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Scambio di Coppia

Cinzia, poliziotta alla scoperta del piacere


di Membro VIP di Annunci69.it StraneEmozioni
27.07.2024    |    9.193    |    10 9.4
"“Ecco qui i due piccioncini dell’ufficio passaporti che escono dal club prive”, disse registrando la sua voce, come se conducesse una indagine..."
“Passo e prenderti all’una e mezza, se starai dormendo tieni il cellulare acceso e vicino”, mi disse Cinzia, la voce evidentemente eccitata.

“Non mi addormento, sono a cena da amici, passa a prendermi in via Cavour”, le risposi dandole il civico, seccato di quel mistero.

Mi aveva chiamato nel bel mezzo della cena da una coppia di amici, letterati e dei quali discorrevamo di musei nel mondo e di artisti, per chiedermi di accompagnarla in un posto, senza spiegarmi di più. Sospettai subito che non mi sarebbe piaciuto, ed il tutto era confermato dalla resistenza di Cinzia nello svelarmi il perché di quell’appuntamento.

Quando il telefono squillò stavo sorseggiando il secondo Armagnac, un Baron Gaston del 1981, anno di nascita del mio ospite, una bottiglia da duecento euro che gli avevo portato io stesso. Lo tracannai un po’ troppo in fretta e Luigi e Carla, i miei ospiti, scoppiarono a ridere guardando la mia espressione: “Se debbo morire”, dissi con grande fatica per lo stomaco in fiamme e gli occhi lacrimanti, “meglio che sia strozzato da un sorso di eccellente Armagnac".

Cinzia mi aspettava sotto il portone nella sua cinquecento bianca, motore acceso, probabilmente per stare al caldo. Infatti il gelo del mese di gennaio mi colpì forte in faccia, costringendomi ad allacciare il mio Barbour fino sopra il collo.

“Ma dove cavolo dobbiamo andare”, le chiesi allegro perché la vedevo, eccitato dalla vicenda e dal doppio Armagnac, salendo in macchina e stampandole un bacio sulla guancia. Cinzia è bellissima, una donna mora con occhi azzurri, capelli neri, pelle bianca, un contrasto di colori su una eleganza casual innata, sempre profumata, sempre bella, sempre a mille.

Era stata la mia fidanzata dieci anni prima, poi si era sposata e aveva avuto due bambine. Il marito era uno stronzo con il quale non andavo affatto d’accordo, ero sicuro la riempisse di corna con donnacce, quelle alle quali aveva corso dietro prima di lei.

“Devo beccare lo stronzo”, mi disse infatti lei partendo e facendo stridere gli pneumatici. Percorse venti metri, poi fece una inversione a U quasi su due ruote, esperienza maturata alla guida delle volanti, diventato commissario di polizia.

Lo stronzo era lui, ed evidentemente Cinzia aveva scoperto con chi e dove si vedeva: altro che partite di poker con i colleghi. Lui, un banale e fallito agente di polizia, assenteista, a suo tempo belloccio ma coglione e vile, ignorante come una capra, l’aveva messa incinta anni prima. Lei, che io non avevo voluto sposare (sbagliando, ma mi preoccupava il fatto che avesse manette e pistola sempre con se), lo fece quasi per vendetta, punendosi per far dispetto a me.

Il fatto che fosse così era chiaro, perché io e Cinzia scopammo anche il giorno del suo matrimonio: “scopami così, maledetto”, mi aveva detto, l’abito bianco addosso, i tacchi alti, la giarrettiera. “Voglio il tuo seme dentro mentre dico si, stronzo” aveva continuato. Camilla, la loro bambina, al tempo del matrimonio aveva già due anni. Il sospetto che la seconda, Beatrice, sia mia, non mi è mai passato di mente.

Cinzia prese con traiettorie improbabili via Cavour a risalire, poi svoltò per raggiungere via Merulana e da li verso piazza Vittorio.

“Ma dove sta?”, azzardai tenendomi stretto al sedile e vedendo la morte in faccia ad ogni auto che sorpassava.

“Ora lo vedrai”, mi rispose.

“Dimmi che non hai l’arma con te”, chiesi stupidamente, perché l’arma di servizio è sempre con gli operativi.

“Si, ma hai ragione”, disse sfilandola dalla fondina che teneva sulla sinistra e passandomela, “mettila nel cassettino”.

