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Gay & Bisex

La nevicata di capodanno


di Membro VIP di Annunci69.it chupar
04.01.2023    |    5.500    |    3 9.3
"Piano e con delicatezza in breve mi fu tutto dentro, fino a farmi sentire le sue palle che urtavano le mie: «Ummmh… Sì, cazzo! Ora a novanta e allargati le..."
La serata diventava sempre più gelida e l’asfalto ghiacciato. Renato, un autista aziendale trentenne, un gran bel fighetto slanciato e biondastro, aveva lasciato a casa le catene della macchina. Di tanto in tanto c’era qualche slittamento, ma non sembrava preoccuparlo. Comunque, la strada era ancora percorribile senza destare forti preoccupazioni di Franco che lavorava come magazziniere per la stessa azienda meccanica. Del resto, la guida di Renato era abbastanza sicura e Franco stava sicuramente pensando alla sorpresa che avrebbe suscitato quando sarebbe apparso in sala. Sua moglie, il figlio di sei anni e una bimba di tre, erano convinti stesse a lavoro e, invece, lui aveva deciso di raggiungere gli altri che erano partiti dal giorno prima. In particolare ci aveva detto che aveva deciso di cambiare turni per Elisabetta, una ragazza dell’azienda. Ad un tratto, mentre Renato allungava gli occhi per far fronte al riverbero delle luci, uno strato di ghiaccio fece sbandare l’auto che si arrestò sul guard-rail. Renato, imprecando, scese per valutare i danni: il parafango presentava solo un’incavatura. Scendemmo anche noi per riportare l’auto in carreggiata.
«Vaffanculo! Sai che ore sono?», esclamò Franco.
«Ma che cazzo vuoi che ne fotte dell’ora!?» considerò Renato.
«Sono le otto e un quarto. Vaffanculo! Il culo Elisabetta me la farò a seghe stasera, magari lo darà a un cameriere del cazzo».
«Vuoi dire al cazzo di un cameriere!», sogghignai io, facendo ridere l’autista.
La neve continuava a fioccare, tanto che Renato suggerì di cercare ristoranti e lungo il percorso. Almeno avrebbero cenato. Franco, a malincuore, accettò l’idea anche se l’albergo, in effetti, probabilmente non era così lontano. Il ghiaccio, però, avrebbe rallentato enormemente i tempi di arrivo.
Il tempo scorreva: «Dai, raga’… Li raggiungiamo prima possibile, magari riusciamo anche prima della mezzanotte e tu aiuti Elisabetta a scendere le scale dell’hotel con la scusa di non farla scivolare».
«Certo, la faccio attaccare al mio bastone!», esclamò Franco sgrullandosi il pacco stretto nei pantaloni.
Renato commentò, ironizzando: «Con questo freddo? Al massimo sarà un pedardo con la miccia umida!»
Franco, senza perdersi d’animo, si sbottonò i pantaloni e se li tirò giù. Sollevando il bacino, si afferrò il cazzo barzotto e lo agitò in aria: «Oh, coglioncino, io c’ho un petardo esplosivo tra le gambe!»
Io strabuzzai gli occhi. Era bello da vedere, veniva voglia di prenderlo in mano, giocarci e possibilmente baciarlo. Ma lo stupore dell’altro non fu inferiore: «Porca puttana, che minchione! Non me l’aspettavo!»
«Perché tu come sei messo?»
«Bene, dicono, ma Elisabetta si fa fare il culo con quel cazzo? Gran troia. Io ci penserei due volte prima di farmelo aprire»
«Me l’ha garantito. A quarant’anni suonati, sono due mesi che mi fa andare avanti a seghe e pompini»
«Figa?»
«Figa niente. Dice che ha promesso al tipo, al Mario, quello dell’ufficio contabilità che se la chiava, che non l’avrebbe tradito. Mi sa che lo vuole incastrare, tipo che si vuole sposare».
Renato, scoppiò a ridere: «Ah perché di figa è un tradimento e di bocca e di culo no?»
«A me non me ne fotte un cazzo. So solo che mi ha detto che le piace sentirlo ben piantato dentro e a me il buchino mi piace di più della figa. Lo spacco e mi svuoto dentro senza rischiare di trovarmi una incinta dietro la porta di casa».
«Hai ragione. Io per questo preferisco sburrare in bocca e farmela ingoiare».
Potevo confermare perché da quando ero arrivato in azienda come stagista nel settore import export, Renato non si era risparmiato e, ad ogni occasione, si faceva sbocchinare dalle segretarie. Alla fine, con la scusa di non potersi sporcare, chiedeva di lasciargli il cazzo pulito.
La strada era ghiacciata. L’auto slittava. Renato accostò nei pressi di un distributore di benzina, sperando che la copertura metallica potesse darci un attimo di tregua. Franco, innervosito, uscì di colpo, si appoggiò con la schiena alla portella dell’auto e si accese una sigaretta. Tutto intorno regnava il silenzio, finché io: «Ho fame!»
L’orologio di Franco segnava le ventitré, tanto che, tra il serio e l’incazzato, mi interruppe dicendomi che erano quattro giorni che non sborrava: «Se vuoi ti attacchi al cazzo e ti offro da bere».
