Lui & Lei
l'amico.4

15.10.2016 |
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"Quello che era accaduto riguardava soltanto me, era in gioco il mio destino, avrei dovuto decidere in modo drastico e repentino sul cosa fare all’insorgere..."
Segue da amico 3. Niente. Nulla da fare! Continuava a scivolarmi via. Sui suoi movimenti i miei muscoli erano impotenti. Infiltrai una mano tra lenzuola e cuscino fino a raggiungere la fenditura e le infilai dentro due dita rubando spazio al suo grinzoso fallo che distintamente lo percepivo esibirsi nel suo sensuoso andirivieni. Una vampata improvvisa e violenta mi arse nel basso ventre seguito da un improvviso senso di calore al volto. In preda al delirio, un impeto di passione mi portò alla mente il tronco di baobab di un selvaggio mandingo che avevo visto alcuni giorni antecedenti in un film porno. Gigantesco, nero con la testa rossa e la virulenza di uno stallone. Sarebbe stato proprio attagliato per le mie turpitudini. La sorgente che avrebbe placato la mia sete inestinguibile di desiderio. L’esorcismo che mi avrebbe liberata dai demoni sempre in cerca di piacere e non a scopo procreativo. Lilith; una polimorfa perversa! Intanto egli, contratto, il suo godimento aumentava incontrollato, sospirava forte con rantoli degni di un agonizzante. Era come se fossi immersa nella acqua calda, il piacere si era impossessato dei miei sensi privandomi della ragione. Ero stordita e disorientata. Sentivo le mie resistenze affievolirsi poco a poco. Non avrei mai voluto provare quelle sensazioni celestiali in cui, esauriti quei brevi momenti, non avendo ancora sceverato le ragioni del suo atteggiamento, la mia vita poteva avere una svolta. Forse anche in modo tragico e definitivo. Avrei voluto guardarlo dritto negli occhi, avrei voluto dirgli che ero sua, che appartenevo solo a lui. Invece mi stava fottendo dal di dietro e ad ogni affondo percepivo tutto il suo disgusto. Ogni sua spinta conteneva, esprimeva, elargiva l’emblema del risentimento e del disprezzo. Viceversa, persi il controllo di me, del linguaggio e di ogni percezione cosciente. Tutte le mie angosce si dissolsero e fui invasa da un godimento esplosivo. Inarcai la schiena e ebbi uno spasmo. Mugolando di furore onde inarrestabili mi invasero trascinandomi in un orgasmo a sorpresa, inaspettato, inatteso. Non desiderato né preventivato. Non avrei voluto, date le circostanze, lasciare spazio alle emozioni. La reazione avvenne spontanea e inconsapevole. Mi sentivo come una spugna secca che aveva bisogno di assorbire acqua fresca per tornare me stessa, invece mi ero offerta a lui come un banchetto da gustare. Una preda ancora calda da sbranare. L’orgasmo mi aveva sopraffatta. Con un’onda dopo l’altra si era liberata in me una corrente che mi aveva fatta fremere. Sfinita, spossata, talmente esausta che ero sul punto di perdere i sensi. Fisicamente distrutta per il prolungato uso che era stato fatto del mio corpo, avrei voluto implorare clemenza. Invece, tra tormenti, obbediente e sottomessa, in una fiumana di parole tarpate, tra gemiti e grugniti ricevetti nella topa spellata viva, ma ancora fervente, gli ultimi suoi slanci veementi. Esaltato dalla mia impotenza, con ferocia mi sopraffece. Sentii il suo idolo palpitare e, con un respiro stertoroso, così prolungato da credere che non gli bastasse il fiato, disperse a schizzi il suo incenso nelle mie profondità che come una folgore ribollì nelle mie intimità. Un nubifragio che colmò la sua estasi. Nello spazio transitorio di tre ore la mia stamberga, rassegnata alla sua ineluttabile sorte aveva ospitato due ospiti inattesi. Era stata imbrattata da due copiose mani di untuosa vernice a spruzzo che non aveva programmato. Ancora a bocconi stesa sul letto avevo lui immoto su di