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Teresa la zietta iniziatrice orale


di Membro VIP di Annunci69.it StraneEmozioni
19.08.2024    |    21.992    |    19 9.7
"Nemmeno a Fabio e agli amici tuoi devi dire nulla, sennò ti faccio passare un guaio, capito?”..."
“Porta il sacchetto di patate in terrazzo e mettilo nel ripostiglio”, mi indicò zia Teresa mentre lei svuotava la sacca della spesa fatta poco prima al mercato.

Quello sgabuzzino mi era molto caro, conteneva il segreto che aveva fatto di Teresa, vicina ed amica di mia madre, non davvero una zia ma meglio di una zia, la donna che era diventata.

Aprii la porta in ferro color verde bottiglia che il marito di Teresa, il povero Franco, riverniciava ogni anno, insieme alle ringhiere del terrazzo ed alle grate alle finestre. Il poverino, uomo di chiesa e di famiglia, grande lavoratore, usciva al mattino alle sei e tornava non prima di dodici ore. Agente di vendita, non ho avuto il tempo di comprendere cosa vendesse all’epoca, negli anni ottanta. So solo che percorreva centinaia di chilometri al giorno e che era costretto, ogni tre anni, a cambiare autovettura: me lo ricordo con una Simca verde sul finire degli anni settanta, poi con una Ford Taurus e da ultimo con una Fiat Ritmo: “La peggiore di tutte”, si lamentava ogni volta.

Teresa era una donnina bassa e magra, con un seno importante e che ci teneva all’eleganza. Non era mai sciatta e non usciva mai di casa, nemmeno in terrazzo a stendere i panni, senza un filo di trucco e delle calzature adatte. Persino le sue ciabatte di casa erano eleganti, zeppe di sughero, ma rivestite in pelle, o forse in quell’epoca similpelle, dai colori intonati alla veste che indossava in casa: verde, rosso, azzurro, nero.

Lei mi scoprì ad annusare le sue ciabatte che aveva lasciato fuori dalla porta. Tra i nostri due appartamenti, quello di Teresa e Franco e quello dove viveva in affitto la mia famiglia, c’era uno stanzino comune, stretto e lungo, buio perché la finestra alla fine non si poteva aprire, era bloccata dagli scaffali. Entrando, sul lato destro, in corrispondenza del nostro appartamento, mio padre aveva costruito uno scaffale rudimentale in legno. C’erano le conserve, le cose per il mare, qualche cianfrusaglia, attrezzi.

Sul lato sinistro invece, quello dei nostri vicini, non c’era nulla, solo una vecchia Moto Guzzi coperta malamente da un lenzuolo. Era appartenuta al padre di Franco e probabilmente oggi varrebbe più dei due appartamenti messi insieme.

Un giorno d’estate Teresa uscendo dall’appartamento non trovò una delle due ciabatte con la zeppa di sughero. Erano quelle verdi. Quella simil pelle così scintillante fu il mio primo oggetto fetish, mi attraeva ogni volta che le guardavo. Con i piedi di Teresa dentro, poi, con le sue unghie perfettamente smaltate, erano qualcosa di estasiante. Tutto questo avveniva prima ancora di imparare le parole festish, feet, e altre menate del genere porno.

D’istinto, mentre ero sul pianerottolo a leggere un fumetto, avevo preso una delle ciabatte e l’avevo annusata. Fu come un pugno diretto allo stomaco, una sensazione inebriante, molecole odorose che risvegliano in me istinti primordiali, selvaggi.

Passavo molto tempo sul pianerottolo perché quell’appartamento era piccolissimo, niente a che vedere con la villa che intanto i miei stavano costruendo, costringendo me e i miei fratelli minori ad anni di sacrifici: si doveva costruire “la casa nuova”. Così la chiamavamo: “la casa nuova”.

Ed io, sul pianerottolo di quella casa bassa, piano leggermente rialzato, ci passavo interi pomeriggi, seduto sui marmittoni compositi di colore nero. Lo sgabuzzino no, quello non mi piaceva. Era buio, non c’era spazio. Ma quella volta, colpito da quell’odore di piedi di femmina mischiato all’odore della pelle, o della similpelle, mi ci chiusi dentro. Con le spalle poggiate alla porta, continuavo a portare al naso quella calzatura odorosa, estasiato, arrapato, senza sapere nemmeno il significato di questa parola.

