incesto
Faccio il culo a madre e figlio
di StraneEmozioni
15.08.2024 |
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"“Non nello stesso momento, certo”, rispose lui provocando un secondo scappellotto e risate fra di noi..."
Quando terminai, il ragazzo era scosso e soddisfatto, sua madre felice perché finalmente aveva trovato il suo equilibrio, senza più nascondersi.Questa è La storia di Luciana e di suo figlio, Alberto.
Ho avuto ed ho una vita sessuale intensa.
Le mie fortune sono legate ad una serie di circostanze concomitanti.
Quella fondamentale è stata di essere stato carpito, in giovanissima età, ancora adolescente, da una amica di famiglia che mi ha fatto da nave scuola, letteralmente rendendomi il suo giocattolo sessuale.
La stessa cosa accadde con una zia che non aveva una grande differenza d’età con me.
La mia prima fidanzata, avevo solo vent’anni, era bisessuale.
Le altre circostanze sono legate al fatto che sebbene non sia di alta statura, sono molto bello.
Sono poi progressivamente diventato uno studente modello, un laureato brillante e un dirigente d’azienda in giovanissima età.
Ho da subito gestito posizioni di potere e di responsabilità.
La sessualità in me mi ha portato ad abusare senza scrupolo del fascino che esercitavo ed esercito tutt’ora sulle mie collaboratrici, sulle partner in affari, sulle mogli dei colleghi, dei fornitori, sulle responsabili di assicurazioni, direttrici di banca, segretarie, in ogni luogo del mondo dove ho vissuto.
Le donne sono affascinate dal potere e sebbene siano felicemente sposate, se trovano una persona che ha scritto chiaro in faccia “so far godere una donna”, unita al successo, al buon gusto, alla capacità di essere in tutto questo anche una persona per bene, è facile arrivare a soddisfare se stessi e le altre.
Una delle mie frequentazioni più deliziose e perverse è quella con Luciana e suo figlio Alberto. Loro sono il mio gruppo speciale, riservato, e i loro veri nomi sono diversi, nemmeno poi tanto. Incontrandoli per strada vedreste una donna di alta statura, bionda, occhi verdi, elegante sempre, rossetto Chanel, tacco dieci al massimo, calze velate sempre in inverno, solo gonne ed abiti.
Venne a vedere casa mia per poterla mettere in vendita e sedendoci sul divano del mio salotto mi accorsi subito che quelle calze velate celavano un intimo sofisticato.
Lei si accorse delle mie attenzioni: eravamo ai limiti del primo lockdown e, mi confessò dopo, sentiva la mia aurea sessuale, di maschio.
I messaggi che mi inviò dal primo pomeriggio, dopo il sopralluogo, continuarono fino a sera inoltrata. Quella sera scopai come sempre con la mia compagna di allora, ma ero ispirato dall’idea di scoprire che sapore avesse la fica di Luciana, come fossero i suoi capezzoli, se le piacesse il sesso anale, il sesso a tre.
Se sei maschio come me, valuti velocemente le femmine in ogni contesto, catalogandole tra desiderabili, passabili, indifferenti.
Per me non c’entra la bellezza, ne la forma fisica. Per me tutto dipende dalla femminilità che emana una donna, indipendentemente dall’età e dalla bellezza canonica.
Le mie due navi scuola, amica di famiglia e zietta, erano tutt’altro che belle, ma erano femmine. Entrambe mi usavano per soddisfare voglie che i loro uomini non potevano soddisfare, mi usavano abusando del fatto che mia madre mi affidasse a loro per essere aiutate con la spesa, per fare giardinaggio. Devo molto a loro. A soli quattordici anni Teresa mi costringeva a lunghe leccate di fica e di culo, vietandomi assolutamente la penetrazione: “sei giovane, se mi vieni dentro mi metti incinta, sai che guaio”.
