il concerto, il diavolo non tornò a tentarmi proprio nella casa di dio.

La schiera infernale era tutta disposta innanzi a me, tra le panche della parrocchia, frammista alla folla dei fedeli accorsa ad ascoltare il coro angelico che salutava l’anno giubilare.
“Benvenuti fedeli!” Esordii.
E un groppo in gola mi rese difficile proseguire, perforato com’ero dallo sguardo pesante della corista che mi fissava dal palco dei cantori.
“È con grande soddisfazione che mi trovo a introdurre questo concerto che è stato frutto di sforzi costanti da parte del nostro coro.”
Nelle prime file Federico Giusto, compassato con moglie e prole al seguito, non toglieva gli occhi di dosso all' amante e poco più dietro Flavio, giulivo come non credevo potesse essere, sedeva accanto ad Ettore e Maria.
“Sono sicuro che troverete di vostro gradimento le arie che abbiamo selezionato per salutare insieme a voi questo nuovo anno che, per la speciale ricorrenza, è anno di Cristo e anno di remissione dei peccati”
In fondo, Biagio presenziava in piedi accanto a una donna che doveva essere la madre e che, nonostante l’età, mostrava ancora i segni di una bellezza straordinaria.
“Vi lascio dunque al coro dei cantori del paese”. Conclusi e mi misi a sedere nel lato dell' altare opposto rispetto a quello in cui s'era disposta l'orchestra, proprio davanti alla porta della sagrestia.

“Chi sei tu ?” Chiese il tenore. “Tu, dallo sguardo ardente che mi trapassa come un pugnale e che, come una fiamma, brucia e divora l'anima mia”.
Pensai che quella strofa si attagliasse perfettamente alla condizione penosa nella quale mi trovavo a causa del piccolo demonio e ancora una volta il pensiero del colloquio imminente con lo zio mi rasserenò come uno sciroppo contro l’ansia.
Poi, d’un tratto, mentre la fanfara si faceva più rumorosa, Flavio mi passò di fianco come una scheggia e prese l’ingresso della sagrestia. Faticai a capire cosa stesse accadendo fino a che, qualche secondo dopo, il professore abbandonò a sua volta la panca sulla quale sedeva e gli andò dietro.
Sentivo gli occhi della folla puntati su di me.
“Come faccio adesso? Se m’alzo nel mezzo del concerto se ne accorgeranno tutti”.
Fremevo dal desiderio seguirli e quando uno scroscio di applausi segnò la fine del primo atto e la folla si levò in piedi per omaggiare i musicisti mi risolsi ad abbandonare la posizione e, lentamente, camminai all’indietro fino a varcare la tenda che separava lo spazio dell’altare dalla sagrestia.
La stanza era immersa nella penombra della notte.
“Ti incanterò gli occhi e le orecchie”. Promise uno dei contralti. “Invece di restare al chiuso, triste come la tarma che rode i tuoi libercoli, vieni, seguimi, cambia aria!”

Mi nascosi dentro alla scatola del confessionale che si trovava proprio accanto all’ingresso e, senza fare rumore, scostai appena la tenda purpurea e allungai il collo oltre l’apertura frontale per avere la visuale completa della sala.
In fondo al vano, sulla panca sotto al crocefisso, Federico Giusto sedeva in modo scomposto.
Aveva gli occhi rivolti al soffitto, il busto avvolto in un cappotto invernale e i calzoni abbassati fino alle caviglie sotto le grosse cosce nude e completamente spalancate.
Flavio, in ginocchio dinanzi a lui, succhiava con voracità e, impugnando il tronco del marcantonio con entrambe le mani, a stento riusciva a cacciarsi in bocca il glande.
“Che voglia che m’era rimasta”. Diceva mentre lucidava la minchia del suo amante.
Lo stupore fu tale che, per imprudenza, mossi la seggiola del confessore.
Mi ritrassi dentro al ricovero ma quel rumore, se aveva lasciato indifferente l’uomo, il cui respiro affannato era ben più profondo del suono della mia disattenzione, aveva invece attirato l’attenzione del ragazzo che, per una frazione di secondo, si voltò e incontro' il mio sguardo.

