Lui & Lei

Parigi.


di amichetta
02.12.2017    |    530    |    0 9.5
"Una sosta per il mio stomaco non mi avrebbe nociuto per cui gli risposi --solo dieci minuti-- pagò il taxi poi scendemmo..."
Parigi1. La storia che sto per rievocare è autentica. Il senso di colpa che mi attanaglia ogni volta che mi capita di pensarci e rivivendo quei momenti, pensieri e emozioni si accavallano uno sopra l’altro e come un fantasma si palesa e mi parla portandomi quasi all’esasperazione. Un episodio che non ho mai raccontato a nessuno perché mi faceva vergognare troppo. Il rammarico, un dolore lacerante mi induce a narrarlo -seppur a grandi linee- poiché ritengo che affrontarlo sia il modo più efficace per smantellarlo.
Avevo ormai 19 anni e mi ritenevo adulta. Ero da poco stata assunta come xxxxxxxx in una fabbrica di moda a quel tempo molto rinomata. L’azienda partecipava a scadenze programmate a fiere internazionali che si svolgevano in città importanti come Parigi, Torino, Milano. La ditta aveva la necessità di personale per le trasferte, e essendo io nubile, senza impegni famigliari e nuova dell’ambiente, motivata ad accrescere d’importanza il mio ruolo, mi venne proposto di parteciparvi.
Per me era una occasione da non perdere, avrei conosciuto un mondo a me ancora sconosciuto, avrei avuto maggiori introiti e acquisito la fiducia del principale: oltre a crescere professionalmente. L’unico impedimento era che avevo da poco un fidanzato che pareva essere molto innamorato, il quale alla mia decisione di accettare la nuova e allettante proposta di lavoro si oppose ostinatamente implorandomi di non andare. Ma in cuor mio avevo già deciso e confermato la mia presenza senza attendere il suo consenso. A quell’occasione io non potevo rifiutarmi, ero consapevole che da essa sarebbe dipesa la mia affermazione e forse anche il mio futuro, poiché in seguito ci sarebbero state molte altre salienti opportunità. Una esperienza che mi sarei portata a corredo. Purtroppo, la sua disapprovazione si accentuò quando seppe da un suo amico confidente di una ragazza che lavorava da alcuni anni nella stessa ditta chiacchiericci su di un casanova che fungeva da rappresentante, il quale nei giorni dell’esposizione nei momenti di svago faceva una corte assidua alle esordienti e sprovvedute, indifese tirocinanti con le quali aveva facile preminenza: e con me di sicuro non si sarebbe lesinato. Io non ero in cerca di trasgressioni e del Casanova non ne sapevo nulla e sinceramente né ci pensavo né mi interessava. Di recente avevo un fidanzato col quale scopavo a giorni alterni che conciliato a un altro paio di “sgualcite” a settimana con il mio amante attempato, col quale, dopo una consueta ritrosia iniziale costituiva, -oltre al mero sesso, una eminente fonte di ricavo marginale.- Una successione di piaceri carnali che smorzavano le mie velleità. Il mio entusiasmo, la mia bramosia di prendere parte alla manifestazione erano talmente esasperati che non volli sentire codicilli. Pur di presenziarvi avrei accettato qualunque compromesso, e all’uopo proposi al mio ragazzo per rendergli tollerabile il restare solo di uscire nei giorni durante la mia prevista assenza con una nostra comune amica reduce da una dolente storia sentimentale soprassedendo a ogni rischio di tradimento.
Il giorno stabilito arrivò e accompagnata da una veterana stilista di nazionalità francese partimmo per Parigi. Quella fu la prima volta che salii su di un aereo. Il viaggio Bologna Parigi durò poco più di un’ora. Atterrate all’incirca alle diciotto, prendemmo un taxi che ci condusse all’hotel. Con la mia compagna di viaggio- che lei masticava un po’ di italiano, io biascicavo un po’ di francese- salimmo su un taxi e scortò fino alla stanza dell’hotel per me prenotata, poi dopo le ultime delucidazioni, avendomi portata sana e salva fino a lì, considerò a quanto mi parve, del tutto esaurito il suo impegno nei miei confronti, così mi abbracciò e se ne andò. La sera stessa sarebbero giunti anche i due autisti con la duplice funzione di installatori dello stand ai quali io avrei dovuto connettermi. Ero stanca, logorata dalla mia prima esperienza di volo, la testa mi ronzava per il mal d’auto, avrei voluto farmi una doccia e dormire. Di fatto, dopo aver svuotato la valigia mi distesi sul letto e mi assopii. Gli squilli del telefono mi svegliarono. Spaventata risposi: era la troupe che allarmata mi chiese se fossi defunta. Stavo decisamente meglio, mi cambiai d’abito e per evitare complicanze evitai l’ascensore . Imboccai le scale e tentennante raggiunsi la hall del’hotel dove essi mi attendevano. Trovando in loro un punto di riferimento mi rilassai. Era la prima volta che mi trovavo in una città nuova, sconosciuta, lontana dalla famiglia dai miei amici. Il senso di libertà era potente, e al tempo stesso ero spaventata. Prima di partire non avevo trovato l’appoggio delle persone che mi stavano attorno, anche chi mi amava mi porse di fronte una serie di fallimenti, scenari pericolosi in cui mi sarei potuta trovare. Il mio fidanzato prima di salire sull’aereo mi raccomandò di strare sempre in guardia: evitare scenari pericolosi affinché non rimanessi “scottata”. Avevo già immaginato tutte le catastrofi possibili, sapevo cosa stavo rischiando, proprio per questo ero piena di paure che mi mantenevano costantemente in ansia. Non ero incosciente, ero una ragazza che voleva distinguersi, rendersi visibile. Dopo i soliti convenevoli attendemmo l’ora della cena, poi, stanchi della giornata sostenuta con orari da schiavi e coscienti che il mattino successivo ci attendeva un lavoro faticoso e impegnativo ognuno si indirizzò per le proprie stanze. Io, molto poco ferrata in faccende di ascensori preferii scalare le scale. Non feci in tempo ad imboccarle che un giovanotto maggiore di me di una decina d’anni proveniente dal lato opposto in un corretto italiano mi salutò > Lascio a voi immaginare la mia sorpresa. Il tipo mi aveva appostata? Era stato o si era informato della mia presenza? Dopo il primo momento di confusione dedussi che era il denominato Casanova che aveva tanto inquietato il mio ragazzo. Un giovane molto attraente con metodi da alto rango. Molto gradevole, alto, ben fatto. Anche lui aveva il volto leggermente segnato dalla stanchezza, quel tanto che bastava per renderlo non aggressivo e dava un tono più virile ai suoi lineamenti morbidi e delicati. Aveva gli occhi neri e vivaci. A farla breve, era quello che avrei definito senza pensarci due volte un uomo interessante. In tutta sincerità non avevo alcuna voglia di spingermi oltre la soddisfazione della curiosità di averlo conosciuto, mi era bastata accontentare la vista per essere soddisfatta: nonostante la tentazione che mi fissava dritta in faccia. E io, quella sera non ero a caccia di avventure e non avevo alcuna intenzione di lasciarmi sedurre. Mi chiese dove stessi andando, che programma avevo per quella sera. In breve gli risposi che ero sfibrata per cui sarei andata a riposarmi per essere in forma il mattino seguente. Mi disse che ero a Parigi e quello era il tempo migliore della mia vita e dovevo approfittarne o mi sarebbe sfuggito per sempre. Mi propose un semplice giretto per le vie principali da fare in taxi a spese della ditta, un paio d’ore e saremmo ritornati. Come controbattere? Dove cominciano i fatti certi iniziano le verità dubbie! Il cuore mi batteva forte ma la testa non poteva che dirgli di no. Per non essere sgarbata gli risposi che accettando avrei perso di credibilità, che avevo già un uomo e che se qualcuno mi avesse vista sarebbe stato uno scandalo vergognoso. Che indossando una semplice camicetta e un paio di pantaloncini corti non era l’abbigliamento più consono per una serata notturna. Lui non demorse proponendomi di sgattaiolare dall’albergo da una uscita secondaria, salire su di un taxi e poi tornare con la stessa precauzione. Non avrei nemmeno dovuto cambiarmi, tanto non saremmo nemmeno scesi dal veicolo. Si sa che in amore in guerra trionfa l’arma più forte: e io non lo sono mai stata, -forte-, così alla fine alzai bandiera bianca.
