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Gay & Bisex

L’UNIVERSITA’ - LAVORO ESTIVO SULLE DOLOMITI


di Membro VIP di Annunci69.it chupar
30.06.2023    |    1.747    |    0 9.7
"In realtà, in un certo senso, lo conoscevo di vista..."
Quell’estate ero stato costretto cordialmente dalle mie finanze ad andare a lavorare in un hotel sulle Dolomiti. Non avevo mai sopportato, sin da piccolo, la montagna e la cosa non mi andava giù, invece, arrivatoci qualche giorno prima dell'inizio dell'impiego, rimasi estasiato dal paesaggio estivo. I montuosi isolati ed appaiati si sviluppavano in una varietà di forme verticali e orizzontali. Collocato tra le linee morbide dei fondovalle e lo sviluppo verticale delle vette, anche l'hotel era un posto accogliente che offriva molti servizi fra cui un piccolo centro benessere.
Ci lavorava gente di tutta Italia e tra i dipendenti c’era anche un certo Roberto, uno di Mantova, un elettricista cinque o sei anni più grande di me. Con i capelli arruffati e circondato da pochissimi amici, l’avevo sempre visto camminare con passo sicuro, abbigliato in modo scomposto, fregandosene dei continui richiami. Sfacciato e prestante, con quegli zigomi alti e spigolosi sui quali fiammeggiavano due occhi furbi, faceva pensare a un poeta diabolico e, con quel suo incedere, incuteva una sorta di timidezza. Trasudava un’aria conquistatrice, mentre procedeva vigoroso e i pantaloncini gli aderivano ai glutei e, rigonfi sull’inguine, fasciavano appena le cosce atletiche.
Roberto non mi degnava di uno sguardo, neppure di sfuggita. Il suo disinteresse non fece che accrescere il mio desiderio. Più mi sentivo sicuro della sua totale indifferenza, più quell’odiato maschio diventava una vera e propria fissazione, un’inquietudine che giorno e notte mi occupava il cervello.
Per giorni continuai a dormire male e a mangiare meno che mai, concentrato sul pensiero di quel ragazzo che rifiutava di notare i miei sguardi. Per intere nottate cercai di convincermi che Roberto era palesemente inadatto a me e che non avrei mai potuto tollerare quell’insopportabile aria di sufficienza. Avrei dovuto levarmelo dalla mente. Così mi ero addormentato spesso passando in rassegna uno dopo l’altro tutti i diversi colleghi, giungendo alla conclusione che di ragazzi più belli era pieno: durante quel lavoro estivo avrei potuto far diventare protagonista delle mie fantasie uno qualsiasi di loro. Ma poi, ogni mattina, puntualmente ricominciavo ad appostarlo.
L'hotel era quasi deserto. La stagione stava iniziando più tardi del solito e molti clienti abituali avevano deciso di alternare fine settimana a giornate di vacanza occasionali.
Roberto con Valerio, un altro collega delle sue parti, si recò nel piccolo centro benessere. Profittando dell’assenza della clientela, decisero di comune accordo di non tenere addosso neppure le previste mutande. Avendolo seguito, come spesso accadeva, mi nascosi dietro una montagna d’indumenti sporchi, incurante del puzzo di sudore proveniente dalla biancheria. Rimasi estasiato da quell’ambiente, squallido e semplicemente ricoperto d’asettiche mattonelle bianche, che improvvisamente divenne un piccolo bagno turco pieno di vapori e dei due corpi virili. Trattenendo il respiro e guardando i colleghi che si spogliavano, cercai inutilmente di cancellare la mia agitazione, osservando le loro gambe atletiche, toraci villosi, braccia muscolose, mutande larghe e sformate. Disinteressato alla progressiva accelerazione del polso e al costante aumento della mia sudorazione, rimasi ipnotizzato dai loro sessi.
Roberto con passo cadenzato si diresse verso un divisorio, sicuro della forza della propria nudità. Sui muscoli tesi quasi gli si potevano leggere diversi tatuaggi e contare i peli scuri che coronavano i pettorali, che segnavano appena il suo torace fino all’altezza dell’ombelico, per poi allargarsi e infoltirsi a coronare quella specie di grosso obice che gli ballonzolava in mezzo alle gambe. Inseguii con lo sguardo ogni centimetro di quel corpo, andando dietro alle natiche tonde e pelosette che, alterne, seguivano il suo incedere tronfio. Divorando la sua bellezza, desiderando la sua forza virile, in quel momento me ne fregai totalmente del suo carattere, dei suoi atteggiamenti: lo volevo!
Appoggiandosi a un tramezzo, si esaminò il petto e le braccia, passando la mano sul rilievo del bicipite. Accarezzatosi il sesso, s’immerse: “Santo Dio, in questo periodo sto infuocatissimo.”
Valerio, docciatosi prima di entrare in vasca, gocciolante andò verso di lui. Ironizzando sulla sua ininterrotta eccitabilità, gli passò il suo cellulare con un’immagine pornografica di una ragazza di quelle parti che si era scopato: “Ehi, guarda qui. Tutta domenica è libera. Al é an paciapaternoster."
- "Domenica lavoriamo! Cüm a fémia a ‘ndàr a mésa e a stàr a cà?"
- A ciamém al prét in cà" - ridacchiò l'altro, finendo il proverbio - "Ci penso io a convincerla a venir qua. Però, mi devi un piacere!"- concluse con un sorriso idiota.
E Roberto: “Bunanot sunadur! Mi se sta già intostando el bilìn!
Dall'altra parte della vasca un'altra risatina: "At ghè la spìnta ‘d an bøf."
Roberto scoppiò a ridere e, per niente imbarazzato, stringendosi l’uccello, chiese all'amico che gli aveva dato del bue: “Che c’è? Balengu vuoi vedere se è più grosso del tuo?”
Valerio, con una simpatica smorfia: “Ma ti stai segando sul serio? Ora sborri in acqua? Che schifo! E poi, guarda che più seghi e più diventa piccolo. È un fatto scientifico, sicuro!”
Roberto: “Sta tranquillo. Io non corro il rischio.”
Con aria canzonatoria, Valerio ribatté: “Attento! Rischi di inciampare nella tua proboscide.”
Sghignazzando compiaciuto: “ E' la pü longa ch’agh sia qui dentro.”
- “Beh. Effettivamente è più lunga della mia. Comunque, l’importante è che funzioni bene, non le misure.”
- “Certo, voi dite tutti così! Ma ti assicuro che c’è sempre una differenza tra un’aquila e un passerotto! Fermati a guardare come prende il volo il mio rapace!”
- “Ma va…”- andando via - “Per chi mi hai preso?”
Così, sprigionando una sensualità capace di svegliare le fantasie più immorali, adagiato con le gambe divaricate e penzoloni sul bordo della vasca, Roberto, agitando la mano, aveva iniziato a smuovere l’acqua. Con il braccio sinistro poggiato sul bordo della vasca, aveva continuato a lungo e senza tregua quella piacevole ripetitività. Sapeva benissimo che alcuni colleghi stavano sbirciando quel particolare momento e, in fondo, la cosa non sembrava disturbarlo, anzi. Invitò gli altri a godersi lo spettacolo o a imitarlo.
Alcuni gli risposero con parole oscene, ridendo di gusto, altri iniziarono a incitarlo. All’improvviso i piccoli schiamazzi terminarono, lasciando che la complicità diventasse eccitazione. Tutti cominciarono a masturbarsi, lasciando che le loro capocchie arrossate fuoriuscissero come obelischi dall’acqua tiepida.
Anch’io iniziai a toccarmi, prima con calma poi sempre più velocemente. Con lo sguardo stravolto dalla lussuria, osservai Roberto fino alla fine: il volto rilassato, le gote paonazze, gli occhi strabuzzati, la mano scivolosa, le labbra contratte nell’ultimo sforzo. E poi all’improvviso, fissando il vuoto con occhi eccitati e lucidi, accelerando il ritmo del movimento, inarcò la schiena ed emergendo dall’acqua si godette l’intensità del suo piacere. Schizzò a lungo. Come se fuoriuscisse da una fontana il suo sperma, si librò in aria per cadere pesantemente sul suo corpo e in acqua….
Ma quell’orgasmo m’aveva colto di sorpresa tanto che, cercando di andargli dietro, feci quasi cadere la pila d’indumenti ingialliti che mi era servita da riparo.
All’improvviso mi sentii una mano sulla spalla. Un po’ impaurito, mi girai. Alle mie spalle comparve Angelo, un inserviente: "Bun dé".
"Buongiorno a te! " risposi. Del resto era meglio far finta di nulla. Cosa avrei potuto inventarmi di credibile? Continuai, reggendo la sua espressione stranita.
Senza perdersi in inutili preamboli, Angelo si afferrò il cazzo racchiuso da un largo boxer rigato: “Non sei un po’ grande per fare certe cose da solo?”
Angelo al mio sorriso reagì carezzandomi sul volto: "Cé un bel che te sos." Cominciò a carezzarmi e baciarmi sul collo. Infilandomi la mano tra le natiche, mi guardò in volto: "De seguro te sos el pì bel de dute."
Non capii esattamente cosa mi avesse detto, comunque mi sembrò un complimento. Quindi, prendendomi per mano: “Vieni. Conosco io n post pur star tranquilli. Non esiste mica solo il cazzone di Roberto!”
La stanza della lavanderia dell'hotel non era molto luminosa. La luce penetrava solo da una piccola finestra di tolleranza in alto.
In un angolo c’era un altro che, forse aspettando il mio accompagnatore, se ne stava completamente denudato poggiato su una lavatrice.
Angelo per prima cosa gli chiese come andassero le cose - "Co vara pa? - e poi mi comunicò che era un suo amico, uno che lavorava altrove e che si chiamava Gianni. L'uomo mi riconobbe e mi sorrise. In realtà, in un certo senso, lo conoscevo di vista. Era un signore sulla quarantina che avevo già notato e che, quando mi incontrava per strada, mi guardava con una certa insistenza.
Nel vedermi si toccò davanti ed io, imbarazzato, preferii il l'azione alle parole. Come un automa, mi diressi verso di lui. Appena gli fui davanti, m’inginocchiai e iniziai a masturbarlo. La cosa non gli dispiacque di certo, tanto che, con uno sguardo ironico: “Plajëi eh?”
Angelo sorrise e rispose per me: "Piacere di conoscerti anche suo!"
Gianni insisté: "Co astepa inom?"
Non avevo alcuna intenzione di dirgli il mio nome o di dargli informazioni sul mio conto e, muto, iniziai a leccargli le palle, per poi saggiare tutta la sua discreta virilità. Si sistemò a terra e io faci scomparire la mia faccia tra le sue cosce, mostrando un culo proteso e in attesa di un cazzo che lo penetrasse. Invece anche Angelo, sistematisi di fianco all'amico, mi porse il suo uccello da succhiare: "Prëitanbel."
Accidenti! Era la prima volta che mi chiedevano di fare un pompino "per favore".
Proseguendo a smanettare Gianni, presi in bocca l’altro che emanò un sospiro malizioso.
Mentre alternavo i loro sapori, attraverso al vetro della finestra in alto vidi una sagoma che stava passando. La cosa mi eccitò. Sbirciai per vedere meglio, ma mi fecero alzare, calandomi le mutande. Mi porsi verso l'oblò della lavatrice a novanta gradi e Gianni si sistemò alle mie spalle. Scostai la cesta davanti ai miei piedi. Feci scivolare le mie mani lungo le cosce, andando a dilatare le natiche, così da consentire una visione migliore della mia mercanzia. Allargai le gambe e lo cercai con gli occhi, mentre quello si sistemava un preservativo. Gianni afferrò le natiche tra le sue mani, le strinse e allargò per un paio di volte. Mi diede un sonoro schiaffo sulla natica destra, quindi iniziò a dilatarmi il culo con due dita. Si inginocchiò, lo baciò e lo penetrò con la lingua. Ricambiai con un uno sguardo e un sorriso malizioso e quello, sicuro, entrò nel mio buchetto.
In breve, con le mie natiche sode che vibravano ad ogni suo colpo godetti pienamente anche dell'uccello di Angelo ignorando, sul momento, l'aspetto comico della situazione.
Oltre allo schioccare della carne, infatti, nella lavanderia ad un certo punto si sentì: "Campanula, speronellaah…ah…”
Per non venire troppo presto, finite le piante conosciute, Gianni continuò con: "Camoscio, capriolooh, cervo, mu…muflone, volpe, martoraaah, faina…”
Intanto il suo cazzo scivolava alla perfezione e a ogni colpo continuavo a godere fino a che quello concluse con: “Ermellinoooooh…”
Quindi, si chiuse la porta alle spalle, salutandoci: "A sudëi. Bun laur."
Per niente preoccupato di essere in ritardo rispetto al compagno, Angelo, sollevandomi la testa dalla sua cappella e sgranandomi gli occhi addosso, mi disse che era il suo turno. Pensai: Speriamo che questo non cominci con i sette nani!
Si stese. Io mi misi su di lui e cominciai a cavalcare come un forsennato.
Altro che sette nani! Il ragazzo era un maestro del colpo e del contraccolpo.
Gemendo come un pazzo, all’apice della goduria, schizzai sul corpo di Angelo che, con un ghigno silenzioso emanò un sordo ululato, lasciandosi andare dentro di me. Mi arrivò dentro con una siringata di sperma davvero notevole. Sentii la cappella che andava prima a dilatarsi e poi a ristringersi di nuovo, per ogni fiotto caldo di sperma che espelleva. Stralunato e sudato chiesi: "Ti è piaciuto?"
E lui: "Da nia desmuntié!"
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