me, disagiata, sentivo il suo caldo fiato sul collo. Il suo peso e il suo calore mi toglievano il respiro. Avrei voluto togliermelo di dosso come se fosse uno scomodo mantello. Tuttavia come allacciata dalle braccia pelose di un energumeno sopportavo in silenzio. Sentivo la sua carne intiepidirsi come un bozzolo vuoto dopo la partenza della crisalide lambirmi le pareti della mia vagina logora per poi molto lentamente sciogliersi. Quella notte, nel pressappoco di tre ore avevo provato due orgasmi, pochi se consideravo che in altre notti ne annoveravo sette o otto per poi perderne il conto. Trascorsi alcuni minuti finalmente fui liberata dal suo ingombro. Non era accaduto ancora niente di minatorio, ma l’aria che respiravo era intrisa di un clima inquisitorio. Al mio primo movimento lui attaccò con: *quando sono tornato ho trovato la basculante aperta, cioè era chiusa, ma il gancio era fuori dal buco, e quindi era come se fosse aperta: tu, ne sai niente?* Mi attendevo ogni sorta di domanda ma quella mi lasciò basita. --Non mi pare di essere uscita, l’ultimo sei stato tu ad andartene-- Riprese con, * Chi è venuto in casa questa sera?+ Domanda subdola e ingannevole alla quale non seppi cosa rispondere, quindi, tergiversai contrapponendo un’altra domanda. --Ma che mi fai il terzo grado?-- *Ci sono delle pedate sul pianerottolo delle scale, poi c’è disordine in sala e questo non è da te.* Cazzo! Era vero, stavo finendo il lavoro quando il montone mi acchiappò e così lasciai il lavoro incompiuto. Che rispondere? Feci appello a tutta la mia arguzia. Ma a quali impronte si riferiva? Non ne avevo idea. Se esistevano realmente, fingere equivaleva un evidente incontrovertibile misfatto che avrei voluto mantenere occultato. Per un attimo il panico mi colse. L’unica fandonia che mi venne in mente fu:--è passata una mia amica, mi sono distratta, poi è venuto tardi e stanchissima, assonnata ho deciso di rimandare il lavoro a domani. Puerile come risposta, lo sapevo, ma non mi venne altro. Riprese col chiedermi, *come mai sei nuda? È la prima volta che capita, hai sempre la camicia da notte e a volte anche il reggiseno.* Escludendo i primi incontri che erano avvenuti a casa mia, nel mio letto, rispondeva a verità. Di solito era lui che voleva spogliarmi, era lui che godeva nel farlo, e io lo assecondavo. Di questa vicenda ho già descritto dettagli nel precedente capitolo. Non vorrei ripetermi ma ritengo, anche se non essenziale, riassumerne succintamente al ingrosso alcuni particolari. ( Dapprincipio mi toglieva le mutande, poi insinuato tra le mie gambe la punta del suo pungolo cercava la mia fessura non ancora pronta per riceverlo. Abilmente me lo adagiava davanti alla angusta apertura con ancora il prepuzio che lo ricopriva. Poi lo spingeva dentro, così scoprendosi, la testa entrava nella anticamera che però essendo ancora riarsa gli bloccava l’accesso. Mentre io frignavo lui con una mano, quasi sempre la destra, scivolava sotto la camicia da notte e mi palpava le poppe, poi dopo qualche massaggio me le scopriva. Poi mi pizzicava i capezzoli facendomi male al limite della sopportazione, mentre da sotto spingeva senza remore. Resa nuda come mamma m’aveva fatta, compiaciuta dalla prova evidente del suo desiderio, il mio corpo reagiva umettandosi. Alzavo il bacino aizzandolo ad affondarlo con slanci crescenti fino a quando la mia carne si arrendeva e inumidita, morbida, bollente, esultante se lo inghiottiva tutto. Era così che a lui piaceva tanto, tantissimo: più guaivo più spingeva. Un messaggio sublimale mi confidava che per lui, ogni volta che mi possedeva, nella sua testa era come se mi sverginasse. Tuttavia era un metodo doloroso che non sempre gradivo e spesso, egli, reso presto incapace di contenere il proprio furore, non riusciva a placare le mie riattizzate voglie. Uno scopatore di mediocre levatura. Orgoglioso della propria virilità, con uno stile spicciativo non armonizzava mai sessualità e tenerezza. Insomma, mi scopava come il gallo prende la gallina. Ma, coraggioso, onesto, sincero e rispettabile sul piano umano.) Mi cautelai dicendogli --Tu non ricordi bene, e poi non ero nuda, avevo le mutande.