Parigi2- Indossata la maschera che più mi era congeniale e approssimando quelle qualità psichiche adolescenziali come la timidezza, il ritegno, il bisogno di imparare, di essere aiutata e protetta, con cristiana rassegnazione e la massima circospezione lo segui. Usciti dall’albergo da un porta di sicurezza, percorsi una cinquantina di metri ci trovammo su di una via molto movimentata. Fece un cenno è un taxi si fermò. Salimmo entrambi sui sedili posteriori, diede un ordine in francese che non compresi e il veicolo si rimise nel traffico. Era una calda sera d’estate, mentre circolavamo lungo una grande strada senza conoscerne la destinazione, il grande frastuono del traffico, l’andirivieni dei passanti, lo spettacolo delle case in stile e delle vetrine per me insolito, devo ammettere che mi piacque e mi sbalordì. Egli mi faceva da cicerone scambiando qualche parola con l’autista. Purtroppo, poco dopo mi resi conto di aver commesso una grossa e dannosa sciocchezza: l’auto non mi era confacente. Per non soffrire il mal d’auto dovevo concentrarmi sulla strada davanti a me tralasciando tutto ciò che mi era di lato. Diedi una sbirciata all’orologio per fargli intendere che di Parigi io ne avevo già avuto abbastanza. Dopo circa un quarto d’ora arrivammo in una via molto illuminata, davanti a me sfavillava una insegna: Moulin Ruoge. Giunti a breve distanza da essa, ci fermammo e subito mi propose di visitare più da vicino l’attraente gioiello: per me qualcosa di completamente diverso e davvero spettacolare. --No-- risposi, verrebbe troppo tardi, e poi non sono vestita adeguatamente. °°Questo è un luogo senza regole e nessuno farà caso a noi.°° Mi disse lui. Una sosta per il mio stomaco non mi avrebbe nociuto per cui gli risposi --solo dieci minuti-- pagò il taxi poi scendemmo. Appiccicata a lui con il paragonabile fanciullesco timore di perdermi ci addentrammo tra una gremita e variegata moltitudine di persone. All’interno uno spettacolo era in corso, un eveniente per me insignificante. Ci avvicinammo al grande mulino a vento, egli mi chiese se avessi qualche desiderio, come entrare in un locale e distendersi seduti a un tavolo e bere una bibita. A quel punto, alzando la voce per superare il frastuono del traffico e farmi sentire, dovetti riferirgli che non potevo buttar giù liquidi per il mio problema di stomaco. Sorpreso, mi chiese perché non l’avessi avvertito anzitempo, ma qualcosa poteva ancora fare. Ci incamminammo lunga l’affollata via e dopo una cinquantina di metri entrammo in un negozio. In francese fece una domanda a un uomo dietro il bancone che non compresi. L’uomo sorrise e annuì come se la cosa fosse del tutto plausibile. E forse lo era anche, ma io impacciata e esitante stavo appiccicata al mio accompagnatore come un cagnolino che temeva di essere abbandonato. Dannazione, mi dissi, ecco dove mi avevano portata una educazione agreste e una alimentazione casalinga. Uscimmo con un sacchetto di plastica che aprì appena fuori. Ne trasse una scatola dalla quale si fornì di una pastiglia, che supposi fosse contro il mal d’auto. Me la porse, tolse il tappo a una bevanda e disse, °° butta giù, starai subito meglio.°° Senza discutere mi misi in bocca la pillola e sorseggiai la bevanda.
Era fredda ghiacciata, gustosa, scivolava giù che era un piacere. Fiduciosa diedi un altro sorso piuttosto abbondante. Continuammo la passeggiata e arrivati in un incrocio girammo a sinistra per una via completamente diversa. La via era piena di fighe, un grande bordello a cielo aperto, giovani e bellissime ragazze seminude che sembrava fossero lì per mettersi in mostra e essere acquistate. Per quanto fossi ingenua compresi che quelle erano meretrici che si proponevano ai turisti. Anch’io ero poco vestita e mi augurai di non essere scambiata per una di loro. Improvvisamente sentii caldo in volto che lo attribuii all’imbarazzo per quella scandalosa scenografia. Pensai che un altro goccio di quella fresca bevanda mi avrebbe sollevata. Così avvenne, poiché dopo pochi minuti il mio stato d’animo divenne allegro e sereno. Ancora alcune decine di metri e proprio quando iniziavo a sentirmi giocosa lui esordì con: forse è meglio rincasare o si farà veramente tardi. Non avevo capito per quale magia, ma alzò una mano e un taxi si fermò. Salimmo e il taxi ripartì. Sui sedili del veicolo non sapevo né mi interessava conoscere cosa lui avesse per la mente, ma io avevo una gran voglia immotivata di ridere. Quando, senza alcun preavviso, spicciativo e irruento mi abbracciò e mi baciò con gran trasporto. Un bacio vero, sensuale, di quelli con la lingua in bocca. Ovviamente con la sua lingua che si attorcigliava alla mia smisi di ridere e mi chiesi se lo facesse per zittirmi. Per me era una stranezza, una bizzarria, pensai fosse una dimostrazione di amicizia, una usanza francese e per non essere da meno ricambiai con tutto l’ardore e la mia buona fede. Incoraggiato dalla mia partecipazione le sue mani si fecero più audaci, così palparono e esplorarono tutto il mio corpo. Lo strano fu che invece di scandalizzarmi o allarmarmi mi scaldò sorprendendomi per la mia reazione. Eravamo su di un’auto e non soli, dunque cosa dovevo temere? In particolare da un uomo che mi aveva dimostrato tanta simpatia e cordialità. Il bacio tramutato in un succhiare di labbra del tutto gradevole, mi procurò una vaga emozione mai provata prima. Una sua mano si intrufolò sotto la camicetta e raggiunse una mia soda collinetta la quale divertì per qualche minuto le sue dita, fino a che scivolando più in basso si posarono sulle mie cosce scoperte. Arrivata a quel punto la mia mente avrebbe voluto chiedergli per chi mi aveva preso, che non ero una sgualdrinella che apriva le gambe al primo che incontrava: e invece per facilitarlo e incoraggiarlo le cosce le aprii. Egli, sembrando di giocare si divertiva ad accarezzarmi la pelle e pizzicandomi si stava impadronendo, passando sotto il breve tratto costituito dai pantaloncini, di quegli avamposti tenuti ancora nascosti e segreti. Non ancora soddisfatto tentò l’assalto più in alto frugando nella piega dove finiscono le cosce e incomincia l’inguine. Toccando, girandoci attorno, passando da una parte all’altra finì per grattarmi al centro, in alto, proprio nel punto dove e come piaceva a me. Cosa che mi eccitò tantissimo, tanto da lasciarmi andare e non opporre più alcuna resistenza. Le sue manovre lascive concentrate sul punto vitale prescelto dalla natura mi misero addosso il fuoco che mi fece sgambettare e stesi le gambe ficcandole sotto il sedile che avevo davanti. Il cuore mi batteva così forte da rimbombarmi nelle orecchie, ma mi sentivo libera e felice. Scivolai sul sedile per aumentare la pressione e all’improvviso trovai fantastico poter allungare le ginocchia e disegnare cerchi contro il sedile che avevo davanti coinvolgendo anche il taxista, il quale non potendo ignorare quello che stava accadendo alle sue spalle, involontariamente mi regalava e mi faceva godere la sensazione di un menage a troi. Nel frattempo anche i miei fianchi incominciarono a dimenarsi, i mugolii, gli ampi sospiri, tutto ringagliardiva il libertino ad avere la convinzione che io fossi più appagata che oltraggiata dalla sua condotta resa ancora più piacevole dalle frasi da lui sussurrate nelle mi orecchie: °°oh, sei fantastica, sei affascinante, oh come vorrei scoparti, fotterti.°° Con la mente nebbiosa, scombussolata da quelle sensazioni nuove, coi sensi all’erta ma incapace di pensare il piacere mi sgorgava dagli occhi e il fuoco sembrava bruciarmi dentro. Fiumi di fanali e perle luccicanti scorrevano velocemente lungo la via della grande città. Sembrava che ogni edificio, dietro a ogni finestra ardesse un fuoco: invece la vampa l’avevo dentro.
