Lui & Lei
Parigi, fine.

28.07.2018 |
272 |
0
"-Il ricordo di quell’episodio ancora mi ferisce..."
,( segue da Parigi, il ritorno.) °°già, e io non ho nessuna voglia di farla a cazzotti, “donna avvisata mezzo salvata.”°° ##E tu non hai proprio l’aria di essere venuta al fiume per fare il bucato## °°E nemmeno assomigli a cappuccetto rosso°° Anche gli uomini di famiglia a volte dicono e fanno cose terrificanti. Rimasi attonita. Mi sentii rovistare dentro, come se un topo mi rosicchiasse nell’intestino. Poteva essere una vicenda inventata per mettermi alla prova sulle mie capacità di mostrare di che pasta ero fatta. Se ero realmente una prateria aperta alle scorrerie o se effettivamente ero l’emblema della ragazza virtuosa. Cercai di mettere in ordine i miei pensieri, per quanto mi fosse possibile fare nel poco tempo che mi restava. Poi mi resi conto che ero potenzialmente influenzata da una singolare coincidenza temporale. La situazione che si sarebbe presentata se fossi scesa in loro compagnia, si sovrapponeva a una mia fantasia erotica scaturita da un sogno e spesso rivissuta mentalmente che descriverò approssimativamente per dovere di cronaca, con una stringata digressione sperando di farvi cosa gradita, anche se la faccenda è tanto farraginosa che non so da dove cominciare. *Nel sogno, entravo in un locale da bassifondi, dove alcuni uomini, -sette per l’esattezza-, mi guardarono. Io in vestiti succinti salii su di un tavolo e mi misi a gridare: -sotto sono senza mutande, chi mi vuole? sono in vendita! chi offre di più?- Erano tutti ragazzoni rozzi da bettola e robusti come gli antichi scaricatori di porto. Nessuno aveva soldi per cui l’asta non ebbe seguito. Allora dissi. -Mi farò scopare da quello che ha il cazzo più lungo, mentre agli altri concederò solo di stare lì a guardarmi.
Tutti misero in mostra il proprio manganello, ma io non riuscivo a distinguerne la differenza: sembravano tutti uguali. Allora tutti insieme mi saltarono addosso, mi strapparono i pochi indumenti e si misero tutti insieme a palpeggiarmi tutto il corpo. Chi mi palpava la bernarda, chi mi ciucciava le tette, chi mi slinguava la faccia, insomma, secondo il detto popolare e molto diffuso; “chi più ne ha più ne metta”: ma nessuno mi chiavò realmente. Inveivano su di me ma non mi facevano alcun male e io non li temevo. Li vedevo tutti uguali e tutti insieme si presero il cazzo tra le mani e mi sommersero del loro liquido incolore dall’odore penetrante di mandorle andate a male. Io, schifata tentavo di togliermelo di dosso, ma per quanto mi dessi da fare mi restava sempre appiccicato. Poi, come in altre notti, quando il sogno divenne incubo, la coscienza non lo tollerò neppure sotto spostamento onirico e mi svegliò. Ohh, meno male che era solo un sogno! Dopo una tempestiva e spontanea elaborazione, lo collegai alla favola di Biancaneve e i sette nani. La mia fantasia aveva elaborato una vecchia leggenda popolare, una curiosità assimilata fin dalla mia infanzia secondo la quale, se la natura, i nani, li ha privati dell’altezza per compensazione li avesse dotati di una marcia in più sotto un altro aspetto. Quel sogno fu più volte rinnovato nella mia mente fino a divenirne una fantasia erotica.* Ma torniamo al viaggio di ritorno. Appena ho preso consapevolezza della nascente alternativa, nell’immediato ho provato un enorme senso di paura e di solitudine, ma la fantasia corse e come un tarlo scavò nell’anima fino a sgretolarla. Cosi sviscerai psichicamente l’argomento ancora senza un pronostico, ma semplicemente perché mi piacque farlo.
