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L’amico del nonno - FINALE

23.10.2024 |
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"Non potevo più mettere piede lì, e ogni volta che vedevo quegli amici, sapevo che mi avrebbero trattato come un essere inferiore..."
UNA NUOVA VITACol tempo, il legame tra Ettore e Manuel divenne sempre più profondo, lasciandomi in una posizione di crescente solitudine. Vedevo i loro sguardi, la complicità che si formava tra di loro. Ettore, che un tempo si era concentrato solo su di me, ora sembrava completamente assorbito da Manuel. Il loro legame era più intimo di quanto avessi mai immaginato possibile, mentre io venivo relegato ai margini, ridotto a un osservatore umiliato. Ogni notte sentivo i loro gemiti, le loro risate. Io non facevo più parte di quel mondo, e il sesso che un tempo Ettore ed io condividevamo era ora riservato esclusivamente a Manuel.
La prima volta che capii davvero di essere stato escluso completamente fu quando Ettore organizzò una serata a casa sua con un gruppo di uomini anziani, tra i 60 e gli 80 anni. Quando arrivarono, Manuel era già pronto, nudo e in attesa, con il corpo teso. Gli occhi di Ettore brillavano di eccitazione mentre introduceva Manuel a quegli uomini, e io rimasi in disparte, costretto a guardare, preoccupato per Manuel e disperato per entrambi, cosciente di essere l’unico responsabile della situazione in cui ci trovavamo a causa delle mie scelte, libere.
Gli uomini iniziarono lentamente, strofinandosi contro il corpo di Manuel, esplorandolo con mani esperte e rudi, stringendogli e schiaffeggiando la gabbietta che conteneva quello che una volta era un cazzo molto grosso e ora, a forza di stare chiuso, si stava traforamando un clitoride. Lo spinsero a terra, pisciando su di lui, uno dopo l’altro, bagnandolo completamente con il loro liquido dorato. Il suo corpo tremava, ma Manuel non si ribellò. Lo scoparono. Duramente. In gola e in culo. Senza rispetto. Con violenza.
“Godetevi ciò che avete pagato”, disse Ettore lasciando la stanza.
Poi venne il turno di sborrare. Gli uomini si facevano avanti a turno, venendo sul suo viso, nel suo culo, sui suoi capelli, ogni parte di lui veniva inondata del loro seme.
A un certo punto, uno degli uomini infilò il pugno nel suo buco, dilatandolo fino a farlo piangere di dolore e umiliazione.
Manuel non era più in se: prima eiaculò col cazzo moscio e ingabbiato, poi si pisciò addosso, incapace di contenersi mentre un energumeno ricoperto di pelo bianco e con la pancia cadente gli sfondava il culo con due mani.
Gli altri risero mentre Manuel, in lacrime, prendeva ogni colpo, ogni pugno, ogni calcio che quegli uomini gli infliggevano. Più lo sottomettevano, più la sua resistenza crollava, fino a quando, alla fine, tutto ciò che gli rimase fu una docile obbedienza che si addice a chi sa di non avere più una dignità, di essere poco più che un animale.
Quando tutto finì, Manuel raccolse i soldi che gli uomini gli avevano dato e li porse a Ettore.
"Adesso posso avere il tuo cazzo?" chiese Manuel con voce tremante, appena restammo soli, sperando in una ricompensa.
Ettore sorrise, ma non gli diede ciò che desiderava. "Prima fatti lavare da Salvatore," rispose con indifferenza.
Con il cuore spezzato, fui costretto a inginocchiarmi dietro Manuel e iniziai a pulirlo. Leccai via la sborra degli uomini dal suo culo, sentendo il sapore acre e denso che mi riempiva la bocca. Ogni leccata era un atto di umiliazione, ma non avevo scelta. Continuai, togliendogli il piscio dal corpo, lavandolo con la lingua, fino a quando lo portai in doccia per pulirlo completamente.
Quando cercai di baciarlo, sperando di trovare un barlume di affetto o di riconciliazione, Manuel mi respinse brutalmente. "Mi fai schifo," disse, con una freddezza che mi gelò il cuore. "Fai così schifo che anche Ettore non ti vuole più."
Quelle parole mi lacerarono l’anima. In quel momento, capii che tra noi due, era finita.
Arrivò in fretta il giorno del mio diciannovesimo compleanno.
Mi aspettavo che Ettore si ricordasse almeno di me in quel giorno speciale, ma invece si rivolse a Manuel chiedendogli: "Che regalo vuoi fargli?"
Manuel, senza nemmeno guardarmi, rispose con crudeltà: "Voglio una cuccia da cane dove possa vivere legato, come si merita e come gode a fare."
Una settimana dopo, Ettore esaudì il suo desiderio. Mi trovai legato nudo in una cuccia, come un cane, con la gabbietta che serrava dolorosamente il mio cazzo non so più da quanto tempo.
