Lui & Lei
l' amico.1

17.08.2016 |
1.061 |
1
"Avrebbero potuto fluttuare liberi e autonomi come due gemelli dentro lo stesso utero..."
Avevo circa 26 anni e convivevo con un uomo (separato)da circa un anno. Era presidente di una società locale e quando si tenevano le riunioni, ovviamente, era indispensabile la sua presenza. Le riunioni eranolunghe e spesso noiose e in quelle sere rincasava sempre tardi. In una di quelle sere un suo amico passando
per la strada dove abitavamo si fermò per salutarlo. Gli dissi che non era in casa, ma per cortesia lo invitai ad entrare. Dopo le convenevoli presentazioni durate circa una mezzoretta se ne andò. Il giorno dopo ne parlai al mio compagno della visita ricevuta e lui mi confermò la veridicità di quanto mi era stato riferito. Era realmente un suo vecchio, caro, e affidabile amico. La cosa si ripetè circa tre mesi dopo, pensai all’ironia della sorte: una fatalità! Proprio in quelle sere in cui non era presente lui passava per quella strada. Le coincidenze ci sono sempre state e non mi sconvolsi per quello. Inoltre non avevo motivi validi per insospettirmi. Era un uomo cordiale, colto e simpatico, non volli sembrare incivile e lo invitai per la seconda volta ad entrare con l’intenzione di avere con lui una distensiva chiacchierata. Ero sola in casa e il suo arrivo inatteso fu per me uno sconvolgimento dei miei programmi. In tenuta da camera me ne stavo tranquilla a discernere capi di biancheria da eliminare e il disordine che ne conseguiva mi provocava disagio. Gli chiesi di scusarmi e concedermi alcuni minuti coi quali avrei rimesso provvisoriamente un minimo di ordine per rendere l’ambiente ospitale. Mi voltai girandogli la schiena e pochi attimi dopo mi sentii abbracciata da dietro, imprigionata, come avvolta da una piovra gigantesca la cui potenza mi lasciava intendere l’inutilità di ogni tentativo di liberarmene. Fui sbalordita dal suo comportamento tanto audace e a mio parere sconsiderato . Sopraffatta dalla sua forza bruta, stupita, pensai ad uno scherzo di cattivo gusto, ma quando una delle sue mani si diresse decisa tra le mie gambe dovetti convincermi che aveva intenzioni bellicose e io avrei dovuto barricarmi. Non ancora convinta, gli chiesi nel tentativo di dissuaderlo, se fosse impazzito. Gli dissi, come deterrente, che lui sarebbe tornato presto e se ci avesse scorto in quella situazione sarebbe finita in una tragedia. Mi rispose che ero una infame bugiarda e replicò- +l’ho visto entrare per la solita riunione, e lo sai bene che non tornerà tanto presto, aspettavo questo momento da quando ti ho vista la prima volta, ti voglio, ed è inutile che tu faccia resistenza perché non me ne andrò fino a quando non ti avrò chiavata per bene, a modo mio, sei una troia e voglio darti quello che ti meriti + Annichilita, esterrefatta, ancora titubante, incredula su quanto mi stava accadendo e su quello che mi sentivo dire da un uomo a me ignoto. Un anonimo che tumultuosamente stava entrando nella mia vita: forse... sconvolgendomela. Ormai la sua intenzione era inequivocabilmente comprensibile, era venuto con l’intento di scoparmi, e aveva circa tre ore di tempo per realizzare il suo laido progetto. Incurante della mia ansietà dimenava le dita della sua mano che aveva infilato tra le mie cosce, poi la tolse e drasticamente la usò per abbassarmi il pigiama che si portò con sé anche le mutande. Ero rimasta nuda dalla vita in giù. Con l’altra mano teneva strette entrambe le mie mani dietro la schiena e temevo che mi lasciasse escoriazioni da quanto me le serrava. Non usavo tutta la mia energia per liberarmi sapendo che una stretta energica mi avrebbe lasciato lividi che poi il giorno dopo si sarebbero anneriti e io avrei dovuto giustificarli. Era giunto il momento in cui avrei dovuto prendere una decisione. Pensai di avere a che fare con un pazzo, un esaltato in preda a un raptus: eppure il mio compagno me lo aveva descritto come un uomo sobrio e soprattutto affidabile. Ma sapevo anche che gli uomini quando avevano a che fare con soldi e sesso, l’amicizia e la fiducia andavano a farsi benedire. Quindi: o ribellarmi categoricamente usando metodi aggressivi che avrebbero potuto sfociare in graffi, urla e danni collaterali, o lasciarlo fare sperando in una rapida e forse piacevole conclusione. Oltre al rischio di una sua possibile vendetta. Non era mai successo che dopo una smanacciata avessi interrotto un approccio. Avrei dovuto impormi, farmi rispettare, ma ormai l’aria si era caricata di elettricità e faceva scintille.Mentre io mi perdevo in considerazioni lui portò la mano sinistra dietro di me per abbassarsi i pantaloni e premere il suo corpo contro il mio. Sentii il suo ariete caldo e duro insinuarsi tra la fessa delle mie natiche