Se quella evenienza particolare si fosse concretizzata, una volta entrata non ci avrei trovato i sette nani bontemponi, ma una pletora di cattivoni irredenti avvezzati a prostitute con le quali avrei dovuto rapportarmi e siccome non sarei mai divenuta una loro sposa, mi avrebbero caricata a cappella bassa. Ritenuta una del mestiere aperta davanti e nel di dietro, perdipiù, i miei legittimi piangisteri sarebbero stati equivocati a propellente per incentivare l’infiammazione da far palpitare con impeto e più veemenza le parti flogosate. Una fintaggine per accelerare un urgente bisogno di sollievo. Si sarebbe versato sangue per la prima volta e ancora non potevo sapere se ci avrei trovato gusto. Mi misi a immaginare cosa avrei provato se per la prima volta mi fossi abbandonata a quella inclinazione. Anche la donna più esperta e preparata avrebbe avuto scarse possibilità di non minimizzare i danni provati da chissà quali strascichi. -Il ricordo di quell’episodio ancora mi ferisce.-10 Tanto per promuovere il pensiero argomentai con me stessa, che, come nella lussuria non si trova mai la fine, anche di danaro come di giorni di vita non ce ne sarebbero mai abbastanza. Quei maschioni ficcanti, non mi avrebbero fatto paura perché era vero che gli uomini non mi spaventavano più, ma era anche altrettanto vero che mi sarei rassicurata solo se avessi escluso che non fossero sadici efferati con intenzioni di farmi del male. E come mi sarei fatta pagare? In lire? In franchi? In marchi? O in fiorini, e perché non in sterline. Provai il brivido della trasgressione, mi sentii orgogliosamente una donna che la notte suscitava desideri folli e spingeva gli uomini a commettere atti impuri. E in più con l’emozione del debutto per rendere ogni momento di quel viaggio la migliore delle esperienze. Perché potesse andare in porto avrei dovuto essere sola, invece vi erano troppi testimoni che potevano distruggere la mia reputazione che io aspiravo a sinonimo di candore e rettitudine . Mi sarei portata una macchia indelebile per tutta la vita e non sarei mai più uscita dalle catacombe della vergogna. Stavo giocando una partita molto più seria di quanto potessi ipotizzare. Sotto l’effetto di una forte ipnosi sviluppata dalle mie stesse elucubrazioni, lottai contro la tentazione di accettare senza indugio. La voragine si era fatta tanto profonda da poter tollerare il più scandaloso espediente e inculcarmi l’idea di modificare e rimuovere ogni ricordo: convinta che il piacere mi avrebbe redenta. Ma poi tornai in me e tutto tornò a posto. Quel brutto segreto è rimasto sepolto coi suoi orrendi particolari fino ad ora che lo descrivo come un episodio che potrebbe essere utilizzato come modello da non seguire. I due compari erano in attesa della mia decisione che alla fine arrivò con, --di soldi mi bastano quelli che guadagno e non ho nessuna intenzione di rivaleggiare colle puttane. Solo che io avrei bisogno di:-- pausa. --insomma mica sono fatta di legno.-- ## Hooo, questo lo sappiamo! la farai nascosta tra le gomme del camion.## Sbalordita non risposi, ma di loro mi fidavo. Dopo alcuni chilometri parcheggiammo tra altri grossi camion. Il signor cazzo discese in avanscoperta per controllare se la zona fosse tranquilla. Poi scese anche cazzo curvo e, mentre uno faceva da palo l’altro mi rassicurò dicendomi che avrei potuto scendere, imboscarmi tra le gomme e farla, lì per terra. Ero ignuda e avrei voluto coprirmi, ma trovare gli indumenti con quella poca illuminazione sarebbe stato un grattacapo. Scorgendo la mia titubanza, cazzo curvo disse. °°Che c’è, che hai, ti vergogni? ti abbiamo già vista senza mutande, mi pare, o no!