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Il posto fisso (01)


di Membro VIP di Annunci69.it pierpatty6151
08.07.2022    |    17.285    |    6 9.8
"La mia intimità era inesistente, ma eravamo negli anni 70, e a tutto ci si adeguava per il miraggio del “posto fisso” al Nord..."
Questa storia è vera. Me l’ha raccontata un amico durante un’insonne notte in baita, mentre fuori nevicava. L’ho scritta nei giorni seguenti ed è rimasta nel PC per anni. La pubblico dopo la sua autorizzazione.
Questa non è una scopata e via, ma un modo di vivere sia per ricercare il posto fisso, sia per sopravvivere alla fame.

=== *** ===

Non dimenticherò mai gli orgogliosi occhi lucidi dei miei genitori che mi salutavano, e si raccomandavano, sul marciapiede della piccola stazione del Sud.

Mesi prima avevo vinto un “posto fisso” a un mega concorso pubblico, e in questa freddina serata d’inizio Autunno stavo partendo per la frenetica città del Nord.

All’arrivo avrei trovato accoglienza e primo alloggio nella famiglia della più giovane sorella di mia madre. Che all'epoca conoscevo come una donnona tutto un pezzo, che oltre a “dirigere da maresciallo” la sua famiglia, col tempo, divenne anche un importante riferimento nella comunità cristiana del quartiere periferico.

Quella notte di viaggio verso il futuro, fu un supplizio, vuoi per l’agitazione, per lo stridere del vagone zeppo di uomini e per il caldo.
Arrivati al capolinea, mi ritrovai sotto una sconosciuta pioggia di roba bianca e gelata. Ma che è sta roba gelata che scende appiccicandosi e bagnando il giubbotto, lo zaino e la scatola di cartone zeppa di leccornie del Sud, orgogliosamente inviate da mia madre alla sorella.

Sceso dal treno non sapendo dove andare, seguo il flusso degli infreddoliti passeggeri.
Finalmente vedo mio zio. Lo riconosco sia per la piccola statura sia per l’abbronzatura. Lo raggiungo, lo abbraccio, riscoprendo il suo corpo muscoloso da manovale edile.
Mi guida verso un lungo corridoio. io riluttante lo seguo su una ripida scala che si muove in discesa verso una galleria. Che è?
Non voglio sembrare fuori dal mondo, ma volentieri domanderei se qui al Nord le strade sono sotto terra per evitare la neve è il freddo.

Altro treno più piccolo, ma più rumoroso, che viaggia sempre in galleria, che strano! Com’è strano vedere uomini e donne vociare, appiccicarsi, e toccarsi fatti inconcepibili e scabrosi nel mio paesello.

E il trenino continua a sferragliare, a fermarsi, ad aprire le porte, a lasciare scendere frettolose persone, immediatamente sostituite da altre. Finalmente mio zio m’informa che alla prossima fermata scendiamo. Mi sento sollevato, non c’è la facevo più a stare sotto terra.

Una lunga scala in movimento mi porta all’esterno. Quella roba bianca, che scende dal cielo, ha ricoperto tutto con un manto candido. Mio zio mi precede schiacciando il manto ghiacciato, io fatico a stargli dietro. Almeno mi desse una mano con i bagagli. Una maniglia della scatola viveri si rompe e i pacchetti contenuti si sparpagliano sulla neve. li raccolgo e mio zio non si accorge di nulla, e prosegue veloce.
Raccolgo, risistemo alle belle e meglio e gli corro dietro sbuffando.

Lo zio entra in un cancelletto sgangherato. Sollievo che siamo arrivati? Ma dove? Siamo davanti a un palazzone lungo almeno duecento metri, e con sette o nove piani.
Penso che qui mi perderò.

Sempre guidato dallo zio, e con i bagagli inzuppati come me, saliamo a piedi al quarto piano, l’ascensore è rotto. Scoprirò dopo che è rotto da mesi.