e la sua mano tornare tra le mie cosce. Le sue dita si persero nella peluria alla ricerca di quel luogo di delizia e paradiso di godimento. Le spinse più in profondità e senza incontrare difficoltà entrarono nella mia fessura anche se non ancora preparata a riceverle. Me la massaggiò vigorosamente e lei mi provocò un brivido in tutto il corpo. Scoprii con stupore che sapeva esattamente come toccarmela regalandomi percezioni meravigliose. I suoi polpastrelli solleticavano il nucleo più intimo della mia femminilità e la mia carne si stava infradiciando di eccitazione. Mantenevo le gambe ben strette per non apparirgli accondiscendente, ma l’umidità che si stava formando nel mio antro tradiva il mio diniego. La sua mano si intrufolò tra le mie cosce per il davanti e si aprì un varco fino a raggiungere il suo membro che poi infilò nello stesso. Ce l’avevo tra le gambe e avrei potuto vederne la testa spuntare proprio appena sotto la mia apertura che si stava preparando per assaggialo. Sempre con la stessa mano se lo girò verso l’alto posizionandolo in verticale assicurandosi che la sua testa fosse a contatto con le labbra della mia caverna la quale lo sentì bussare. Gonfio da scoppiare, lo sentivo fremere con tutto il suo ingombro. Erano trascorsi poco minuti e il suo lavoro certosino sembrava essersi concluso con cautela e precisione. Posò le dita tra la peluria, proprio all’ingresso della mia crepa schiacciandomi il clitoride e la punta delle sue dita le usava come guida per impedire che spingendolo potesse uscire dalla giusta traiettoria. Quando ritenne che tutto fosse perfetto, mi diede una spinta che avrebbe sfondata una porta sbarrata. Emisi un urlo e per affievolire lo strappo interno al mio sesso mi misi in punta di piedi. Avrei voluto volare via. Gli dissi -- che fai brutto porco- mi fai male!-- + si, si, e tu sei la mia scrofa + e ricevetti subito un altro spintone che mi squinternò. La posizione era tra le meno favorevoli, ma la violenza usata era stata tale che si sarebbe insinuato ovunque, e se non fosse entrato me l’avrebbe lacerata. + Sei una lurida bagascia + con questa espressione completò la serie delle spinte e io mi convinsi di aver ricevuto in corpo tutto il suo cazzo. Mi erano incomprensibile le motivazioni che lo portavano a denigrarmi e spregiarmi. Mi faceva pensare che mi conoscesse da tempo e potesse prevedere le mie reazioni. La tranquillità con cui operava sembrava aver previsto che io non avrei urlato, né mi sarei opposta con mezzi aggressivi. Alla fine della fiera mi stava stuprando. Soprattutto non capivo il come nulla lo preoccupasse, nemmeno la concreta possibilità di un imprevisto ritorno del mio compagno. Mi stava infervorando ma ero anche realmente preoccupata. Il linguaggio sconcio e gli aggettivi che usava sembravano essere disprezzo che provava nei miei confronti: dunque, mi conosceva? Un diavoletto si materializzò nella mia mente. Forse costui conosceva il mio passato, era a conoscenza dei cadaveri che tenevo nel mio scrigno conservati in gran segreto fin dalla mia incestuosa adolescenza. In quel tempo ormai andato ero ancora immatura e quei giochi che allora mi apparivano ludici e innocui si erano rivelati in seguito molto insidiosi . E siccome certi peccati mortali non li avevo consumati da sola, le complici, o i compagni di merenda avrebbero potuto divulgare solo per vanto o per semplice gusto di diffamarmi. Un angoscia che quando insorgeva mi faceva, e che fa tutt’ora fluttuare il mondo in cui ho vissuto per 40 anni. Per un momento mi ero allocchita, privata di ogni iniziativa, frustrata da quel presentimento decisi di cercare una veloce conclusione e liberarmi di lui, e, ormai arrivata al punto in cui ci trovavamo era di farlo godere e finire al più presto. Sarebbe stata la decisione più semplice anche se non la migliore. Avevo sperimentato in analoghe situazioni che quando gli uomini durante un coito si appassionavano con violenza perdevano il controllo e giungevano a una veloce eiaculazione. Era la speranza che ambivo in quel momento, anche se l’attesa mi avrebbe fatta impazzire. Cessai ogni resistenza e assecondai i suoi desideri ma senza partecipare, tenevo i muscoli sciolti per non dare inizio a un piacere che poi sarebbe stato seccante doverlo inibire. La mia prugna si era lubrificata e la sua verga fluttuava agevolmente dentro di essa. Sentendomi arrendevole mi liberò le mani e mi guidò mettendomi prona, piegata in direzione del mobile che tenevo dinnanzi e al quale poi mi appoggiai. La nuova idonea posizione permise a lui di affondarlo completamente dentro di me facendomelo sentire proprio nel fondo del pozzo rilevando che le sue misure erano considerevoli. Un vero sacrilegio non poterselo gustare. Mi afferrò per i