°° Come sempre ubbidii, feci tutto in un paio di minuti, poi risalii e inciampando ovunque e sbattendo dappertutto, ritornai sulla cuccetta. I due lestofanti risalirono per gli ultimi accordi. Poi cazzo curvo riferì all’altro,°°ho deciso che andrai da solo, io ardo dalla voglia di mettere le mani addosso alla bimba, ce l’ho tanto duro che non riuscirei a pisciare.°° L’altro senza obbiettare se ne andò. Cazzo curvo chiuse le sicurezze delle portiere e con l’acquolina in bocca si dedicò alla sottoscritta. Nell’abitacolo era più buio del solito, ma lo scurrile non si smarrì nell’oscurità. Mi afferrò per i capelli, mi girò la testa e si mise ad addentarmi con devoto ardore il collo con una voracità da abulico. Con la bocca spalancata mi girò attorno al collo passandomi dall’ altra parte. Mi morse un orecchio, poi con voce rauca e gemente: °°sei la femmina più lubrica che l’inferno potesse vomitare.°° --Ma perché mi dici queste cose orrende.-- Portò la bocca sui seni i cui capezzoli erano già turgidi da spezzarsi. Il che mandò l’olimpo in fregola. °°Perché è così che mi piaci, troia, maiala e sfondrata.(dialetto)°° Quelle parole stridevano, ma nella sua ingordigia suonarono come una assoluzione generale. Mentre mi morsicava una tetta mi portò una mano tra le cosce per un sopraluogo. E subito: °°sei calda e bagnata per il mio cazzo.°° La sua lingua scese lungo il mio corpo, fece una lunga pausa sull’ombelico, seguì il solco naturale che la natura ha piazzato li nel mezzo che lo istradò al monte di venere dove si perse tra la folta peluria e quando inoltrò la testa tra le mie coscia lo rifiutai. °°Che c’è, che hai, che ti prende?°° --Lì non ti voglio, sono sporca, mi sento a disagio-- °°Possiamo rimediare subito°° Non seppi come, ma si impossessò di una piccola torcia e di una scatola dalla quale estrasse delle salviette e alla luce focalizzata della stessa minuta torcia si mise a pulirmi. Partì dal folto pelo, poi mi ordinò di aprire le gambe. Sostituì la prima salvietta e prosegui strusciandola sulla crepa facendola scorrere per tutta la sua lunghezza. Si muoveva con sicurezza, come se quella operazione l’avesse fatta migliaia di volte. Le sue dita sopra la pezza di carta umida entravano nel taglio della prugna al ché qualcosa lo stuzzicò e volle controllare. °°Hai uno squarcio fuori misura.°° a quanto pare il cazzone te l’ha devastata°° --Anche il tuo non ha scherzato-- °°Niente in proporzione°° --Perché non sei consapevole della tua originalità, il bello dell’unicità, a volte sono le cose più stravaganti quelle che danno una straordinario godimento.-- Avevo contezza che stava vedendo un taglio di tredici centimetri di carne frastagliata in un misto di labbra dove le piccole si addossavano alle grandi. Una vista che ha sempre fatto schifo anche a me: ma cosa ci potevo fare se la natura con me era stata ingrata? Larga di fuori e stretta di dentro. Continuai in quella che voleva essere una rassicurazione. --Questa tua unicità dovrebbe farti sentire orgoglioso di te stesso.-- Gli raccontai anche la fiaba di mia nonna la quale asseriva che non serviva fosse grosso che turi né lungo che tocchi ma duro che duri. Lui sembrò non esserne convinto, come tutti aveva il complesso del cazzo grosso. °°Lo sai cosa mi fa venire in mente la tua feritoia? una vasca biologica che perde.°° --Sei uno zozzone!-- La sua forma di raffinata fantasia fu una novità assoluta che mi sgomentò, ma fu anche vero che l’essere trattata come una bagascia mi fece scomparire ogni sorta di pudore. °°Conosco la cura per risanarla, e ti assicuro che per me sarà una attività particolarmente gradita.°° Suonò. °°Adesso girati°° Restai immobile, impietrita. Mi afferrò per i fianchi fino a mettermi a bocconi trovando in me una docilità superiore a quanto forse si sarebbe aspettato. --Io sono stata molto, fin troppo accondiscendente con te, ma ora non farmi brutti scherzi-- °°Lo so, lo so, niente inculata e niente venirti dentro.