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7. ULTIMA GITA DOMENICALE
di Janus
02.02.2023 |
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"Io presi dai miei pantaloncini il contenitore col burro, ne usai un po’ per lubrificare il buchino, poi ne spinsi dentro una certa quantità con le dita e mi..."
Il trascorrere del tempo mi portò a fare qualche nuova esperienza personale, scoprendo altre sensazioni: ad esempio, ci fu un periodo in cui mi diedi a brevi fughe notturne da casa, calandomi dalla finestra della mia camera quando tutti dormivano. Nelle uscite solitarie davo sfogo alla mia anima esibizionista, vagando completamente nudo, armato di un coltellaccio e di bastone, tra i campi illuminati dalla luna; quando occasionalmente anche il “grande” riusciva a sgattaiolare via da casa sua, ci incontravamo ed andavamo insieme a fare piccole escursioni nei dintorni oppure ci inventavamo qualche innocente gioco… ricordo in particolare che, una volta, ci rintanammo in uno dei nostri rifugi per giocare a carte entrambi nudi! Le domeniche trascorse interamente con lui invece cominciarono a farsi più rare; mi capitava comunque di incontrarlo di frequente, data la vicinanza delle rispettive abitazioni, pur senza combinare molto. Ricordo bene l’ultima delle nostre avventurose gite a piedi, non ricordo se ad inizio o fine estate, comunque in un giorno piuttosto caldo. Come al solito, ci mettemmo in cammino dopo colazione, provvisti di tutto il necessario per star via da casa l’intera giornata, compresi tutti quegli oggetti ed attrezzi che ci calavano fantasiosamente nel ruolo degli esploratori; in più, immaginando (più onestamente, dovrei scrivere “desiderando”) i probabili momenti di sesso che avremmo condiviso, portai con me anche il fedele ovetto di plastica col burro. Anche in quella occasione risalimmo il fiume per diversi chilometri, costeggiandone la riva sinistra ed attraversando boschetti, cave di ghiaia e coltivazioni. Dopo aver camminato per due o tre ore senza fermarci, ci trovammo a fianco ad un vasto campo di mais i cui steli erano molto alti, in effetti più di noi stessi. Percorremmo tutto il lato di quella coltivazione, poi ci fermammo al suo limite pensierosi… in effetti era già parecchio che camminavamo e, pur trattandosi di pianura, cominciavamo ad avvertire la stanchezza; decidemmo allora d’impulso di fermarci ed accamparci proprio in mezzo a quel mais che, tra l’altro, ci avrebbe nascosti alla vista degli eventuali pescatori domenicali. Concordammo quindi un punto di riferimento sulla testata del campo dove le file di mais terminavano, da usare nel caso fossimo dovuti uscire dal mais per rientrarci nel punto giusto, e ci addentrammo tra gli steli per trenta o quaranta metri. Sentendoci abbastanza lontani dal limite della coltivazione, ci fermammo e ricavammo un piccolo spiazzo sradicando un certo numero di steli; con i lacci che avevamo al seguito legammo poi gli steli rimossi in orizzontale in cima a quelli in piedi, in modo da ricavare una specie di tettoia che ci riparasse dal sole. Terminato il riparo, ci sedemmo per pranzare con ciò che ci eravamo portati nelle bisacce, poi terminato il pasto, restammo all’ombra della tettoia a rilassarci e spettegolare di questo e quello dei nostri conoscenti. Dopo un po’, esauriti gli argomenti di chiacchiera, il “grande” finalmente se ne uscì dicendo “Facciamo qualcosa…?” il che, al solito, era il suo modo cortese di proporre di godere, a turno, ciascuno del culo dell’altro, eventualmente dopo aver preparato i nostri uccelli con un parziale pompino. La puttanella che c’era in me acconsentì subito alla proposta, ovviamente! Come nella analoga gita di parecchio tempo prima, ci spogliammo dei nostri leggeri indumenti estivi e ci sistemammo sotto il riparo, il “grande” disteso sulla schiena ed io sopra di lui, col mio cazzo all’altezza della sua bocca e la mia bocca a portata del suo uccellone. Prendemmo quindi a spompinarci lentamente, usando ora la lingua, ora le labbra, ora la bocca come l’esperienza ci aveva insegnato a fare. Stavolta lui si dedicò con più entusiasmo al mio uccello, che presto