Il giorno stesso, su suggerimento di Ettore, Manuel invitò a casa un gruppo di nostri amici comuni dell’università, persone che conoscevo bene e con cui un tempo avevo condiviso momenti spensierati. Quando mi videro così, all’inizio risero, pensando che fosse uno scherzo. Ma ben presto capirono la realtà della situazione.
Manuel ed Ettore permisero ai nostri amici di usare il mio corpo come volevano: si presero gioco di me, ridendo mentre mi scopavano uno dopo l’altro, pisciandomi addosso e riempiendomi il culo di sborra. Il dolore era insopportabile, ma la vergogna era anche peggiore. Mi trattarono come un oggetto, un giocattolo sessuale da usare e gettare.
Dopo quella notte, la mia reputazione all’università fu completamente distrutta. Non potevo più mettere piede lì, e ogni volta che vedevo quegli amici, sapevo che mi avrebbero trattato come un essere inferiore. Iniziai ad uscire di meno e a passare più tempo in casa, legato nella cuccia, dove mangiavo e bevevo dalle ciotole che Ettore mi dava. Non ero più una persona. Ero solo una cagna, un corpo, un buco da riempire.
La prova finale arrivò quando Ettore ci rinchiuse, sia me che Manuel, in una cantina buia e fredda. "Dopo questa prova," ci disse, "deciderete se abbracciare definitivamente la vostra natura o liberarvi."
Non c’era luce, non c’era cibo. Solo noi due, nel buio, in attesa. Ma non restammo soli a lungo. Uomini diversi venivano a usare i nostri corpi. Uno dopo l’altro. Più uomini insieme. Poi pause lunghe in cui cadevamo addormentati per poi risvegliarci con un cazzo in culo o uno schizzo di piscio in faccia. Avevo perso la cognizione del tempo, non sapevo da quanto fossimo lì e non sapevo per quanto ci saremmo rimasti.
Mi sentii posseduto da almeno quaranta uomini diversi, ogni uno di loro riempiva il mio culo con una brutalità crescente. Speravo almeno che condividere questa esperienza brutale con Manuel potesse riavvicinarci, ma ogni volta che un uomo ci possedeva, sentivo Manuel allontanarsi sempre di più. Nel buio sentivo il suo sguardo, lo sguardo vuoto di chi ha venduto l’anima al demone del sesso. Lo sguardo con cui io solo pochi mesi prima guardavo Ettore.
Ogni colpo, ogni spinta, ogni urlo di piacere da parte di quegli uomini mi lasciava sempre più vuoto, sempre più distante da me stesso. E da Manuel.
Due giorni dopo finalmente Ettore tornò: eravamo luridi, coperti di piscio e sborra, affamati, ridotti all’essenza più degradante del nostro essere.
Ettore ci porse le chiavi delle gabbiette, senza parlare. Era una scelta finale. Lo sapevamo.
Prendere la chiave significava essere liberi dalla gabbietta ma dover abbandonare Ettore per tornare ad una vita che in meno di anno mi ero rovinato io, per scelta mia, in libertà.
Guardati Manuel. Stava ancora godendo, scariche di piacere lo colpivano, reclinava la testa ed espelleva sborra dal culo. Poi guardò verso di me ma fu come se non mi vedesse.
Solo io presi le chiavi per liberarmi, mentre Manuel, con uno sguardo di freddezza assoluta, mi disse: "Non sono interessato a un mezzo uomo come te. Sono felice di restare con l’unico vero uomo che abbia mai conosciuto e a cui sono grato di appartenere: Ettore."
Ettore mi diede dieci minuti, dovendo scegliere se farmi una doccia o raccogliere le mie cose, prima di lasciare casa sua.
Uscii ancora lurido, consapevole di aver perso tutto.
Andai via senza vederli più e senza salutarli ma sentii distintamente i grugniti di Ettore e le urla di Manuel. Stavano già scopando di nuovo.
Una macchina mi aspettava fuori. Ettore mi aveva detto che era lì per portarmi alla mia "nuova vita."
Quando entrai, trovai mio nonno al volante. Mi guardò con un sorrisetto sprezzante. "Non mi aspettavo che avresti retto così tanto, sei veramente un rotto-in-culo come pensavo" disse, con una voce piena di disprezzo.
Solo allora compresi tutto. Mio nonno sapeva tutto fin dall’inizio. Era stato lui a orchestrare tutto, consegnandomi ad Ettore come un oggetto da usare. La mia vita, i miei desideri, non erano mai stati importanti per lui. Ero solo una pedina nel suo gioco perverso.
Partimmo in silenzio.
Prendemmo l’A1, era sera, io ancora non mi ero lavato e non avevo mangiato. Ero rimasto in silenzio, così come anche il nonno.