°° Provai le sue mani tremanti appoggiarsi sul mio culo. Una brevissima pausa e ripetendo un copione già ampliamente recitato: °°che culo stagno, che morbidi cuscinetti di carne, che natiche compatte, vellutate e protuberanti.°° E subito si diede da fare con appetitosi e volgari toccamenti. Dopo aver ottenuto tutte le gratificazioni che il mio deretano fu in grado di donargli, passo all’azione. Non saprei dire da dove, ma si fornì di una -che io non vidi- rotolo di garza. Alla luce della minuscola torcia prese a infilarmela con una o due dita nella bicocca. --Ma che cazzo mi stai facendo!-- °°Non preoccuparti, è una garza sterile.°° La stoffa mi veniva pressata con decisione e sicurezza lungo il canale e in un paio di minuti tutto il rotolo trovò alloggio al mio interno da farmi sentire la figa gonfia. °°Bene, fatto, ora aspettiamo che si imbevi.°° Con l’impazienza tipica della lussuria mi scostò le montagnole di carne e vi infilò una salvietta umida e fresca e prese a pulirmi con dovizia di particolari ogni millimetro delle parti interessate, poi la sostituì e riprese all’inguine, con esuberanza mi nettò l’interno delle cosce, fino ad arrivare al ginocchio. Quando fu certo della mia detergenza passò a morsicarmi il retrobottega. 11--Ma dai! ma che mi stai facendo! sei un gran porco.-- °°Sì! sì e tu una gran maiala.°° Un istante dopo sentii il morso dei suoi denti nella carne viva. Poi incominciò a inumidire con la lingua quello che intendeva visitare. Lo faceva con una agitazione che mi parve un denutrito che banchetta col suo pasto preferito, invece, a detta di molti, si stava nutrendo del più squisito boccone della terra. Aveva arrotolato la lingua e me la spingeva come se volesse entrare nel bocciolo. --Ha! ho! ha! ma dai! mi fai il solletico!-- °°Te lo do io il solletico°° Prese la punta di garza rimasta fuori dalla fessa e celermente me la cavò. L’operazione non fu dolorosa. Ormai era in preda a un desiderio che non poteva più frenare. Mi saltò sopra, avvertii la sua erezione rigida premermi sulle collinette. Io che annusavo il vento prima che soffiasse, compresi che l’uccello non voleva tornare al solito nido, ma stava bussando furiosamente allo stretto sentiero. Il fuoco mi corse orrido nelle vene. Con una esclamazione straziante dovetti fargli notare che batteva alla porta sbagliata. °°Prima o poi dovrai pur deciderti a prenderlo anche di quà.°° Sentenziò lapidario. Stavo per illustrargli che nicchiavo l’impalata perché ci vedevo anche una forma di sottomissione, che il mio carattere non poteva accettare, quando lui abbassò il tiro e lo infilò nell’altra strada. Ormai in preda a un desiderio che non poteva più frenare riprese, per così dire, il suo attacco a testa alta. Centrato l’obbiettivo principale, cazzo curvo come un rinoceronte mi caricò, ma gli strumenti non parvero più accordati. Emisi un urlo straziante, fu come se mi avesse privata di una seconda verginità: --haaiiaa! -- La garza aveva drenato la caverna, in più messa a bocconi con le gambe serrate il morbido laboratorio si oppose a ricevere la sua quota. Egli senza abbassare la pressione, si appoggiò sui gomiti e le mani si infilarono sotto fino a raggiungermi le tette. Tenendomele strizzate da farmele letteralmente esplodere, le usò come appiglio per poter incalzare senza ritegno. Non ero tipo da spaventarsi per una strizzatina di seno, ma era decisamente troppo. --hahiaa! brutto porco mi lascerai le manate!