-- Mi sentivo la pressione alta e il volto infiammato, una paura vaga e indecifrabile assillava i confini della mia coscienza. La mia voce roca ostentava una sicurezza che non avevo. Ero stata una ignobile adultera e l’avevo scampata bella, ma per incaute sviste, mi ero resa artefice delle mie disgrazie e ero precipitata negli abissi infernali, dove sola, indifesa e nuda stavo bruciando. La gogna si concluse quando mi arrivò la mazzata che più temevo: e, dandomi un colpetto di reni mi disse, *”qui” perché eri già così tanto lubrificata?* Compresi che non stava più nella pelle. Invocai i miei avi sperando che si rivoltassero nella tomba e intercedessero. Il sangue mi affluì al collo e al volto tanto che mi sentii la pelle in fiamme. Non avevo voluto scoprire le mie carte finché lui non avesse scoperto le sue e ora che l’aveva fatto avevo dinnanzi la fotografia completa. Qualunque argomento avessi adottato per negare sarebbe apparso poca cosa. Assunsi un atteggiamento aggressivo e mi arroccai nel disdegno. Feci appello alla mia sagacia e gli rifilai l’unica frottola che mi baluginò nella mente che ritenni attendibile. --Con la mia amica abbiamo pettegolato sui flirt che si perpetrano in fabbrica, così divampò la passione, e quando lei se ne andata, mi sono spogliata, sono andata a letto e mi sono masturbata. Poi, ti ho sentito arrivare, ho preso dal cassetto un paio di mutandine e cauta non mi sono più mossa. Il resto è dipeso da te. Non te l’avrei mai confessato se non mi avessi costretta a farlo. Mi vergogno tanto e sono altrettanto imbarazzata: ma, data la situazione mi costringi a dirtelo: non è la prima volta che lo faccio.-- Teatralmente risentita continuai. Categorica! Lapidaria! Imperativa! Implacabile! Con un tono che non ammetteva repliche ripresi con. --I tuoi metodi sono per me molto dolorosi, e spesso irrigidendomi non mi soddisfano, pertanto ho dovuto riprendere l’abitudine che praticavo da ragazza. Ma; da quando sto con te sono stata solo con te.-- Punto-- Avrei preferito si convincesse di avere nel suo letto una donna pervertita, o bisex, o addirittura una lesbica piuttosto che una infame infedele. L’istinto di sopravvivenza aveva avuto il sopravvento. Cercai di rimanere calma anche se la mia voce mi suonava incerta. Sapevo di aver istillato il germe del dubbio e ero certa che avrei dovuto temere la sua crescita. La mia rivelazione gli avevo inflitto una cocente umiliazione e non ci sarebbe più stato approccio terapeutico che l’avrebbe risanato. Sapevo molte bene che certi fatti, certe affermazioni tolgono a un uomo per sempre il sonno e l’appetito. Mio nonno mi diceva sempre che la verità prima o poi viene sempre a galla: ma che dovevo fare? Se avesse scoperchiato la verità sarebbe stato come gettare l’alcool sulla carne viva e le conseguenze potevano essere sconsiderate. La verità a volte guarisce, a volte uccide. Preoccupata, mi sentivo tutta la sua attenzione su di me, mi sentivo come se fossi al centro di un mirino. Era impellente risolvere la faccenda. Ritirai la mano che tenevo ancora tra le gambe, sgusciai sotto il suo corpo e scesi dal letto. In preda a una vertiginosa confusione di emozioni e un miscuglio di paure andai in bagno più per eclissarmi che per l’assoluto bisogno che avevo di igiene intima. Mi scervellai riflettendo sui fatti inverosimili che si erano verificati. La basculante chiusa scorrettamente da un inesperto, le impronte sul pianerottolo appena da me lucidato, il disordine che avevo lasciato nella sala, i miei indumenti da notte ancora appesi in bagno, e, dulcis in fundo la bicocca grondante. E non aveva scorto la pozzanghera sul cuscino. Esse furono le prime due punzecchiature che l’avevano allertato. Erano state coincidenze e fatalità o c’era dietro un proponimento? Comunque fosse erano decisamente troppe per essersi verificate in una sola serata: proprio in sua assenza e tutte convoglianti a un luogo e a un fine turpe e zozzo. Con la mente disseccata non riuscivo a comprendere perché “quel tipastro” che, entrato dalla porta principale se ne fosse andato per la via del garage, percorso che a “lui” per quanto ne sapevo avrebbe dovuto essergli sconosciuto. La basculante aperta fu il primo indizio che innescò una fatale catena di eventi, il seguito fu una conseguenza. Entrando vide le pedate sul marmo, in sala il disordine, in bagno notò i miei indumenti appesi e la mente gli divenne folle. Il timore e l’immaginazione presero consistenza e dovette appurare, spinto, quasi costretto a cercare la verità sul supposto e temuto tradimento subito. Per non perdere la faccia decise di farmela pagare, sfortunatamente per farlo avrebbe dovuto segare il ramo in cui entrambi eravamo seduti. Il cazzo gli si infervorò, gli divenne duro fino a scoppiargli. Non v’era più tempo per presumere, doveva sapere e c’era un solo modo per farlo e andava fatto subito. Non era certo uno da lasciare le cose a mezzo. Andava periziato a “macerie” ancora fumanti. Se c’era stato un uomo, alla perfida sgualdrina gli avrebbe lasciato la sua stigmate, proprio “là” in quel triangolo perfetto dove tutto converge al centro: nel bel mezzo delle cosce. Una bramosia incontenibile si impossessò di lui e seguì i dettami dell’istinto. Si spogliò rapidamente e si arrese alle impellenti esigenze del suo corpo e della sua mente cedendo a un impulso incontrovertibile. Così pensai che fosse andata, e solo così tutto aveva un senso: e chissà, forse anche un fine. Così, a conti fatti, tutto poteva combaciare. Anche se molti fatti mi risultavano ancora aleatori. Il “primo” era la sicurezza che ostentava il primo arrivato, il secondo era la tenuta che ebbe il mio compagno di letto. In un amplesso normale sarebbe venuto molto tempo prima. O forse sapeva quello che l’attendeva e prima di rincasare si era fatto una sega? O ancora peggio era stato con un’altra donna e il “primo” ne era a conoscenza da cui la sua sicurezza? Quell’uomo, “il clandestino” poteva aver architettato un piano per creare un guazzabuglio nella nostra copia lasciando esplicitamente traccia evidente di sé e del suo passaggio? Tutti enigmi che io non sarei mai riuscita a districare. Un dedalo in cui mi perdevo. Mi sforzavo nel capire e tentai in tutti i modi di sciogliere i rebus, ma tutto restava un mistero e il mistero mi mise paura. Lasciai perdere e mi dissi: ormai il dado è tratto. Avevo preso con “l’intruso” un impegno dal quale mi sarei defilata perché estorto con la forza in un momento in cui ero ottenebrata dall’estasi, ma, ”egli” non conosceva ancora la mia decisione avversa, per cui ero certa che mi avrebbe cercata. Di sicuro non gli avrei concesso di concimarmi il papavero con la sua supposta che sarebbe stata molto più consistente di quelle mutuabili della Carlo Erba che mi infilavano su da bambina. Ma, se l’avessi rivisto e in seguito anche solo intuito che tutto il bordello l’aveva creato di proposito con fini infimi, persuaso dalla mia anelante avidità di succhiarglielo, con l’astuzia di una ierodula glielo avrei preso in bocca e, con un energico morso l’avrei circonciso sputandogli poi in faccia il prepuzio mozzato e rimasto nella mia bocca. Ma per quella sera avevo altri, laceranti problemi. In quei dieci minuti di supplizio, sola in bagno lasciai che le lacrime mi scendessero dagli occhi nel modo più inglorioso. Stavo veramente male! Nauseata dalla vergogna e dalle frustrazioni tornai a letto. Era molto tardi. Con un tono sobrio e tranquillo gli dissi che ero stanca e avevo molto sonno. Ne avremmo ridiscusso l’indomani a mente riposata. Il buio invase l’ambiente e il mio cuore. La sua presenza nella stanza mi pesava come un macigno e un muro invisibile ai miei occhi e invalicabile alla mia ragione si era innalzato tra noi due. Sentivo il silenzio siderale che regnava assoluto nella stanza. Trascorse molto tempo prima che la mia mente si assopisse, ma presa dalla stanchezza mi addormentai di un sonno che non mi portò nessun beneficio. Sognai esplosioni, terremoti e vulcani in erezione. Mi svegliai di soprassalto intimorita. Provavo sgomento e paura. Un inestricabile garbuglio si contorceva nelle mie viscere. Affranta, inquieta, divorata dalla vergogna mi rannicchiai in posizione fetale cercando rassicurazione pur sapendo che per il mio dramma e per il mio sgomento nessuno avrebbe potuto né soccorrermi né aiutarmi. Ero sola nella mia solitudine e da sola avrei dovuto districarmi da quella incresciosa situazione nella quale ero precipitata grazie alla mia sconsiderata libidine. Mi sentivo misteriosa, governata da istinti e da una varietà di forze contrapposte, molte delle quali incomprensibili anche per me stessa. Una sensazione straziante mi invadeva e istintivamente le mie mani si posarono sul basso ventre comprimendolo proprio per mitigare l’agonia che da quel punto sembrava insorgere. Un fremito scaturiva da dentro, dal fondo. Un prurito che nessun strofinamento avrebbe rimosso. Nel suo interno si stava combattendo una battaglia all’ultimo sangue, ne sentivo il clamore e ne immaginavo le vittime. Spermatozoi di due uomini si stavano scontrando in un duello che non avrebbe mai avuto una fine. Una intuizione in cui associavo l’affluire del mio malessere, insopportabile e allo stesso tempo intollerabile. Motivata da quella anamnesi, scesi in silenzio dal letto e al buio tornai in bagno. Avevo un desiderio inalienabile di lavarmi, togliermi di dosso quel sudiciume che nessun sapone avrebbe potuto detergere. L’onta e il disonore mi denigravano. Dovevo mondarmi, cancellare l’immondezza, il sudiciume. Svitai lo spruzzo della doccia e regolai l’acqua alla temperatura del mio corpo, infilai un guanto di lattice nel flessibile che ne era rimasto e con i denti gli provocai una lacerazione. Come se fosse un serpentello lentamente me lo infilai nel mezzo delle gambe e lo spinsi su, in alto, fino a sentirlo toccarmi il fondo. Percepii il sollievo dell’acqua rigeneratrice e mondatrice scorrere nel canale vaginale scendermi mista a una zuppa acquosa e torpida dal fetido odore di uova marce lungo le cosce. Mi abbandonai a una catartica sensazione. Il tempo delle fantasie era finito. Quello che era accaduto riguardava soltanto me, era in gioco il mio destino, avrei dovuto decidere in modo drastico e repentino sul cosa fare all’insorgere del nuovo sole o la mia vita avrebbe potuto divenire una prigione dalla quale non sarei più evasa. Acutamente conscia che il sospetto di un tradimento, anche se non palesato, una volta insediato avrebbe implacabilmente agito. Anche se l’avesse apparentemente tollerato sarebbe riemerso ad ogni ricorrenza con deplorevoli reprimende mascherate da accoranti sottointesi. Dovevo salvarmi e dovevo farlo da sola. Repressi le emozioni e mi sforzai di ragionare secondo la logica. Col mio compagno non avevo legami legali; c’era stato un accordo - proviamo: era stato detto, tu sei sola io sono solo, il primo che cambia idea- -amici come prima - Non c’era amore profondo, non c’era l’inebriante idillio dell’innamoramento tra noi due e ero convinta che nessuno dei due avrebbe tragicamente sofferto. Era una vita che avevo scelto io e ora era inutile che mi rammaricassi. Conclusa l’abluzione mi acquattai e un torpore mi invase la cui intensità rendeva tutto il resto sbiadito e insignificante. Non ne ero fiera, ma così era andata, mi era stato somministrato del buon vino e in grande quantità, ma nessuno dei due mi aveva ubriacata. Mi sentii purificata e una decisione prese forma nella mia mente. L’indomani saremmo andati entrambi al lavoro e durante la pausa caffè avrei chiesto un permesso, sarei rincasata e sola, avrei lasciato un biglietto. - - - sono stata bene con te, ma ora sono venute meno le condizioni per continuare la nostra storia. Buona fortuna! - - - Rinfrancata da quella ardua soluzione, ormai aliena per quella stanza, tornai, conscia che sarebbe stata l’ultima volta che avrei giaciuto in quel letto, e, assopitami, sonnecchiante, attesi l’alba del nuovo giorno. Il mattino seguente, all’ora stabilita, ritornai davanti alla soglia di quella casa che calda e accogliente mi aveva ospitato e che improvvisamente era divenuta fredda e ostile. Entrai furtivamente come una ladra circospetta e guardinga. Inseguita da fantasmi mi arrampicai per le scale senza voltarmi e senza ascoltare le contumilie di mia madre che mi redarguiva con vituperi sudici e infamanti. Frettolosamente recuperai le valigie e raccolsi le prime cianfrusaglie dal bagno, passai alla stanza da letto e feci altrettanto. Con un nodo alla gola, straziata e costernata rifeci il letto sul quale profusi le mie ultime copiose lacrime e frettolosa uscii dalla stanza. La mia presenza al suo interno rintonava come se avessi profanato un tempio sacro. Entrai nella sala, nel luogo di perdizione in cui scorsi la pelle di vacca che decisi di lasciarla. Mi rammentai del cuscino rovesciato e non ancora imbrattato; non potevo lasciarlo, sarebbe stata l’ammissione della mia colpevolezza. Lo rubai! Forse la rapina sarebbe passata inosservata. Vedere quegli oggetti così vivamente associati alla mia vita, mi fecero pensare ai momenti esilaranti vissuti con lui e di nuovo mi sentii insorgere un’indicibile nostalgia. In preda all’incertezza accarezzai la superficie levigata del tavolo e con sconsolati singulti mi portai nell’ultimo antro. Aprii la porta e uscii, un ultimo sguardo al brigante pianerottolo di marmo delle scale, reso di nuovo lindo, lucido, immacolato. Tirai la maniglia e la porta che; come una lapide di marmo che chiude un sepolcro, si richiuse con un tonfo cupo inumando un capitolo della mia vita. Nel silenzio che ne seguì riuscii a sentire il fruscio sommesso della leggera brezza sulle foglie della magnolia, del tiglio, del ginkgo biloba. -Addio monti e sorgenti delle acque, cime elevate al cielo- Mi girai e carica di pesi e flagelli, con una fredda nausea, misi un piede davanti all’altro e come un robot che non risponde più ai comandi superai il cancello: l’ultimo baluardo. Inaspettatamente mi sentii incredibilmente libera e allegra come se un peso mi fosse stato tolto dalle spalle. Respirai a fondo riempiendomi i polmoni dei dolci sapori estivi. Il mio spirito si riaccese e librò come un falco sciolto dai legami improvvisamente consegnato alla meravigliosa libertà del vento e del cielo. Ero tornata libera da impedimenti e avevo davanti a me una vita tutta da vivere. Con un impeto di eccitazione, salii in auto, girai la chiave e il motore ruggì, un ultimo sguardo, un ultimo cenno di saluto e mi girai verso la strada che portava alla mia vecchia dimora. Non sapevo ancora che senza avvedermene mi stavo gettando nella braccia della solitudine. -FINE-
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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