Appena entrati in un’autostrada deserta, mio nonno prese la mano e se la portò sul pacco, facendomi sentire un cazzo moscio ma molto consistente.
“Avanti, datti da fare che il viaggio è lungo” disse, rompendo il silenzio.
Rimasi interdetto, mi si gelò il sangue.
“Ho detto di succhiarmi il cazzo, latrina che non sei altro” mi urlò “hai preso cazzi da chiunque e ora ti fai problemi a prendere quello di tuo nonno?”
Non me lo feci ripetere, lo presi in gola ma prima che potessi iniziare a succhiare, iniziò a pisciare in gola. “Se mi bagni, ti butto in autostrada e ti ci lascio”
Bevetti tutto e iniziai a succhiare.
Ero umiliato, non capivo cosa stesse succedendo ma il mio cazzo era duro come non mai, come in nessuna delle volte precedente che ero stato in castità e poi liberato.
Mio nonno lo vide e mi disse di tirarmi su che entravamo in autogrill dove c’era una doccia.
Mi feci la doccia con la porta aperta ed arrivarono due camionisti. Guardarono mio nonno il quale disse solo “50€ a testa e gli sborrate dentro entrambi”
Dieci minuti dopo ero tra due tir e mi scopavano a turno, mentre un gruppo di altri camionisti si era messo intorno a noi: ci guardavano e si segavano.
Tra loro anche il nonno.
Non avevo mai visto il suo cazzo, in macchina me lo aveva ficcato in gola e non avevo capito molto oltre la sua larghezza.
Il suo cazzo era gigante, dovevo averne preso in bocca solo una piccola parte.
24 cm durezza. Si segava e mi guardavo.
Io godevo a farmi scopare per lui, godevo a farmi scopare da due camionisti, godevo.
Ero sottomesso, facevo schifo, avevo addirittura succhiato il cazzo di mio nonno ma godevo. E questo mi bastava.
Quando i due ebbero finito, mio nonno chiese se ci fosse qualcuno interessato tra i guardoni, e in due pagarono per sborrarmi in culo ma furono cose veloci perché erano già molto arrapati.
A quel punto mio nonno si avvicinò e mi disse: “Aspetto questo momento da quando ho capito che eri ricchione, ma non c’era modo di farti cedere e quindi ti ho fatto educare, in modo che fossi tu a volerlo”.
Mi sorrise. Poi chiese: “Lo vuoi?”
Non dissi nulla. Volevo quel cazzo. Perché era enorme. Perché era di mio nonno. Perché sapevo di appartenergli come appartenevo a Ettore, ma in modo più profondo. Volevo il seme che aveva generato chi aveva generato me.
Volevo essere fecondato da mio nonno.
Mi girai, presi il cazzo e me lo infilai. Era grosso ma la sborra faceva da lubrificante.
Mi scopò come un animale, duro, violento, dentro fino all’intestino, fuori e poi dentro di nuovo. Il mio buco era largo come mai prima, avevo delle contrazioni continue con il seme dei canonisti che usciva misto ai miei umori. Fu durante uno di questi spasmi che mi diede la quinta sborrata della serata. La più importante, la più intesa, la più densa. La prima di un familiare.
Restò nel mio culo per qualche minuto, poi mi disse: “Sei lurido di nuovo, tanto vale che mi liberi anche la vescica” e mi pisciò addosso.
Mi fece fare un’altra doccia, salimmo in macchina e viaggiammo per tutta la notte, senza quasi parlare (ma non era comunque facile visto che il suo cazzo rimase nella mia bocca per tutto il viaggio).
Mi portò a Roma e, prima di lasciarmi, mi diede una piccola somma di denaro. "Tutta Italia sa che sei una troia," disse senza emozione. "Ettore ha registrato molti video di te e li ha messi online. Con le tue capacità e la tua notorietà, saprai come sopravvivere. Da parte mia, verrò a trovarti ogni 15 del mese. Voglio 2000€ al mese, farti svezzare da Ettore è stato un grosso investimento economico di cui devo rientrare… trova il modo di farli."
Poi se ne andò, lasciandomi solo per le strade di Roma, umiliato, solo, stordito, col cuore infranto.
Il mio destino mi era chiaro: non sarei mai stato degno di un amore come quello che avevo sognato con Manuel. Ero solo un corpo, un oggetto, una troia.
Da quel momento, la mia vita divenne una spirale di prostituzione e degrado.
Oggi, quasi 20 anni dopo questa storia, non ho mai più fatto l’attivo, mi sono dato a pagamento o gratuitamente a qualsiasi tipo di uomo.
Sono fermamente convinto che questo fosse il mio destino, la mia vocazione, la ragione per cui sono venuto al mondo.
Ringrazio Ettore per avermi svezzato e mio nonno di avermi amato così tanto da aiutarmi ad essere pienamente me stesso.
- FINE -
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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