-- Il filetto di carne, muovendosi come una falange macedone, millimetro dopo millimetro guadagnò spazio. La fragile chiusa ben presto si umettò e lo ricevette in grembo in tutta la sua lunghezza facendo del mio “tanabus” una scatola angusta. Dopo avermi infilato il gladio fino all’elsa esclamò: °°adesso dimena il culo se ti riesce.°° Poi la passione prese possesso di lui con tutti i suoi sintomi, e sapevo fin troppo bene che chi si mette in moto con quella rapidità, diventa presto una valanga inarrestabile. Il prosieguo furono spintoni senza riserbo apostrofati da frasi indegne mai dette dai suoi predecessori, pronunciate con un lessico popolare e dialettale da bettola, mescolate a commenti immonde(°°hai la topa stretta come il culo di una gallina.°°) si sfogò fino alla farneticazione. E le parole mi eccitarono più della carne cruda. Sentivo il suo caldo fiato sul collo mentre me lo slinguazzava. L’avanzo di medio evo, andando di spiccio traeva il cazzo poi me lo spingeva dentro con una impetuosità pressante alle quali io rispondevo, in sincronia con scalcagnate. Il suo bacino risuonava sulle mia chiappe che facevano da ammortizzatore con tanti - clap! clap! clap! Scompigliata ribattevo all’unisono con: --hoo! hoo! hoo!-- Aggiungendo qualche --haiia, così mi fai male!-- °°Cosa vuoi che sia, ti sei lasciata saccheggiare dalla sua mazza che ti ridotta in pezzi, e hai resistito come nulla fosse e adesso ti lamenti.°° --Si, e vero, ma prima ho goduto anche col tuo e tu sei più giovane di lui munito di tutti i crismi necessari e potresti fare cose migliori e invece stai rovinando tutto.-- Cazzo curvo colto alla sprovvista: °°cosa c’è? non ti piace il mio cazzo?°° No! non è questione di misura, quando li ho dentro i cazzi si attagliano tutti alle mie misure, voglio dirti che potresti fare di meglio, prendimi con forza ma non con violenza. Aveva moderato per così dire gli slanci e un po’ sconcertato disse: cosa dovrei fare?°° --Intanto lascia che mi giri.-- Mi permise di farlo e liberato dalle sue pastoie mi misi supina. --Baciami, succhiami le labbra.-- Dopo un lungo sbaciucchiamento da perdere il fiato tornai alla mie richieste. Spalancai le gambe e alzai le ginocchia. Il piede sinistro lo puntellai contro l’angolo, col destro raggiunsi un sedile, poi decretai:--adesso voglio il cazzo, il cazzo duro.-- E guardami negli occhi mentre me lo infili. Non ero più in vena di giaculatorie, e sapendo bene che l’impazienza è tipica della lussuria esigetti:--fottimi, ma fa in modo di non venire subito.-- Non avrei tollerato di essere eccitata per poi lasciare tutto in sospeso. Non volevo riprovare l’orrore del godimento insoddisfatto. Avevo preso il sopravvento sostituendo rapporto discente/docente. Riacceso l’idolo all’azione, imboccò la bocca della fornace calda e accogliente e si intrufolò negli abissi che scottavano: e il sangue mi ricicciò nelle vene. Senza più presa sulla realtà stavo per perdere la trebisonda. Mentre cazzo curvo sembrava stesse giocando per ammazzare il tempo io stavo fronteggiando un brusco cambiamento di temperatura. I pungiglioni della carne si fecero sentire con vivacità prepotente. Seguitò a lavorare col delizioso strumento con infaticabile lena dimenandosi dentro le mie fronde con virile protervia raffinandoli all’evenienza. Il repertorio che si articolò con assesti appetitosi, con accordi irregolari e a volte perfino bizzarri. Una liturgia del su e giù, dentro e fuori, girarlo e rigirarlo, pinneggiarlo per dargli un ritmo. Fu una vera apoteosi. Quando mi accarezzò le natiche con fare seduttivo, un brulichio si palesò con una strana sensazione all’altezza delle piccole labbra, le quali sembravano essere bollicine d’aria che “frizzavano” cercando di affiorare in superficie attraverso le tenui crespature. Onde d’intensità concentriche assediarono il mio corpo e la mia mente per poi concentrarsi nella cervice uterina.