fianchi e mi attirò verso di se contrapponendo il mio corpo alle spinte che mi infliggeva ripetendole ad un ritmo asfissiante. Dopo alcuni minuti, trafelato, per riprendere fiato si arrestò e incominciò un andirivieni: dentro e fuori, lentamente, poi diede inizio a un movimento, -col cazzo tutto dentro-, rotatorio, ellittico, mantenendo il mio culo incollato al suo bacino. Le sue dita conficcate nella carne mi dolevano e spesso ne lasciava una per pizzicarmi fendendomi le chiappe e darmi sberle sulle cosce che avevano su di me l’effetto di una meritata punizione. Avrei voluto staccarmi dal mondo e dissolvermi nel nulla. Mentre continuava a destreggiarsi dentro alla mia grotta profonda, aveva ripreso imperterrito il suo florilegio di sprezzanti, lerci vituperi che non riuscirei mai a ripetere e che avrebbero scandalizzato la meretrice più rodata del più noto postribolo che la storia potesse ricordare. Tuttavia alcune di esse mi sono rimaste impresse perché rispecchiavano parole che mi erano state dette da altri in altre simili occasioni. + Sembri una bambina acqua e sapone invece sei una sporcacciona, -hai un visino dolce come la principessina delle fiabe invece sei una troia sempre in calore - ti comporti come una fanciulla casta e pura fuori ma dentro sei una spudorata - ti ho riconosciuta la prima volta che ti ho vista da come guardi e da come ti muovi - sei una vacca che lo prende nel culo dal primo torello che incontra: -e la conferma è questa- è la seconda volta che ti vedo, nemmeno mi conosci e già ti sto fottendo.+ Mi ricordò mia madre che nei rimproveri era sempre generosa. Continuò col dirmi che da quando mi aveva conosciuta si era fatto un casino di seghe in attesa del momento propizio, ed ora che era arrivato mi voleva avere fino in fondo. Pensai che una sega se la fosse fatta anche prima di venire da me perché nonostante la furia con cui mi possedeva non si decideva a venire. Dunque il suo giudizio su di me era desunto dal mio portamento e non da quello che io temevo. Il mio presagio si rivelò fallace. Il mio portagioie non era stato forzato e dei miei sottaciuti e infamanti segreti lui sembrò non saperne niente e io avrei potuto tornare a respirare. Una rivelazione che mi permise di trovare sollievo, come dopo un responso negativo a un insidioso esame clinico. In conclusione ipotizzai che avrei avuto a che fare con un maschio di quelli tosti, che sapeva come maneggiarmi e si sarebbe sollazzato a suo piacimento. -Ero stata con uomini che venivano ancora prima di infilarmelo, altri che concludevano dopo un paio di minuti, e tutti dicevano che era la prima volta che gli capitava. La colpa della loro precocità la imputavano a me perché li eccitavo a tal punto da non riuscire a controllarsi. Un vano pretesto. Un’altra categoria di uomini la cui virilità, a mio modesto parere era indiscussa, mi scopavano facendomi la radiocronaca di tutto quello che stavano combinando, secondo per secondo, con una acribia tanto lodevole da farmi rabbrividire. Col senno del poi scoprii che il loro intento era di rendere vivace la scopata in se accendendo la mia libido, per rendermi disponibile e remissiva a ogni loro stravagante sortita, e per di più, stuzzicare la mia curiosità con proposte sempre più indecenti lasciandomi poi la peccaminosa sensazione di essere stata io a volerlo. Ma il fine principale a cui miravano era di interrompere il circuito sensoriale“cazzo cervello”. Dovendo riflettere sui vocaboli da usare distraevano i sensi intellettivi e dai centri nervosi non partiva mai l’input dell’eiaculazione. La parte più complicata era trovare il modo che il repertorio dei vocaboli non si esaurisse. Potevano proseguire anche per molte ore e le uniche interruzioni erano brevi intervalli per le rotazioni delle pose e pause concesse a me per riprendermi tra un orgasmo e l’altro . Poi quando decidevano che era giunto il momento di concludere si impegnavano e dopo qualche minuto con rantoli animaleschi, venivo inondata da un torrente di liquido che non era di certo acqua sorgiva. Un’arte di pochi e chi la possiede di certo non la divulga ad altri. Consideratela una mera confidenza. L’esperienza mi metteva sull’avviso che l’uomo con cui avevo a che fare, avrebbe esaudito i ghiribizzi che aveva in testa, anche se ciò mi fosse costato lo spargimento del mio sangue. Non avevo nulla da eccepire anche sul giudizio che aveva espresso su di me. Era vero che col mio comportamento simulavo una pubescente. Ho una voce adolescenziale e su questo particolare ho speculato per dare una originalità al il mio portamento. L’ho sempre evidenziato con abiti, taglio di capelli e trucco. Il risultato che ne conseguì fu che a 19 anni me ne davano 15, a 25 venivo considerata ancora minorenne, ora che