Non c’era molto da dirsi: prima di pranzo tornava a casa con la spesa e vendendola arrivare scendevo di casa e l’aiutavo. Sistemate le cose in frigo e in dispensa, Teresa mi saliva sulla faccia e letteralmente mi soffocava sotto una fica che all’epoca era innovativa, rasata a zero. Non si curava di lavarsi nuovamente dopo l’igiene mattutino. Mi veniva in bocca, poi mi segava contentendo la mia poca sborra con un guanto di lattice che poi lavava, brava casalinga.
Mia zia Paola ci scoprì, o meglio, si insospettì. Io, in un caldo pomeriggio agostano, confessai, Eravamo sdraiati nel letto dei miei nonni, suoi zii, a riposare. I miei nonni erano addormentati sulle sdraio sotto il pergolato di uva da tavola. Paola si alzò, fece scattare la serratura della porta per evitare incursioni indesiderate, si alzò il predisole rosso e mi disse “fammi vedere come fai”. Io avevo quattordici anni e lei diciannove, la fica pelosa e odorosa e non era divertente come con Teresa.
Luciana tornò a casa mia con una stima dell’immobile, un vestito a disegni floreali scollato quanto bastava, un elegante foulard al collo. Le diedi un pacchettino che aprendo rivelò una boccetta di Chanel n.5. “Mi fai pensare ad una donna francese” fu la mia motivazione sincera.
“Vuoi vedere il mio culo?”, fu la sua risposta. Si alzò e tirò su l’abito, le autoreggenti nere e le mutandine dello stesso colore incorniciavano un sedere da trentenne in un corpo da quarantacinquenne. Calai le mutande e lei si piegò poggiando le mani sul tavolino del salotto. Ancora una volta ero destinato e leccare l’ano di una dea del sesso, prima di affondare la lingua nella sua fica rosa. Il suo ano era aperto, la risposta alla mia domanda fu subito chiara: “predilige il sesso anale”.
La differenza di altezza fra di noi fu felicemente superata appena si inginocchiò e si fece scopare la faccia dal mio cazzo che, per sua colpa, era diventato duro e largo.
Inginocchiata sul tappeto quella prima volta le scopai il culo a cavalcioni, esagerai in profondità e cominciammo a sentire odore della sua merda, segno che ormai potevamo solo continuare così. Dovette venire toccandosi, perdendo ogni eleganza, ululando come una cagna, mentre io mischiavo la mia sborra calda ed abbondante alle sue feci giallastre che intanto avevano sporcato la circonferenza intorno al suo ano.
Presa confidenza un giorno volette parlarmi. Mi aveva mostrato le foto di Alberto, il suo unico figlio venticinquenne. Aveva studiato in un istituto di moda e si era trasferito in Francia per lavorare in quel settore. Mi bastò vedere le foto di questo ragazzo alto, bello e muscoloso, dal viso dolce, per comprendere che era gay. Lei no, lei non lo aveva nemmeno accennato. Mi mostrava video nei quali lui cucinava con il suo compagno di appartamento, un tedesco, e mi sembrava assurdo che non notasse come i due fossero intimi.
“Devi aiutarmi a capire una cosa”, iniziò dopo che l’avevo sbattuta per bene sul suo divano nel quartiere Trieste a Roma, mentre guardava fuori dalla finestra e concordavamo che la prossima volta avremmo organizzato una piccola orgia.
Si alzò nuda e tornò poco dopo con una scatola di scarpe, marca Diadora. Si sedette avendo cura di frapporre fra se e il divano un plaid, perché piena della mia sborra non combinasse guai irreparabili sulla stoffa preziosa.
“Devi aiutarmi a capire il contenuto di questa scatola”, mi disse tenendovi una mano poggiata sopra, come ad evitare che io la anticipassi aprendola troppo presto.
“Alberto mi ha chiamato la settimana scorsa, chiedendomi di spedirgli un paio di scarpe, che dovevano essere in questa scatola”.