Espansioni e successive contrazioni si risolsero nell’apice dell’orgasmo. Come al solito persi la cognizione dello spazio/tempo e quando rinvenni stavo ancora emettendo sommessi mugolii di piacere sommersi dai suoi che parevano provenire da qualche sanatorio dell’oltretomba. Il piacere l’aveva colto. Mi stava infliggendo le ultime poderose pungolate aspre e violente. Mi stava venendo dentro e senza scafandro che lo riservava unicamente per le mignotte. E senza chiedermi il permesso. E dulcis in fundo, anche volendo, non avrei potuto farci nulla poiché l’aveva fatto il primo, ricordate? cazzo grosso, e non potevo fare disuguaglianze o sarebbe insorta per dualismo invidia, gelosia e dissidio. Una rigida regola da rispettare sempre durante i coiti con più amanti in simultanea. D’altronde cosa dovevo aspettarmi? Mi avevano scovata a letto(si fa per dire) per una notte intera con un casanova, -e non da strapazzo.- Non ero tipa da relazioni stabili, ma in quell’epoca avevo un moroso, (in quel momento in sospeso) per cui, a meno che fossi una temeraria incosciente e in più scimunita, qualche contromisura per non restare ingravidata avrei pur dovuto prenderla. Per un breve momento il disgusto e l’indignazione m’avevan dominata e il godimento provato sembrò essere in qualche modo frustrato. Lo sgomento e la tensione aumentarono quando la portiera del camion si aprì e il compare salì a bordo. Cazzo curvo ancora sopra di me mi pressava a peso morto. Solo il suo respiro affannoso indicava che era ancora in vita. ## Non avete ancora finito voi due? tagliate corto perché e arrivato il momento di arrotarsi i denti.## Il gambo che tenevo ancora dentro si stava avvizzendo, e senza fare troppa scena uscì di sena. Il suo proprietario si era deciso a liberarmi. Rimesso in sesto, mi allungò due pacchetti. Dal canto suo si pulì il pendolo e si ricompose. Ero ancora nuda e anch’io mi detersi tra le gambe, prima con salviette umettate, approntate a quel proposito, poi mi asciugai con quelli che, per le loro dimensioni sembravano più tovaglioli che fazzoletti di carta.12 Ignoravo la dose di melassa che avevo ricevuto: ma quanta ne aveva fatta! Per quanto, non riuscivo a liberarmene, io prosciugavo ma subito dopo continuava a colare. Nel frattempo mi avevano recuperati i miei indumenti e messi a mia disposizione, e aperto la borsa della spesa distesero una grande quantità di cibarie. Io mi stavo ancora dando da fare per non perdere quello che mi aveva seminato dentro e di conseguenza imbrattare la biancheria. Gli uomini, tutti della stessa pasta di Adamo, prima mi riempivano il ricettacolo di sbobba viscida e appiccicosa fino a farlo traboccare, poi si infastidivano se ne lasciavo la traccia. Ancora nuda con le mani tra le gambe mi meravigliò il loro comportamento, nessun allusione lasciva o a quello che svergognatamente stavo facendo come se pulirsi la topa schiumante al cospetto di due uomini fosse la cosa più naturale di questo mondo, anzi sembravano impazienti e contrariati dal tempo che correva. Credetemi, pulire una fessa di tredici centimetri dopo l’ultima fatica subita, rilassata e frastagliata e che di continuo perdeva come -a detta di cazzo curvo- “una vasca biologica che perde”- richiedeva tempo e riguardo. Una consuetudine durante la quale la mia mente mi riportava alla prugnetta della mia storica amica Dxxx, che invidiavo tanto. = La sua era il prototipo di una prugna tagliata a metà e incollata tra le cosce affusolate, rigonfia e bella soda, con un taglietto di soli quattro centimetri: la fighetta di una bambinella che avevo osservata numerose volte dilatarsi nel mentre si sorbiva con agevolezza cazzi di qualunque misura o, oggetti che ne facevano le veci da lei stessa costruiti per adempiere le stesse mansioni. Anche se a volte solo per esperire. Era un’ingiustizia però! Ma che ci potevo fare?= Mi occlusi alla buona la abituale smerlettata fessura e prontamente mi rivestii dei pochi capi di cui ero equipaggiata. E, --okay--dissi --dedichiamoci alla panza.-- Quella non ha mai tradito. Ma questo non lo dissi. Mi proposero di scegliere secondo i miei gusti. Di certo non aveva lesinato nella spesa. Con tutto quel ben di dio ce n’era da sfamare un esercito e soddisfatto la gola raffinata di un re. Dopo essermi abbuffata, sempre in un clima cordiale ma di forma, senza più commenti sull’accaduto, mi offrirono la cuccetta per le poche ore che restavano della notte. Essi si comportarono come due padri amorevoli e premurosi, anche se, ammettiamolo pure, un pochino pedofili e un tantino incestuosi. Ma io ero di bocca buona per far caso a banali piccolezze. Loro si sarebbero arrangiati in qualche modo. Per me fu un gran sollievo. Più avanti, se ci fosse stata la necessità avrebbero sostato. Tornai a sdraiarmi, e questa volta per riposarmi: ne avevo realmente bisogno. Mi schiusero le tendine e rimasta al buio loro ripresero la marcia e io feci un mentale consultivo della giornata. Avevo incontrato due cacciatori con talento speciale la cui simbiosi li aveva portati al successo. Avvezzati a meretrici, senza tante infeconde avvisaglie e insipidi maneggi, con talento erano passati subito ai fatti concreti usando l’illustre strumento da cui poco o tanto nel bene o nel male dipendevo. Nell’assurdità di quei due metri quadrati in cui apparivano le fotografie delle loro mogli e dei suoi figli, in quel luogo, per me stretto, scomodo, disagevole, che per loro sembrava essere la loro casa, si erano scopata la pulzella, una giovane non ancora maritata con la quale avevano avuto un gioco facile. Avevano abusato di me grazie alla loro posizione di ricatto senza nemmeno dubitare né chiedersi se l’approccio prescelto fosse stato quello corretto.