ne ho più di 40, chi non mi conosce è pronto a scommettere che non ne abbia più di 25. Ci avevo sempre marciato e ancora oggi non mi dispiace quando qualcuno me lo annovera. Non passavo mai davanti ad uno specchio senza darmi una sbirciatina di compiacimento. Intanto, tornando a quella sera, non finiva di stupirmi la meraviglia sulla tranquillità del suo comportamento. Era in casa di un suo amico e gli stava trombando brutalmente la sua donna, se il mio compagno tornando ci avesse scoperti in quella depravata, esecrabile situazione ci avrebbe sgozzati entrambi. Ma questa preoccupazione sembrava turbare solo me. La sua arcana tranquillità e sicurezza ebbe su di me un effetto rilassante. Rasserenata dopo il cessato angosciante timore dovuto agli spettri incalzandi del mio passato, stavo ritrovando l’energia per risolvere l’incombenza che mi ero prefissata. Avevo un problema da risolvere apparentemente il più semplice: farlo venire e che se ne andasse al più presto. Avrei dovuto impegnarmi e escogitai come farlo. Abbassai il mento fino a appoggiarlo al mobile, strinsi il così detto muscolo dell’amore avviluppando il salame di carne calda e palpitante che fluttuava nella mia matrice e, che come nutrito da lei, sembrava avesse aumentato il suo volume. Inarcai la vita e gemendo incomincia a dimenarmi. Sentendomi compiacente e ebbra di sottomissione e desiderio, mi disse che era così che mi voleva, che dovevo liberare il fuoco che ardeva dentro di me. Mi lasciò i fianchi e mi fece scivolare la camicetta scoprendomi la schiena. Sentii la sua lingua scorrermi lungo la spina dorsale provocandomi un fremito avvolgente. Le sue mani raggiunsero i miei seni e me li strinse solleticandomi i capezzoli. La scomodità lo distrasse e il suo pistone fuoriuscì dalla traiettoria scivolando sulle labbra del mio sesso. La mia mano solerte sovvenne per cercarne la punta e mi trovai tra le dita il suo caldo, serico e grosso glande.
Lo presi per la testa, lo trovai tutto bagnato dai miei umori. Lo spinsi davanti alle mie labbra che si aprirono e il gingillo scivolò dentro alla fessura carnosa appiccicato alle mia dita che rimasero a fargli compagnia.
Nonostante la decisa contrazione dei miei muscoli scivolò fluidamente come un serpente entra nella propria tana. Le mie dita non gli rubarono spazio, là dentro c’era posto anche per due. Avrebbero potuto fluttuare liberi e autonomi come due gemelli dentro lo stesso utero. La mia mano rimase incollata al mio punto vitale e incominciò a strofinarlo freneticamente. Il tempo si era fermato e avevo la sensazione di muovermi in qualche cosa di denso e compatto. L’eccitazione nell’aria stava crescendo e sembrava essere palpabile. Dietro di me lo sentivo balbettare frasi che non riuscivo a cogliere e nel contempo mi pugnalava con colpi rapidi, violenti in tutta la lunghezza e la grossezza della sua verga. Io strinsi i denti e mugolai di furore, mi dibattevo e sussultavo come se mi stesse frustando. Tolsi la mano destra dal mobile e la usai per graffiarlo forte, al buio, dove capitava. Lo sentii gridare e la dopamina si mise in circolo attivando i miei centri nervosi. Pochi attimi e fui invasa da un fortissimo desiderio, mi agitai e il mio ventre si mise a palpitare autonomamente. Il mio proponimento di non partecipare al banchetto si stava dissolvendo come la bruma del mattino e capivo che mi sarei sciolta come la neve sotto un sole mediterraneo. Cercai di aprire le gambe per facilitarne i suoi movimenti, ma mi accorsi che avevo ancora l’impaccio delle mutandine e del pigiama abbassati che ne limitavano l’agio. Provai a liberarmene, ma l’impresa senza l’uso delle mani risultò complessa e così interrompemmo per qualche attimo l’azione e anche lui ne approfittò per liberarsi dei suoi indumenti. Una fastidiosa ma inevitabile pausa che mi concesse di aprire le gambe e dopo un attimo già mi trovai riempita dal quel cazzo ancora anonimo. Le sue penetrate si susseguivano veloci e profonde e i suoi movimenti risuonavano nei classici clap, clap, dovuti al suo bacino che sbatteva contro le mie natiche accaldate. Io gemevo e i miei fianchi ebbero voglia di muoversi accompagnando la sua movenza e per accrescere le sensazioni portai una mano tra le gambe e incominciai a masturbarmi vivacemente. L’attrazione divenne prepotente da indurmi a pensare che per fortuna presto sarebbe finita, con lui avrei passato ancora poco tempo altrimenti avrei perso il controllo delle mia azioni. Devastata, con il volto infuocato e incollato al mobile, la testa puntellata contro il muro, sentivo il cuore battermi forte. Una ardente passione scorreva ormai nel mio corpo. Spasmi ritmici, contrazioni nel mio ventre mi avvertivano che stavo arrivando alla fine del viaggio. Nel momento culminante avrei urlato e i miei muscoli si sarebbero contratti togliendomi il respiro, le mie ginocchia non mi avrebbero sorretta e se lui non fosse stato sollecito nel sostenermi sarei precipitata al suolo come un sacco di stracci. Ma questo lui non poteva saperlo, che dovevo fare? Pochi istanti dopo, la mia apprensione si rivelò superflua, perché lui decise di fermarsi nel momento più incandescente. Avevo ormai la carne e la mente attizzate e stavo raggiungendo la vetta del piacere quando lui me lo svelse. Mi sentii precipitare in un baratro del quale non vedevo il fondo. --Noo!