Nel vano in cui mi trovavo il cuore batteva così forte che potevo sentirne le pulsazioni persino in gola.
“Voglio che mi scopi, ti prego”. Disse Il demonio.
Il trillo metallico della cintola dei calzoni del professore riecheggiò dentro alla stanza.
“Mettiti a pecora, troia”. Rispose. “Forza! Sopra alla panca!”
Ma il piccolo avanzò nella direzione opposta. “No, non qua ... Vieni, fottimi lì sopra ti prego”.
Iniziai a sudare.
“Che vuole fare?” Mi domandai quando i passi si fecero più vicini e concitati e fui sul punto di tradirmi per lo spavento quando il peso del corpo di uno degli amanti fece cigolare il legno del confessionale e, sollevata la tenda quanto bastava per far passare il busto, il piccolo diavolo fece capolino dalla finestrella.
Spalancai le palpebre con sguardo terreo e scossi il capo per pregarlo di andare via, ma lui si limitò a sorridere.
“Rompimi così, dai …” Disse mentre si portava un dito vicino alle labbra. “Usami senza neppure guardarmi in faccia”.
Appoggiò il viso direttamente sopra alle mie gambe e prese a sollevarmi la tunica oltre alle ginocchia.
“Che puttana!” Replicò Federico. “Devi restare in silenzio ché ti sfondo come una cavalla adesso”.
Flavio mi fissò con occhi stravolti e quando si spinse il pugno della mano tra i denti per soffocare le urla capii che il toro lo aveva violato.
“Ti piace così, frocio?” Domandò il professore mentre il confessionale tremava per la potenza dei colpi.

Il ragazzo si morse la lingua mentre il maiale gli sbatteva contro i glutei la furia dei suoi lombi e con le piccole dita di velluto risalì la peluria delle mie cosce fino all’intimità del pube.
Provai a fermarlo, ad afferrargli le mani e ad allontanarlo da me, ben sapendo che se avessi proferito parola mi sarei tradito, ma quello mi ignorò e, giunto al rigonfiamento degli slip, cominciò a leccarli cacciandosi in bocca la stoffa delle mie mutande.
La reazione che provocò fu immediata e, benché mi fossi sforzato di pensare alla mia e alla sua dannazione come possibili deterrenti contro il peccato, in pochi secondi mi ritrovai con l’asta completamente eretta che premeva sulla lingua del piccolo attraverso il tessuto.
“Sbattimelo tutto in culo”. Mugolava lui con le pupille bianche di estasi e la lingua grondante di saliva che tamburellava proprio sopra al mio glande.

“Che cazzo state facendo?”
La porta di legno si aprì per richiudersi immediatamente con un rumore sordo.
I suoni dello spettacolo divennero più intensi e le arie risuonarono nella sagrestia alla stregua di un messaggio divino.
“O pura emozione, figlio del santo sagrato!” Intonava il baritono. “Io ti ammiro, dottore! I rintocchi santi di queste campane d'argento hanno incantato e molto le tue orecchie turbate”.
“Tira il chiavistello ragazzo”. Sussurrò Federico senza interrompere la monta.
Lo sguardo di Flavio tradì insieme piacere e dolore. “Chi è?” Chiese, cercando di venir fuori dal confessionale.
“Sta zitto”. Ordinò l’uomo bloccandogli la schiena con entrambe le mani e spingendo la sua testa contro il mio inguine. “Non ti muovere finché non ho finito”.
“Professore” Disse la voce di Biagio. “Ma …!”.
I due non proferirono parola e la musica riempì lo spazio del silenzio.
“Ma, che?” Disse infine il professore. “Che? Cosa credi che non v’abbia visto tutto l’anno a sborrare in fondo alla classe? Non mi guardare così. Caccialo, non fare storie”.
Inorridii.
Guardai il ragazzo con gli occhi sbarrati. “È tuo fratello”. Sibilai. “Fermalo, ti prego”.
Lui, per tutta risposta mi ricambiò con un ghigno maligno, avvicinò le dita alla mia intimità, scostò la stoffa delle mutande e ne estrasse il cazzo rigido come il marmo.

Un rumore di tappo si librò nella stanza.
Il professore doveva avere disimpegnato le viscere del ragazzo perché il piccolo si rilassò improvvisamente facendo scorrere il prepuzio sulla lunghezza della mia erezione.
“Che bestione che hai ragazzo”. Commentò Federico. “Avanti, che aspetti? Mettiglielo dentro pure tu. Faglielo sentire”.
Il mio glande era umido e nell’abitacolo i respiri si mischiavano all’odore degli umori.
“Va bene, povero diavolo, mostrami le tue meraviglie!” Il tenore cedette e lo spettacolo entrò nel vivo dell’atto finale.
Il desiderio montava alla stregua di un miele liquido: realizzai che avevo superato un guado e non potevo più tornare indietro.
Fu così che ripetei a me stesso: “Va bene, povero diavolo, mostrami le tue meraviglie!”. E, afferrati i capelli del ragazzo, gli infilai l’asta direttamente in gola.
Contemporaneamente Biagio dovette penetrarlo perché il confessionale cominciò a sobbalzare e il cigolio del legno a scandire il ritmo del mio godimento.