Parigi3- Non saprei dare una valutazione del piacere che lui provava; ma so che quella sera in cui colsi le scintille della mia natura appassionata, ebbi il primo barlume della perdizione e mi resi conto quanto una buona compagnia del sesso opposto possa essere fatale per una provinciale che non sapeva ancora interpretare correttamente la favola della cicogna e per la prima volta si sottoponeva alla seduzione di un ammaliatore. Ma proseguiamo nel racconto. Con la sua solita sicurezza che io avevo ormai smarrito, mi esplorò abilmente se rispondevo su tutti i punti che riteneva necessari per la realizzazione dei suoi obiettivi, e dalle mie rimbeccature si rese conto che avrebbe soddisfatto tutti i suoi ghiribizzi, proprio perché ero una emotiva, facilmente eccitabile e tanto per usare un eufemismo: incosciente. Intanto il taxi aveva lasciato la via per imboccarne un'altra e dopo poco si arrestò. Lo sentii vagamente dire °° siamo arrivati. °° Ero tanto impacciata e maldestra da non riuscire ad aprire la portiera che poi lui subito provvide.
Scesa, avevo le gambe flaccide e tremanti. L’irrequietezza mi esplodeva dentro, ma non era ancora stato impostato il timer. Avevo le mani sudate e lo stomaco in leggero subbuglio: deglutii e ci incamminammo nell’aria notturna. Dopo una boccata d’aria il mio umore andò alle stelle, mi sentivo forte e potente. Dopo poco arrivammo ad una scala dietro ad un grande edificio, ci arrampicammo fino al primo piano, poi, al buio davanti ad una porta chiusa ci fermammo. Mi mise le mani addosso e mi schiaccio contro al muro che avevo alle spalle, la pressione del suo corpo sul mio mise in evidenza il duro strumento che avrebbe innescato il timer. La sua bocca si perse sul mio collo e la sua mano volò sotto i pantaloncini per finire tra le mie cosce. Con le dita mi scostò il cavallo degli slip e mi infilò nel mezzo della fessura già abbondantemente bagnata, credo due dita: come se avesse voluto assicurarsi che fossi realmente una femmina. Sorpresa, ma non più di tanto, decifrando il suo gesto ebbi ancora la cognizione di dirgli: --c’è, c’è, stai tranquillo.-- °°Faccio il giro, tra due minuti ti aprirò questa porta.°° Stavo per entrare per una porta di sicurezza che si apriva solo dall’interno, quella precauzione fu necessaria per obliare la mia scappatella notturna. Il piacere dei preliminari accumulato durante il viaggio di ritorno era troppo intenso per essere sopportato. Quel tipo di piacere ottenuto mediante l’effetto del trio mi aveva liberata di tutte le inibizioni interiori. Così, essendo troppo eccitata per non concedermi qualche sfogo, mi portai la mano tra le gambe e tentai di finire quello che lui aveva iniziato. Ero talmente agitata che mi guardai attorno. L’avrei sbattuta in faccia al primo passante. La porta con uno scatto si aprì. Interruppi il mio indaffarato lavoro di mani e mi inoltrai. Eravamo al primo piano mentre la mia stanza era al terzo. Per evitare rumori compromettenti evitammo l’ascensore. Bruciammo i due piani, io lo seguivo.
Passammo davanti alla mia stanza, la numero 224, superammo le altre tre e senza batter ciglio entrai nella sua: la 227. Richiusa la porta venni abbracciata e premuta contro un muro. Ero troppo ben disposta e arrendevole per avere voglia di discutere. La stanza era parzialmente illuminata da una luce screziata derivante dalle insegne multicolore proveniente dall’esterno. Mi baciò: un bacio leggero come il volo di una cinciallegra. Le sue mani si fecero più audaci, me le sentii palpeggiarmi con forza i glutei. Io rimasi passiva, con le braccia a penzoloni accanto ai fianchi con la stupefazione per l’eccitazione indecente che mi invadeva. Un istante dopo lo sentii slacciarmi la cinghia del pantaloncini che poi scivolarono giù fino ai miei piedi. Con il mio aiuto, zampettando li feci cadere sul pavimento per finire calpestati dai miei piedi. Immaginai che, data l’euforia, l’incontrollabile grande fervore fosse passato all’istante all’attività e per il momento lo spogliarello fosse terminato: invece mi sbagliai. Con molta prontezza, togliendomi l’imbarazzo di dovermi spogliare da sola, mi tolse gli ultimi indumenti che gli impedivano la contemplazione del mio corpo. Mi ritrovai in piedi davanti al mio giudice nello stato di Eva nel paradiso terrestre: nuda davanti a uno sconosciuto totalmente indifesa. Non dovevo essere sgradevole da guardare se penso che allora ero in aperta fioritura. I miei seni nudi, piacevolmente pieni, sodi e fermi, stavano eretti senza sostegni e invogliavano a essere palpati. Non ero molto alta, ma dotata di quella pienezza gustosa da accarezzare dovuta alla prosperità tipica della giovinezza.
Sicura e disinibita come non mai, avevo perso ogni pudore certa di aver superato l’esame anche di quel bel ragazzo che ritenevo tra i più esperti. Pur tuttavia pur potendo disporre del mio corpo come meglio avrebbe desiderato, pensò di soddisfare la sua curiosità girandomi in varie posizioni che sotto una riflessione multipla di colori rilevarono le mie grazie. Dovetti essere di suo gradimento poiché si mise freneticamente a baciarmi e a esplorarmi tutto il corpo. Intanto le guance che avevo già rosse si infuocarono facendomi provare una sorta di godimento anche per quelle pratiche erotiche.
Le sue mani hanno ispezionato ogni centimetro del mio carpo, come un cieco che si affida al tatto per riconoscere. Avendo esaurito tutti i modi per godere del mio corpo sia col tatto che con la vista, doveva essere anche lui come lo ero io, bramoso di soddisfare quella estrema voluttà divenuta così intensa da divenire pungente, si decise a togliersi i primi indumenti. L’aria condizionata spenta e la mia grande eccitazione mi davano la percezione di una gran calura. Messo a nudo dalla cintola in giù mise in bella mostra quello che avrebbe sfiammato le mie zone pruriginose orrendamente flogosate, il quale si erigeva verso l’alto tronfio con la cappella scappellata che sotto le luci variopinte appariva di un rosso fuoco.