-- Gridai in urlo di disperazione. Tentai di finirmi massaggiandomi il clitoride, ma lui mi raggiunse la mano e me la attorcigliò dietro la schiena: prima una poi lo fece anche con l’altra. Ero nuovamente immobilizzata, come una sua prigioniera da ammanettare. Quasi piangendo gli chiesi --perché! Non è evidente che ti sto regalando tutta me stessa? Cosa vuoi da me!-- + Semplice, non voglio che tu venga. + Tenendomi per i polsi mi spostò dal mobile e mi condusse in direzione di una poltrona adiacente costringendomi a coricarmi sulla sponda destra. Appoggiata con solo la pancia tenevo la testa affondata contro l’altra sponda, le gambe a penzoloni e il culo all’insù: la posizione ideale se avesse avuto intenzione di prendermi dal lato b. - Porco!- pensai, e al quel pensiero rabbrividii. A quello non ero preparata, e comunque mi sarei difesa con cattiveria, se fosse stato necessario anche con unghie e denti. Finalmente mi liberò le mani e le sue le impiegò per aprirmi bene le natiche sembrando intenzionato, come un medico, a visitarmi. Ero perfettamente illuminata dal lampadario centrale che per ovvie ragioni non era stato spento. Dopo brevi attimi esordì con, + lo sapevo, ne ero certo che avevi anche il culo rotto, tutto innocenza e candore fuori e una depravata porcellona dentro. + --No!! Non è vero, non ce l’ho rotto, ma chi sei tu per sostenere simili oscenità-- Mi tornò alla mente il suo primo incontro dove parlandomi di lui mi disse che aveva studiato medicina, ma poi la morte del padre lo costrinse a smettere gli studi e trovarsi un lavoro. Non era certo il momento propizio per chiarimenti e dissertazioni in merito, e sarebbe stato laborioso fargli comprendere che avevo avuto solo brutali e violenti tentativi con uomini maldestri privi di scrupoli e probabilmente anche di esperienza, che pur causandomi dolore e sanguinamento non mi avevano sodomizzata. Potrei dire che l’avevo scampata per un pelo! E quello che lui vedeva ne erano solo i postumi. Continuò illustrandomi con cognizioni di causa che tenevo una ferita di quasi un centimetro e la chiusura dell’orifizio non avveniva più in modo rotante ma assomigliava a un sacchetto di carta stropicciato. Trovai inutile ribadire. La ferita sapevo di averla poiché spesso mi tornava a sanguinare, inoltre mi era stata diagnosticata durante una visita ginecologica con la disamina di “ragade da sforzo alle ore 11” e l’unica cura sarebbe stato il rifacimento dell’orifizio anale, per quanto riguardava la chiusura non ne avevo alcuna idea. AMICO5- + Ma G---- lo sa che sei rotta anche nel culo? Non credo che tu glielo abbia riferito, con la tua vocina melliflua e melodiosa l’avrai incantato e lui non ritiene possibile che tu sia tanto bucherellata. + Quell’uomo aveva perspicacia e sembrava conoscermi profondamente; era vero, tutto vero, al mio compagno non potevo dirglielo, non l’avrebbe tollerato, e temevo che guardandomi in determinate posizioni se ne fosse accorto della ferita e io avevo già escogitato la risposta: -che in passato avrei avuto un periodo di ostinata e fastidiosa stitichezza.- Ma che ci dovevo fare ? Caro lettore se ti comunicassi di avere lo sfintere anale lacerato dalla testa di un cazzo e ti assicurassi di essere ancora analmente vergine e, pretendessi pure di essere creduta, che mi risponderesti? Verresti invaso da infinite curiosità patologiche e pretenderesti da me tante morbose spiegazioni talmente dettagliate, estese fino a quando esse avrebbero perso il loro significato letterale, e alla conclusione della mia reiterata geremiade tu non mi avresti creduto e -sempre tu - mi avresti risposto: ma chi vuoi prendere per il culo? Io ribadisco all’infinito, e in questo sono convinta di avere ragione, che la fedeltà, oltre a ogni atto che riguardi la sfera sessuale, non si possa pretendere da chi ancora non si conosceva. Il passato dovrebbe essere e restare un argomento innominabile: un tabù. In quello stadio della mia vita, rivelargli i segreti che rendevano ammalorato il mio antro del didietro, sarebbe stata una cattiveria inopportuna. Dirglielo avrebbe equivalso a instillargli l’insidia del dubbio, e sappiamo che la sua vocina pur