Non trovando una delle ciabatte, dopo aver pensato ad uno scherzo, Teresa provò ad aprire la porta dello sgabuzzino e incontrò l’ostacolo del mio corpo di tredicenne.

Mi alzai, stordito da quella esperienza e me la trovai di fronte, scalza, con l’aria interrogativa. Guardava me, guardava la ciabatta, capì che non era uno scherzo che volevo farle, che c’era dell’altro. Lo capì dalla mia faccia stravolta, dal fatto che non riuscivo a parlare. Mi ero di colpo innamorato di una donna venti anni più grande di me. Mi ero innamorato dei suoi afrori di femmina.

“Si devono lavare”, dissi stupidamente, come in trans, porgendole la calzatura.

“Le hai annusate, puzzano?”, mi chiese con un sorriso malizioso.

“No no, non puzzano, è buono”, sbiascicai confuso, la bocca piena di saliva.

Il segreto di Teresa, che non potevo conoscere fino ad allora, era gelosamente conservato invece in un altro ripostiglio, quello sul loro terrazzo. Era una dispensa in realtà, a pochissimi passi dalla porta finestra della cucina. Era il regno della donna: Franco non aveva ragione di metterci piede, mai.
In un paio di metri quadri c’erano da un lato barattoli di conserve e marmellate, cassette con patate e altre verdure di stagione, dall’altro detersivi, saponi, bottiglie di solventi vari.

Dietro una cassetta in legno che conteneva vecchie riviste, Teresa aveva nascosto la sua collezione scoperta per caso.

Successe quando l’edicola che stava a pochi passi da casa nostra, dove ogni mercoledì compravo Topolino, fece dei lavori di manutenzione e buttò via delle vecchie riviste ingiallite. A Teresa l’edicolante aveva offerto di prenderne una cassettina per un prezzo irrisorio e, forse per sbadataggine, forse per provocazione, tra le tante riviste vi erano un paio di numeri di Zora la vampira, qualcuno di Sukia, altra vampira sessuomane, ed uno di "LeOre".

La lettura di quei fumetti erotici, con raffigurate donne ispirate da personaggi reali (Zora riproduce le fattezze di Catherine Deneuve), donne libertine, che si prendevano il piacere da chiunque desiderassero, che uccidevano spesso dopo l’amplesso, ebbe un effetto potente e sottaciuto su Teresa.

La povera donna non poteva riferire a suo marito, bigotto e conservatore, ne poteva sfogarsi con altri uomini. Vivevamo in un piccolo centro e non c’era modo di avere un amante.

“Vieni, ti faccio vedere una cosa”, mi intimò Teresa.

“Aspetta qui”, mi disse mentre mi lasciava sul terrazzo ed entrava nel suo ripostiglio. La vidi comunque armeggiare con la cassetta di riviste, ma finsi di guardare altrove quando uscì.

“Vieni con me”, mi disse ancora precedendomi.

Mi fece sedere in salotto, lei si mise accanto a me: “Io non dico niente di quello che hai fatto prima, ma tu non dici niente di quello che ti faccio vedere ora. Promesso?”

Eravamo complici nelle nostre perversioni.

“Ti piacciono i fumetti, questo è meglio di Topolino, leggi.”

Era abituato a leggere rapidamente. Quello stile somigliava molto a quello dei Tex, e le copertine di quei fumetti le conoscevo bene, perché andavamo a spiarle con Fabio, il mio amico e compagno di scuola, nella vetrina posteriore dell’edicola, fino a quando l’edicolante o qualche passante ci sgridavano.

Arrivai al punto che interessava a Teresa: Zora entra in una casa in un bosco, e trova un ragazzino. La vampira per saziarsi deve bere sangue, oppure fare del sesso. Di fronte a quel ragazzino decide per la seconda. Si siede su un tavolo, spalanca le gambe ed ordina al ragazzino “leccala”.

Nel fumetto il ragazzino si avvicina e dice: “ma puzza!”. "Quando non puzzerà più l’avrai leccata tutta”, la risposata di Zora.