Compresi immediatamente da quale pungolo stavo per essere trafitta. Era uno strumento di taglia medio alta, di quelli che avrei accolto dentro di me senza incontrare intoppi. Ancora in piedi mi strinse a se, appoggio e infilò la testa del piolo nell’alveo della figa e aprendomi lo scrigno penetrò a suo piacimento tra i miei arrendevoli petali carnivori. Mi mise le mani sotto le chiappe e io lo abbracciai al collo, poi gli attorcigliai le gambe ai fianchi mentre accolsi il resto della dose che facilitata dal mio peso penetrò nei miei meandri vaginali fino all’ultimo millimetro. Incardinata su di quel perno così perfettamente modellato alle mie misure, ero incapace di ogni decisione, ma compresi che, sempre stando in piedi, mi stava portando sul letto dove mi sdraiò senza mai smettere di scoparmi col consueto movimento dell’avanti e indietro. Avevo completamente perso la testa, sembrava non capissi cosa mi stava accadendo, ma sentivo con quale intensità le situazioni di quella sera erano state delle squisite provocazioni. L’entrare e uscire dell’augusto ospite che avvertivo dentro la mia taverna si erano fatti profondi, tutto aumentava la mia frenesia e mi dava certezza della sua virile partecipazione. Raggiunto il massimo della sopportazione che potessi tollerare, mi lasciai andare in profondi gemiti accentrando tutte sensazioni sulla mia apertura deliziosamente rigonfia. Ma lui non mi diede tregua. Mi afferrò le gambe e se le appoggiò sulle spalle, col busto dritto davanti a me, trascino la mie cosce contro il suo bacino, in quella nuova posizione da kama sutra continuò implacabile il suo ritmo ondeggiante, mentre l’acme del piacere aveva raggiunto in me il livello di guardia. L’orgasmo arrivò prepotentemente e come un sasso con un tonfo mi cadde nel ventre liberando onde concentriche che si espansero e propagandosi come onde concentriche mi travolsero entrandomi nel grembo, tra le gambe, nella testa, nel sangue. Il piacere troppo intenso sotto le sue implacabili, delicate sollecitazioni divenne un dolore sordo, intollerabile. Urlai come una lupa: un urlo da lui preventivato e prontamente soffocato dalle sua mani.
Parigi4 Esausta, dopo il graduale spegnimento mi abbandonai in una culla di appagamento, di pienezza, mentre lui non soddisfatto spadroneggiava abusando delle mie fradice e frondose pruderie. Ormai priva di energie mi abbandonai e come un sacco svuotato, persi di lucidità. Avevo strani flash, era così bello fluttuare nell’aria, veleggiare liberamente nello spazio. Cercai di non mollare, ma qualcosa non andava.- Poi come se qualcuno avesse premuto un interruttore, sprofondai in uno stato di incoscienza.

Dopo una nebulosa e lunga amnesia, ancora ignara del tempo trascorso mi ridestai e aprii faticosamente gli occhi. Dalla luce della stanza compresi che stava per albeggiare. C’era qualcosa che non andava. Non riuscivo a captare nemmeno un pensiero provenire dalla mia mente: ero vuota, non mi era mai successo prima. Inoltre, ero nuda coperta solo da una porzione di lenzuolo. Il mio cervello girava all’impazzata eppure sembrava così lento. Battei le palpebre diverse volte tentando di capire; l’impressione di trovarmi davanti a un mistero durò sì e no un minuto. Poi, appena ristabilita fui presa dal panico e niente come il panico aveva il potere di svegliarmi e di mettere in allerta i miei sensi. Una moltitudine di pensieri mi affollarono la mente mentre il mio corpo registrò la presenza di uno struscio al fianco sinistro. La mano corse a esplorare in quella zona percependo al tatto un bubbone caldo e pastoso. Un altro movimento attirò la mia attenzione: senza esitare alzai la testa. Mi trovai a letto con un uomo al mio fianco completamente nudo che mi solleticava un fianco con la punta dell’uccello. °°Giorno°° sussurrò. Feci un rapido ragguaglio e i pensieri inseguendo i ricordi mi riportarono all’istante al presente. --Grazie per avermi coperta e esserti preoccupato per me,-- gli dissi e continuai col chiedergli cosa fosse accaduto poiché io ricordavo la serata, il grande mulino, il ritorno, quello che avevamo detto, fatto, la folle scopata, l’orgasmo, poi avevo il buio in testa. °° Non ricordi? sei venuta piuttosto rumorosamente, poi ti sei addormentata mentre ti stavo ancora scopando, al momento pensai che stessi fingendo ma poi dopo circa una decina di minuti mi resi conto che eri proprio andata, così ti ho lasciata dormire: ora come stai?°° Restai basita dalla sua descrizione, non ci potevo credere: ma i fatti sembravano proprio quelli. --Sto bene, mi sento la ragazza di prima.-- In tono sommesso continuai: --stai cercando di dirmi che mi sono addormentata mentre avevo questo salame piantato in mezzo alle gambe? Tu mi stai prendendo il per il culo. Ma allora, senza che me accorgessi mi sei venuto dentro!-- °°No! no! non sono proprio venuto né dentro né fuori, è tutta la notte che sto aspettando che ti svegliassi.°° --Ha! sei stato per tutta la notte senza dormire con la brama addosso e il cazzo duro.-- °°Mi sono appisolato, ma in sostanza è proprio così.°° Sapevo com’era andare a dormire con la brama addosso, l’avevo provato più volte e ogni volta ho dovuto ricorrere all’auto erotismo per soddisfarmi o non c’era verso di rilassarmi. Così gli chiesi se mi aveva svegliata per avere la sua quota di carne viva. Come supponevo la risposta fu affermativa. Mi sentii in colpa e responsabile. Controllai l’orario, avevamo ancora un paio di ore disponibili, si poteva fare. --Capisco-- commentai rassegnata. Come vuoi prendermi?-- Senza dire una parola mi girò sul fianco destro, e da dietro mi sentii subito tra le gambe il caldo siluro che esplorava tentando di inabissarsi ma trovò più difficoltà di quanto si aspettasse. Le gambe chiuse e le grandi labbra che si erano essiccate resero difficoltoso il suo ingresso. Cercai di facilitarlo cercando di posizionarmi in posizione fetale, ma il letto era singolo e lo spazio non me lo permise. Con piccoli spostamenti mi girai mettendomi a bocconi e lui scivolò sopra di me. Aprii leggermente le gambe e dopo alcuni indelicati tentativi il regale ospite imboccò il vestibolo. Introdotto nell’imbuto richiusi le gambe per rendere stretto il sentiero, ma appena ce l’ebbi dentro per quanto stringessi le cosce fluttuava avanti e indietro liscio come l’olio. Mentre mi scopava mi palpava le cosce, mi leccava il collo, con delicati morsi mi addentava. Sentivo il suo fiato sul collo mentre mi chiedeva se mi piaceva. Gli risposi di si, ma all’orgasmo non sarei mai arrivata. Il sonno mi aveva rilassata e per avere effetto avremmo dovuto raddoppiare la dose: ma non ce n’era il tempo, per cui gli risposi di concludere senza aspettarmi. Trascorso una decina di minuti sembrò desistere, mi svelò che nemmeno lui sarebbe venuto, per concludere avrebbe dovuto sbattermi senza riguardi: ma in quelle condizioni non era possibile farlo o avremmo dato la sveglia a tutto il motel. -- Allora che fare?