Alzò il coperchio e all’interno vi era un paio di autoreggenti nere, ben piegate, ed il manico in plastica di una ventosa sturalavandini: fu lei a dirmi cosa fosse, non potevo comprenderlo da solo; ma l’oggetto aveva una chiara forma fallica, un piccolo dildo di larghezza modesta, lungo una ventina di centimetri, anche rigonfio sull’estremità superiore, come un glande.
“Io penso che si sia sbagliato. Queste calze sono mie, non le trovavo più e questo è della ventosa, non la uso da tempo”, mi illustrò.
“Io penso che le abbia fatte indossare a qualche ragazza, ma di questo manico non saprei che pensare, magari l’ha usato per masturbarla”.
Fui dolce ma diretto.
“Le scarpe, dove sono?”.
“Non le ho trovate nemmeno nelle altre scatole, questa è l’unica scatola Diadora”.
“Alberto ti vuole dire qualcosa, rifletti: le scarpe le ha con lui, sapeva benissimo cosa c’era in questa scatola”.
“Vuoi dire che ha voluto che la trovassi, si sentiva in colpa?”.
“No Luciana, ha solo paura di dirti che probabilmente è gay”.
Non reagì in modo sorpreso o sconsiderato, restò un attimo in silenzio, per poi aggiungere “Dici che lo è?”.
“Si tesoro, è probabile che queste calze le abbia indossate in casa, da solo, per sentirsi bello. Ed è probabile che con questo oggetto si masturbi. Possibile che non lo abbia fatto, ma che abbia preparato solo il messaggio per te. Pensaci: se le scarpe non sono qui, lui sa benissimo di averle con se.”
Era tutto lampante. Anche a lei ora, che sorrise e si mise poi a piangere per la tenerezza nei confronti di Alberto.
“Amore mio, non voglio che mi nasconda questo, lo amo, è tutta la mia vita, perché non parlarmene?”.
La consolai e mi proposi di aiutarla a dialogare con il ragazzo.
Di li a breve arrivarono le feste natalizie, in piena restrizione da Covid. Un pomeriggio fra natale e capodanno del 2020 Luciana mi invitò per un te. Alberto era in casa ed era (ed è) più bello di come apparisse in foto ed in video. Un ragazzo forte e dolce, pulito, sorridente. Mi accolse, dall’alto del suo metro e tanto altro, baciandomi sulle guance.
Luciana simulò una telefonata da una amica e ci lasciò nel salotto da soli.
So arrivare al punto piuttosto velocemente, sono una persona fortemente empatica ed esperta di psicologia umana.
“La mamma mi ha chiesto aiuto con il contenuto della scatola di scarpe”, gli dissi con dolcezza e sorridendo. “Sei al sicuro con me, ho avuto ed ho esperienze con uomini, stai tranquillo.”
La conversazione fu easy, alla fine mi accorsi che cercava di sedurmi e sentii un brivido all’inguine. La situazione era di assoluta perversione: scopavo con sua madre ed ora lui, con quasi la metà dei miei anni, cercava di sedurmi. Stetti al gioco, lo provocai mettendogli di tanto in tanto una mano sul ginocchio. Mi confessò di essere attratto dagli uomini più grandi e di desiderare di indossare intimo. “Anche adesso ho un perizoma”, mi provocò lui.
“Non ci credo”, gli dissi per spingerlo a dimostrarmelo.
Si voltò restando seduto sul divano e da dietro i suoi jeans mi mostrò l’elastico di un perizoma color carne che superava la cintola, scendendo verso le natiche.
Luciana mi messaggiò dall’altra parte della casa: “Come va?”.
“Ci sta provando con me, mi ha mostrato il perizoma”.
“Oh cazzo, devo venire di la?”
“Beh, ho il cazzo duro tesoro, se non vuoi che mi scopi il tuo ragazzo ti conviene intervenire”.
“Porco”, fu la riposta, accompagnata da uno smile.
La conversazione fu surreale, madre e figlio si abbracciarono, ed io ero il loro oggetto del desiderio.