= A qui tempi avevo più bisogno di un morso che di uno sperone per cui ero stata una facile preda. Ma anch’io mi ero divertita. Avevo goduto tre volte. E loro, per omaggiarmi, si erano svuotati della loro concupiscenza dentro di me. Una nuova esperienza memorabile inumata nel museo dei miei souvenir che: non avrei mai ipotizzato che l’avrei ripescata per narrarla a voi; anche se di certo non da lustro a chi vi ha partecipato. Ma allora così era andata, e non ho potuto e non posso farci proprio niente.= Quella notte, durante quel raccoglimento gli avvenimenti si sovrapposero, si confusero e il primo sonno mi raggiunse, profondo, poi divenne di piombo. Venni svegliata da un bagliore ardente. Per alcuni attimi mi parve di trovarmi in un luogo alieno. Ma presto rinvenni e ripresi coscienza di me, della cuccetta, del viaggio. Eravamo di nuovo in sosta e il sole era alto. ## Se ti va puoi scendere per un caffè o altro, noi abbiamo bisogno di recuperare.## Mi dissero in modo autoritario. Alla luce del giorno tutto parve diverso Non mi feci pregare. Appena a terra mi resi conto che mentre ero immersa nel sonno avevamo attraversato la frontiera. Finalmente eravamo in Italia. Entrati nell’autogrill ci dirigemmo ai bagni. Appena fui nella toilette mi abbassai le mutande, mi tolsi il tampone e quella volta anziché ricevere eliminai tutto il disutile. Il posto non era invitante per quello che dovevo farmi, e per quel motivo io portavo con me sempre l’occorrente, dei fazzoletti appositi adatti a ogni evenienza, detergenti e disinfettanti. Avvolsi un fazzoletto su due dita e me le infilai il più a fondo possibile nel canale vaginale. Adempii quella funzione per ben tre volte e come una attenta e diligente esploratrice feci riflessione su i sintomi più delicati. Provai un leggero bruciore all’imbocco della caverna tra le grandi e piccole labbra, il ch’è non mi turbò, dopo la funzione a cui la poverina era stata costretta a subire era da considerarsi normale, inoltre quel fastidio si sarebbe mitigato dopo pochi minuti. = Quello che invece mi preoccupava erano i batteri, funghi e virus: che non potevo vedere. E simulavo per non fare menzione a me stessa di acronimi che mi avrebbero fatta inorridire.
