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Il Riscatto 6 - Un Investimento fruttuoso

04.04.2025 |
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"Un’erezione lenta, calda, silenziosa..."
Passarono solo pochi giorni.Ettore era sempre più silenzioso, ma lo vedevo soddisfatto.
Aveva quello sguardo da imprenditore che ha comprato un asset sottovalutato e lo sta trasformando nel suo prodotto di punta.
Una sera mi convocò in salotto.
Aveva un completo scuro, cravatta stretta, lo sguardo imperscrutabile.
“Domani sera abbiamo una cena con un cliente importante. Non devi parlare. Devi solo essere te stesso.” mi disse “E, se serve, chiudere la trattativa a modo tuo.”
Annuii.
Sapevo cosa voleva dire. E cosa dovevo fare.
La cena si svolse in un hotel cinque stelle a Piazza di Spagna.
Lui arrivò per ultimo.
Sessantenne, pancia gonfia, occhi piccoli e dita corte.
Si chiamava Rinaldi.
Parlava forte, rideva troppo, beveva come se dovesse scordare qualcosa.
Appena mi vide, mi guardò strano.
“Questo è il tuo assistente?”
Ettore non rispose.
Mi indicò.
“È il mio assistente speciale.” Disse poco dopo
Rinaldi mi squadrò.
Mi sorrise in un modo che conoscevo.
Poi mi disse: “Tu mi ricordi qualcuno…”
Lo guardai negli occhi.
Era lui.
Un cliente.
Di anni fa.
Mi aveva caricato in macchina un pomeriggio di luglio.
Mi aveva preso dietro un capannone.
Aveva pagato venti euro.
Lui non mi riconosceva.
Mi si indurì il cazzo sotto al tavolo.
Un’erezione lenta, calda, silenziosa.
Ero eccitato.
Non perché mi stava guardando.
Ma perché non mi vedeva.
Eppure io sapevo chi ero.
Chi ero stato.
E cosa potevo ancora diventare.
Dopo cena, mentre Ettore prendeva una chiamata, Rinaldi mi si avvicinò.
“Se vieni su con me, domani firmo.”
Lo disse come una battuta.
Ma non lo era.
Sorrisi. Poi gli risposi: “Se mi paghi il taxi.”
Ettore tornò dalla sua telefonata, mi guardò con un’occhiata complice, come a verificare che tutto andassi secondo i piani.
Ricambiai con un sorriso lascivo.
Ettore disse che doveva andare e di farci il bicchiere della staffa per lui e rassicurandoci che il conto era aperto e lui avrebbe saldato.
Appena Ettore fu sparito dalla nostra vista, Rinaldi mi fece bere un gin tonic, poi prese la sua mano e la usò per massaggiarsi il cazzo già duro.
“Andiamo su.” mi disse passandomi una mano sul volto.
La camera puzzava di dopobarba e pelle artificiale.
Lui mi spogliò con lentezza, come se fossi un regalo da scartare.
Mi afferrò per i fianchi.
“Mi ecciti troppo, cazzo.
Non so cosa sia.
Ma mi fai sentire potente.”
Non dissi nulla.
Mi inginocchiai.
Aprii la patta dei pantaloni e con la mano glielo tirai fuori.
Il suo cazzo era corto, spesso, peloso.
Lo riconobbi subito.
Lo avevo avuto in bocca anni prima.
Ora era lì di nuovo.
Ero cambiato.
Ma la sensazione era identica.
Famigliare.
E mi eccitai da morire.
Lo presi con fame.
Lo leccai piano, poi più forte.
Poi me lo infilai in gola.
Mi scopava la bocca come se stesse cavalcando una toro meccanico.
Senza stile.
Senza grazia.
Ma io godevo.
Mi fece piegare sul letto.
Mi prese da dietro, ansimando.
Venni subito.
Il godimento di sentirmi di nuovo una troia da marciapiede era troppo forte.
Il corpo lo sapeva già:
questa era la mia casa.
La mia verità.
Il marciapiede in una suite.
La puttana che non chiede, ma prende.
Perché è questo che sa fare.
Quando se ne andò in bagno dopo avermi riempito il culo col suo seme, lasciò cinquanta euro sul comodino.
Nei patti c’erano altri zeri.
Ma non dissi nulla.
Mi vestii piano.
Il cazzo mi colava ancora.
Scendere nell’androne dell’hotel, da solo, con la bocca ancora impastata, fu come tornare alle origini.
Ma senza dolore.
Solo con orgoglio.
Rientrai a casa alle due del mattino.
Il taxi profumava di plastica e benzina.
Io no.
Io puzzavo di sperma, sudore, e hotel di lusso.
Quando aprii la porta, Ettore era sveglio.
Seduto sul divano, a petto nudo, con il bicchiere di whisky tra le dita.
“Benvenuto,” disse, senza ironia.
“Rinaldi ha firmato. Contratto da due milioni.”
Mi tolsi la giacca.
E mi avvicinai in silenzio.
“Sei stato bravo,” disse.
“Preciso. Elegante. Una troia di razza.”
Mi fermai davanti a lui.
Il cuore mi batteva piano.
Ma non per paura.
Per desiderio.
Desiderio di essere riconosciuto.
Desiderio di appartenergli.
Di essere suo. Ma anche più di suo.
Essere utile. Essere prezioso. Essere un investimento.
“Girati,” disse.
Mi voltai.
Mi abbassò i pantaloni.
Toccò il mio culo con una mano lenta, aperta.
“Ancora caldo,” mormorò
Poi mi prese.
Così.
In piedi.
Senza parlare.
Il suo cazzo duro, pieno, dentro di me.
Senza rispetto.
Ma con qualcosa di peggio: con diritto.
Mi scopò piano.
Con ritmo.
Come si assapora un vino che è maturato bene.
Che ha il corpo giusto.
Che vale la spesa.
Ogni affondo era un atto notarile.
Un versamento.
Un profitto.
Mi venne dentro.
Senza accelerare.
Solo affondando fino in fondo.
Poi si appoggiò al mio collo, ancora dentro.
“Stai fruttando bene,” sussurrò.
“Tra le marchette, i clienti, e i contratti… mi stai facendo guadagnare più di quanto avrei mai immaginato.”
Mi strinse.
“E pensa… non hai ancora finito il tuo primo anno. Sei un ottimo investimento, Paolino. Forse… il migliore che abbia mai fatto.”
Io mi sciolsi.
Mi inginocchiai lentamente, con il culo sporco e il cazzo duro.
E lo guardai dal basso, ansimando.
“Continua a usarmi.
Finché rendo.
Finché ti servo.
Finché godo.”
Ettore mi prese il viso.
Mi fece aprire la bocca.
Mi pisciò dentro.
E mentre ingoiavo, capii:
non ero più solo una troia.
Ero un asset.
E, cazzo, stavo funzionando alla grande
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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