Estrassi il caricatore quanto bastava per far scarellare e controllare non vi fosse il colpo in canna, poi reinserii il caricatore, misi la sicura e la riposi nel cassettino davanti a me. “Meglio così”, conclusi, almeno nessuno si sarebbe fatto troppo male.

Arrivammo in una traversa di Piazza Re di Roma e Cinzia rallentò, cercava l’auto del marito. Ci mise poco, a qual punto salì incurante su un marciapiedi e fermò l’auto.

“Andiamo”, mi impose.

Anni prima ci eravamo conosciuti tramite un amico comune, un istruttore di Judo che faceva corsi di difesa personale. Cinzia era una sua ex allieva, prima del concorso in polizia e ci eravamo allenati insieme per un po’. Anzi, Cinzia allenava me, lo faceva per tenersi in forma nella palestra del mio amico. Detesto il mondo militare, ma ho vissuto in campagna e ho imparato a sparare con qualsiasi cosa e a menare le mani per farmi rispettare e per proteggere le mie sorelle minori. La mia esperienza militare è stata in missioni operative ed ho dovuto fare di necessità virtù. Cinzia ed io ci eravamo subito piaciuti ed era iniziata la nostra storia, basata molto sulla fisicità e una certa apertura mentale, perché lei si dichiarò apertamente attratta anche dalle donne, in particolare quelle più grandi di lei.Particolare che ovviamente nascose per la sua carriera in Polizia.

Ci sedemmo fuori da una nota pizzeria al taglio dalla quale potevamo vedere l’auto dello stronzo.

“Ma che ci fa qui, chi si scopa?” chiesi impaziente.

“Li c’è un club privato, un posto per scambisti, ci va con una collega, quella che ti si voleva scopare a capodanno due anni fa”, mi disse lei.

“Ma chi, quella che sembra un trans, Emanuela? Si chiamava così, o forse Manuela?”, esitai un attimo.

“Emanuela, sta grande zoccola, lavorano insieme i due falliti, in ufficio passaporti, falliti e bugiardi”, rispose Cinzia con un fare non tanto incazzato quanto di sollievo. Percepii che era indignata, ma al tempo stesso aveva la scusa per farla finita con quel gran coglione.

"Stavolta se ne deve andare fuori dalle palle, inutile stronzo", aggiunse lei a conferma del mio pensiero.

“Eccoli”, esclamò alzandosi, prima che potessimo imbastire una qualsiasi conversazione sul tema della loro relazione.

“Aspetta”, esclamai vedendo che si era avviata. La seguii due passi indietro, dopotutto dovevo solo stare attento a che non commettesse casini e non si rovinasse vita e carriera, ma erano affari suoi vedersela col marito e l’amica.

Avanzando verso di loro, che erano distanti una trentina di metri ma erano ben illuminati dai neon dei negozi e dai lampioni che lasciavano filtrare bene la luce, dato che i platani erano del tutto senza foglie in quella stagione, Cinzia prese a filmarli con il suo cellulare. I due si tenevano per mano, lei era vestita come una baldracca dai pessimi gusti, con un abito rosso corto e tacchi vertiginosi, il cappotto nero aperto, una scollatura esagerata e finte perle al collo. Solo finte potevano essere, dato che erano più giri e sarebbero costate decine di migliaia di euro vere. Sembrava uscita da un veglione di capodanno di provincia.

Quando i due si accorsero di Cinzia, era ormai troppo tardi. Si fermarono, ma non ebbero l’accortezza di lasciarsi la mano per la sorpresa e Cinzia continuò a camminare verso di loro filmandoli. Sentivo da due metri di distanza la sua rabbia cieca montare e fui felice di averle fatto riporre la pistola d'ordinanza.

“Ecco qui i due piccioncini dell’ufficio passaporti che escono dal club prive”, disse registrando la sua voce, come se conducesse una indagine.

Solo allora mi accorsi che nel riprenderli aveva scelto una posizione tale da inquadrare l’entrata del locale, seppur questa fosse sotterranea, in fondo alla discesa di un garage condominiale. Del resto, il tutto era inequivocabile ai fini delle prove.

Arrivati davanti a loro, la povera amante provò a dire qualcosa. Il cazzotto di Cinzia la stese quasi immediatamente. Da brava judoca non aveva caricato il colpo, era partita da ferma senza dar modo all’altra di accorgersi del pugno che partiva e che le centrò il naso, frontalmente.

“Cinzia, cazzo”, esclamai guardandomi intorno, preoccupato delle conseguenze, ma lei mi fece un gesto inequivocabile, come a dire “mi merito questo momento”.

Si parò davanti al marito, che aveva la camicia aperta fino all’ombelico come da suo stile, un cappotto corto dal taglio troppo giovanile, e poggiò le mani sui fianchi.

Alcuni avventori uscivano dal locale, coppie, mariti cornuti con le mogli scopate a casaccio che riportavano le signore alle loro dimore per un bidet rinfrescante. Chissà di cosa avrebbero parlato in auto, nel tragitto.

“Queste sei andato a scoparti mentre io sto a casa con le bambine?”, chiese Cinzia al verme indicando con il mento, sprezzante, nella direzione delle coppie ambulanti.

Lui fece per parlare e lei sferrò il calcio, di piatto, sui coglioni. Dritto, forte, da togliere il respiro. Anche questa senza caricare, senza preavviso.

Lui crollò a terra, temendo altro si coprì con un braccio la testa, ma Cinzia non andò oltre.

“Vai a casa, fatti una borsa senza svegliare mia madre e le bambine e poi sparisci. Questa mignotta la lasci qui, se provi a darle un passaggio ti sparo, lo giuro”, gli intimò lei.

Avevo una gran voglia che lui reagisse per poterlo suonare come una zampogna, ma il verme rimase a terra in ginocchio e disse solo un “va bene”.

Aspettammo che i due si rialzassero da terra, la donna si diresse verso i taxi nella piazza tenendosi il naso, il sangue le correva lungo il mento. Lui si avvicinò alla sua auto, ci mise un po' ad aprirla, il calcio sull'inguine fa particolarmente male.

Quando partì, Cinzia si voltò verso di me e mi tese la mano: “vieni”, mi disse, “andiamo a vedere sto cazzo di locale, voglio scopare”.

All’ingresso mostrò il suo tesserino senza mostrare il nome coprendolo un un dito, quindi entrammo senza pagare. “Vogliamo berci qualcosa, non devo controllare niente e nessuno, quindi non dare allarmi e non rompere i coglioni che non è serata”, disse al panzone tatuato all’ingresso e diede una occhiataccia anche all’asiatica che gli era accanto in abiti striminziti. I due credettero senza esitare, e quando mi rivolsero lo sguardo feci una impercettibile smorfia che voleva significare "ragazzi, credetemi, fate quello che dice stasera".

Non ero mai stato e mai tornerò in un locale di quel genere, ma ci facemmo una idea chiara e ne traemmo del temporaneo piacere.

Ci sedemmo ed ordinammo da bere. Io chiesi del cognac ed avevano solo del commerciale Remy Martin, Cinzia chiese un amaro: ovviamente avevano solo quelli comandati dal Dio del bar da angolo di quartiere, quindi optò per un amaro del capo on the rocks. Il menù del bar e gli avventori rappresentavano la banalità del tutto, la mediocrità a la mancanza di vera passione.

Cinzia ed io siamo belli e ci rendemmo conto subito di essere adocchiati, del resto alle due di notte c’era ancora gente che stava arrivando fresca fresca nel locale.

Lei mi raccontò di come si era accorta del tradimento, che le stava bene, ma non le stava bene che mettesse a rischio la sua posizione andando in quei posti. Eravamo li che parlavamo quando due coppie ci chiesero di poter condividere il divanetto.

Acconsentimmo, erano dopotutto persone normali, anche ben vestite, persone sulla cinquantina che si conoscevano già.

Iniziai a parlare con i signori ed una delle signore, l’altra seduto accanto a Cinzia parlava con lei. Ad un certo punto uno dei due mi fa segno di guardare e girandomi vedo Cinzia lingua contro lingua con la signora. Non solo, le aveva messo un amano nel vestito e le massaggiava un seno.

“O cazzo”, esclamai. Era passato un po’ di tempo da quando insieme ci scopavamo Vanessa, la rumena delle pulizie di casa sua, che Cinzia aveva sedotto e poi ingaggiato unendo l'utile al dilettevole.

Ho tralasciato di dire che Cinzia resiste a tutto, tranne che alla fica. E’ il momento che lo sappiate.