-- gli chiesi. Arrivati a quel punto non potevamo più tornare indietro, sarebbe stata una crudeltà. °° Andiamo in bagno.°° Suggerì. Colsi la palla al balzo, avevo la impellente necessità di fare la pipi. A lui dissi, --per me va bene, dammi un paio di minuti che prima di ricominciare voglio darmi una rinfrescatina.-- Entrai nel bagno che essendo senza finestre dovetti accendere la luce. Mi sedetti direttamente sul bidet, aprii l’acqua e la mollai: la pipì. Evitai di usare il wc poiché se fosse arrivato prima che avessi finito, trovandomici sopra temevo di sfumare tutta la poesia. Infatti, come avevo previsto arrivò quando mi stavo ancora sciacquando. Illuminato, potei esaminare attentamente le sue nudità. Bello di viso e di corpo, virile. Il dardo, stimandolo a vista mi sembrò lungo una quindicina di cm con un diametro che superava i quattro, direi sui quattro e mezzo, ma non di più. Di speciale aveva che protendeva alla sua sinistra. Uno come tanti a cui avevo donato il mio corpo augurandomi che i detentori potessero almeno ricordare qui momenti di passione per tutta la loro vita. Maestosamente, lo pavoneggiava davanti ai miei occhi. Stavo aprendo la bocca presentendo le sue intenzioni, invece usando lo scettro mi affibbiò un colpo di traverso su una guancia che rullò con un tonfo sordo come se fosse stato un manganello di gomma. Il fatto non mi stupì né sollevai obiezioni. Mi apprestai invece alla prossima mossa che la mia posizione lo avrebbe spronato a fare. Difatti, me lo avvicinò alle labbra che aprendole si affrettò a immergerlo nell’umidità della mia bocca. Le mie mani lo toccarono, lo palparono, lo strizzarono. La mia lingua scivolò sotto la sua cappella dura e morbida. Le mie labbra lo succhiarono con movimenti vigorosi, voraci, lui gemeva: Oh! come adoravo sentirlo godere! Dalle mie labbra mi lasciavo sfuggire mugolii di piacere. Con arte abbassò le mani facendo una visita ai miei seni. I polpastrelli si arrotolarono attorno ai miei capezzoli impazienti divenuti turgidi e doloranti. Mentre la mia bocca rimestava i sapori della sua asta vigorosa, le mie mani si adagiarono ardenti sui suoi testicoli ancora rigonfi di virilità. Desideravo sentirlo godere, abbeverarmi di quell’acquazzone vitale. All’improvviso me lo ritrasse, mi guardò e impugnando lo scettro tra la sua mano, per un istante presagii volesse schizzarmi in faccia, invece esordì dicendomi che per venire gli serviva qualcosa di più mordace, più arrapante. Dopo essermi tanto prodigata la sua reazione fu per me comprensibilmente una delusione cocente e intanto il tempo trascorreva implacabile: ma che ci potevo fare? Ma allora preferivo la lussuria all’orgoglio, così nell’impazienza assecondai le sue esigenze: anche perché ero convinta che se non l’avessi soddisfatto sarebbe stata una prestazione che avrei lasciato per sempre a suo debito. Non mi restava altro da fare che assecondare le sue esigenze, e in una tolette non ci stavano tante possibili comodità. Difatti, mi girò, poi mi invitò a mettermi prona aggrappata ai rubinetti del bidè: quella posizione mi era,-per così dire-, familiare, un teatro di combattimenti compiuto per tre anni col mio fratellino e ultimato da pressappoco tre anni. Ma questa volta una vocina mi diceva che sarebbe stata una cosa diversa.
Parigi5- La nuova posizione, che io ritenevo volgare, gli permetteva una stupenda visione delle mie delizie, ma mi esponeva a tentazioni che ritenevo pericolose e rischiose. Sicuramente, se mi fossi trovata in uno stato d’animo più tranquillo, e non mi fossi fatta scrupoli per i suoi desideri inappagati, avrei rifiutato sdegnosamente. Ma non volli fasciarmi la testa prima di rompermela. Per dare inizio alla nuova danza si mise a leccarmi la schiena senza trascurare nessuna parte. Poi seguendo la linea naturale scese fino ai glutei, tra le chiappe si soffermò sul retrobottega: al che io scodinzolai. °° Buona muchachita.°° Disse lui. Sapevo a cosa stava pensando, o almeno ne avevo sentore. Concentrata com’ero a tenere sotto controllo il tempo che mi restava a disposizione dissi a voce alta: --Forza! al lavoro.-- Si alzò, mi fese una visitina coi polpastrelli delle dita per assicurarsi che fossi bagnata e pronta per accoglierlo, mi prese per i fianchi poi appoggiò il duro manganello tra le labbra della seconda bocca. Io contrassi il corpo in attesa del suo ingresso trionfale, invece, adagio, millimetro dopo millimetro, come volersi gustare quegli attimi, come una calda luce lo sentii mentre affondava la capoccia del chiodo che superò le piccole labbra e penetrò all’interno per soli pochi centimetri. Restò lì con movimenti lievi per non saprei dire quanto tempo. Nonostante fossi solo all’imbocco lo percepivo bene, si muoveva dentro di me e presto mi diede tali e potenti stimoli, dentro da quelle parti, che non potei fare a meno di ricambiare. Tutti i miei istinti animaleschi si accesero e il fuoco scoppiettava tra le mie gambe al ritmo dei suoi movimenti, tanto che eccitata perdetti ogni pudore. Cedendo alle emozioni mi abbandonai a quei flussi di voluttà che non potevo rifiutare nonostante il tempo designato stava scadendo. Come se mi volesse dimostrare che il suo vigore non fosse solo apparente con un paio di stoccate affondò la verga fino a quando sentii sbattere la borsa con impeto come se avesse deciso di scoglionarsi contro le mie chiappe. Le circostanze erano cambiate, mi dardeggiava con una violenza raccapricciante in una dimensione di aberrazione sessuale. Il famoso Casanova mi stava dimostrando di possedere uno dei tanti tratti tipici dei maschi la