prese ad indurirsi…. ma non trascurò comunque di giocare con il mio buchino, infilandoci a più riprese il medio insalivato. Qualche minuto di reciproco pompino e ci ritrovammo entrambi con il cazzo duro (anche se il mio non reggeva certo il confronto col suo, molto più grosso e lungo); allora ci staccammo per prepararci alla reciproca sodomizzazione. Io presi dai miei pantaloncini il contenitore col burro, ne usai un po’ per lubrificare il buchino, poi ne spinsi dentro una certa quantità con le dita e mi sditalinai lo sfintere per qualche istante, dilatandolo e rendendolo cedevole. Il “grande” nel frattempo mi guardava bramoso, smaneggiandosi il cazzo per mantenerlo duro. Come mi sentii pronto, mi distesi sotto la tettoia a pancia in giù, perché in quell’occasione mi era venuta voglia di essere penetrato in quella posizione… forse per sentire sopra di me, pelle a pelle, il corpo del mio amico? Non saprei davvero! Appena io fui disteso, il “grande” si mise prima a cavalcioni delle mie cosce, poi si distese sopra di me afferrando le mie spalle con le mani. Io sentii il suo bastone di carne appoggiato tra le mie chiappe e d’istinto (puttanesco) sculettai leggermente per sentirmelo strusciare e godermi quella sensazione. Lui arretrò leggermente ed io, come avevo imparato a fare, facilitai la penetrazione prendendogli il cazzo con una mano e piazzando la sua cappella dritta sul mio buco… lui spinse il suo cazzo duro nel mio sfintere lubrificato dal burro ed arrendevole, penetrandomi lentamente ma continuamente, sino a mettermelo tutto dentro sino ai testicoli. Prese quindi ad incularmi energicamente con ritmo lento, ed io mi gustai appieno sia la presenza del suo corpo caldo sopra di me, sia ogni singolo affondo del suo uccello duro dentro di me. Trascorso qualche minuto, il ritmo aumentò; ancora alcuni prepotenti affondi, ed il “grande” si fermò a contatto del mio corpo, stringendomi e premendo con forza il bacino sul mio culo come per sfondarlo… mi sentii inondare da getti di sperma caldo… lui restò per alcuni istanti in quella posizione, tenendomi per le spalle, poi tirò fuori lentamente il cazzo e me lo strusciò sulle chiappe, bagnandole con la sborra che gocciolava dalla sua cappella. Poi lui si mise seduto ed io mi tirai su, rimanendo sulle ginocchia; lo sperma che mi aveva lasciato dentro, non trattenuto dallo sfintere troppo dilatato per chiudersi bene, colò lentamente fuori e me lo sentii scendere appiccicoso sulle palle e su una coscia… mi piaceva tantissimo, la sensazione dello sperma caldo addosso: mi faceva sentire una gran troietta!! Poi, l’imprevisto: mi resi conto che, pur avendo fatto volentieri la “femmina”, il mio cazzo era rimasto per tutto il tempo durissimo!! A quel punto, istintivamente, feci al mio amico “Ora tocca a me incularti…!” Ancor oggi faccio fatica a crederci, ma così fu: il “grande”, che forse in cuor suo aveva sperato anche quel giorno nel mio dichiarato disinteresse per i culi maschili, si mise svogliatamente a pecorina ed io, che fino a quel giorno avevo lasciato perdere, lo inculai a mia volta sino a sborrargli nel culo. Ricordo che, curiosamente, dopo l’essere stato sodomizzato lui si alzò e si allontanò di qualche passo dal nostro riparo per defecare… “Era tanto che non mi inculavano”, ammise con noncuranza. Restammo ancora un po’ sotto la tettoia poi, essendosi fatto tardo pomeriggio, ci ricomponemmo, raccattammo il nostro materiale e ci avviammo verso casa, lasciando in piedi la tettoia di steli di mais ed immaginando la faccia degli agricoltori quando l’avrebbero trovata! Le circostanze successive fecero sì che simili esperienze non si ripeterono più, perché il “grande” ed io nel prosieguo finimmo per frequentarci sempre meno, fino a perderci di vista. Nondimeno, anche quella libidinosa ultima giornata con lui andò a far parte dei miei ricordi più vivi… con essa, in effetti, si conclusero le mie esperienze omosessuali dell’adolescenza; solo molto tempo dopo i miei più profondi e segreti impulsi, peraltro mai sopiti, tornarono a reclamare una parte nella mia vita.
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