La mia amica tirò fuori le tette di Giovanna, questo il nome della bionda tinta, e prese a slapparle con la lingua con una maestria imbarazzante, lunga pratica sulle tette bianche e grosse della vecchia Vanessa che facendosi leccare e legare le tette riusciva addirittura a squirtare.

“Bene”, esclamai divertito, mentre notai del movimento accanto a me: gli uomini si erano alzati per lasciar passare la signora, Silvana il nome dell’altra. Pensai volesse me, invece dovetti scivolare via anche io perché la signora voleva raggiungere Cinzia dall’altro lato.

Ci ritrovammo in tre a cazzo duro a guardare il commissario della polizia di stato che si faceva fare un bel ditalino, coperta dal tavolo, da quelle due iene.

Il trio si sussurrò delle frasi, che i miei amici neoacquisti, direi amici del cazzo in senso proprio, avevano intuito: iun salottino privato, le tre donne stavano concordando di appartarsi.

Fu così che assistetti alla scena madre di Cinzia che leccava la fica a Giovanna e a Silvana, insaziabile. Le due donne in autoreggente, e Cinzia che era in pantaloni era stata denudata e privata delle scarpe. Tra l’altro, indossava degli osceni calzettoni di spugna. Ma è bella Cinzia, bella tanto.

Il mio cazzo era duro abbastanza e uno dei signori mi invitò a beneficiare della sua signora che guardando e sorridendomi mi disse “scopami caro”. Ma declinai con gentilezza, lasciando il passo a loro. Io ero li per Cinzia, non per dare il cazzo alla prima venuta.

Cinzia si accorse della mia inattività e mi guardò con aria interrogativa mentre uno dei signori le avvicinò il cazzo alla faccia per avere un pompino. I due signori, elegantemente, si erano limitati a tirare fuori l’arnese senza abbassare i pantaloni, né togliere le giacche.

Cinzia lo ignorò, ma io le feci un gesto che voleva significare "non farlo per me".

“Tira fuori quel coso e scopami”, mi disse infine Cinzia.
"A casa, quando avrai finito", le risposi.

"Scopami", insistette. Tornammo così ognuno ai suoi ruoli originali, sebbene non abbia mai compreso se gli uomini stessero scopando le loro signore o ognuno quella dell’altro. Le tre donne convergevano verso il centro del divano circolare e si toccavano e baciavano.

Mi sentivo divertito ma sentivo che non stavo vivendo nel modo giusto l’esperienza. Cinzia aveva bisogno di qualcosa di diverso di quel mio atteggiamento: compresi che voleva toccare il fondo, per poi risalire. E voleva farlo insieme a me che la tutelavo.

Chiamai a me gli altri uomini. Cinzia si fermò un attimo mentre i due indossavano nuovi condom. La feci distendere e mentre uno la prese da davanti, l’altro le infilò il cazzo in bocca sfilando il condom appena indossato inutilmente. Silvana si inginocchiò da un lato e Giovanna dall’altro per succhiare i suoi capezzoli. “Fatela godere”, incitai il gruppo.

Il maschio sulla faccia di Cinzia ora era grosso, la saliva correva lungo la faccia arrossata della mia amica e l’altro, che la teneva per le caviglie, la sbatteva sapientemente, le mani delle signore che smanettavano il grilletto.

La rotazione fu inevitabile ed io mi sedetti da una parte con le due signore che mi montavano a turno, lasciando che i due uomini gestissero Cinzia da soli. Riconoscevo gli orgasmi della mia amica dal suo modo di contrarsi, di fermarsi un attimo prima di ogni orgasmo.

Sborrai con fatica sulle su Giovanna e Silvana inginocchiate che mi leccavano cazzo e le palle gonfie e Cinzia volle emularmi, inginocchiandosi davanti ai due uomini, ma contenne il loro sperma con le mani, un attimo di sapienza prima della disfatta indecorosa, masturbandoli e indirizzando i fiotti nei palmi della sue mani e quindi a terra.

Tornammo a casa in silenzio, imbarazzati, certi che la nostra relazione era terminata dopo quella discesa negli inferi di un prive squallido.

“Stai bene?”, le chiesi prima di scendere sotto casa mia.

“Mi fa male la mano”, rispose lei mostrandomi quella con la quale aveva dato il cazzotto sul naso alla povera Emanuela, e vidi che aveva le nocche arrossate.

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