“Vuoi sentire l’odore della mia?”, mi chiese Teresa.

Ero inebetito. Da quel giorno e fino ad ora, la mia sessualità transita per il rapporto orale, prima di ogni penetrazione, prima di ogni cosa.

Teresa aprì le gambe, non si curò di togliere le mutandine. Mi attirò a se e come una bestia mi strusciò sulla faccia la sua fica odorosa. Si alzò in piedi, io ero in ginocchio e mi strusciò ancora più forte, liberandosi in pochi secondi in un orgasmo violento, inelegante, primordiale. La mia erezione era lacerante. Ebbi la mia prima erezione provocata da una donna e l’ingrossamento della mia cappella mi lacerò il prepuzio, rendendomi, da quel momento, uomo.

“Hai sentito che buona, ti è piaciuto l’odore?”.

Si, l’odore, perché non mi aveva dato modo veramente di leccarla, aveva usato la mia faccia per spalmarmela addosso, per vivere e superare i tabù, le costrizioni sessuali che si era imposta e che le erano state imposte dalla società bigotta.

“Ti va se ci vediamo qui di giorno da zia e facciamo così? Ci divertiamo. Non dire niente a mamma tua, è il nostro segreto. Oh.. nemmeno a Fabio e agli amici tuoi devi dire nulla, sennò ti faccio passare un guaio, capito?”.

Non dissi nulla e mentre i miei amichetti fantasticavano e si vantavano delle prime toccatine con qualche ragazzina, o addirittura fra di loro, io avevo la mia zia Teresa che si faceva leccare fra le cosce ogni giorno, quasi ogni giorno.

Quando maturai la consapevolezza di avere qualche diritto minimo sindacale, le chiesi di scopare. “Sei matto? Sei giovane, mi metti incinta. Vieni qui e lecca”.

Dopo essere venuta, quel giorno, si alzò e torno dalla cucina con un guanto di lattice trasparente. Mi tirò fuori l’uccello, ci sputò sopra e iniziò a segarmi, attraverso il guanto che mi aveva infilato come fosse un larghissimo condom. Non dovette insistere molto, venni versando una petroliera di sborra, mi sentii il fuoco nel ventre, pensai di aver dato tutto il mio midollo spinale in quel primo orgasmo provocato.

Lavò quel guanto che riutilizzò decine di volte. Inostri incontri erano quotidiani.

I miei diritti crebbero nel tempo: zia Teresa mi fece leccare le sue tette, mi fece infilare le dita nella fica e mi permetteva di leccarle il culo mentre era al telefono con la madre o con la sorella. Era un privilegio, mi spiegò.

Fu in occasione della fine del primo anno di liceo che Teresa mi concesse la penetrazione. O meglio, lei si penetrò con il mio cazzo: sdraiato a terra, mi salì sopra e si infilò il mio cazzo dentro guardando verso il basso, gustandoselo: “Non sborrare, impara a resistere per far godere una femmina”, era il suo mantra.

Poi godeva, lo tirava fuori e veniva in avanti per sbattermela in faccia mentre si dimenava: ancora afrori, sapore, odore. A me toccava di finire nel condom con lei che si inginocchiava per farselo infilare, ma non essendo multiorgasmica lo faceva solo per farmi svuotare. Ma mi stava bene lo stesso.

Il povero Franco, nostro ospite un giorno a Natale, mentre si giocava a carte, mi si rivolse così: "Ragazzetto, devo essere geloso perché stai sempre con mia moglie?": arrossii, quasi svenni, certo che mi avesse scoperto. Invece scoppiò a ridere e fece battute inopportune del tipo “anche tu un giorno troverai una ragazza, vedrai che divertimento”.

Lo diceva a me, che conoscevo il culo di sua moglie meglio delle mie tasche, che passavo i pomeriggi a procurarle orgasmi orali, che quasi ci rimettevo gli anni scolastici per dedicarmi a quei lunghi anilingus e cunnilingus che mi distraevano da Orazio, dal Manzoni, dalla matematica.

Zia Teresa ed io abbiamo scopato per anni. Oggi lei è una bellissima quasi settantenne e ancora mi strizza l’occhio.. Chissà … qualche volta potrei passare a prendere un caffè.
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