La zia ci aspetta sulla soglia dell’appartamento, mi abbraccia, mi bacia e subito dopo svuota la scatola viveri sul tavolo di cucina, accompagnando il tutto da gridolini festosi e complimenti a mia madre. La zia si estranea da ogni altra situazione e chiama al telefono mia madre per i complimenti e i ringraziamenti di rito.

Mentre lo zio, un po' scocciato, saluta e informa che va al lavoro, mentre io rimango lì bagnato, infreddolito e con voglia di andare in bagno.
Finalmente la zia smette la telefonata di rito.

Chiesto l’ubicazione del bagno, la zia me lo indica. Accosto la porta, non c’è la chiave, pazienza, giù pantaloni e mutande abbandonandomi all’agognata seduta.
Un paio di minuti dopo la porta si apre, e spunta la zia:
Mi sporge il un telefono portatile. dicendo “c’è tua madre al telefono”.
“pronto mamma…” Come solito mi spara una valanga di domande. Vuole sapere del viaggio, del posto, della casa degli zii. Io rispondo e senza rendermi conto della presenza della zia, mi alzo con gli indumenti abbassati. In quell’istante rivedo la zia ancora lì, che mi guarda in mezzo alle gambe.
“Non male… mia sorella ha lavorato molto bene.” Ed esce.

Rosso in viso mi cambio i vestiti bagnati ed esco dal bagno. Trovo la zia in cucina indaffarata con i pacchetti arrivati dal Sud.
C’è anche la caffettiera che sbuffa.

Lei non parla, ed io mi siedo al tavolo senza saper che dire.
Ci ritroviamo uno di fronte all’altra con le tazzine fumanti. Assaporiamo il caffè. Lei mi guarda negli occhi, capisco che vuol dirmi qualcosa, ed io aspetto. Finché senza guardarmi:
“Scusami… se ti ho messo in imbarazzo… non volevo…”.
“Ok…sai a casa anche noi non abbiamo la chiave nelle porte, ma abbiamo l’abitudine di bussare…diciamo che è stato un piccolo incidente di percorso.”

Mentre parlo, mi ritrovo a guardare negli occhi la zia, per poi scendere giù sul decolté, accorgendomi dell’esistenza sotto la vestaglia di due seni abbondanti sormontati da capezzoli induriti e ben visibili.
Lei se ne accorge e mi stupisce domandandomi:
“Ti piacciono i seni della zia?”.

Non devo cercare la risposta, mi esce spontanea: “Si zia, mi piacciono molto.”
“Sai che facciamo. Io ho visto il tuo pisello, anche se non era al meglio, e per essere pari io ti faccio vedere le mie tette, se vuoi naturalmente?”
“Certo che voglio! Non ho mai visto le tette di una donna grande, ho visto solo le piccole tettini di una mia amica”.

Lei non dice nulla, mi guarda dritta negli occhi, iniziando a sbottonare alcuni bottoni, e aprendo la vestaglia fa uscire le sue magiche tette. Le prende in mano, le accarezza, le alza un po’ e bacia un capezzolo. Mentre il mio pistolotto si alza nei pantaloni.

In quel momento si sente aprire la porta di casa.
Porca miseria. Chi rompe?
La zia frettolosamente copre i seni e abbottona la vestaglia. Appena in tempo, la figlia grande entra in cucina.
Ciao, finalmente sei arrivato, come andato il viaggio e giù baci e abbracci.
Mia cugina è una ragazzona ventenne, fortunatamente ha preso dalla mamma. Alta, seni rigogliosi, sorriso sempre pronto, capelli lunghi e neri come la pece.

Dopo i convenevoli, le due donne m’informano sulla mia sistemazione per la notte:
Avrei dormito su un divano-letto, da aprire la sera e chiudere al mattino, sistemato in uno “slargo del corridoio” che conduce alle due camere.
Riservatezza nessuna. La sistemazione non mi piaceva, ma non avevo possibilità, per cui feci buon viso a cattiva sorte, sperando di trovare presto un mono locale tutto mio.

Passai la prima notte quasi insonne, svegliato dai cigolii provenienti dalla camera padronale. E prima del sorgere del sole il corridoio si trasformò in un vai e vieni di parenti: Lo zio che si prepara per andare a fare l’aiuto fornaio nella vicina panetteria. La cugina aspetta che si liberi il bagno per prepararsi e andare un paio d’ore a vendere quotidiani in un’edicola alla stazione della Metro. La zia che si alza per preparare la colazione ai familiari.

Tutto torna nel silenzio all’uscita dello zio e della cugina, e La zia, ciabatta nel corridoio.
Il ciabattare si ferma vicino al mio divano.
Sono sveglio, mi rigiro e vedo una tetta spuntare dalla vestaglia della zia. Il capezzolo punta il mio viso a pochi centimetri. Lo vorrei baciare, ma non lo faccio. La zia sta rimboccandomi le coperte, e non rendendosi conto della sua nudità. Mi augura il buon giorno e si dirige in bagno. poco dopo il rumore dell’acqua m’informa che è sotto la doccia.
Non prendo più sonno, e fantastico sulla zia nuda sotto la doccia. A occhi socchiusi aspetto che Lei esca, nella speranza di vederla nuda. E più spero più il mio pisellone s’inalbera, e lo accarezzo lentamente.
Finalmente la speranza è esaudita. La zia esce dal bagno, completamente nuda. Lentamente passa vicino al divano. A occhi socchiusi, per non farmi scoprire, osservo passare quel corpo non giovanissimo ma per me attraente e interessante.

Per paura di sporcare la biancheria, smisi di accarezzarmi.

La mia intimità era inesistente, ma eravamo negli anni 70, e a tutto ci si adeguava per il miraggio del “posto fisso” al Nord.
Comunque sia, cercai di adeguarmi sia alle situazioni famigliari, sia al pungente freddo, sia alle sveglie notturne, sia all’abitudinaria doccia mattutina della zia, ormai conoscevo il suo corpo. Quello che non sapevo se la sua passeggiatina mattutina era un suo vezzo per farsi vedere, o non si è mai accorta che la osservavo, per poi correre in bagno a sfogarmi in solitario.

Le settimane passarono e il pungente freddo mi regalò un forte raffreddore con febbre, che mi costrinse a rientrare dal lavoro a metà mattinata.
Entrando in casa andai direttamente verso il mio giaciglio, che scoprii occupato.
La zia, seduta sul divano, aveva un cazzo in bocca, e non era del marito.
Senza una parola, mi ritirai in cucina. Passarono alcuni minuti sento chiudere la porta di casa e la zia arriva in cucina, si ferma danti a me esordendo con:
“ Non è come sembra! Preparo il caffè e ti spiego tutto.”

In silenzio, prepara la caffettiera, io osservo il suo culone muoversi sotta la vestaglia, non dovrebbe avere intimo. Finalmente arrivano le tazzine ricolme di bollente forte caffè. Si siede di fronte a me. La guardo ma non le vedo gli occhi, ha la faccia abbassata.
Aspetto che sia Lei a parlare, e sorseggio il caffè.
Passano i minuti in un imbarazzante silenzio. Finalmente la Zia alza la faccia e a voce traballante inizia:

“ Mi spiace che mi hai visto in quell’atteggiamento... vorrei avere la possibilità d’essere compresa….non scusata… ma capita come moglie. Se sei disposto ad ascoltarmi senza giudicarmi ti racconterò la verità….”.

Non so né che fare né che dire, la esorto solo a raccontarmi la sua verità. Sperando in una valida giustificazione al pompino che faceva allo sconosciuto.
Mi accendo una sigaretta, e con un cenno della testa la esorto a raccontare.
Mi chiede una sigaretta, la accende, e sembra che ricerchi il coraggio di parlare nelle volute del fumo. Finalmente inizia a parlare:

"Quell’uomo che hai visto è il Padrone di dove lavora tuo zio. Ho iniziato con lui alcuni mesi fa. Tu non eri ancora salito. In quel periodo mi ritrovai senza soldi per la spesa, e il negoziante di commestibili non mi faceva più credito. Pensai di chiedere aiuto al Panettiere. Tuo zio orgoglioso com’è non voleva chiedere favori.
Ricordo che era un Giovedì, aspettai che lo zio ritornasse dal lavoro. Mi preparai al meglio e andai al panificio. Sapevo che nelle prime ore del pomeriggio il forno era chiuso e il panettiere era solo, é solito fare i conti della giornata.
Bussai e mi aprì lui, confermandomi che era solo. Non so come ma ebbi il coraggio di chiedere l’acconto. Lui seduto dietro un tavolino sgangherato, mi guardava tutta, ero in piedi e mi sembrava d’essere nuda. Lui con un sorriso beffardo mi disse che sarebbe anche disposto ad aumentare il settimanale a mio marito, alla condizione che mi facessi scopare da lui, cosa che non faceva più con sua moglie.”

Un brivido di disgusto per quel ricatto mi corse lungo la schiena. Tuttavia volevo sapere, e con un filo di voce le chiedi di continuare. Forse per curiosità o per bramosia di sapere.

“La mia prima pensata fu di darle un ceffone e andarmene, ma non feci nulla. Rimasi in silenzio. Lo guardavo, lo disprezzavo, lo odiavo. Non sapendo né che fare, né che dire, rimasi bloccata lì danti a lui.
Fece Lui. Mi spinse nel magazzino. Mi getto su alcuni sacchi di farina. Mi alzo la gonna. Mi strappo le mutande. Rimasi gelata dal terrore con il culo a sua disposizione. Dopo alcuni secondi sentii il suo peso gravare sul mio corpo inerme. Mi apri le gambe e trovandosi la figa aperta diresse, in malo modo, la sua grossa cappella sulle labbra asciutte. Spinse, entro un po’, mi fece urlare dal dolore, ma lui continuo a entrare senza preoccuparsi del mio pianto. Io non reagii e mi lasciai scopare selvaggiamente. Venne dentro la mia dolorante figa.
Si alzo, e usci dal magazzino senza una parola.
Io dolorante, provai ad asciugarmi l’intimità con i pezzi delle mie mutandine, scoprendo uno schifo insanguinato. Mi sistemai alle belle meglio e con le lacrime negli occhi uscii dal magazzino. Lo trovai sulla porta che mi sporgeva due biglietti da diecimila. Li presi senza una parola.
Mi accompagnò alla porta del panificio, e congedandomi ordino:
“Ci vediamo Martedì prossimo. Non dire nulla a nessuno se tieni al lavoro di tuo marito”.
Richiuse la porta e spari dentro.
Io avevo in mano le banconote della vergogna, ma potevo saldare il conto con il “negozio” e forse comprare qualcosa da mettere in tavola quella sera. E la settimana dopo, tuo zio arrivo gongolante con un aumento di diecimila lire".

Io rimasi ghiacciato dall’orrore. Accesi un’altra sigaretta, e senza parole aspettavo la continuazione della storia.

“La stessa sera tuo zio mi chiese di far sesso. Io mi rifiutai avevo ancora la vagina dolorante e non potevo certamente sopportare un’altra violenta introduzione.
Da allora. almeno una volta la settimana, il panettiere mi convoca o viene a casa per far sesso con me. Se mi scopa o m’incula mi dà diecimila, se vuole un pompino, ricevo cinquemila”.

Ci coinvolse un rumoroso silenzio. Che potevo dire. Si prostituiva per sopravvivere.
Nel frattempo sentivo salire la febbre e i dolori articolari aumentavano. Forse avevo preso l’influenza.

La zia mi accompagno nella sua camera. Ordinandomi di spogliarmi completamente, e obbligandomi a sdraiarmi sul suo letto.
Non ricordo molto altro. Penso che la zia mi desse una qualche pastiglia antiinfluenzale, e che mi addormentai profondamente.
In piena notte mi svegliai, e stralunato capii di essere ancora nel letto matrimoniale, ma non ero più solo, sentivo la presenza di qualcuno che respirava lentamente vicino a me.
Solo dai luoghi capelli capii che si trattava di mia zia, che serenamente dormiva vicinissima a me.

=== *** ===
La storia non è finita. Se siete interessati, vi racconto il seguito. Fatemi sapere.
Ciao
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