cui sessualità si rivelava mescolata a una certa aggressività, all’inclinazione alla sopraffazione a volte necessaria per superare la resistenza dell’oggetto sessuale che aveva a disposizione, anche se non necessario, poiché io in quel momento gli dimostravo di essergli perfettamente affiatata sessualmente e disponibile a sacrificarmi accettando ogni costo pur di soddisfarlo. Mentre per lui appuravo di essere solo uno strumento di piacere che considerava di sua proprietà. Dalla mia erudizione prevedevo che il suo sconvolgimento essendo troppo brutale, troppo violento non sarebbe durato a lungo, e che sarebbe presto arrivato il diluvio che avrebbe spento l’incendio e deciso la fine dell’assalto all’arma bianca. L’ingresso della caverna si era reso incandescente, ma dovevo resistere perché quello che stavo facendo lo sentivo come un obbligo e avrei percorso tutte le strade per vederlo finalmente soddisfatto: solo così mi sarei sentita appagata, e le premesse non erano le migliori. Ancorata aggrappata ai rubinetti mi sostenevo per non picchiare la testa contro al muro: era troppo da sopportare anche per me che ero una robusta, florida e ben nutrita contadinotta. Ad un tratto emise un suono strozzato, mi era sembrato di capire, con ingenua speranza, che fosse sul punto di eruttare. Lo incitai: --così, dai, dai continua, così, mi piace, godo, godo.-- Difatti mi sbagliai. Trascorsero ancora alcuni minuti e ansando come un asmatico che avesse scalato il quarto piano il suo furore rallentò fino a restare immobile ma col cazzo ancora dentro di me. Non era ancora venuto, ne ero sicura. Che fare? Come uscire da quella situazione? Lasciò trascorrere un certo tempo necessario per riprendere fiato, io, crucciata gli chiesi se non gli piacevo, temetti che il mio corpo non fosse adeguato alle sue esigenze. Di aver deluso le sue aspettative. °°No! non è così, mi piaci, anzi ti trovo speciale.°° Mi rispose senza estrarre l’uccello dalla sede infiammata. --Speciale in cosa,-- replicai. °° In ogni senso, sei una ragazza acqua e sapone, tutta virtù e candore fuori e calda e disponibile dentro, non ti trucchi, niente tatuaggi, scommetto che non bevi e non fumi, e poi°° finalmente me lo sfilò fuori, ma poi mi mise una mano tra le gambe e disse: °°hai una passera pelosa come quella di una scimmietta e non te la radi, in più ha una incanalatura di quindici cm,°° --tredici--, lo corressi. °° e poi°° palpandomi le chiappe continuò. °°hai anche un bel culetto, rotondo, stagno e bello sodo, liscio e prominente, complimenti.°° -- Mi dicono in tanti che ho il più bel culetto della fabbrica-- °°Si! ti trovo davvero speciale.°° E torno a lavorare di mano. Quella frase buttata lì alla carlona, mi risuonò come una premonizione. Le sue dita si persero tra il solco delle montagnole e si soffermarono proprio sul bocciolo del papavero. Al che compresi immediatamente che il suo obbiettivo non lasciava spazio agli equivoci, e mi rizzai di scatto girandomi e mettendomi dinnanzi a lui. Mi girava un po’ la testa, era come se fossi uscita da un frullatore. °°Che c’è °° mi chiese lui. -- è che di li non posso farlo, davvero, non è che non lo vorrei, ma proprio non posso: capisci?-- °° No, cos’è che dovrei capire°° --Lo sai benissimo a cosa mi riferisco, io non l’ho mai preso nel di dietro, dal lato b sono illibata, cazzo, non sarebbe come fare un buco in un orecchio. -- °° Non ti credo! dicono tutte così poi, come se niente fosse: lo prendono: è così di moda! °° --E’ la verità, tesoro.-- ribadii. Non lo voglio fare! punto e basta, su certe cose sono intransigente. E poi ormai è ora che me ne vada, il tempo che mi resta non basterebbe a cauterizzare lo strappo che mi apriresti dopo esserci passato con questo coso. -- °° Perché? non ti piace questo? alle altre piace così tanto!°° Mi toccai con una mano il tutù e aggrottai le sopraciglia. -- Si, forse hai ragione, prenderlo qua dietro, farmi rompere quel sigillo che la natura non ha previsto potrebbe essere una cosa da brividi, ma non è che non mi piacerebbe provare, è che proprio non posso: ma perché non lo capisci! Non puoi pensare di rompermi il culo e poi a cuor leggero mandarmi a lavorare. Lo capisci o no che io in questi giorni mi sto giocando tutto quello che conta. Lo farei se fosse possibile, te lo giuro!-- Ma lui sembrava non riuscisse ad accettarlo ne a sopportarlo. °°Per favore: prendilo! almeno provaci!°° Non riuscivo a captare i suoi pensieri né le sue intenzioni, ma lui nuovamente mi esortò, sospirò, mi supplicò. Il dongiovanni mi stava dimostrando apertamente di essere un sodomita incallito con la predilezione di quella strettezza del pertugio tanto ricercata, per il quale tutti gli uomini sembravano impazzire solo per potermelo lacerare e godersi del dolore che avrei patito. Ma non era il male che mi atterriva, avrei strinto i denti e l’avrei sopportato: erano le conseguenze che non conoscevo, e sulle quali ancora ho ed è radice di tante diatribe. Ero troppo impressionata dal racconto di una mia amica di scappatelle, la quale, mi confidò che la prima volta che l’aveva fatto, la notte stessa, senza avvertenza di stimoli la fece nel letto: oh! quale orrore suscitò in me quel resoconto! Rinvigorita da quel ricordo frammentato esclamai inorridita un --oh no!-- categorico. Che poi volli dolcificare con: --se fosse possibile lo farei, ma devo assolutamente andarmene, ogni minuto che passa si fa più vicino il momento in cui dovrò trovarmi con gli altri nella hall dell’ hotel. Ma lui sembrava in grado di leggermi nel pensiero, e sapendo che sono sempre le novità a produrre le sensazioni più forti, in più la curiosità di provare, come sarebbe stato farlo con un esperto della materia mi stava avvincendo. Lui mi stava osservando e io fui sorpresa dalla sua espressione tesa e viva. Addolorata gli dissi, --va bene, visto che me lo hai chiesto per favore, ti faccio una specie di regalo, ti acconsento di provarci: però non farti illusioni perché -qui dentro- non lo prenderò mai da nessuno. Ti concedo ancora quindici minuti di divertimento, così, tanto per provare come avviene e imparare qualcosa di nuovo sul campo, ma mi devi promettere che ci proverai soltanto e che scaduto il tempo, a qualunque stadio ci troveremo, chiuderemo il sipario.