essendo debole e fioca, ha una peculiarità: quella di non dare pace. Essa avrebbe bussato ripetutamente alla sua porta e seppur più volte pervicacemente respinta alla fine si sarebbe fatta ascoltare. No! assolutamente no. Al mio compagno non avrei mai potuto riferirglielo. Temevo che non mi avrebbe creduta e non l’avrebbe neppure tollerato, sarebbe stato un requisito troppo volgare. (Alla pari di una ragazza che pur essendo ancora vergine era rimasta pregna. Lei si disperava e anche se poteva dimostrarlo di esserlo, nessuno le credeva. Sentivo dire, dietro le quinte: poverina, si vede che fatto il bagno nella stessa vasca da bagno dove suo fratello si era appena fatto una sega. Seguito da, Haa! Haa! Haa! Mi era noto che gli uomini cercavano con cupidigia le ragazze che concedevano quel buchetto stretto e prelibato. Molti le prediligevano ma poi consumata la trasgressione le sputtanavano con sozze e ingiuriose battute; autentiche volgarità. In quel periodo lavoravo in una fabbrica promiscua e origliavo con accuratezza e circospezione i confidenziali misti bisbigli che mi giungevano all’orecchio, i quali contribuirono -anche se ero ormai adulta-, alla mia formazione culturale e psicologica. Di tanti episodi che ho orecchiato uno mi è rimasto impresso nella mente. Un -tipo- mentre stava inchiappettando una -tipa-, gli uscì il pungolo dal buco e per “l’effetto ventosa” si tirò con sé quello che lei, “la tipa”si teneva nell’intestino, che, descritto con dovizia di particolari tra odori e colori, mi fece sentire male e mi venne un conato di vomito. ) Chiedo scusa, ma è troppo piacevole perdersi in digressioni, ed è tempo che torni alla prosa della realtà di quella sera. A conti fatti le sue illazioni erano corrette, il mio compagno ignorava le nefandezze,- anche incestuose,- del mio passato compiute nei vari periodi e che risalivano fin dalla mia adolescenza. Come avrebbe ignorato l’abominio che stavo consumando con un suo amico a me fino a quella sera sconosciuto. Tuttavia per quella sera, quel posto in cui tutti gli uccelli vorrebbero terminare il loro volo, una’altra volta sarebbe rimasto ancora inviolato. Non si erano create le condizioni neppure per un modico e ludico giochino. E mi convinsi che anche lui doveva essersene persuaso. Ero ancora sul bracciolo della poltrona e mi sentivo scomoda, la faccia conficcata in un angolo mi ribolliva, dovevo muovermi o sarei scoppiata. Tentai di girarmi, ma brutalmente me lo impedì. Mi disse perentoriamente,+ stai ferma non ho ancora finito + Mi girai per quel tanto che mi fu possibile, e inveita gli risposi -- ma che sei per darmi ordini? Ti presenti in casa con il pretesto sacrosanto dell’amicizia e poi hai la spregiudicatezza di prendermi con la forza e ti permetti di giudicarmi. Ti stai rendendo conto di quello che stai facendo? Stai fottendo la donna di un tuo amico sapendo che lui potrebbe tornare da un momento all’altro, sei almeno consapevole di quello che stiamo rischiando? Mi ero preparata a darti un contentino veloce ma ora mi sto ricredendo.-- Beffardamente mi rispose. + Abbiamo ancora due ore di tempo, per cui rilassati. + La sua lapidaria, sbrigativa e autoritaria risposta mi toccò qualche corda viva e elucubrazioni mentali incominciarono a sgomitare nella mia mente. Mi chiesi come faceva ad esserne tanto certo. E se fosse stato d’accordo con lui? Una scommessa! Non sarebbe stata la prima volta. O forse voleva solo mettere zizzania nella nostra copia? Domande che al momento non potevano trovare una risposta esaustiva. Al contrario di me non sembrava né agitato né preoccupato, come se avesse saputo cosa sarebbe accaduto, come comportarsi e su come gestire la situazione. Mi chiesi come mi avrebbe ricordata dopo che se ne fosse andato. Per lui sarei stata un passatempo di una sera in cui non sapeva cosa fare, oppure un festeggiamento per effettuato una nuova conquista, o una semplice avventura da vantarsene nei bar con compari. Mentre sterilmente ero alla ricerca di significati reconditi, lui mi solleticava i glutei facendo scorrere le dita tra il loro solco sfiorandomi i petali della mia rosa senza spine gocciolante. Decise di infilarmi un dito tra di essi che poi divennero due e incominciò a scoparmi con quelli. La posizione in cui giacevo era disagevole, inoltre mi ero deconcentrata e i miei centri nervosi non risposero a quell’esplorazione. Trovai l’ardire di ribellarmi ai suoi voleri e mi girai liberandomi delle sue dita e interrompendo il tedio a cui ero costretta. Sedutami sulla poltrona mi trovai al cospetto del suo tartare di carne rubiconda dalla parvenza di una bocca ringhiante. La vista pizzicò la corda più sensibile del mio corpo. E non era una illusione ottica. Altero, emergeva sotto la camicia che si era