Ci scherzammo sopra, Luciana aveva un atteggiamento intelligente, accogliente, ironico.
“Mica puoi portarti a letto lo stesso uomo con il quale vado io”, gli disse dandogli uno scappellotto affettuoso.
“Non nello stesso momento, certo”, rispose lui provocando un secondo scappellotto e risate fra di noi.
Notai che Luciana era irrequieta, era eccitata. Il linguaggio del suo corpo era evidente, era protesa verso Alberto, lo accarezzava. Era chiaramente inconsapevole di questo suo atteggiamento, ma a me era evidente.
L’atmosfera scherzosa e sensuale mi spinse a fare una ultima battuta: “Hai visto che belle mutandine indossa Alberto? Falle vedere alla mamma.”
In breve tempo ci ritrovammo a guardare il perizoma di Alberto, ben infilato fra le sue natiche canute, con solo una leggera peluria biondastra sulle gambe nude.
“Non hai nemmeno bisogno di depilarti le gambe tesoro se indossi le calze”, osservò Luciana carezzando le gambe del ragazzo.
“Aspetta mamma”, gli rispose Alberto sparendo. Intuìi cosa stesse per accadere e penso lo comprese anche Luciana che, approfittando della momentanea assenza del figlio, si avvicinò a me e mi infilò la lingua in bocca.
“Come sto?”. Alberto era sulla soglia del salotto. Era rimasto con indosso lil suo maglioncino di cashmere leggero e sotto il perizoma color carne e calze nere, quelle calze nere. Lo spettacolo, ce l’ho ancora davanti agli occhi, era bellissimo. La madre una vera dea del sesso, lui un angelo. Il perizoma non poteva nascondere un pene ben dotato che era barzotto per la situazione.
“Avvicinati un po’”, gli dissi.
Mi arrivò davanti e fece una piroetta tenendo sollevato in alto il maglioncino. Carezzai una gamba partendo dalla caviglia e la sua erezione fu istantanea.
Luciana osservava in silenzio, la bocca aperta.
Li avevo condotti dove desideravo, in una spirale di perversione e trasgressione, assoggettati ai miei desideri. Volevo entrare in quella casa e godere di entrambi. Il mio stomaco si aggrovigliava guardandoli insieme. Era irrealizzabile scoparli contemporaneamente, una roba da fantascienza. Ma sapevo ed intuivo che Luciana voleva affidarmi Alberto. Non solo: il suo amore per il figlio era anche carnale. Lei lo desiderava ma non osava. Attraverso di me, avrebbe soddisfatto questo desiderio, entrando nella sfera sessuale del figliolo.
Decisi di fermare quella giostra, non era forse il momento quel giorno.
Quando mi alzai dissi: “Forse è meglio che me ne vada, per oggi”.
“Per oggi”, mi fece eco Luciana.
Arrivai a casa e lei mi raggiunse poco dopo. Entrando mi si buttò addosso: “Scopami, sono una troia, mi sono arrapata guardando mio figlio, che cazzo di madre troia sono?”.
Scopammo forte. Luciana voleva essere punita. Le praticai un fisting con tutto il pugno nella fica, fu un rapporto devastante.
Sorseggiando un bicchiere di vino mi disse che appena li avevo lasciati Alberto era scappato in bagno e si era masturbato in piedi davanti alla vasca, con ancora indosso le calze.
Aveva ripulito tutto lei, la sborra era schizzata in alto dove lui non aveva pulito facendo scorrere l’acqua solo sulle pareti della vasca da bagno.
“È una situazione irreale, sono una degenerata.”, si confessò con la testa poggiata contro il mio petto.
“Tesoro, io avevo il cazzo che mi arrivava sotto la gola, ma l’hai visto come stava con quelle calze? Scusami tesoro, ma ha il sedere più bello della madre”.
Lei mi schiaffeggiò su un braccio fingendosi indispettita, e mi baciò.
