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Gay & Bisex

Gita in barca


di LuogoCaldo
20.04.2024    |    15.982    |    15 9.7
"Non me lo sarei mai potuto perdonare..."
Ho villeggiato all’Hotel President dell’isola di Garina sin da quando ero bambino.
I miei genitori mi ci portavano che ancora non avevo imparato a nuotare e per tutta l’adolescenza c’ero tornato ogni estate, almeno per una settimana.
Lì avevo perso la verginità.
Ricordo ancora la gita in barca sul gozzo di Bartolo.
Avrò avuto forse quattordici o quindici anni e per tutta l’escursione non avevo fatto che ammirare il petto villoso di quell’uomo maturo, i capelli biondi e lunghi, il torace solido e naturalmente scolpito, le cosce dure come tronchi e le braccia gonfie e possenti.
Ma ciò che più mi attraeva era il costume rosso che il toro esibiva fiero della sua abbondanza e il cazzo gigantesco che si annidava al suo interno.
Fu così che, quando il resto della compagnia abbandonò il gozzetto per una passeggiata nella caletta più sperduta del luogo e una granita al gusto ricotta e cioccolato che offriva l’unico bar del quartiere finsi di essere stanco per il sole e chiesi di restare con Bartolo, all’ombra della randa.
In pieno mare pregai lo stallone di passarmi il filtro solare sulle spalle e tanto insistetti perché me lo spalmasse sempre più in basso lungo la schiena che mi ritrovai le sue dita sui fianchi.
“Più giù”. Lo incitai spostando l’elastico del costume e, dopo pochi secondi, il porco con una mano mi stava infilando la crema su per il buco del culo e con l’altra liberava il pesce dall’angusta costrizione dello slippino.
Ricordo ancora che, mentre fissavo i riflessi del sole sopra l’acqua, tutto divenne improvvisamente bianco e un senso di vertigine mi sorprese quando il maiale mi affondò la sberla dentro allo sfintere cominciando a martellarmi come se volesse gareggiare in intensità con le onde del mare.
“Che cazzone che hai”. Urlavo. “Sei un animale. Sborrami in culo, ti prego ….”.
Ma il toro non ne voleva sapere di svuotarsi i coglioni, allenato com’era dalla monta notturna delle turiste con le quali a tarda sera prendeva il largo con la scusa di andare a guardare le stelle.
“Chissà quante fiche s’è fatto qua sopra”. Pensavo compiaciuto mentre i colpi si facevano sempre più potenti e l’ariete dello stallone cresceva duro dentro al culo , in un galoppo che, in vita mia, non avrei mai più sperimentato e che avrebbe messo in difficoltà la più navigata delle troie.
Quando finalmente lo senti grugnire come un maiale e bestemmiare divinità della cui esistenza neppure ero a conoscenza avvertii per la prima volta la sborra farsi spazio dentro di me e per tutta la giornata, supino sul materasso del gozzo a contemplare la virilità appagata del mio barcaiolo, evitai di tuffarmi in acqua, per trattenermela nelle viscere.

Sono passati oltre trent’anni da quell’episodio. In questo arco di tempo la mia vita è cambiata: non ho avuto il coraggio di assecondare la mia sessualità e mi sono adattato ad una esistenza routinaria, mimetizzandomi con i miei coetanei. Ho sposato Franca e da lei avuto due bellissimi gemelli, Tommaso e Nicoletta.
Eppure, ogni estate, puntualmente, torno con la famiglia sull’isola di Garina, all’Hotel President.
“Signor Dante, benvenuto”. Mi salutano gli inservienti come se fossi uno di loro. “E come sono cresciuti i bambini”.
E appena prendo possesso della mia stanza all’ultimo piano dell’edificio che affaccia sulla piscina a forma di violino mi sento finalmente a casa.
Quest’estate l’isola ha compiuto l’ennesima magia, ricongiungendomi al piccolo Dante che sul gozzo di Bartolo cercava le attenzioni del barcaiolo.
Lo staff dell’Hotel s’era completamente rinnovato e, tra le nuove leve, era stato assunto un ragazzino molto giovane, Andrea, che s’occupava di animare le giornate a bordo piscina.
Il piccolo, un faunetto neppure maggiorenne, aveva un culo spettacolare. Mentre Franca e i bambini si muovevano sul fondale al ritmo del mambo che scandiva il tempo della lezione di acqua gym io restavo sulla sdraio e, proprio dietro gli animatori, guardavo quel corpo sodo e compatto librarsi sinuoso. Contemplavo i glutei torniti e la curva della schiena che avrei desiderato mordere con violenza e, sotto l’asciugamano, mi menavo il grosso cazzo che da sempre s’intostava per un non nulla.
Il ragazzo dovette percepire la mia eccitazione perché, quando mi venne a chiedere i dati per partecipare alla lotteria del sabato sera fu molto allusivo, si sedette accanto a me, ai piedi della sdraio, e per tutto il tempo non fece che domandare perché tenessi il telo sopra le gambe nonostante il caldo.
“Mi riparo dal sole”. Inventai imbarazzato.
Lui inarcò il sopracciglio e si limitò a sbuffare. “Se lo dici tu …” . Mi disse. “Qui, comunque, manca il numero di telefono, completa il modulo o non saprai mai se hai vinto”. E dopo che ebbi riempito i campi mancanti e restituito la scheda di partecipazione lui si alzò impettito e, senza neppure salutare, sculettò vistosamente nella direzione del mio vicino di ombrellone.

Venne l’ora di cena.
Sedevo ad un tavolo defilato della sala dell’Hotel con mia moglie e i bambini quando il cellulare nella tasca cominciò a vibrare.
Aprii WhatsApp.
“Che bella famigliola! Certo che tua moglie ha proprio i prosciutti davanti agli occhi. Ma non lo vede come mi fissi il culo in piscina?”.
Non ebbi neppure il tempo di leggere che una carrellata di foto mi intasò la memoria. Il culo di Andrea mi si parò davanti in tutte le posizioni, nudo o coperto da minuscoli tanga che s’impigliavano tra le mele grosse e tornite.
“Amore smettila. Siamo in vacanza e per lo più a tavola”. Sbottò Franca.
“È il lavoro, scusa”. Mentii imbarazzato e provai a mettermi il cellulare nella tasca dei calzoni, ma quello continuava a vibrare incessantemente e la curiosità non mi faceva stare fermo.
Lo estraevo ogni venti secondi.
“Ti è venuto duro?”. Mi chiedeva il porco. “Che voglia di farmelo sbattere in culo adesso”.
Ero terrorizzato dall’idea che mia moglie potesse subodorare il mio imbarazzo ma il ragazzo aveva ragione: il cazzo nelle mutande si stava gonfiando all’inverosimile.
Cancellai la conversazione per precauzione.
“Dove sei?” Chiesi.
“Giuro che se non metti via quel telefono mi alzo e me ne vado”. Incalzò Franca. Sapeva davvero essere insopportabile, me ne ero reso conto dal giorno in cui l’avevo conosciuta, ma la sua fica sapeva farmi godere come quella di nessun’altra donna.
“Sono in bagno, ultima porta, vieni. Ti aspetto con il costume abbassato, me lo pianti dentro e torni a fare il papà”.
“Sei pazzo”.
“Allora? Devo andarmene?” Mia moglie era inviperita.
“Vieni, ho il culo già pronto voglio essere farcito”.
Il cuore mi batteva all’impazzata ma il cazzo mi stava scoppiando tra le cosce.
Guardai Franca e i bambini. La mia famiglia. Quanto avrei desiderato raggiungere la troia nel cesso dell’albergo e svuotarmi i coglioni dentro al suo retto.
Ma non potevo …. Non me lo sarei mai potuto perdonare.
“Ok, ok”. Risposi. “ Mi farai licenziare, sei pazza”. Risposi mentre spegnevo il telefono e tornavo alla mia cena.
“Lo so”. Disse lei soddisfatta. “È per questo che mi ami”
Poi d’un tratto, mentre ancora mi sorrideva con occhi languidi, alzò il braccio sopra la mia testa.
“Guarda, c’è il figlio di Bartolo. Mario, Mario!” Urlò per attirare l’attenzione del marinaio.
“Signora, che piacere. Come sta?” Rispose quello ossequioso. “Ciao Dante, che piacere rivederti, fatti salutare bene”. Disse mentre stringeva la sua grossa mano callosa attorno alla mia.
Mario aveva la mia stessa età. Ogni anno lo ritrovavo sull’isola anche se non eravamo mai diventati amici, un po' per l’incompatibilità degli interessi e dei percorsi di vita e un po' per il segreto che condividevo con suo padre, l’uomo al quale avevo offerto la mia verginità.
“Bene Mario, sto bene. È sempre un piacere vederti in forma. Che si dice sull’isola?” Domandai.
“Dobbiamo vederci io, tu e tua moglie. Ne ho di cose da raccontarti. Da quest’anno sto avviando anche mio figlio all’attività. Ogni tanto esce con me e gli insegno a portare il gozzo, è già bravo sai …”.
“Ehi!” Proruppe Franca. “Ma che ne dite se domani, invece di restare in piscina, non ce ne andiamo a fare una gita in mare. Hai posto Mario?”.
“Ma certo, certo. Ho il gozzetto tutto per voi e porto pure mio figlio così fa amicizia con i bambini!”
Pensai che era un’idea fantastica allontanarci dall’hotel, dalla piscina e dalla tentazione del faunetto che certamente, il giorno seguente, sarebbe tornato all’assalto.
“Va bene" Risposi. "Vada per la gita in barca. Ma a proposito, che ci fai qua all’hotel a quest’ora?”. Chiesi.
Lui si guardò intorno circospetto. “Sono venuto a prendere mio figlio, lavora qui come animatore. Sai com’è, sull’isola i ragazzi d’estate li mettiamo a sgobbare, così ha fatto mio padre e così faccio io”.
E mentre iniziavo a pormi qualche domanda lui fissò il fondo della sala e prese a chiamare il ragazzo che, proprio in quel momento, chiudeva la porta della toilette.
“Andreaaaaa, Andrè! Vieni qua che ti presento i signori”. Disse a gran voce. "Domani usciamo in barca insieme".

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