annodata sotto l’ombelico. Era lungo una ventina di centimetri con il testone completamente scoperto ricoperto da una sostanza untuosa, più largo del cono di carne che lo reggeva, sussiegoso, senza la minima imperfezione. Sulla pelle morbida e brunita era evidente una vena bluastra palpitare . Un affresco da collezione. A lui non sfuggi la mia meraviglia e rapido mi mise una mano sopra la testa afferrandomi per i capelli la guidò affinché il suo glande aderisse alla mia bocca che senza indugiare si aprì ospitandolo nella sua umidità tentatrice, decidendo così la fine delle mie giaculatorie. La sua spranga turgida si era insinuata lasciva nella leccornia della mia saliva, le mie labbra si strinsero al suo sesso e ritenni di succhiarglielo. Con una mano glielo strinsi percependo il suo ardore, era liscio e innervato allo stesso tempo. La mia lingua esplorava la punta in tutti i suoi dettagli concentrandola sul punto che sapevo più sensibile mentre con la mano incominciai a seghettarglielo. La disarmonia mi fece autonomamente scivolare e mi trovai inginocchiata ai suoi piedi. Con la mano che tenevo libera raggiunsi la borsa che gli accarezzai, poi trovai i testicoli e glieli strinsi. Provai un desiderio di vendetta, avrei potuto morderlo lasciandogli il mio emblema, potevo fargli male e liberarmi di lui, dimostrargli che ero pungente, grintosa, fargli capire che non poteva farsi gioco di me. I miei propositi di una piccola vendetta svanirono meramente appena mi sentii afferrare per i capelli e vedere il suo corpo avvinarsi bruscamente. Mollai quello che tenevo in mano e me lo sentii sprofondare nella gola. Dovetti affrettarmi ad assumere la naturale angolazione dell’oca, [becco, bocca e collo in linea retta per inghiottire la preda] per non affogare e permettere al suo palo dritto di scorrere morbido. Inginocchiata con la testa tra le sue mani agevolavo il ritmo che mi imponeva ritmando con un continuo avanti e indietro. Mi stava scopando come aveva fatto poco prima in quell’altra apertura che tenevo tra le gambe. Due corpi che si muovevano in un balletto erotico. Con la lingua lo avvolgevo e leccavo tutto dalla base alla punta, la suzione sembrava averlo ingrossato e fosse diventare più duro. Ero in allerta e attesa di percepire le vibrazioni del preludio dell’eruzione. Avrei dovuto correggere il percorso onde evitare che i getti del suo nettare mi fossero andati di traverso. Se fosse venuto mi avrebbe riempita la bocca del suo seme e io avrei dovuto bere, quella pappa viscida, quella crema dal gusto conturbante ma a volte sgradevole e ingoiare la brodaglia di uno sconosciuto avrebbe messo a prova il mio stomaco. Quel dolce amaro che mi ricordava la medicina che mi somministravano da bambina e che farcivo con lo zucchero per camuffarne il sapore. Ma questa sarebbe stata schietta, calda, senza orpelli culinari e senza dolcificante. Agitata da quelle considerazioni allungai una mano tra le mie gambe e me la sentii inzuppata e gocciolante. Nello stato in cui mi trovavo non sarebbe stato il momento di tenerlo in bocca, ribollivo come una vacca in calore in attesa di essere montata da un toro furente dopo essere stato tenuto per mesi in castità. Ingannai la mente concentrandomi su quanto sarebbe stato soddisfacente potermi sedere su quel obice di carne che tenevo in bocca, infilarmelo nel mio fiore carnivoro usando il peso del mio corpo per usufruirne di tutta la sua dimensione per farlo arrivare fino in fondo, spostarmi in avanti e metterlo di traverso pressando il mio pistillo sull’asta dura e poi dimenarmi in una sequela che mi avrebbe condotta alla sazietà della carne. Erano bastati alcuni minuti per portarmi nel paradiso della lussuria e tornai alla cruda realtà quando lui mi spinse la testa all’indietro sfilandomelo dalla bocca. Mi appoggiò la stessa alla poltrona, si girò da un lato poi roteò il proprio corpo percuotendomi il volto con il suo bastone che risuonò con un suono cupo “tunf” sulla mia guancia. Basita, ancora prima di potermi riprendere si roteò al contrario e mi colpì sull’altra guancia. --Ma che fai! Sei impazzito? Mi hai fatto male-- + Si! dovrei prenderti a schiaffi, castigarti per la tua spudoratezza.+ --Ti sto solo donando tutto quello che mi chiedi, sei tu il porco, ma che vuoi da me? Vuoi punirmi? Va bene, fallo, su! Percuotimi in un posto in cui non dovrò giustificarne le escoriazioni-- Alzai lo sguardo in segno di sfida e cercare la sua complicità, vidi il suo volto contratto in un ghigno diabolico che mi preoccupò. Senza turbarmi rimanendo inginocchiata mi girai mostrandogli il mio posteriore, poi mi aggrappai alla poltrona pronta a ricevere le sue percosse. Sembrò rimanere schioccato dalla mia repentina intraprendenza.