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Il Riscatto 8 - Il Ritorno di Manuel


di Porco86_Milano
15.04.2025    |    45    |    0 9.0
"000 euro al mese da pagare col culo..."
Mi si seccò la bocca. Il cuore accelerò.
Tutto in me si immobilizzò.
Poi fu lì.
Davanti a me.
“Ciao Paolo.” Ripetè.
La voce era la stessa.
Ma qualcosa tremava, dietro quella sicurezza.
Non risposi subito.
Lo guardai. A lungo.
Poi sussurrai solo: “Vieni. Andiamo a parlare.”
Eravamo seduti su un muretto dietro il locale.
La musica era lontana.
Il respiro era pesante.
Gli raccontai tutto.
Senza abbellimenti.
Di come Ettore mi aveva svenduto.
Di come mio nonno era stato l’orchestratore di tutto.
Di come era stato lui a vendermi.
Della tassa di 2.000 euro al mese da pagare col culo.
Del contratto con Ettore.
Del reclutamento di matricole.
Della bellezza che avevo costruito come una maschera sopra il dolore.
Manuel restava in silenzio.
Gli occhi lucidi.
Poi iniziò a parlare lui.
E fu come se aprisse un pozzo nero.
“Dopo che te ne sei andato, Ettore si è preso tutto di me.”
La sua voce era calma, ma qualcosa sotto vibrava.
“Mi usava ogni giorno.
E ogni pisciata era per me.
Non scherzo.
Ogni mattina, la prima pisciata densa, acida, la versava su di me.
Mi svegliava così.
Un giorno dopo una cena pesante e quattro birre mi pisciò addosso per tre minuti. Rideva. Diceva che ero il suo orinatoio personale.
Non potevo più lavarmi senza il suo permesso.
Ogni liquido che usciva dal suo corpo era mio.
Dovevo leccarlo. Ingoiarlo. Goderne.”
Mi guardava.
E io stringevo i denti.
Ero duro sotto i jeans.
Ma anche spaccato dentro.
“Poi… c’è stata quella sera.”
Fece una pausa.
“La sessione speciale.”
Abbassò lo sguardo.
Poi riprese.
“C’erano tre uomini con lui.
Uno enorme, un altro magrissimo, il terzo con la pelle nera e i tatuaggi in faccia.
Mi fecero inginocchiare nudo in mezzo alla stanza.
Ettore mi legò al collo un guinzaglio corto e lo diede a uno di loro.
Mi fecero annusare le scarpe, poi me le fecero leccare.
Poi leccai le loro ascelle, le palle, il buco.
Mi fecero abbaiare.
Poi uno si pisciò addosso, mi guardò, e disse: ‘Pulisci.’
E io lo feci.
Poi iniziarono a scoparmi.
Prima uno. Poi l’altro. Poi tutti e tre insieme.
Il magro mi teneva la testa ferma mentre il tatuato mi riempiva la gola.
Ettore guardava. Non disse nulla.
Poi, quando cominciai a perdere i sensi, venne dietro di me e mi prese.
Con forza. Con cattiveria.
E io venni.
Senza toccarmi.
Piangendo.
E loro ridevano.”
Mi tremavano le mani.
“Fu dopo quell’esperienza che pensai di morire.
Ma poi arrivò la vera rovina.”
Fece un lungo respiro.
“La notte con i dieci.”
E me la raccontò.
Dieci uomini anziani, chiamati da Ettore.
Io non c’ero.
Ero via per una consegna.
“Mi avevano preparato.
Docciato. Rasato.
Mi fecero inginocchiare con un plug di vetro nel culo e una ciotola sotto il mento.
E a turno mi riempivano la bocca. Di piscia. Di cazzo.
Mi scopavano. Ovunque.
Uno cercò di entrarmi con due pugni.
Sanguinavo.
Tremavo.
Ma venivo.
E ogni volta che venivo, Ettore rideva.
Diceva: ‘Vedi? È nato per questo.’”
Poi si interruppe.
“Il mattino dopo, mi guardai allo specchio.
E non mi vidi più.
Solo un’ombra.
Uno straccio.”
Mi strinse la mano.
“Scappai. Tornai dai miei.
Mi curai.
Mi ripulii.
Ma il desiderio non è mai andato via.
Ora mi mantengo con la prostituzione.
E ogni tanto… cerco cazzi nuovi. Come stasera.”
Mi guardò.
“Ecco perché ero lì. Perché anche dopo tutto, mi eccito ancora. E tu…”
Mi sfiorò il viso.
Le labbra.
“…tu sei ancora il mio amore più grande.”
E io non ressi.
Lo baciai.
Con rabbia.
Con amore.
Con desiderio.
Con dolore.
Le nostre bocche si cercavano, si mordevo, si invadevano.
Lo spinsi contro il muro.
Gli slacciai i jeans.
Gli leccai il collo, le spalle, i capezzoli.
Mi inginocchiai.
Lo presi in bocca come se dovessi divorarlo.
Poi lo girai.
Gli abbassai i pantaloni.
Il suo culo era lì, come un tempo.
Pronto.
Morbido.
Umido.
Lo penetrai.
Con forza.
Con rabbia.
Con amore.
Lo scopai come si scopa chi ci ha spezzato.
Le sue urla erano di piacere e di colpa.
Le mie erano dolore puro.
“IO TI AMAVO,” urlai, scopandolo forte.
“TI AVEVO SCELTO.”
Manuel pianse.
Veniva senza toccarsi.
Il suo corpo tremava.
“Perdonami…” sussurrò.
“Perdonami…”
Sborrai nel suo culo.
Con violenza.
Con passione.
Con disperazione.
Ci abbracciammo, nudi, sudati, tremanti.
E restammo lì.
Nel silenzio.
Nel respiro.
Nel dubbio.
È questo un nuovo inizio?
O la fine definitiva del nostro amore?
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