“Che palle enormi che hai, ragazzo”. Esclamò il professore. “E che membra di toro. Ti alleni? Guarda quanto sono larghe le spalle. Mmmh! Chiavatelo con forza dai. Fammi vedere la schiena: una branda! Fermo così. Abbassa i calzoni!”.
Il respiro di Biagio divenne affannato e Flavio, con gli occhi socchiusi, prese ad ansimare quel tanto che l’ingombro del mio membro nella bocca gli consentiva.
Afferrai i capelli nel palmo chiuso della mano e spinsi la testa della troia verso i coglioni per farle capire che doveva accelerare la succhiata.
Il cigolio cessò.
“Che sta facendo? No, la prego, io non sono … Non l’ho mai fatto”
“Sta zitto”. Tuonò il professore. “Vuoi forse che racconti ai tuoi quello che combini a scuola? Ecco, bravo. Rilassati”
Il movimento di reni del ragazzo s’era fermato e Flavio, concentrato com’era solo su di me, prese ad aspirarmi l'uccello con foga crescente.
“Gli sto per sborrare in gola!” Pensai. “Cristo santo!”
Contrassi ogni muscolo del corpo per trattenermi.
“Cazzo se è grosso”. Si lamentò Biagio.
“Non fiatare ché ti sentono fuori. Mmmm! Che chiappe da maschio! Grandi e dure come piacciono a me, mmmh! Fermo. Fer – mo ho detto!”
“Ah … Più piano, per favore, più piano!” Piagnucolò Biagio.
Ma l’uomo perse il controllo, assestò un colpo deciso e prese a montarselo a furia di spinte sempre più potenti mentre Flavio, con la minchia del fratello piantato nel culo e la mia assestata in fondo alla gola, riuscì sentirne tutta la virilità e iniziò e chiudere ed aprire occhi ad ogni rinculo.

L’ora del peccato giunse.
“Basta! Fuggiamo questi luoghi ove la parola è volgare, la gioia ignobile ed il gesto brutale!” Intonò il tenore. “Non conosci altri piaceri, un luogo più tranquillo per me, tu, mia guida infernale?”
E proprio in quel momento un ciclo d’estasi s’avviò.
“Sto venendo” Sibilai e rilassai il bacino.
L’orgasmo che mi scosse prese l’innesco dal movimento del professore che colpì con forza i glutei di Biagio e grugnì rumorosamente, trapassò il ragazzo che continuò a sbattere i coglioni contro al culo del fratello e, attraverso il seme di lui, finalmente mi raggiunse.
Le palle si gonfiarono oltremodo sicché spinsi l’asta nella bocca di Flavio, iniziai a tremare come una foglia e gli spruzzai in gola tanto di quel nettare che il succo del mio piacere gli colò lungo i lati delle labbra.

Fuori dal confessionale i tre si rivestirono e decisero di uscire dal retro della sagrestia per non dare nell’occhio mentre io, seduto sopra alla panca col cazzo ancora barzotto e umido di saliva, non mi mossi fino a che non ebbi la certezza di essere rimasto solo.
“Avrei dovuto resistere solo qualche giorno”. Pensai mentre il battito del cuore rallentava per la disperazione. “Cosa dirò, adesso, allo zio? Aiutami, Padre!”.
E proprio allora, come se il Signore fosse stato in ascolto, l’indicazione pervenne e, al chiuso di quel ricovero di peccato, maturai la stessa decisione che aveva maturato il tenore.
“Senza rimpianto ho lasciato le ridenti campagne, dove la noia mi era compagna”. Intonò lui. “Con la noia ritorno nella mia vecchia città”. E ancora: “Qui io soffro”. Proseguì. “Soffro! E la notte senza stelle, che distende lontano il suo silenzio e i suoi veli, aumenta i miei cupi dolori”.
Sospirai, sollevai gli slip fino a sopra all’inguine e sorrisi al futuro mentre, abbandonata la scatola di legno nella quale ancora mi trovavo, feci ritorno all’altare col cuore leggero.
“Finalmente so cosa fare”. Mi dissi e sedetti nuovamente al mio posto fino alla fine dello spettacolo.
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