Parigi6- °°Va bene, accetto°° farfugliò, °°te lo garantisco.°° Conscia che non sarebbe stata una lezione sulla danza classica gli chiesi: --ora immagino che dovrò mettermi in posizione strategica.--
°°Si, certo, appoggiati qui, sul lavandino.°° Il momento giusto per lui era finalmente arrivato. Egli mi aiutò a trovare la posizione che ritenne la più congeniale. Mi ritrovai più o meno nella posizione precedente, con le mani appoggiate al bordo del lavabo, le gambe aperte e un po’ all’interno per mirare con precisione al bersaglio designato, la testa china, la schiena curva, piegata quasi a novanta gradi col culetto prominente. La prima operazione la avvertii quando mi colò sul fondo schiena un liquido freddo che per magia era spuntato tra le sue mani. Con le dita dolcemente me lo frizionò tra le montagnole e lo spalmò ai loro valichi, come se fosse una normale crema. Un liquido che ovviamente non sarebbe stato assorbito dalla pelle. Seguì una breve inazione che gli servi per somministrarmi un’altra copiosa dose di lubrificate. Con i polpastrelli delle dita mi fece una visita pericolosissima al pertugio, un dito si posò sopra, poi girò attorno al suo perimetro. Intanto che fervevano i preliminari io trattenevo il fiato e i miei nervi si contrassero. La punta di un dito trovò il punto centrale in questione e vi scivolò dentro: nel vaso diaboli dando l’avvio al viaggio nel tunnel. Il primo passo del viaggio era cominciato. -- Ahiaa-- mi lamentai. °° Che c’è! °° --Mi hai fatto male, ahi, è troppo grosso.-- °°E’ solo un dito, ti lamenti per così poco?°° E’ proprio questo che mi lascia perplessa.-- °°A si! e per cosa? °° --Facendo un confronto con molta attenzione e curiosità alla sproporzione tra un dito e l’enorme arnese che vorresti infilarmi, che non sembra essere inferiore al mio polso, mi chiedo come possa entrare nello stretto sentiero non affatto modellato per accoglierlo, senza subire danni e farmi morire di dolore. In altre parole, pur supponendo l’estatico piacere che mi farebbe provare, temo per il dolore e i danni irreversibili che mi causerebbe.-- Intanto che io parlavo lasciai che le sue dita mi penetrassero a un ritmo casalingo come se fossero un piccolo cazzo. °°Non lo so, ma non mi risulta che nessuna si sia lamentata.°° Mi rispose. Segui un attimo di silenzio, poi. °°Si! sembra proprio che non ci sia passato nessun inquilino da queste parti.°° --E’così-- biasicai deglutendo. Con il braccio sinistro mi cinse la vita poi posò il palmo della mano sulla passera, proprio sopra il punto più sensibile stabilito dalla natura e due dita me le ficcò dentro il canale. Senza perdere altro tempo, tolse il dito e passò alla mossa successiva. Ero conscia di quello che stavo rischiando, sarebbe bastata una energica spinta nella direzione giusta e mi sarei trovata il culo infranto. Dalle esperienze consumate intuivo quando gli uomini avevano cattive intenzioni o mi nascondevano qualcosa, e nessuno mi aveva mai placata come lui. Ciò nondimeno restai in allerta e decisi di stare al gioco fino al momento culminante oltre il quale, se non mi fossi destata al momento giusto, il suo cazzo si sarebbe imbrattato del mio sangue. Così per proteggermi, tirai i muscoli fino al punto di avere la sensazione che i miei nervi stessero per spezzarsi. Avvertii la grossa punta del brando scivolare tra i glutei e appoggiasi nel punto giusto facendo breccia al primo colpo. Oltre alla testa percepivo tra le chiappe le dita che la avvolgevano per indirizzarla e impedirle di scivolare verso l’alto o il basso. Spingendo poteva solo proseguire dritto: inoltrando la cappella dentro il budello, poi avrebbe seguito il resto. Feci subito la comparazione tra il metodo usato dal sodomita e quello delle checche che avevano tentato di farmelo anni prima senza successo. Stavo comprendendo che la buona riuscita di un’inculata sarebbe stato anche un fatto di un metodo e una tecnica intransigente quanto meticolosa. Ma quella mattina non avevo nessuna intenzione di sperimentarla. Le dita tra le mie sinuosità nel davanti si muovevano sopra e dentro e il punteruolo che avevo dietro mi premeva con forza. Incalzava per entrare con caparbie sollecitazioni e con più spingeva per guadagnare terreno, con più io stringevo il muscolo dello sfintere. Arraffata per davanti e puntellata da dietro non avrei avuto molte possibilità di fuga: ma ancora non ci pensavo: alla fuga. °° Ma quanto ce l’hai stretto! rilassati, anzi spingi, devi spingere o ti farà più male.°° Borbottò lui. Io contrattaccai col dirgli che era lui ad averlo troppo grosso, gigantesco per il mio buchetto tanto stretto, così con più lui spingeva con più io tiravo. Lui ribadì: °° è tutto per te: dolcezza, su, dai, da brava, spingi e sarà una cosetta da niente. --Non posso, non riesco.-- Le stimolazioni all’unisono che subivo nel davanti e quella preclusa nel di dietro, produssero potenti effetti sul mio corpo destando i bassi istinti facendomi provare emozioni mai provate prima. Anzi, se devo dirvi la verità mi piaceva, la sensazione che provavo era davvero bella e insieme brutta. Desideravo davvero farlo e, esiste qualcosa di peggio di desiderare di fare una cosa e non poterla fare? La carnalità reclamava i suoi diritti. L’insidiosa tentazione di provare come fosse stato tutto l’insieme dei due antri forse mi indusse ad allentare le redini, oppure fu lui a captare la mia nuova disposizione e con una certa virulenza aumentò la pressione; sta di fatto che provai una scossa elettrica che come una scheggia salì dal basso e si innervò lungo la schiena per arrivarmi fino alla nuca. Udii un terribile lamento che poi mi resi conto che era uscito dalla mia bocca. Col volto imperlato di sudore raccolsi tutto il mio coraggio e diedi una virata liberandomi dall’indefesso sodomita. Un balzo e raggiunsi la porta. Oltretutto il quarto d’ora era svaporato e io dovevo andarmene al più presto. Udii sibilare un ruggito: -quando si dice cogliere l’attimo,- mi girai appena in tempo per scorgere un fiocco di melassa uscire sparato dalla punta del cazzo puntato come la bocca di un cannone nella mia direzione che finì per cadere prossimo ai miei piedi. Seguirono altri spruzzi di modesta intensità. L’odore tipico dello sperma mi riempì le narici e mi diede un gran sollievo. Nessun segno annunciatore mi era arrivato, per cui non compresi come, ma avevo svuotato i serbatoi del casanova, e per me fu un considerevole appagamento. Senza dire altro lo lasciai, recuperai i miei indumenti ancora sul pavimento abbandonati la notte, mi rivestii alla buona e recuperata la chiave della mia stanza, uscii, e in punta di piedi raggiunsi la mia stanza. Dall’ardita sperimentazione non avevo ottenuto granché di piacere, ma avevo appreso una nuova tecnica sull’inculata che ritenni scientifica e nel contempo impedito che mi fosse aperta una nuova pista: e credetemi, per me in quel frangente fu un gran sollievo. Appena fui entrata nella stanza a me assegnata, mi precipitai sul bidè e mi tolsi tutto il lubrificante. II sapone mi fece provare un bruciore in un punto circoscritto dello sfintere, come se avessi piantato uno spillo. Accidenti! c’era mancato davvero poco. Se avessi tardato mezzo secondo me sarei trovata nella migliore delle ipotesi con l’anello rilassato o lacerato. Bbrrr, al pensarci mi vengono ancora i brividi. Poi, una lavata generale e mi cambiai d’abiti. Avrei voluto farmi un resoconto di tutte quelle stranezze accadute durante la notte, ma per quello c’era tempo. In quel momento avevo un solo desiderio: ficcarmi sotto una doccia, poi un letto, ma il dovere come non mai mi attendeva, per cui per tutelarmi istintivamente lo disfeci, il letto, proprio come se ci avessi dormito sopra. D’un tratto il telefono della stanza squillò. Chi mai poteva essere? Nella semplicità e purezza indotta della mia inesperienza, non potevo immaginare quello che si tramava nel frattempo a un migliaio di km di distanza.
Parigi7- Ma poi pensai che essendo leggermente in ritardo quelli con cui dovevo trovarmi nella hall mi stessero sollecitando. Pronto! rispondo. Era il portiere dell’ hotel che in un italiano mediocre mi comunica che il sig. xxxxx( che altri non era che il nome del casanova) aveva chiesto di me. /// Pronto, ci sei?/// Indispettita risposi. --Ma che cazzo vuoi!-- /// Perché mi rispondi cosi sgarbatamente?/// --E me lo chiedi? ho appena lasciata la tua stanza, se avevi qualcosa di dirmi potevi farlo finché ero lì-- /// Guarda che c’è stato un equivoco, io sono ###### incaricato da ****** per informarmi di come stanno andando le cose. /// Rimasta attonita tutta la mia euforia venne meno. Cos’era accaduto nel frattempo a un migliaio di km di distanza?