-- Adesso picchiami, fammi male! Su! Che aspetti? Punisci la tua bambina che non ha studiato.-- Senza preavviso mi percosse con una violenta pacca sulla natica destra che echeggiò nella stanza seguita da un mio esangue lamento. Faceva sul serio, nel mio intimo era quello di cui ne avevo una imprevista esigenza. --Aahhiiaa! Si! Così! Sculacciami perché sono una monella cattiva che non ho studiato la lezione.-- Mi arrivò un'altra sberla fendente che mi fece sussultare, data con furore con l’intento di colpire materia e spirito. Nel mentre mi accusava di essere una svergognata, una depravata, solo una poco di buono poteva chiedere e fare porcherie del genere. La pelle mi bruciava e mente e carne si erano attizzate. --Ma bravo il paparino che picchia la sua piccina perché non ha aiutato la mamma-- Le sue mani mi colpivano ormai senza tempistica e senza logica. Mi ero scompigliata e lui sembrava essersi privato della capacità di qualunque reazione oltre al percuotermi e all’insultarmi. Balbettava. Anche i suoi vocaboli stavano esaurendosi. Era arrivato il soffio che aveva risvegliato le braci che covavano sotto la cenere e ora il fuoco divampava. -Era trascorsa all’incirca un’ora dal suo arrivo e una sera di noia stava conoscendo la potenza rigenerativa dell’eros. Mi sentivo un oggetto passivo da lui goduto, una botte vuota da riempire, un corpo acceso che ubbidiva senza compromessi. Sapevo che per me, dopo che lui se ne fosse andato, il mondo sarebbe stato uguale ma diverso. Sarebbe stato lo stesso, ma mai più come prima. Ero una fedifraga, stavo commettendo un ignobile tradimento e l’enigma delle conseguenze restava irrisolvibile. Stavo provando l’ebbrezza della trasgressione, il gusto delle regole infrante.- Lui si era spostato sul mio fianco sinistro e afferrata sul fianco destro mi attirava sé pressandomi sulla coscia sinistra il suo ammasso di carne duro. Con l’altra mano libera continuava a percuotermi senza ritegno e dove gli capitava. L’adrenalina si era messa in circolo nel mio corpo producendo endorfina poiché nonostante le violente percosse non sentivo più dolore. Provavo solo un grande calore su tutto il mio di dietro. Intervallava le sberle con carezze e pizzicotti prediligendo il tenero e morbido interno delle cosce umide del liquido che colava dalla mia caverna madida. Mi strinse la conchiglia raccogliendola tutta nel suo palmo con una impetuosità da sradicarmela. Quella volta non riuscii a trattenere un lamento accompagnato da un reclamo. --Aaahhhiioo! --Ma che vuoi farmi! Me l’hai slabbrata, brutto porcello-- + Si, vorrei strappartela e portarmela con me per scoparti ogni volta che proverò desiderio.+ --Sei uno schifoso bastardo, ne ho una sola!-- Come se avesse voluto controllare, si mise dietro di me e chinatosi mi aprì bene la fessa delle chiappe e mi esplorò. L’essere guardata, mostrarmi nelle mie pudende, fin dalla mia infanzia mi aveva sempre entusiasmata. Gli chiesi-- Cosa vedi?-- + Vedo una folta foresta, uno sbrego di 15 cm e un antro che sembra un imbuto. Sei tutto pelo e tutta figa, hai un solco che per riempirlo servirebbe il cazzo di un cavallo. Un nido rotondo che invita a deporre, basterebbe una imburrata e ti scivolerebbe dentro che non te ne accorgeresti neppure.+ -Sapevo bene che non sarebbe stato così indolore: eccome se lo sapevo! Come ho asserito nel paragrafo precedente, neanche lui mi aveva creduto. Si era fermato alle apparenze. Si era lasciato sedurre da ciò che vedeva e si era convinto che la realtà fosse quella. A volte chi vede non vede niente. Dal mio meato ancora non v’era passato alcun membro maschile, né piccolo, né medio, né grosso. C’avevano provato, ma nessuno aveva superato quel valico, c’erano quasi riusciti, avevano fatto capolino ma poi sono stati respinti all’ultimo istante, proprio un attimo prima di subire l’ultimo colpo: quello fatale. E glielo ripetei dicendogli pure che lui, , sarebbe stato l’uomo ideale per provarci, ma quella sera. I tempi non lo permettevano e anche lui sembrò esserne consapevole perché non eccedette oltre all’accarezzarmelo.- Con presa ferina mi arraffò le natiche e me le aprì al massimo della sua espansione e la sua bocca si incollò al mio sesso. La sua lingua si insinuò lasciva mentre succhiava, assaporava, leccava. Sentirmi divorare in quel modo sublime venni sopraffatta da un dolce tormento e trasportata in un oasi di lascivia mentre l’incendio dentro di me divampava sempre più potente. ( CONTINUA, amico 2)
Disclaimer! Tutti i diritti riservati all'autore del racconto - Fatti e persone sono puramente frutto della fantasia dell'autore.
Annunci69.it non è responsabile dei contenuti in esso scritti ed è contro ogni tipo di violenza!
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
Commenti per l' amico.1:
