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Gay & Bisex

L’UNIVERSITA’ - IL RISTORANTE SICILIANO


di Membro VIP di Annunci69.it chupar
30.06.2023    |    2.119    |    0 9.6
"Quindi, mi disse, ansimando: “Sucamela, finuocchio!” Le mie labbra, salirono e scesero su quella stanga pelosa e latina che emergeva dai consumati..."
Quel sabato sera, accompagnato da un’incessante pioggia, incontrai nella piazza antistante alla stazione centrale un certo Marcello (almeno così aveva detto di chiamarsi), focoso siciliano di origine, divorziato con due figli. Di corporatura massiccia, non era un bell’uomo in senso classico, eppure emanava un odore quasi animalesco e nei suoi occhi chiari c’era una ferocia disarmante che lo rendeva ombroso.
Vestito in modo formale, con giacca e cravatta setosa, mi aveva offerto da bere. Non mi ero fatto pregare molto quella prima volta e lui, con fare un po’ burbero, aveva approfittato della situazione con irruenza e con fare virile nei cessi della stazione.
Diciamo la verità: mi ero un po’ infatuato di lui. Le occasioni di rivederci non erano mancate, seppur sempre nell'hotel in cui lavoravo per pagarmi gli studi e con molta discrezione.
Sapeva prendermi, baciava molto bene, sapeva toccare, sussurrare, enfatizzando sempre e comunque la sua mascolinità. Si avvicinava bramoso con l’alito caldo, non chiedeva mai, iniziava sempre come voleva. A volte, senza neppure spogliarsi, si tirava giù la zip e si faceva fare un pompino se gli andava a genio e poi mi girava, mi stringeva i capezzoli, mi accarezzava il culo. Senza nessun preavviso l’infilava e, quando entrava a fondo, mi faceva impazzire. Dopo un po’ mi girava di nuovo e, magari, mi scopava con le gambe all’aria, lasciando che lo guardassi in faccia mentre tirava fuori l’uccello e lo rinfilava. Andava avanti cosi dieci o venti volte, per poi pomparmi fino a sborrarmi dentro.
Avevo trovato un uomo rude, virile che sapeva domarmi come desideravo. Quel siciliano forzuto ci sapeva fare, aveva un affare instancabile e i modi brutali e rozzi che mi piacevano, costretto com’ero dal mio ruolo lavorativo a essere sempre un tipo rigido.
Finito il sesso, andava via, spariva e ricompariva per la notte seguente. Non gli avevo voluto mai chiedere molto. Del resto anch’io sono geloso della mia vita “ordinaria” e non mischio mai le cose.
Ultima settimana di lavoro in hotel. Ormai stavo per ripartire quando, con mia somma sorpresa, m’invitò a cena fuori, in un locale sulla cui qualità si sentiva di garantire. Illuso che tale invito fosse il segnale di un interesse duraturo, accettai. Già mi immaginavo “pendolare” o di vederci in città stupende a metà strada.
La cena fu particolarmente gradevole, tra ammiccamenti e doppi sensi.
Tra primo e secondo piatto, esordendo con un - “E s’un t’abbasta lu sintimentu...pigghia la minchia!” - Marcello se lo tirò fuori e, prendendomi la mano, si fece masturbare sotto il tavolo, coprendo il misfatto con la tovaglia. Mi faceva ridere e nello stesso tempo eccitare sentirlo parlare in dialetto siciliano.
A fine seconda portata, mi fermò e se lo rimise dentro. Ancora con il pacco gonfio e vistoso, lo vidi alzarsi con disinvoltura e parlottare con il cameriere. Pensai a una mancia o che avesse semplicemente chiesto il conto. Marcello ritornò da me dicendomi che aveva ordinato un “Pompino” che era, un dolce tipico della provincia di Messina. Quindi, dopo avermi garantito che non si trattava di uno scherzo aggiunse: “Fidati. Io ho un quarto di sangue di Messina, ma un pezzetto di famigghia è a Catania.”
Poi m’invitò ad andare in bagno a rinfrescarmi, facendomi prevedere una serata di fuoco. Entrai nel cesso, convinto mi avrebbe seguito per il “Pompino” appunto. Invece, dopo pochissimo entrò il cameriere.
Era scuro, con delle rughe su un volto duro dall’espressione arrogante. La sua barba di un paio di giorni e leggermente brizzolata sul mento gli dava una quarantina d’anni. Indossava, con il classico papillon, un’aderente camicia di cotone bianco che gli metteva in mostra un collo taurino, le braccia muscolose, i pettorali ampi e un po’ di pancetta.
L’uomo si mise la mano sul pacco. Divaricò le gambe, inarcò in avanti il bacino, sputò per terra e mi fissò con aria di sfida: “Io sono il dolce…di Messina!”
Marcello, intanto, era entrato in bagno. Quel bastardo aveva capito che avrebbe potuto approfittare di me in quell’occasione, prima che io partissi: “Dobbiamo festeggiare la tua partenza. Offre tutto la casa.”
Provai ad uscire dal bagno, ma Marcello mi fermò: “Fallo pe' mia! Donato si chiama. Non torna in Sicilia da due mesi e sta un po’…aizzato.”
- “Non sono una puttana.”
- “Certo! E chi lo ha detto?” - e cominciò a baciarmi sul collo, sui lobi delle orecchie.
Provai a baciarlo in bocca, ma si scansò. In compenso, mi afferrò la mano e la fece scivolare sulla patta già in tiro del cameriere. Tastandola insistentemente e sospirando, accrebbi il movimento in maniera meccanica. Non fu necessario parlare oltre, bastarono quei pochi gesti eloquenti e gli sguardi lascivi e scostumati di entrambi.
- “Bravo. Fagli vedere quanto non sei puttana!” - e infilando la mano nei miei pantaloni, cominciò a sditalinarmi il buco del culo.
Marcello mi disse che avrei dovuto meritarmi quell’uomo così grosso e che, insieme, mi avrebbero fatto sentire del tutto donna.
- “Sai cosa voglio, no? Quello che fanno le brave figghje...che giocano per aizzare li maschi.”
Mi abbassai pantaloni e mutande, poggiandomi al muro, di spalle al tipo. Fissando l’orinatoio, che era sotto il mio viso, divaricai le gambe in modo che Marcello potesse vedermi perfettamente mentre giocavo con il sesso, stuzzicandomi i testicoli. Con la coda dell’occhio vidi nei pantaloni la loro eccitazione sempre più robusta premere contro la stoffa, mentre con il medio avevo iniziato a tormentarmi l’ano.
- “Apri le gambe dai. Mi eccita vederti toccare da uno nu poco buidduni.”
- “Ma che minchia dici?” - replicò il cameriere che iniziò a sditalinarmi con due dita.
Donato mi strizzò il sesso, quasi a farmi male. Giratomi, apertagli la camicia, iniziai a leccargli e a mordergli i capezzoli e il petto villoso. Sbottonata la patta, gli tirai fuori il palo di carne, consentendo alla mia mano di procedere liberamente.
Lui guardò Marcello che annuì. Quindi, mi disse, ansimando: “Sucamela, finuocchio!”
Le mie labbra, salirono e scesero su quella stanga pelosa e latina che emergeva dai consumati pantaloni neri, annaffiandola di sputo, passandola con la lingua, straziandone il filetto e riprendendo a succhiarne l’estremità. Il siculo apprezzò: - “Ummhh…Figghiu di sucaminchia!”
Marcello, masturbandosi, intanto, dopo averci sputato abbondantemente, m’aveva infilato due dita nell’ano, facendole andare alla stessa velocità con cui lui stavo portando avanti il pompino.
Un cigolio e la porta dei bagni si era aperta. Il cameriere mi teneva stretto al suo cazzo, ma io con la coda dell’occhio vidi entrare un altro individuo, che aveva qualcosa di familiare. Anche lui in giacca e cravatta, moro e con un fare da bullo.
Di fronte alla scena, senza battere ciglio, il tipo chiese: “Ehi…bravo veramente è?”
Il cameriere: “Nu suka spacchime!”
Porgendomi i testicoli da leccare, Marcello aggiunse, ridacchiando: “Questo è Giacomo, mio fratello. Ci tenevo a presentarti la famigghia!”
Giacomo avvicinatosi, mentre io continuavo a succhiare il fratello e il cameriere, mi prese la mano portandosela sul pacco: “Piacere mio!”
Subito dopo, si avvicinò di più e, messosi tra gli altri due, mi offrì un terzo palo da soddisfare, mentre io, allargando le gambe, a stento riuscivo a masturbarmi.
Un altro cameriere entrò improvvisamente nella latrina. Era un magrebino sulla trentina. Impallidito, smise di sbottonarsi la patta, pronto com’era a urinare.
Non c’entrava nulla con i tre compari, tanto che Giacomo, coprendomi con la sua mole gli urlò contro: “Cugghiuni ti avevo detto di pensare a li coperti! Vai! Vai…miiii! E attento a mia moglie.”
Il ragazzo obbedì.
Marcello, a sua volta, rivolgendosi al fratello: “Dici che ha visto?”