Eccitato dall’idea, provai a tentare il tutto per tutto e a buttarla sull’ironia. Avrei sempre potuto dire che stavo scherzando. Parlando e gesticolando in modo femmineo: «Qualcosa di caldo ci voleva proprio».
Renato sembrava ridesse sotto i baffi, mentre mi guardava di sottecchi dallo specchietto retrovisore. Scese dall’auto e, dopo aver dato una veloce occhiata in giro, aprì la portiera posteriore e si tirò giù la zip. Quindi, dando le spalle alle telecamere, fece uscire il suo salsicciotto, se lo scapocchiò e spinse il bacino verso l’interno della vettura. Scherzando, invitò l’amico: «Dai, Franco, almeno stasera si va di ..manola» e fece il gesto come di farsi una sega
Stando allo scherzo, l'altro lo imitò tirandosi fuori il cazzone. «Facciamocelo succhiare» - ridacchiò - «Tanto sto tempo lo dobbiamo pure passare, no?»
Entrambi, sghignazzando, poggiarono le braccia sul cofano, lasciandomi inconsapevolmente libero di scegliere chi e come procedere.
Cominciai da Franco, ovviamente, che sentii sussurrare sorpreso: «Oh, cazzo…Questo succhia sul serio!»
Renato, ridacchiando, passò la sigaretta al complice e sollevò le spalle mentre io, lasciando libera la sua mano dalla masturbazione, cominciavo a smuovere il suo uccello. A mani libere, mi guardava mentre mi impegnavo a ciucciare l’altro attrezzo non senza difficoltà, vista la voluminosità, che, minuto dopo minuto, diventava sempre più grosso, molto più grosso del suo, lungo e ricco di vene. Anche le palle di Franco erano grandi, sode, avvolte da una fitta peluria scura. Le lappai più volte, fino a che anche l’autista pretese il suo spazio. Li baciai entrambi, li leccai. Il loro calore era sempre più marcato. L’odore acre che emanavano era il segno del desiderio che cresceva.
Erano le ventitré e venti quando Renato tirò fuori dalla mia bocca la sua cappella paonazza. Infilandosi il cazzo sotto la giacca vento, fece il giro dell’auto e si introdusse dall’altra parte: «Ti faccio il culo! Ok?»
Mi tirai giù i pantaloni e con le mani mi allargai le chiappe: «Fai piano». Renato si lubrificò le dita: «Guarda che bel buchetto». Le sentii chiaramente dentro di me, facendomi scappare un mugolio eccitato. Iniziò a penetrarmi con più convinzione, lubrificando nello stesso tempo l’orifizio, sputandoci abbondantemente sopra. Infine, sentii la cappella che si appoggiava, iniziando ad allargare il mio sfintere. Renato si aprì il varco, vincendo la resistenza dei miei muscoli: «Che bella fighetta anale! Usato garantito eh?». Piano e con delicatezza in breve mi fu tutto dentro, fino a farmi sentire le sue palle che urtavano le mie: «Ummmh… Sì, cazzo! Ora a novanta e allargati le chiappe!», mi ordinò, «Intanto toccati la pisellina». Preso pieno possesso del culo, iniziò a martellare.
Godevo anche del cazzo di Franco che, entrato in auto, mi spingeva la testa per penetrarmi al meglio in bocca. Il suo cazzo pulsava di vitalità e lui godeva, tenendo il braccio sinistro all’esterno, aspirando ogni tanto dalla sigaretta, mentre il collega ritmicamente ritirava il suo uccello dal mio culo e vi rientrava sempre con più impeto.
Mi piacevano entrambi e non esitai a farlo notare. La cappella di Franco era sempre più lucente e grossa grazie ai colpi di lingua, alla saliva con cui la rivestivo, alla gola che a fatica la accoglieva, il cazzo di Renato sempre più duro, il respiro di entrambi sempre più profondi.
Si diedero il cambio.
Franco mi poggiò una mano decisa sulla schiena, abbassandomi le spalle. Messosi dietro direzionò il suo petardo. Ero in estasi quando cominciò a spingere, facendomi sentire lacerato anche dal piacere.
«Grazie amico», disse a Renato che gli aveva aperto la strada.
Sapevo che era partito convinto che sarebbe stata Elisabetta a fargli fare la prima sborrata dell’anno e, forse, stava pensando a lei mentre stantuffava sempre più forte, mentre mi apostrofava e mi insultava. Mentre godevo a mia volta, sentii il suo liquido che mi inondava le viscere. Si sfilò, lasciandomi una sensazione di vuoto. Mi toccai lo sfintere. Era dilatato a tal punto da consentire liberamente lo scorrere dello sperma lungo le mie cosce. Renato mi venne subito dopo in bocca. Ingoiai, ma continuai a succhiarlo avidamente fino a che anche lui si abbandonò sul sedile, esausto.
Dall’hotel partirono i botti e dei fuochi d’artificio. Era mezzanotte. Forse qualcosa di più e l’albergo non sembrava poi così distante.
Ci ricomponemmo. Franco e Renato si rimisero ai loro posti. Fino all’arrivo nessuno disse più nulla.

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