“Ci andresti a letto?”, mi chiese, mentre notavo che si muoveva. Era un suo desiderio, evidente. Luciana aveva un desiderio incestuoso che voleva vivere attraverso di me.
“Solo se a te sta bene”.
“Ma cosa gli faresti?”.
La girai sulla schiena, adangiandole con delicatezza la testa sul materasso. Poi la scavalcai e mi misi sopra di lei, in ginocchio, il mio culo davanti alla sua faccia, invitandola a leccarlo.
“Faresti fare questo?”, diceva mentre mi leccava come un gatto. “Ti faresti leccare il culo così dal mio bambino?”.
La feci squirtare facilmente, era eccitata.
Il giorno dopo ero invitato a cena da loro.
“Posso parlare in privato con Alberto?”, le chiesi facendole l’occhiolino, avevamo appena terminato il tiramisù preparato proprio da Alberto.
“Certo, vado di la”.
“No, ci andiamo noi”.
Entrati nella stanza del ragazzo e appena chiusa la porta abbassai i pantaloni, non ne potevo più. Alberto si inginocchiò e prese a leccarmi le palle. Mi voltai, poggiandomi alla sua scrivania e mettendo un piede su uno sgabello. Divaricai le gambe quanto bastava per consentirgli di arrivare bene con la lingua al mio culo, imponendogli di leccarlo.
Avevo avuto cura di lasciare la porta socchiusa, sapevo che Luciana ci avrebbe osservati. Sbirciai, era li che osservava attraverso uno spiraglio discreto.
Scopai la faccia di Alberto con vigore, il ragazzo aveva una erezione favolosa. Mi venne voglia di tenere quel fallo in mano, di sentirne il potere.
Quando ne ebbi abbastanza lo feci sdraiare sul letto, pancia in su. Bagnatomi un dito glielo infilai nell’ano. Era chiuso.
“Sei vergine qui?”.
“Si, sono chiuso”.
Accolse comodamente due dita, si segava. Guardai verso la porta, la madre era li, la mano fra le cosce.
Quando ebbi finito con il ragazzo, dopo avergli riempito il culo di seme ed averlo fatto venire forte segandolo nel frattempo, Luciana si allontanò. Ma io non avevo terminato.
“La mamma ci ha osservati. Ora tocca a lei, vuoi guardare?”.
Ero euforico, le mie sensazioni indescrivibili. Stavo per andare a scopare la madre mentre il figlio faceva i conti con il mio sperma nel retto.
La raggiunsi e senza parlare la portai in camera da letto. Il mio cazzo sapeva ancora del culo di suo figlio. La inginocchiai. “Senti che buono” e le scopai la faccia con un vigore mai avuto primo. Luciana leccò avidamente, non staccava lo sguardo dal mio mai, in segno di sfida, ma anche di accettazione del suo ruolo di donna libertina.
Ero estasiato, dovetti contenermi per non chiamare Alberto accanto alla madre e costringerlo a farmi un pompino in due.
Il ragazzo, una calza autoreggente calata su una caviglia e l’atra in posizione corretta, era sulla porta ed osservava. Aveva ripreso vigore e gli feci cenno di accostare la porta, di guardare da uno spiraglio. La madre sapeva che era li, ma non poteva essere tutto coì sfacciato.
Misi Luciana in ginocchio e le scopai la fica. “Oggi culo e fica insieme, che bello”. Il mio verbalizzare serviva a rendere la trasgressione evidente, palese, al pari dei romanzi di de Sade che Luciana aveva letto e che la eccitavano tanto.
Il potere che avevo e che ho su di loro è la fonte di piacere supremo.
Oggi il rapporto è evoluto e abbiamo una chat comune, piena di foto, di battutine. Alberto ci invia le foto dei suoi amichetti ed io, in privato, le foto intime della madre, lei lo sa, ed ogni volta finge una reprimenda: “mica le mandi ad Alberto?”.
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