- “Che è maschio? Speriamo di no, ma vogghio sapere dove minchia stanno mia moglie e mio figlio, invece di farli lavorare!”
Donato lo tranquillizzò: “Non ci sta problema. Poi ci parlo io!”
Marcello, un po’ incazzato, rivolgendosi prima a me e poi al fratello: “Tu continua il lavoro tuo! E tu la potevi chiudere ‘sta minchia di porta!”
- “Non ci scassari pure tu come mia moglie! E hai clienti che gli dico?”
Fatto sta che mi portarono dall’antibagno al cesso vero e proprio, chiudendoci dentro.
A quel punto il cameriere, sottraendosi al mio caotico lavoro di bocca, si sedette sul water.
Giacomo lo fissò chiedendogli se i patti erano chiari. L’uomo annuì: “Sabato di straordinario.”
Giacomo: “Ma tu stai pazziando? Sabato e domenica!”
- “Miii…E che vergine è?”
Accertatosi che il mio culo fosse “pronto”, appoggiò il suo cazzone e iniziò a spingere con forza. Non riuscendo nell’impresa, afferratomi per i fianchi, mi fece sedere sul suo membro teso, entrando in me progressivamente, fino ai testicoli.
Cercai di ribellarmi, ma le mie lamentele furono subito soffocate dal cazzo che avevo in bocca.
Prima piano e poi sempre più bruscamente, il cameriere iniziò a sbattermi con colpi decisi: - “Tiè! Tie’!!! Buttana! Ppi quanti voti ta facisti ‘ntappari nda facci e ‘nda carina!”.
“Donato, allora? Com’è?” – chiese Marcello.
Il ragazzone, quasi senza controllo, commentò: “ Uummh, piccio’…Nu culu spunnato!”
e Marcello; “Ci credo! C’agghio fatto lu lavoro tutti li jorni più volte!”
Profondamente scosso da quelle spinte, penetrato oralmente dagli altri due, persi una prima volta il controllo mentre il cameriere mi spaccava in due. Riuscii solo a dirgli di non sborrarmi dentro, perché poi sarebbe stato un casino ripulirmi, ma lui allagò proprio in quel momento. A secco da parecchio tempo, mi riempì come un cannolo. Lo tirò fuori lentamente. Lo sentii uscire. Il buco rimase aperto, tanto che sentii la sborra sgorgare senza alcuno sforzo.
Gli altri due provarono a rimandare in sala in cameriere che rifiutò l’invito, visto che era rimasto ancora in tiro. Rimandando il loro ordine, vollero più volte prenderne il posto, facendomi provare un’indistinta successione di verghe che alternativamente entravano e uscivano dal mio corpo, spaccandomi l’ano e facendomi dolere le mandibole.
Sì sentì un rumore. Un cliente era entrato in bagno. Donato e Marcello si fermarono. Mettendomi una mano sulla bocca, Giacomo: -“Figghiu ri buttana statti zitto, sa?”
Il cliente misterioso, si lavò le mani. Uscì.
Luccicante di sudore, con i capelli appiccicati a ciocche, scosso da sussulti, venni una seconda volta.
A quel punto, porgendomi tutte e tre le verghe ormai pronte, m’invitarono a darmi da fare per il gran finale. Dopo pochi colpi di lingua, mi riversarono un fiume di sperma nella bocca spalancata. Riuscendo a ingoiarla in buona parte, ricominciai a leccare tutti e tre, ripulendoli alla perfezione.
Ci rivestimmo.
Il cameriere mi passò un foglietto, senza che i fratelli se ne accorgessero. C’era il suo numero.
La mattina dopo, lo chiamai. Nell’uscire, all’ingresso dell’hotel mi ritrovai lui e altri tre gran maschi, uno sui quaranta e due sui venticinque-trenta, intenti a fumare.
A bassa voce m’invitò ad andare da lui quella sera, giornata di chiusura del ristorante, che viveva con quei tre: il cuoco e due giovani camerieri marocchini, uno dei quali era il ragazzo entrato a sorpresa in bagno.
- “Ho parlato al ragazzo dell’altra sera. Loro mancano da più tempo di me da casa. Vieni, che stanno carichi! Il pieno ti facciamo.”
- “Ho finito di lavorare qui. Domani mattina preso riparto.”
- “E dai...vieni…E poi ti piace pure a tja, no?
- “E Marcello? Non so se...”
- “E chi parla? Noi restiamo muti! Quello solo della figlia è geloso. Tu vieni che dopo la minchia mia, insieme al cannolo pieno di spacchime del cuoco di Palermo, ti prendi pure due grossi pezzi di cuscus. Offre tutto la casa, bevande incluse.”
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