Quelli che dopo una incubazione mi avrebbero aspettata al varco, e per scaramanzia invocavo la mia buona stella che me li tenesse lontani. I legittimi interrogativi si miscelano ora sul mio passato, dai quali ne arguisco che probabilmente mi ha esaudita poiché a tutt’oggi, escludendo una banale cistite( rivelatasi in seguito fortunosa) l’ho sempre scampata bella. Alla fine di ogni nuovo flirt a sfondo sessuale i miei proponimenti si rivolgevano alla prossima volta. Mi dicevo: se anche questa volta la scamperò, nel prossimo intrallazzo esigerò protezione e sicurezza. Ma sapevo che la strada che portava all’inferno era lastricata di buoni propositi e a quanto gli uomini fossero allergici ai profilattici. Del resto anch’io non ne ero entusiasta e dopo averne fatto uso ne restavo sempre in qualche modo insoddisfatta. Desideravo la materialità intima della carne viva, con un finale logico per naturale sfinimento, in special modo con quelli con cui mi sentivo a mio agio e più libera, che mi sentivo attratta da loro, per non dire che dimostravano di amarmi. Ma non sempre ho potuto scegliere. Che ci potevo fare? Non farlo più senza il guanto! Me lo diceva anche mia nonna. E sapevo anche che la strada giusta era sempre la più ostica da imboccare, ma sapevo anche che il serpente cambia la pelle ma non può cambiare la propria natura. Non mi sono mai fatta scopare a scopo procreativo, pertanto a tutt’oggi non saprei dire se sono stata diligente, baciata dalla buona sorte o semplicemente sono sterile: una vaccina vuota, terminologia che usava mio padre quando una vacca, dopo vari tentativi di fecondarla, seppur montata al naturale da un toro vigoroso non restava gravida. L’innocente vacca colpita dalla sventura, veniva inviata anzitempo, seppur piena di salute al macello. Anche i buoni a volte fanno cose orrende.=
13 Ma, quel momento non era adesso e potevo solo sperare, pertanto in quelle esiziali meditazioni lasciai quel luogo squallido per inoltrarmi nella sala convinta di trovarmi con i miei protettori. Per quanto mi guardai attorno non li vidi. L’ansia mi assalì. E perché non dirlo? saggiai il terrore dell’essere abbandonata come potrebbe provare una bambina che improvvisamente si trova sola in una piazza ghermita di sconosciuti. L’emotività è sempre stata la mia sciagura. Mi precipitai verso l’uscita per controllare se ancora ci fosse il camion. Ritenevo i due personaggi fedifraghi, con predilezione ai rami principali della ricerca del piacere, oltre che a nuove forme di esperienze al di fuori delle regole tradizionali, ma non codardi. Tuttavia caddi in un delirio generale. Mi vedevo già costretta a chiedere un passaggio a sconosciuti i quali non avrebbero perso tempo a rimettermi le mani addosso per somministrarmi un' ulteriore dose.
Appena giù dagli scalini quasi inciampai contro di loro. Il gatto e la volpe, che usciti per fare quattro passi mi stavano aspettando. Mi resi conto di aver commesso l’ultimo errore. Mortificata dal mio comportamento tentai di inventarmi un pretesto, ma oltre che essere impaurita ero diventata anche balbuziente. Comportamento che al più anziano non sfuggì e tagliò corto, credei che per risparmiarmi una reprimenda e togliermi dall’imbarazzo mi chiese. ##Hai fatto colazione?## Ancora non ero riuscita a dissimulare l’ansia e l’angoscia e le parole non mi uscivano di bocca per cui ancora una volta tagliò. ##Fai pure con calma, noi ti aspetteremo qui.## Deglutii a vuoto e tornai sui miei passi. Pagando di mia tasca ordinai un caffè che non poteva che essere all’italiana più un paio di brioss al miele e un bicchier d’acqua. Rilassata, in tutta tranquillità uscii e avvicinandomi a loro riuscii persino a esprimere l’ombra di un sorriso, e il mondo mi parve improvvisamente un porto sicuro. --Sono pronta-- Gli dissi. --Possiamo partire.-- Per tutto il resto del viaggio il loro comportamento fu integerrimo, nessun riferimento a quanto era successo. Sembrò avessero rimosso tutto. Certa gente sapeva mantenere bene i loro segreti. Io afferrai l’antifona e mi plasmai alla metamorfosi. Non era successo niente. Non mi avevano fatto niente. Se non fosse stato per il leggero formicolio che avevo ancora tra le gambe avrei pensato di avere fantasticato ogni cosa. Dopo circa tre ore arrivammo al parcheggio della fabbrica, e lì dopo aver recuperata la mia valigia ci salutammo e: --Aah, a proposito, se dovessero chiedermi con chi sono tornata potrei conoscere i vostri nomi?-- Amichetta FINE.
.
CONTINUA.
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore.
Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Commenti per Parigi, fine.:
