Lui & Lei
il mandingo

13.11.2019 |
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"Lui, rinvigorito, rinnovò gli affondi, forò, strappò, forzò la strada tra le tenue membrane che lo ostacolavano..."
1°- Lo confesso fin da subito, adoro scrivere, ma non sono una scrittrice. Dovendomi a tutti i costi forzare, spero che mi onorerete col vostro tempo speso nella lettura. Con i stentati rudimenti di cui dispongo, cercherò di offrirvi delle suggestioni, ma solo voi deciderete se permettergli di raggiungervi. Il mio intento è di narrare quei momenti intensi vissuti lungo il corso della mia vita, quelle esperienze fatte in giro per il mondo, quelle emozioni provate, raggrupparle in maniera suggestiva e offrirle a voi cristalline come erano alla sorgente.Disseminate come semi di piante rare, mi sono decisa di metterle su carta prima che vengano rimosse dalla mia testa e cadano nel silenzio indipendentemente che vengano, nel breve, lette o meno. Nessuna delle storie che ho narrato e che narrerò sono inventate, una autobiografia della quale me ne assumo la titolarità e responsabilità.
Mi auguro che la lettura stimoli le vostre menti. La storia che ho scelto di raccontarvi tra le tante mi ha portato fin qui, in queste pagine.
Era l’estate del 1990 e stavo per compiere17 anni. Un pomeriggio andai insieme a mia madre dalla parrucchiera. Un evento che si verificava raramente, ma ogni tanto capitava. Era un venerdì e la professionista la riscontrammo alquanto agitata. In breve ci avvertì che avremmo dovuto avere pazienza poiché era sola. La sua dipendente stava per partorire, così dovendo far tutto da sola le conseguenze potevamo immaginarcele. Nel mentre serviva altre clienti, nei vari commenti ci comunicò che era alla ricerca di una sostituta, ma al momento le cose stavano così. Mia madre, sempre sagace in quella rotta, considerando che ero in vacanza, -senza nemmeno chiedere il mio parere-, ebbe l’idea brillantissima di offrire la mia disponibilità. Io avevo già un impegno di lavoro da un artigiano, ma essendo solo di due pomeriggi, il martedì e il giovedì, mentre la parrucchiera avrebbe richiesto la mia presenza dal venerdì al sabato sera, ci stava, si poteva fare. Avrei imparato un nuovo lavoro e avuto un beneficio economico: sempre e tanto apprezzato da mia madre. Così iniziai formalmente proprio il mattino doppo presentandomi, senza troppo entusiasmo, al mio nuovo e doppio impegno di lavoro. Indossai il camice che apparteneva alla partoriente e venni istruita su quelle che sarebbero state le mie mansioni, le quali altro non erano che pulire, mantenere in ordine, lavare teste e infine raccogliere i capelli dopo il taglio effettuato dalla professionista: un concentrato di sensualità e provocazione, bionda ossigenata sui trent’anni, coi capelli lunghi da arrivarle a coprirle le tette. L’inizio, dire che fu opprimente sarebbe un eufemismo, solo verso il sottosera l’atmosfera sembrò elettrizzarsi, finché inaspettatamente venne fuori l’euforia. Le clienti in attesa, dapprima conversavano in un gergo che comprendevano solo loro, poi si lasciavano andare in espressioni libere e in battute di spirito, poi i toni contenuti divennero in seguito sempre più sfrontati. Cosa potevano riguardare i pettegolezzi se non sesso e tradimenti? Da quell’ambiente appresi come le comari del paese, seppur mature e maritate, fossero così malelingue e maligne. Ormai fuori controllo, una cliente fece una indiscrezione su di un interlazzo del quale solo lei ne era a conoscenza per cui si raccomandò non uscisse da quella stanza, e categoricamente enunciò: qui lo dico e qui lo nego. Iniziò a raccontare con una voglia che non riusciva a contenere, che in un paese confinante ci stava un “Tizio” il quale era dotato di un cazzo talmente grosso che anche le prostitute si rifiutavano di prenderlo. Una “Tizia”, -moglie di “Caio”(nome e cognome) che abitava adiacente alla narratrice, ne venne a conoscenza e incuriosita si barcamenò fino a quando riuscì ad adescare e attirare quel “Tizio” tra le proprie gambe. Tuttavia la linguacciuta purtroppo non conosceva l’esito dell’incontro. Il contesto suscitò euforia, così saltò fuori che un’altra conosceva un uomo tanto basso di statura da sembrare un nano, ma si sa che dove la natura toglie, dall’altra parte dona, tanto che ha voluto compensarlo con un cazzo tanto lungo da arrivargli alle ginocchia e grosso come quello di un cavallo, il quale venendo rifiutato da ogni femmina, compreso le meretrici, finì per rimediare accettando la proposta di un matrimonio combinato tramite un mediatore con una donna di S. Benedetto del Tronto che, ignara dei retroscena, senza indugi lo sposò. La notizia, tanto era bastata per portare i battibecchi alla massima potenza. Quale sia stata l’odissea di quella sventurata o fortunata sposa durante la luna di miele non ne era a conoscenza, ma si sapeva di certo, poiché era lui stesso a vantarsene e diffonderlo nel volgo dei bar, che mentre la fotteva ululava inverosimilmente di piacere e lui doveva indossare un anello di protezione per non sfondarla. Io, da buona novizia, schiava della curiosità, restavo in silenzio e drizzavo le antenne fingendomi non curante delle storie di sesso degli altri che invece risultavano schiettamente stuzzicanti per la congrega. In breve l’ambiente si animò. La mia datrice di lavoro, la bionda ossigenata, esordì di getto con un profilo statuario che ella non sarebbe mai stata con un uomo se prima non l’avesse adocchiato prima lei stessa. Restando a lungo ad ascoltare, ho iniziato a comprendere come la dimensione del cazzo abbia una propria forza, che agisca sulle psiche con una propria energia. Come il gigantesco, il superiore possono generare tanto spavento quanto ammirazione. Demonizzato o esaltato, nessuna delle presenti era rimasta indifferente alla suggestione verso l’aspetto puramente carnale. Io stessa, laggiù, in mezzo alle cosce la fossa mi si era sbrodolata. Una cliente che fino ad allora era rimasta in silenzio intervenne, con un percettibile balbettio, sostenendo che un cazzo “tosto” era senz’altro preferibile, tuttavia era più importante il come veniva usato, e insistette precisando che le qualità di un uomo che di solito attirano maggiormente una donna, sono le stesse che lei non potrà più sopportare anni dopo. Nell’ambiente cadde il silenzio, poi teorizzò che, se il sesso inizialmente può rappresentare solo gioia, in seguito possa prendere riflessi di sofferenza. L’allusione aleggiò nell’ambiente, forse lei ne sapeva qualche cosa che avrebbe dissertato, ma il dibattito terminò bruscamente quando una cliente venne messa sotto il casco. Sulla questione, sulla quale io stessa nutrivo dubbi, si sarebbe potuto discutere all’infinito senza giungere ad alcuna conclusione. Lo stesso argomento per il quale mi ritrovo, dopo aver visto il film: “Mandingo” il quale e stato un espediente utile a ricordare e rievocare episodi vissuti in precedenza dal patrimonio contenuto nello scatolone del mio passato e descriverlo in queste pagine. Ma non precorriamo i tempi. A quel tempo io non ero proprio un astro incontaminato, anzi direi che avevo maturato una esperienza sul campo che valeva un paio di lauree e se mi fosse stato chiesto di esprimere il mio parere, con una certa cognizione di causa avrei avallato la sua tesi, almeno nella prima parte, soppesando su di un particolare: a che servivano strumenti poderosi se il suo detentore apparteneva al battaglione di tutto fumo e niente arrosto che puntavano direttamente all’arrembaggio e venivano ancor prima di infilzarlo nella figa se non per infiammare a vuoto, accendere la vampa e beffare l’estremo desiderio?
2°-A 13 anni sono stata sverginata, per mia scelta, così, un po’ per provare com’era, un po’per invidia e un po’ per emulare una mia amica la quale mi aveva preceduto nello slattamento da poco, e, non per fatalità dallo stesso cazzo. Dopo la cerimonia inaugurale della deflorazione, della quale avevo ancora il ricordo indelebile del momento chiave della spaccata, le scopate, che definirei “sperimentazioni”, continuarono con mio fratello più grande di me. In seguito ebbi alcune esperienze con coetanei. Nel frattempo conobbi un uomo ammogliato, più grande di me di trent’anni, che la dea fortuna ha messo sul cammino della mia vita, col quale ho iniziato un flirt altamente segreto e “illecito” che tuttavia, a suon di contanti, con la mia totale disponibilità, ha reso utile, piacevole e redditizio, tanto che mi era fatta un piccolo capitale. Vincere le iniziali diffidenze, mettermi nuda, prendere in bocca il suo cazzo, aprire le gambe, soddisfare le brame di un vecchio affamato non è stato semplice. Ma poi il suo repertorio praticamente infinito delle variazioni sul tema ha funzionato, al punto di comprendere che per fare sesso non dipendeva dall’età ma dalla confidenza e dall’affiatamento. In seguito diventai la sua cocca e posso ribadire che quell’uomo attempato, che inizialmente ritenevo apparentemente un porco, mi ha regalato con affetto e dovizia emozioni sempre più appaganti, e nel contempo mi rendeva possibile avere tutto quello che desideravo. A lui devo tutto quello che sono stata e quello che sono ora. Questa ultima serie di episodi che mi riguardano, li ho qui brutalmente sintetizzati, poiché li ho ampiamente menzionati nei miei precedenti racconti, per cui trovo sconveniente farne un duplicato.
A tarda sera finalmente anche l’ultima cliente se ne andò e io ebbi un’idea di quanto impegnativo sarebbe stato il lavoro che mi attendeva nelle settimane successive. Rapidamente ci liberammo entrambe dei camici per indossare gli indumenti quotidiani, quando grazie a un gioco di specchi intravidi la bionda ossigenata togliesi il reggiseno e rivestirsi per il viaggio verso casa: e quello che vidi mi lasciò alquanto sbigottita. Mi resi conto che in precedenza indossava un reggiseno imbottito e quando se lo tolse vidi il suo petto piatto, molto assomigliante a quello di un uomo. All’istante pensai a un travestito, ma i suoi fianchi sexy, le sue lunghe cosce delicatamente tornite in una florida rotondità, un fisico tonico e snello mi tolsero i dubbi. In auto, mentre mi stava accompagnando a casa mia, mi chiese, avendo un impegno per quel giorno, se il lunedì successivo potevo farle la cortesia di sostituirla per fare le pulizie settimanali al posto suo. Subito risposi con un --oddio--ma poi se anche con una bella dose di dubbio dissi di sì.
Così, come nei patti, in bici alle ore quattordici mi recai sul posto. L’accesso al “salone” era possibile attraverso la porta principale di due vetrate e un’altra secondaria che dall’interno comunicava col corridoio del condominio di cui faceva parte. Non avevo le chiavi della porta principale che essendo il giorno di chiusura era chiusa e protetta dalla grata, per cui mi addentrai per l’ingresso comune dell’edificio, indi la porta secondaria. Appena entrata, come mi era stato raccomandato, essendo una lavoratrice non regolare mi chiusi all’interno, poi mi misi le chiavi in tasca per non smarrirle. All’interno il caldo era soffocante, così mi tolsi tutto di dosso restando solo con gli slip. Indossai un camice da lavoro di mia madre e mi misi al lavoro.
Dopo grosso modo un’ora il telefono squillò. Non mi era stato riferito nulla in proposito per cui senza riflettere alzai la cornetta e dissi: --pronto:parrucchiera xxxxxx.-- # Ah, sei lì. # Poi un clic mise fine alla chiamata. Chi poteva essere? Fu talmente rapido che avevo persino dubbi se fosse stata la voce di una donna o di un uomo. Una cliente? Forse poteva essere la stessa titolare che aveva voluto accertarsi se avevo mantenuto l’impegno. Comunque fosse non potevo saperlo e non mi angustiai poiché le grate erano abbassate e la seconda porta chiusa a doppia mandata. Tuttavia, mi sbalordii dal fatto che una semplice telefonata imprevista avesse avuto il potere terribile di rendermi una femminuccia. L’ambiente era diviso in tre reparti: una sala di attesa, una dove veniva svolto il lavoro dalla professionista e un sgabuzzino usato come lavatesta che dal suo interno dava accesso al condominio. Nel mentre stavo pulendo un casco nella sala principale, avvertii la chiave girare nella serratura, poi la porta secondaria aprirsi e richiudersi. Impossibile! Circospetta, mi accostai alla porta interna che la divideva dallo sgabuzzino e quello che vidi mi lasciò esterrefatta. La figura imponente di un uomo apparve al mio cospetto. Era alto almeno un metro e novanta, corpulento, oltretutto in divisa. Non starò a precisare di quale corpo per non interferire sulla possibilità di un riscontro. Alla vista di quell’uomo, i miei primi sentimenti furono di sorpresa e di paura, anche se essendo in divisa di primo acchito presupposi non potesse essere pericoloso. Naturalmente sarei scappata via se la mia inesorabile incertezza non mi avesse trattenuta: del resto entrambe le porte erano chiuse in modo tale che mi sarebbe stato impossibile uscire senza usare violenza e con il suo permesso e, imporgli di sparire non sarebbe stata una soluzione convincente. Ero condannata quindi a rimanere lì finché non si sarebbe deciso cosa fare.
La monumentale guardia mi guardò fisso negli occhi con uno sguardo che mi sembrò interrogativo, leggermente trasfigurato. Pochi istanti di silenzio vennero interrotti quando con una voce potente prorompette con : # e tu chi sei?# Non riuscì a darsi una risposta e quindi per un istante, si trovò anche lui in una situazione imbarazzante. La mia testa improvvisamente iniziò a riempirsi di vuoto. Sentii i brividi nel corpo e credo di essere sbiancata in viso. Non sapevo assolutamente come comportarmi. Quegli istanti rimasti scolpiti nella mia memoria, mi parvero una eternità, ma in realtà durarono solo pochi attimi. Non so se dissi o a pensai di dire:--come è successo! -- Ancora pervasa dalla paura, forse da un vero terrore, scorsi il gigante che esitante lanciò un’occhiata febbrilmente per tutto il mio corpo soffermandosi in direzione del mio inguine.
Solo allora mi resi conto di avere il grembiule slacciato e mettevo in mostra buona parte del seno, la pancia e mi si vedevano per intero le mutandine trasparenti dalle quali traspariva un stravagante ciuffetto di muschio nero e ai bordi debordavano riccioli che si drizzarono come chiedere di essere vezzeggiati. Ero così confusa e turbata che presa dal panico e dal pudore rimasi come impietrita. Non sapevo assolutamente come comportarmi, ma dopo pochi istanti venni sollevata dall’imbarazzo perché fu lui a prendere l’iniziativa saltandomi addosso. Ancora in quello stato assurdo di disorientamento, il gigante che a prima vista era sotto i trentacinque anni, mi spinse contro il muro, si acquattò contro di me, e senza cerimonie e preamboli mi baciò prima sulla bocca, poi puntò sul collo, continuò affondandomi il viso tra le tette e si mise a succhiarmele con passione. Le sue labbra sapevano di tabacco e caffè: il sapore di un uomo maturo. Mi sentivo quasi svenire, daccapo sopportai senza un lamento, poiché non avevo la forza di parlare o di chiamare aiuto. Avvertivo le sue mani viziose palpeggiarmi profanando tutto il mio corpo. Avvolta come da una piovra me le sentivo dappertutto, finché ebbe l’ardire di farmele scivolare sulla parte più alte delle cosce nude, che poi si sforzò di aprire ma che io tenevo ostinatamente chiuse: era troppo! Esaltato dalla mia inerzia e dal mio silenzio avvolse tra le dita il bordo degli slip e con un paio di movimenti efficaci me le sdrucì. Finalmente trovai la forza di frignare: --la supplico, mi lasci.-- Fu come implorare il vento, l’atteggiamento e il disordine in cui mi trovavo non fecero che infiammarlo. succube di un desiderio che non riusciva a controllare, si apri la cerniera dei pantaloni e manovrò senza che io potessi vedere cosa stesse maneggiando e, sbuffando come un toro rinnovò il suo attacco. Mi afferrò e tentò nuovamente di forzarmi le gambe con il ginocchio per aprire gli spazi e cercare di infilarsi quel tanto che gli bastava per dirigersi verso la meta ambita. Ne fui spaventata, benché si trattasse di una persona che, di prim’acchito non poteva essere pericolosa. un pregiudizio davvero sciocco pensare che le persone per bene debbano per forza non essere preoccupanti.
3° --La prego signore, si fermi.-- Ma quel ciclope, che sembrava essere molto compiacente dalla mia inattesa presenza e troppo infiammato per essere tenuto a freno, ha perseverato nella sua illecita condotta: e le sue non erano velleità, mentre io non ero in grado di razionalizzare e controllare l’ansia.
Compresi facilmente, dai movimenti delle sua mani, che desiderava soddisfare la curiosità, piuttosto naturale di toccare e accertarsi dell’esistenza dell’oscuro bersaglio. Ma il progetto gli stava andando storto poiché il divario tra le nostre stature, la posizione non confacente e la mia ritrosia gli toglievano qualsiasi speranza di successo, o almeno di un successo facile. Oltretutto, doveva, anche se a malapena sovrastare la mia resistenza per impedirgli di fare ciò che voleva. Ormai infiammato dalla vista e dal contatto la passione aveva preso il pieno possesso con tutti i suoi sintomi. Recependo la mia negazione, mi afferrò con una mano dal di dietro, tra le chiappe e dopo avermi avvinghiata a lui intimamente come un tralcio d’uva, mi sollevò come se fossi un fuscello facendomi sentire quelle forze in movimento che premevano sul mio corpo e si indirizzò portandomi con sé nella sala di attesa dove ci stava un divano sul quale mi lasciò cadere. Ormai ero così malconcia, spossata dopo quella lotta impari, ancora stupita e malinconamente disperata, tanto, che dopo tutti quegli avvenimenti non avevo ancora recuperato il mio spirito. E come sempre la mia emotività, la mia reattività e la mia indeterminatezza non mi furono di nessun aiuto. Supina sul divano, praticamente nuda esponevo tutte la parti essenziali ai suoi occhi. Ancora una volta stavo per supplicarlo di andarsene avvalendomi sulla possibilità di un repentino rientro della principale, quando indirizzando lo sguardo nella sua direzione vidi quello che gli usciva dalla cerniera abbassata. Mamma mia! Fino a quel giorno avevo visto e provato una decina di cazzi ed ero convinta che nulla mi avrebbe più turbata, ma quando vidi quello così grosso e così spesso le cui dimensioni potevano appartenere solo a un gigante proprio com’era lui, ebbi un brivido di spavento. Era lucido come avorio vivo. Per non parlare della cappella, larga e bluastra, perfettamente tornita. La sua gagliarda durezza ne stirava la pelle, liscia e levigata. Si issava come un’arma minacciosa puntata contro il cielo che se avesse provato ad infilarmelo nella figa con quelle dimensioni così sproporzionate, così eccezionali avrei corso il rischio di essere rovinata o quanto meno di strapparmi una seconda deflorazione. Ne avevo sentito parlare, ne avevo discusso, ma avere la ventura di vedere dal vivo un cazzo del genere mi mozzò il fiato in gola e allo stesso tempo mi sentii male al solo pensiero che avrebbe fatto un tutt’uno col mio corpo. Da supina mi sedetti sul divano, sgomenta, confusa. Tutto si era svolto così rapidamente che non avevo ancora compreso con chi e per quale cagione mi trovassi in quella situazione, pur tuttavia reperii l’animo di dire: --no! Mi fai paura!-- Il fuoco ardente che bruciava nelle mie guance, il rapimento e la timidezza mi confusero al punto da non rendermi conto di aver usato il tu! In un’altra situazione avrei deciso di non retrocedere di fronte a una difficoltà o a un imprevisto di quel genere e misurarmi con quella minaccia, tanto, dal momento che non ero più vergine che avevo da difendere?
Cosa dovevo fare? Una di quelle domande per le quali non potevo delegare la risposta, e soprattutto non potevo posticiparla. E come sempre accadeva, la conseguenza fu ineluttabile. Si slacciò i pantaloni e li abbassò, e questo significò con certezza assoluta l’avvio della licenziosa impresa. Non mi andava giù che quell’omone mi si fosse avvicinato a quel modo, ma ormai avevo saltato il fosso e decisi che non era più il caso di frenare e tornare indietro avviando una lite. Oltretutto il mandingo era surriscaldato dalla situazione, trasportato da un desiderio incontenibile che non sarei comunque riuscita a tenerlo per le briglie. Non feci nemmeno in tempo a dimostrare la mia rassegnazione che ebbi a pochi centimetri la spaventosa cappella con tutto lo sconvolgente assemblaggio che la natura potesse costruire. Come fare a non prenderlo in mano e sentirne tutta la sua lunghezza, tutta la sua larghezza e la sua consistenza? Dopo averlo parametrato ne fui sicura, non mi era mai capitato di avere a che fare con un cazzo così grosso e spesso. A quel punto, quando sentii il tocco della grossa testa sulle mie labbra, sollecitata dall’eros della curiosità, con malizia giocosa non ebbi più remore e aprii la bocca. Potrei dire spalancai poiché nonostante avessi preso la posizione più aperta solo una parte della punta della cappella riusciva a accedere. La grossa verga spingeva con colpi nervosi, ora sopra ora sotto, ma fu tutto inutile: l’ingresso era troppo stretto e temevo che se avesse insistito si sarebbe graffiato la cappella contro i denti. Ci provai in tutti i modi, ma fu veramente problematico, provai a ingegnarmi di lingua ma mi sentivo di affogare. Mentre stavo dando del mio meglio udii un vociferare, quasi uno schiamazzo di bambini che accompagnati da adulti passeggiavano davanti alle vetrate del negozio che dava sulla pubblica via. Ebbi un sussulto, mollai l’osso e diedi un’occhiata alla mia sinistra. Il divano confinava da un lato alla vetrata e io c’ero seduta sopra con un cazzo in bocca alla distanza di un metro circa. Difficile riprodurre in parole l’emozione che ho provato richiamata dalle grida di quanti continuavano a sostare e passeggiare nel sospetto di essere scorta con cotanto cazzo in bocca, mentre egli, chiunque fosse, non ci diede alcuna importanza comportandosi come se fossimo due figure astratte. Una indifferenza determinata della tenda che aderente alla vetrata permetteva la vista dal di dentro verso l’esterno ma non viceversa, una peculiarità che lui doveva inequivocabilmente aver già sperimentato. Quella penosa constatazione mi delucidò d’un sol colpo sul pastrocchio in cui senza averlo propiziato ero stata implicata, dal quale ne dedussi inoltre che quell’uomo aveva un intrallazzo con la mia datrice di lavoro e la sua presenza fisica nel negozio era stata fattibile perché era fornito di una copia di chiavi da lei stessa fornitogli. Ne dedussi che dopo la ignota telefonata esploratrice, senza nemmeno attendere la risposta era partito di gran carriera intenzionato a farsi la bionda trentenne con la quale doveva essere in grande confidenza, ma inaspettatamente, trovando me al suo posto, in quattro e quattr’otto stabilì che una figa vale l’altra, per cui decise di deliziarsi di una ragazzina nemmeno ventenne con una freschezza tutt’altro che spiacevole, spudoratamente e senza scrupoli, senza nemmeno contemplarne le conseguenze.
4- La fedifraga, -perché era risaputo che aveva un compagno,- doveva essere una buongustaia e io mediante quell’accadimento sgradito quanto inatteso ero venuta a conoscenza di quella peccaminosa tresca di corna e cornetti. Quel chiarimento spalancò dentro di me scenari disparati e non potetti evitare un brivido lungo la schiena che sapeva di terrore. Come avrebbe rimediato lo spavaldo dongiovanni dopo aver esaudito le sue aspettative per zittirmi e impedirmi di promanare il dissoluto scandalo? Un’idea terribile, mai concepita prima mi assalì pietrificandomi, poiché la mia testa mi indicò una sola soluzione: sopprimermi. Non avevo un motivo particolare per arrivare a quella conclusione, ma le mie sensazioni mi facevano presagire una situazione disperata, tanto che si legarono inevitabilmente a una immagine di morte. In quel momento mi balenò davanti agli occhi la vivida fotografia giudiziaria di una ragazza senza vita, nuda riversa sul pavimento. La scena sordida avrebbe rievocato le tracce, in un quadro terribilmente erotico, di una violenza e di una brutalità spaventosa. La mia posizione di debolezza mi indicava che era inutile respingere l’attacco dello scalmanato essendo ormai considerata la sua preda. Se non addirittura inopportuno stressare la situazione. Mentre lui non avendo lasciato segni di scasso se la sarebbe cavata a mano-salva e a nessuno sarebbe mai venuto in mente che poteva esserne coinvolto. A quel ulteriore pensiero sprofondai in una mescolanza di vergogna e di rassegnazione coesa a un angoscia sempre più buia. La mia sottomissione il perfetto sconosciuto la interpretò come propellente, poiché di fatto mi ero disposta, appoggiata sul divano con le gambe flette, senza alcuna reazione ad accogliere i fatti che ormai mi apparivano inevitabili. Ormai mi consideravo carne da macello. Era passato poco più di un quarto d’ora da quando fece la sua inattesa comparsa, e mentre io assorta vedevo scorrermi davanti le scene di un film macabro, lui si stava dilettando a toccarmi le tette. I capezzoli, seppur indignata per essere palpeggiata con tanta familiarità da un estraneo, si erano induriti e raddrizzati come due piccoli cazzi. Mi tolse definitivamente il grembiule che ancora portavo e subito dopo, inginocchiato al mio cospetto, si slaccio la cintura e rapidamente si abbasso i pantaloni mostrandomi i fianchi robusti e mettendo a nudo il suo rigido e sproporzionato manganello dalla testa rossa, radicato in una fitta peluria. Dopo avermi sbaciucchiato senza trascurare nessuna parte, insinuò, infilandomi la mano tra le gambe e raggiungere il posto non disponibile pochi momenti prima. Ma quella volta le gambe si aprirono e trovandomi meno ritrosa in ginocchio tra le mie gambe le sue dita raggiunsero a tentoni l’oggetto principale dei suoi desideri. A quel punto il tocco delle sue dita furono il colpo di grazia e abdicata a essere immolata, gli lasciai campo libero aprendogli lo scrigno. Mi si avvicinò, mi mise nella posizione più aperta e comoda possibile per favorire al suo arnese di trovare il caldo passaggio. Il primo assaggio lo percepii troppo in basso, sarebbe stato mio compito guidarlo se fossi stata partecipe, invece sopportavo immobile, seduta sul divano a gambe aperte, disorientata, senza vita né spirito, e senza sapere come comportarmi o dove guardare. Un secondo tentativo più fortunato centrò il bersaglio e l’anfratto si aprì. La testa morbida, tondeggiante ma estremamente voluminosa dello strumento spingeva nel punto cruciale, lo sentivo premere dentro la fenditura, ma per quanto spingesse non riusciva ad aprirsi una breccia. Le labbra seppur dilatate al massimo costituivano un passaggio troppo stretto nonostante la sua determinata impulsività. Come se si chiedesse cosa stesse succedendo, lo tirò fuori e se lo lavorò di mani poi, tutto scappellato, lo ricaccio dov’era e subito mi sottopose ancora a colpi più veementi, ma l’’enorme attrezzo di quell’impudico nonostante le spinte non riusciva a passare. Mai in vita mia avevo sofferto tanto. Lui insisteva sempre pressando allo stesso modo sferrando colpi irritanti, finché riuscì a farlo entrare di pochi millimetri, ma sufficienti a convincerlo di essere sulla strada giusta e non essere da parte mia osteggiato. La verga era troppo grossa per la mia misura e in più l’ansia mi aveva impedito di prepararmi il terreno. Lui spinse ancora più forte, lo strofinio della grossa cappella contro la fossa mi stava lacerando le delicate mucose. Forse prospettando di darmi la prima lezione al piacere, bruciava d’impazienza e spingeva e sbatteva con tanta forza e rapidità che faticavo a sopportare. Avrei potuto gridare e qualcuno dei passanti mi avrebbe sentita, ma non lo feci. Avevo le mani libere per cui avrei potuto graffiarlo a sangue, ma non lo feci. Avrei potuto tentare di ribellarmi e scappare, ma restai. Mi limitai, con un timido e rispettoso, --hoo, signore, non mi faccia del male!-- Quella supplica bastò per lasciarlo sbigottito, ma non ad abbandonare un posto il cui tepore gli aveva fatto assaporare un piacere che ora voleva soddisfare ad ogni costo e la nuova invasione non si fece attendere. Un insistente strofinio tra la calda guina mi avvertì che l’apertura aveva ceduto e l’ariete con forza si stava aprendo una breccia. Ma nonostante la sua febbrile attività non riusciva a guadagnare molto spazio. quando la grossa cappella era arrivata più o meno a metà strada mi resi conto che stava succedendo qualcosa di anomalo, troppo singolare per poterlo definire. L’estrusione della enorme testa sfrigolando carne con carne dentro la fenditura, titillava tutta la zona labiale al punto che la topa pelosa reagì per suo conto: autonomamente. Si può provare un orgasmo senza provare nessuna emozione, nessun godimento, nessun stimolo, nessun brivido, né sensazione? La risposta è si! La mia stessa figa mi aveva tradita.
Solo qualche spasmo involontario ma sufficienti a provocare quella iniezione balsamica con cui aveva irrorato le mie pareti interne. Non compresi se lui se ne rese conto, ma in quel frangente raddoppiò i suoi sforzi e piano piano il grosso arnese incominciò a salire verso l’alto. E siccome ogni azione produce un effetto, una volta per tutte sentii l’enorme attrezzo duro farsi spazio prepotentemente e, trovando l’interno reso scivoloso dal miglior lubrificante per eccellenza, gradualmente avanzò lungo il canale che, trapassato coercitivamente continuava ad espandersi. Mi sforzai di non urlare per il dolore dovuto alla dilatazione e resistetti impassibile, finché con un colpo potente affondò lo spadone fino all’elsa. Dopo si susseguirono ulteriori spinte di assestamento che assunsero una certa ritmicità: e io lo avvertii al completo, testa e verga dentro di me. Ooh, come stavo male! Lacerata oltre ogni sopportazione e colma da scoppiare, anche se, convinta di essere prossima al supplizio, tiravo avanti come una condannata in attesa di essere giustiziata, per cui tanta abbondanza non destava in me alcuna soddisfazione. Rimasi ansimante col respiro spezzato quando lui resosi conto della totale congiunzione dei nostri monticelli, manovrando lo strumento prima indietro poi avanti mi disse: # mi sa tanto che sei venuta.# 5- Ne ero certo che ti sarebbe piaciuto.# E adesso che farai? l’andrai a raccontare a tua madre? # Frastornata, negativamente suggestionata, di quel momento ho solo ricordi frammentari, ma ricordo che avevo perfettamente afferrato il significato recondito delle sue parole. Poi continuò, # lo sai cosa ti accadrebbe se ti venisse voglia di raccontarlo in giro? ho almeno tre colleghi pronti a giurare che ero con loro, mentre a te nessuno crederebbe, verrai battezzata col marchio della mitomane, una bugiarda patologica. Vuoi essere infamata per esserti inventata uno stupro? Vuoi essere messa alla gogna?# Investita da quelle dure invettive ero ancora troppo confusa per poter rispondere, però avvertivo una serie di emozioni contrastanti che cominciavano ad agitarsi nell’animo e le tenebre incominciarono a diradarsi. Che sciocca ero stata, non aveva intenzioni di tacciarmi per sempre, ma semplicemente di impormi il silenzio per essere stata costretta a prestarmi. Non potevo credere di non essere più angosciata proprio pochi minuti dopo in cui avevo temuto di morire. Così, con la stessa rapidità è montata l’onda emotiva contraria: il seviziatore si era trasformato in filantropo.
Ripresami dal turbamento calcolai freddamente quel che dovevo fare per sorprenderlo, bisognava che ci fossi riuscita a tutti i costi. --Ma signore, lei mi ha preso con la forza, mi dia almeno il tempo di prenderne atto. Ci vuole del tempo per assorbire uno shock.-- Poi, senza dimostrare di essere affatto resipiscente del suo comportamento continuò. # E non devi confidarti nemmeno con la padrona (la bionda). Riesci a mantenere un segreto?mi posso fidare?# Non avendo nulla da obbiettare a un discorso tanto chiaro, lo assicurai che sapevo mantenere i segreti e che avrei saputo tenere la bocca ben chiusa, tanto più che avevo già avuto più uomini e non avevo nessuna virtù da salvaguardare, e tantomeno avrei interferito immischiandomi in questioni che non mi riguardavano. Aggiunsi a scanso di equivoci: --Signore, non nuocerò ai suoi affari.--
Mi sentii mancare per il sollievo dopo l’aver sovrapposto sensazioni e circostanze a una immagine di morte, ma stavo inavvertitamente ancora tremando con i nervi a fior di pelle. Il superdotato, forse avvezzato a certe condizioni non ci fece nemmeno caso, così spontaneamente mi invitò a non chiamarlo più signore. Per tutto il tempo del suo atteggiamento interlocutorio era rimasto col cazzo affondato dentro al morbido condotto muovendolo di tanto in tanto con movimenti che sfibravano la tenera regione, ma io sopportavo ed ero veramente felice di sentirlo muoversi dentro, al punto di provare rimorso per aver dubitato di lui e ricompensarlo saziandolo del più squisito boccone che possedevo, perché ormai avevo saltato il fosso e deciso di gettarmi nel vortice del fiume in piena lasciandomi trascinare via, annegando ogni senso di colpa e ogni riflessione. Tutto tradiva in me quel cambiamento e lui troppo esperto per non accorgersi della euforia che mi aveva contagiata, dopo un attimo di perplessità su cosa fare, avendo deciso di variegare il gioco me lo tirò fuori dallo scrigno. Subito dopo, ostile a qualsiasi senso di responsabilità e come se non bastasse ansioso di fare di tutto per dimostrare la sua virilità, mentre mi osservava con i suoi occhi penetranti mi pose il prodigioso strumento sguainato davanti ai miei.
# Hai mai visto qualcosa di simile?# Mi chiese, mostrandomi la sua figura magnificente. Il filetto di carne, che grazie al mio fluido di cui si era dipinto, splendeva come una scultura di marmo sotto la luce, eretto, altezzoso in tutta la sua fulgidezza. Un flebile grido mi scappò dalla bocca. --Ho! che meraviglia! quanta bellezza! quante amiche mie sarebbero entusiaste di poterlo provare!-- # Allora non ti dispiace di aver sperimentato la gioia di essere stata presa con la forza.# A quella affermazione provai una mescolanza di vergogna e verità. --Se non avrò bisogno di ricuciture-- risposi. Avvivato dalle mie lusinghe, mi afferrò come un oggetto per le gambe e se le appoggiò sulle spalle, mi artigliò sotto le natiche proprio nella giuntura dove cominciano le cosce tirandomi verso di se. Per un attimo tornai nel panico dubbiosa che avesse accarezzato l’idea di metterlo nel viottolo non ancora battuto senza imburrata, invece senza altre cerimonie, appoggiò la testa del poderoso strumento nel solco che la natura ha piazzato lì nel mezzo delle cosce delicatamente protetto dai due rilievi. Sentivo le labbra dilatarsi mentre inseriva la cappella delicatamente superando la prima strettoia, aprendomi, distendendo e levigando ogni soffice ruga delle della mia seconda bocca. Mentre procedeva dentro l’anfratto e l’abisso incominciava a spalancarsi emisi una serie di lamenti: --ahioo! ahioo! piano!-- # Che c’è’, che hai!#
--Mi fai male, è troppo grosso!-- # Con una punta di sadismo mi disse pure: # le solite lamentele delle furbette, dovrai abituarti perché ho intenzione di aiutarti ad arricchire il tuo e il mio inventario. In più voglio stabilire una calorosa e reciproca intimità con te, mi piaci, saresti la più giovane delle mie amanti: la mia lolita. Hai due chiappe solide e carnose, due belle tette rotonde e sode e una fighetta stretta come una morsa, molto meglio della tua datrice di lavoro.# Un vero spreco per un gigolò che portava nell’animo solo i biechi calcoli di sfogarsi, ma bastarono perché in quel momento, d’improvviso, la nebbia che offuscava la visuale si dissipò e ogni cosa mi fu chiara e divenne tutto trasparente. Morto il fascino del mistero, non c’era più nulla di incomprensibile. Quella ammissione fu la prova regina che la bionda ossigenata e il gigolò erano amanti. Le parole di quell’uomo che dicevano meraviglie del mio corpo mi lusingarono, anche il fatto di essere trattata come una ragazza facile mi invogliò, ma gli risposi che il mio pudore aveva ricevuto un oltraggio troppo grave, che si era approfittato della mia inesperienza campagnola e al momento ero troppo indignata per decidere, tuttavia, le sue lusinghe furono mormorate in un modo così dolce che non riuscii nemmeno a dissentire, così la sua proposta restò in sospeso. Mentre, nel frattempo il gigolò continuava a consumare il suo spuntino, così, tanto per il gusto di cambiare dieta occupandosi, in assenza della bionda, della florida contadinella. Il poderoso strumento a metà del galoppo risvegliò i miei sensi dal lungo letargo. Quando poi affondò la testa del piolo in profondità, ormai irrorata e in certa misura abituata a quella recente misura, non mi fece tanto male, ma sapendo bene quanto possono su di un uomo i lamenti di una donna, mi lasciai andare in un lungo mugolio lento con un lungo gemito.6 Sono sempre le novità a produrre le impressioni più forti, soprattutto nella terra della scopata.
Il prodigioso strumento durante il movimento nel nuovo gioco, dentro l’anfratto a ogni mia contorsione aderiva in me in tutte le pieghe infiammando il mio ventre per poi irradiarsi in ogni parte del corpo.
Lasciai perdere i giovanili lamenti e mi abbandonai con tutto il trasporto possibile che si tramutò rapidamente in voluttà.
Lui, rinvigorito, rinnovò gli affondi, forò, strappò, forzò la strada tra le tenue membrane che lo ostacolavano.
La deliziosa gradazione del piacere mi indusse a spostare le gambe per sistemarle attorno ai suoi fianchi, stringere aspramente i muscoli del canale avvinghiando, semmai ce ne fosse bisogno, il più possibile il rigido manganello che in esso scorreva.
Mentre lui procedeva rovistandomi ogni centimetro dei miei intertizi, gli abbracciai i lombi nudi con le cosce, la cui carne così soda al contatto mi fece fremere ancora di più; ormai lo tenevo e lo sentivo dappertutto.
Dove erano finite tutte le mie insensate precedenti paure al confronto di quei momenti di passione?
Ma con quanta rapidità la passione si sposta da un estremo all’altro.
Era incredula come un cane randagio a cui si offre un banchetto inaspettato. -Oggi in base alle mie esperienze, posso dire che tutto quello che ci spaventa, quando non riusciamo a sfuggirlo ci attrae con la stessa forza delle cose che ci piacciono.-
Avevo il chiodo affondato fino alla capoccia quando l’azione si interruppe per un momento. Lo afferrai con le braccia e lo strinsi con le gambe attorno alle reni: non volevo che indietreggiasse, avevo temuto, a torto, che si ritirasse senza che potessi soddisfare quel godimento orribile di cui ero invasa. Ma fui piacevolmente delusa perché non era il pollone affetto dalla fretta autodistruttiva del piacere da farsi liquidare così, tanto precocemente. Lui, sembrò riflettere su quel mio contegno e rinnovò con rinnovata energia: la sua superpotenza si mostrava ancora salda da squassarmi oltre ogni sopportazione. Riempita e sazia mi scoppiava dentro la foia infumanata e il grande maestro, con l’abilità e l’attitudine di uno scultore nell’uso dello scalpello, diede alcuni colpi di frusta da farmi sobbalzare decidendo così la conclusione della partita: e la mia vampa non ebbe più volto. Avrei voluto resistere. Mi eccitava l’idea di obbligarlo a venirmi dentro, sentire la solleticante aspersione di quel getto bollente. Usai tutta l’arte e le esperienze per tenergli compagnia fino alla fine del viaggio, ma, ahimè! Certe delizie non sono fatte per durare all’infinito, così mi trovai sull’agonia immersa in un abisso di piacere. Le grida. Gli spasmi. L’estasi di spossatezza. Furono sensazioni troppo violente da sopportare. In quella stagione avevo preso il vizio di fare paragoni con le esperienze antefatte, ma in quel frangente tutto fu dimenticato perché in quel momento decisivo, non fu possibile nessun genere di confronto. Mi ero sbagliata giudicando la sproporzione tra quelle due parti: tutto si era attagliato a pennello. Dopo che il tumulto dei sensi venne placato da quell’ondata che tutto stempera e tutto redime, lui, continuò a dimostrarmi la sua abilità nello sfruttare le fasi della crisi. Il prodigioso strumento, che io per l’insistente sfregatura percepivo ingombrante, duro e grinzoso come un tronco di agrifoglio, continuava a scorrermi dentro l’anfratto, mentre la mia capacità di sopportazione di fronte alla inesauribile energia del mandingo era al limite. La bocca di accesso mi bruciava come un forno acceso. Non ero preoccupata della sofferenza della carne quanto il terrore di non essere all’altezza di soddisfarlo, per cui, per evitare che il mio curriculum fosse finito col l’essere macchiato, sforzandomi di avere successo mi dissi: -vada come vada,- ma allo stesso tempo temevo che se il percorso fosse destinato a durare sarei esplosa, in un’esplosione immensa e incontenibile. Ormai lacerata, per demotivarlo, l’avvertii che non resistevo più, che non sentivo più nulla. Ma più che smettere sembrava orientato a rompere. La fumata nera che sembrò per me indecifrabile, premoniva che il destino della figa sarebbe stato quello di pagare un prezzo molto alto per il piacere che l’ospite, che ancora ospitava, seppur gradito, gli aveva elargito. Invero, impegnato con rigore mi dette poderosi colpi che mi strapparono sospiri e urla. Un attimo per riprendere fiato, poi riprese profanando a pieno ritmo, sfondando a più non posso, cacciandomi in balia di gemiti e convulsioni, finché confusa nei sensi, fui, mio malgrado altrettanto avvinta in una nuova vampata. E fu troppo! Pertanto, esausta mi accasciai sul divano che fece da altare dove ero stata immolata. Attratto dalla mia palese tensione emotiva, dal fatto che fossi incapace di resistergli, si era accanito su di un corpo ormai inerte, incapace di dare come di prendere, e allo stesso tempo, una forza contrastante mi rese piuttosto compiaciuta che avesse trovato nella mia persona qualcosa che gli impediva di lasciarmi, senza tuttavia comprenderne l’essenza dello scopo. Mentre il cazzo, ormai lubrificata a iosa, mi scorreva dentro agli interstizi dall’alto al basso ebbi una improvvisa ispirazione allarmandolo per quella viva sensazione che aleggiava su di me riportandolo alle solite preoccupazioni della vita agra. Gli rammentai che la titolare poteva tornare e trovandoci in quella situazione sarebbe stato per entrambi un pel pasticcio per cui era meglio che finisse l’opera e se ne andasse. Mentre glielo dicevo portai dolcemente una mano verso quei globi che contengono il meraviglioso nettare. Ma il magico tocco ebbe l’affetto contrario a quanto mi aspettassi. Dopo qualche attimo di inoperosità, la macchina mise fine a tutto e tiratomelo fuori dalla sede lo stallone si alzò ed esibiva quello straordinario arnese ancora duro ed eretto e completamente scappellato puntato verso il soffitto imbrattato dei miei biancastri umori inguinali; tuttavia i miei sensi erano troppo storditi e io senza fiato per esserne attratta. Con gli slip e pantaloni all’altezza dei ginocchi, gli erano spuntati tra le mani dei fazzoletti coi quali si pulì prima l’enorme testa poi il resto della verga. Altri brevi attimi e, tiratosi su slip e calzoni lo strumento era sparito lasciando alla mia memoria una macroscopica protuberanza. E’ ovvio che una scena simile non mi lasciò indifferente, per cui gli chiesi: --ma tu! non godi mai?-- Con la calma dei forti mi rispose: # non posso, non oggi. Ho un impegno per questa sera #
Prima ancora che finisse la frase intuendo che aveva un appuntamento in cui non poteva sfigurare, quasi per gelosia lo assaltai: --e io non valgo niente?-- puntando lo sguardo verso il terreno in cui si era svolto il duro incontro, che io, sistemata sul divano con le gambe opportunamente messe nella posizione più favorevole, gli esponevo bene alla vista l’orifizio dilatato e infiammato, le due grosse labbra gonfie, sfibrate e arrossate come la bocca di una fornace accesa, la pancia come una palla sgonfia, il bocciolo spiegazzato e i peli impasticciati dal liquido colato ovunque. Con calma mi rispose: # non hai avuto la tua dose?# --Già!-- Dissi io. -- Prediligerne una sarebbe come fare un torto a tutte le altre.-- # Si! sei una ragazza perspicace. Più o meno è così. # Quindi stava finendo tutto così! Che cosa era successo nella mia testa di in quel lasso di tempo più lungo del mondo nel quale mi sembrò che la dea del destino stesse tessendo il mio sudario? Ma il destino ci volle mettere una toppa e quello che mi sembrava tragico si è trasformato in seducente: anche se attraverso un pochino di supplizio. Ancora assorta, meditando su quel momento in cui il mondo mi era crollato addosso, mi lasciai andare in un pensiero ad voce alta dando compimento alla vicenda: --allora finisce tutto così! che stupida sono stata!-- # Scusa? non ho capito. # -- Niente! niente! te lo racconterò la prossima volta.-- Così, con la stessa rapidità e facilità con cui mi aveva presa, mi lasciò.
Dopo aver tentato di raggruppare l’episodio in maniera suggestiva, per amore della verità storica devo aggiungere che quella sera tornai a casa senza che nessuno avesse scoperto nulla o sospettasse di quel che era accaduto. Incontrai il mio stupratore altre volte, flirtando sulla sua auto: una BMW di colore azzurro. Poi, in seguito quando incominciò prima a esaltare, poi a proporre per finire col pretendere cose che avevo giurato di non voler fare mai, glissai gli appuntamenti.
Invece, la vita, inesauribile sceneggiatrice, riservò un destino tragico ai due amanti. Anche oggi che la tirannia della passione è completamente superata e non scorre nelle mie vene altro che un gelido fiume tranquillo, il ricordo di quei fatti ancora mi sconvolgono e al rievocarli mi fanno tremare le mani. A questo punto, seppur coinvolta devo fermarmi qui.
Ci sono segreti dell’anima che non mi è possibile rivelarli a nessuno. Amichetta.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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