“Lettore se sei arrivato fino a questo punto e hai resistito, tieni duro ancora per qualche minuto e in cambio conoscerai verità. Una verità sacrosanta sulla quale sono disposta a giurare su quello in cui più credo e che svelo per la prima volta nella mia vita.” Chiusa la parentesi torniamo a noi. L’amico ##### del mio moroso ******di allora era in confidenza con una ragazza che lavorava nella mia stessa fabbrica ma, siccome era impiegata in ufficio sapeva perfettamente del personale impegnato nella fiera parigina. La malalingua, sempre confidenzialmente aveva messo a conoscenza, così, non per essere maligna, ma tanto per conversare con ###### della presenza del casanova che io avevo assicurato al mio ragazzo della sua assenza. E, conoscendolo da tempo aggiunse pure che essendo io una ochetta sempliciotta e per di più l’unica ragazza presente per quella sera, mi avrebbe fatto una corte inesorabile e mi avrebbe di sicuro lisciato per benino le piume. L’amico #####, tessitore della tela con propensione alla mistificazione, mise subito al corrente ******(mio spasimante) il quale venne assalito dalla fibrillazione e sbiellò. Ma, l’azzeccagarbugli ###### non ancora soddisfatto, con la coda di paglia lunga un kilometro gli propose una messa in scena che da buon amico si sarebbe prestato a mettere in atto solo per acclarare, tanto per mettere chiarezza e dissipare ogni dubbio sulla mia ovvia fedeltà. Per cui sarebbe stato solo un innocuo passatempo poiché -xxxxx-:una fanciulla devota e pia, cioè io, era dato per scontato che non si sarebbe mai lasciata accalappiare. E così, da buon commediante, si offrì di impersonare il Casanova e escogitò la genialata che si concluse con la tagliola nella quale come una allocca ingenuamente ci sono scivolata dentro. Ma come potevo prevederlo? Il mondo mi cadde addosso. Non ci voleva un luminare per concludere che trovarmi nella stanza di un hotel alle sette del mattino di un uomo con quella rinomanza significava aver fatto sesso con lui per tutta la notte. La sincerità è sempre una buona cosa, tranne quando è consigliabile mentire. La solita e unica frase che mi affiorò alla mente fu: --guarda che non è come pensi-- /// a si? è allora com’è?/// --E’ che ero appena andata da lui per conoscere il programma della giornata.-- ///Capisco, perché immagino che quello della notte invece lo conoscevi molto bene./// La voce del doppiogiochista intrisa di dileggio ridacchiò. -- Ma come ti permetti! per chi mi hai preso.-- La voce mi si soffocò dalle lacrime, dalla rabbia, dalla confusione e dalla paura. Temetti il danno reputazionale che sarebbe inevitabilmente sarebbe arrivato. Uno dei giorni più attesi della mia vita si era trasformato nel più drammatico che avessi mai affrontato. La loro era una barbaria davanti alla quale non potevo far finta di niente, dovevo reagire: e la miglior difesa è sempre stato l’attacco. E dovevo fare in fretta, senza perdere altro tempo. Ma era pur vero che l’avevo fatta grossa, tuttavia qualunque fossero state le scelte scellerate che avevo fatto la spinta di autoconservazione mi rese forte e determinata. Continuai con tono severo. --Voi due stronzi messi insieme con i vostri giochetti da circo non riuscirete a rovinarmi il giorno che ho tanto atteso da una vita, per cui ti dico che ora ho una missione da compiere e me ne devo andare, ma quando tornerò il vostro sgarbo imperdonabile si riverserà su di voi come un bumerang.-- Continuai la replica in tono durissimo con insulti pesanti, poi interruppi la chiamata pur sapendo che quella telefonata sarebbe tornata a tormentarmi come un tafano. In quel momento pensai che non avrei mai dovuto accettare quell’incarico, ma ormai c’ero dentro e dovevo resistere. Cosi imboccai le scale a due scalini e arrivai nella hall. Il di dietro mi pungeva a suffragio della ignominiosa verità.
- Non starò a raccontarvi quello che accadde durante la giornata che fu lunga e impegnativa, ma pur essendo alle prime armi me la cavai alla grande. La sera dello stesso giorno dopo un conviviale momento trascorso con il resto della truppa composta dai due autisti con la doppia mansione di installatori e un dirigente, dopo una frugale cena mi ritirai nella mia stanza, chiusi la porta a chiave e staccai la spina del telefono dal muro. Rimasta sola con me stessa meditai su quanto mi era accaduto la sera prima e quali furono tutte le sue conseguenze. Si poteva evitare tutto quello che si era verificato? Dovetti ammettere che senza avvedermene ero riuscita da sola a mettermi nella mani del diavolo e che quella telefonata mi faceva davvero male. Durante la giornata avevo deciso di interrompere il fidanzamento. Mi era troppo compromessa e il dubbio ormai insinuato ne avrebbe ammorbato il futuro. Una porta si era chiusa e lui era rimasto fuori. Con freddezza scacciai tutti i bei ricordi che avevo di lui, tutte le nostre risate, i momenti felici. Pur tuttavia il confronto che avrei dovuto sostenere al mio ritorno mi lacerava. La prezzatura sarebbe stata sostituita con la sprezzatura. E il cascamorto dov’era finito? Da lui non mi era arrivato niente, nemmeno un pensiero, come se fosse morto, forse se la stava spassando con qualcun'altra con il retrobottega più sladinato del mio. Mi ero lasciata irretire da lui come la scema del villaggio. Tornai col pensiero alla notte precedente; com’era stato possibile che mi fossi addormentata mentre ancora mi stava chiavando: perdio, nemmeno fossi stata una tossica che si faceva di crack o roba simile. All’improvviso una lampada si accese nella mente, quella ebbrezza incontenibile, quelle vampate di calore in viso, poi l’assopimento avvolto in una bellissima stola di pace: la bibita! Ero astemia e il donnaiolo mi aveva somministrato una bevanda alcolica che essendo fredda avevo trangugiato senza avvertire la sua gradazione alcolica. Una strategia davvero indecorosa per un gigolò. Si! doveva essere proprio così, avevo svelato l’inganno a cui ero stata sottoposta e il risveglio fu triste e traumatico. Dissi a me stessa muovendo le labbra senza emettere suoni,--xxxxx devi farti più forte, più coraggiosa, e nondimeno: molto più sveglia.-- Avendo troncato tutti gli appuntamenti telefonici, la giornata era trascorsa nel silenzio. Il giorno successivo si svolse la sfilata dei capi in esposizione e indossati sulla passerella da vere indossatrici come sicuramente avrete visto sfilare centinaia di volte. Tutto andò a meraviglia e tutti furono soddisfatti del mio operato. Compreso la sottoscritta.
La sera stessa avrei dovuto, accompagnata dalla stilista francese che mi aveva scortata nel viaggio di andata, prendere l’aereo e insieme tornare in Italia: poi finalmente a casa. Decisamente non vedevo l’ora di andarmene: ma la sera, dopo l’aver già preparato la valigia, un evento improvviso modificò il programma.

Parigi8 Una nuova bufera si stava addensando sul mio destino, che, come se fossi predestinata alla sventura, ignara di quello che la sorte mi stava riservando e che non potevo conoscerla né prevederla né tantomeno immaginarla. Il ritorno fu traumatico e la clamorosa e sconcertante odissea varrebbe la pena illustrarla: e forse un giorno lo farò, ma per il momento il mio racconto finisce qui. Ho scritto come sempre trascurando il fine di eccitare il lettore, ma solo per scoprire gli altarini per far conoscere il più fedelmente possibile le emozioni, gli stati psicologici e materiali che ho vissuto in quei giorni. Una verità tenuta segreta per troppi lunghi anni nel timore che avrebbe danneggiato la mia credibilità, ma col tempo divenuta incontenibile. Una condotta che si commenta da sola. Ho scritto a scopo terapeutico, perché scrivere mi rilassa, ma anche perché mi aiuta a stare alla larga da perniciose tentazioni: che sarebbero tanto pericolose quanto i germi della scarlattina. FINE. Amichetta.



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