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Lui & Lei

Quella notte 1


di amichetta
24.11.2018    |    720    |    0 8.7
"Avevo i muscoli addominali rilassati e il suo timone navigava su e giù con agevolezza..."
A quel tempo avevo “20 anni e già lavoravo a tempo pieno. Un giorno mio padre ricevette una contestazione inerente a un bollo dell’auto che, a quanto appariva per l’aci risultava non pagato mentre mia madre conservava l’originale che sembrava essere in perfetta regola. Gli offrii il mio aiuto dicendogli che conoscevo un esperto che avrebbe saputo districare la matassa senza tante complicazioni. Mio padre negato per gli incartamenti sembrò non aspettasse altro. La sera stessa mi recai alla scuola guida che avevo frequentato due anni prima per poi conseguire la patente di guida. Attesi che la lezione fosse giunta al termine, poi quando tutti gli allievi se ne furono andati, mi avvicinai all’istruttore e dopo i vari convenevoli gli esposi il dilemma. Egli, confrontando l’intimazione ricevuta e il bollo in mio possesso, si rese conto in pochi secondi dove stava l’inghippo: un numero della targa risultava sbagliato o non perfettamente leggibile. Mi disse che la scorrettezza era prevista nei possibili errori per cui non avrei dovuto preoccuparmi, il giorno dopo avrebbe fatto tutto l’occorrente per risolvere il disguido. A quel punto avrei potuto considerami paga, ringraziarlo, salutarlo e tornarmene a casa, ma come accadeva sovente in queste circostanze non ebbi la fermezza di farlo. Lui mi dichiarò che di me si ricordava, che il mio portamento l’aveva colpito e sperava di rivedermi. Quelle delicatezze misero ancor più a soqquadro i miei proponimenti e quanto aggiunse al discorso, che, avendo appena concluso la lezione si sentiva la gola secca, se mi andasse di bere qualcosa in compagnia, così tanto per conversare e guarda caso nei pressi ci stava un bar che sembrava stare lì ad aspettarci, e io cedetti al suo invito. Dopo avermi chiesto come mi andasse la vita, incominciò a narrarmi di sé. Abituato all’insegnamento aveva facondia e a me apparve come un uomo burbero ma affascinante e l’ascoltai restandone ammagliata dalla sua eloquenza. Il tempo scorse veloce e considerato che l’orario si prestava all’occasione mi offrì una frugale cenetta, per così dire al lume di candele. In seguito, usciti dal locale raggiungemmo le nostre auto, ma troncare una conversazione interessante mi sembrò uno sgarbo, così mi invitò e convinse a salire sulla sua auto, tanto per non dare troppo nell’occhio. Era un uomo piuttosto maturo con almeno trent’anni più grande di me, ma i suoi modi il suo portamento erano seducenti, conversare con lui era un piacere tanto che ci trovammo subito in sintonia. Io lo ascoltavo in silenzio mentre mi raccontava la sua storia e ogni tanto prendeva un’aria assorta, ma poi si rallegrava e mi faceva rallegrare. Un uomo arrogante, ma scorgevo nella sua voce una finezza teatrale che sembrava non appartenergli. Quella sera indossavo una sottana di una spanna più corta del dovuto, di tela color cachi, una camicetta bianca, un paio di calzini di cotone, le scarpe da ginnastica azzurre, mutandine leggere e trasparenti e reggipetto di nailon rosa, insomma sembravo una studentessa appena uscita dal collegio e mi sentivo a mio agio. Dal suo racconto avevo appreso che la moglie lo aveva da pochi mesi abbandonato ed era in fase di divorzio, che aveva un figlio di quattordici anni e quella sera era con la moglie. Mi disse sgomento che quella lasciata l’aveva sorpreso perché sembrava che tutto andasse a meraviglia e invece sotto la cenere covava il tradimento: e dulcis in fundo con un amico a loro comune. Mi sorprese quando mi parlò di un micino che teneva in casa del quale si era scordato e essendo fuori dal mattino temeva che avesse fame per cui mi chiese se l’avessi accompagnato a casa sua, tanto per fare un giretto turistico, poi mi avrebbe riportata alla mia auto: roba di trenta minuti. Ancor prima di avere il mio parere in proposito il motore si mise in moto e l’auto si mosse. Protestai! --ma io non ho in programma,,,-- Non mi lasciò finire la frase. $ Su! dai! è questione di pochi kilometri, ti mostrerò dove abito. $ Quasi incredula della sua spregiudicatezza i miei poteri decisionali si vanificarono. Durante il viaggio nella sua bulimica narrazione mi parlò di sé, del suo lavoro, di suo figlio, della moglie e dei problemi che le trattative del divorzio gli stavano causando. Era un uomo intelligente, mi faceva un sacco di domande e non erano delle più banali. Sembrava che non gli interesse altro che sapere della mia vita intima. Mi disse che avevo un aspetto magnifico, mi chiese se e dove lavoravo, se avevo un fidanzato e se ne avevo avuti in precedenza, insomma in breve uno seppe tutto, -o quasi,- dell’altra. La questione però ha risvegliato la mia diffidenza, e per amor del vero, in cuor mio mi chiesi, senza riuscire a discernerlo, se fosse un presentimento o solo un desiderio. L’auto bianca proseguì e presto arrivò a destinazione. Si fermò nel cortile di una casa a due piani nei pressi del centro del paese di Quistello. Scorgendo la sua mano sul pomello del cambio nei pressi della mia coscia nuda, mi resi conto di quanto potevo essere per lui provocante. Prevedendo le sue intenzioni gli dissi che non sarei scesa dall’auto, vestita com’ero, se mi avessero occhieggiata mi avrebbero scambiata per una del mestiere. --Vuoi farti vedere dal vicinato rimorchiare una puttana?-- Gli chiesi. Tanto più che al primo piano abitavano i suoi genitori. $ Si! forse è meglio non farsi notare, aspettiamo il buio della notte. $ Stavo per ricordargli che eravamo venuti solo per il gatto, ma quando lo vidi abbassare il sedile gli chiesi cosa stava facendo, ma ancor prima di avere una risposta si accostò su di me e fece altrettanto col mio. --Ma che stai facendo! sei impazzito? ti sei scordato la ragione per cui siamo qui? -- Ormai si era addossato su di me come avrebbe fatto un orso, la sua bocca si era insinuata sul mio collo e la patta dei pantaloni mi pressava come un macigno duro la coscia sinistra. $ C’è anche qui una micetta da custodire. $ --Ma che stai facendo! ti rendi conto che potrei essere tua figlia? la tua bambina?-- $ Ma che stai a raccontare, che vuoi che mi interessi. $ Intervenne lui brusco. --Che intenzioni hai!-- $ E me lo chiedi?$ Paralizzata dalla sorpresa imprecai con tutte le parole velenose che mi vennero alla mente. --Sei un essere odioso, un bastardo figlio di puttana-- Ma lui sembrava essere sordo e se mi sentiva decise che non gliene importava nulla. Combattuta tra il timore e il desiderio che il suo fascino segreto mi incuteva, cambiai tattica. --Dai! lo faremo un’altra volta, questa sera ho un’amica che mi sta aspettando, dobbiamo tornare, sono già in ritardo, e poi non posso, veramente non posso!-- Chissà cosa suscitò il lui la mia affermazione, ma di fatto mi ficcò una mano tra le gambe sulla materia scottante e mi palpò, come se volesse esaminarmi se portassi quello che distingue i maschi dalle femmine o se avessi il marchese. Non trovando né l’uno né l’altro mi chiese che cavolo mi passasse per la mente. --Non posso, da alcuni mesi sono in astinenza e ho sospeso la pillola, capisci? potrei restare gravida, vuoi mettermi in cinta? vuoi altre grane?-- Era vero solo in parte. In quel periodo dopo aver avuto una traumatica esperienza mi ero promessa che se mi fosse andata liscia mi sarei fatta monaca. Tuttavia, non avevo sospeso l’uso della pillola poiché venivo regolarmente scopata dal mio amante attempato e segreto con il quale avevo un sodalizio profondo, una amicizia complessa di lunga data e mi incontravo con lui due volte la settimana. Ma egli non poteva saperlo né immaginarlo. $ Non sono un pivello. $ mi disse $ E’un problema del quale non devi preoccupati. $ Le sue dita si arrotolarono attorno al cavallo delle mutandine e le tirò in basso. Trovando difficoltà per non strapparle strusciò sotto al culo con una ben consolidata tattica, le agguantò da sotto e me le abbassò. Sembrava che le mie proteste avessero solo lo scopo di accrescere il consenso, così nonostante la mia ritrosia l’operazione avvenne sbrigatamente. Col culo nudo sui sedile e la figa al vento mi sentii vulnerabile.
2 Credevo che un uomo non mi potesse più far paura, invece mi terrorizzava, perché non sapevo cosa avesse in mente. Un fatto era certo: non era di quelli che venivano ancor prima di mettermelo dentro. In preda a un delirio infantile mi sentii le lacrime sgorgare dagli occhi e i dubbi di trasformarono in ostilità.
Sudavo e le mani mi tremavano. A stento, con un rigurgito di cattiveria esclamai, --sei un bruto, non ti voglio, ti stai approfittando di una ingenua e sprovveduta ragazzina che si è lasciata ingannare dalle tue suppliche.-- Vedendomi colta da raptus cambiò tattica. Con un leggero sorriso forzato e una posa caramellosa mi disse. $ Sei un angelo, una ragazza stupenda, non rinuncerò a te. dai! su! fai la brava! anch’io sono solo.$ Risentii la sua voce soffiata in un orecchio. $ Iniziamo una storia, finché la và la và, poi il primo che si stanca la finiremo lì, e poi un po’ di esercizio ci farà bene a entrambi: così tanto per cambiare dessert.$ Una storia l’avrei desiderata, magari con il mio idolo, quello che mi aveva iniziata al sesso, o un coetaneo che mi amasse, invece quelli mi adocchiavano, pucciavano il biscotto e poi chi s’era visto s’era visto. --La tua è una proposta oscena, non sono una sgualdrina da utilizzare da chiunque a volontà e senza problemi: voglio tornare alla mia auto.-- Mi accorsi che la cosa non gli fece piacere e prevenne la mia protesta cambiando il tema della conversazione.
Il discorso riprese pacato, fluido, come se argutamente volesse incantarmi con le sue frasi smozzicate, gli schiocchi della sua lingua, i modi carezzevoli, lisciarmi, lusingarmi, adularmi animato da una folle determinazione di fondo. $ Libo a lei signorina fantastica, un rito che regalo alla luna qualcosa su cui valga la pena risplendere. $ Restai ammutolita dalla sua impertinenza. Mi ritrovai tra due mondi diversi e separati. Avrei riso e pianto contemporaneamente e quell’enigma da risolvere mi toccava più di quanto avessi previsto. A volte le soluzioni erano vicinissime e non le sapevo mai cogliere. Mentre mi perdevo in incogniti lui mi spinse in alto la camicetta insieme al reggipetto scoprendomi le tette. $ Hai due coppe di champagne magnifiche. $ Senza dire altro si mise a sbevazzarmi un capezzolo, poi passo all’altro. Me lo prese in bocca, lo strinse e sollevo il mento mantenendo la carne tra i denti. Lo strappo, eseguito come uno sbranamento mi inflisse un dolore che non avevo mai provato ma che avrei voluto perseverare. --Ahiuu!!-- gridai. -- mi hai fatto la bua! non farlo più!-- E continuò a titillarmi tra sussurri e sorde palpitazione quella zona tanto sensibile. Mentre soggiacevo ai suoi sfoghi insani incominciai a sentire la passione e il desiderio crescere. Mi portò una mano sotto l’esigua sottana e come un precursore mi esplorò tutto il corpo. Sembrò preso da una fascinazione morbosa per quei luoghi e passò ostinatamente numerose volte dalle parti boscose a quelle morbide. Nervosa, mi incuriosii dall’abilità delle sue mani. Fiutando la mia momentanea accessibilità, tagliò corto, andando al centro bruciante della questione senza tante cerimonie racchiudendosi su di una sola parte: la più interessante. Le sue gambe scivolarono tra le mie. Paziente e rilassata le mie intenzioni si fecero tanto palesi che mi scordai perfino di serrare le cosce quando lui decise che era giunto il momento di insinuarsi tra di esse. Che senso avrebbe avuto resistergli ancora? Avevo detto e ritrattato, mi ero contraddetta più volte, mi ero ormai compromessa e recriminare mi sarei rivelata una disturbata mentalmente. Pochi attimi e mi sentii esplorare tra la radura tomentosa sensibile come un sismografo da un agglomerato sostanzioso morbido e corposo. Quando trovò il centro della spelonca pelosa e tentò l’accesso tra le fauci ancora rinsecchite masticai a vuoto e emisi un -- Hhooo--
Lui nota la mia sorpresa e sorride compiaciuto, un sorriso fosforescente, sorniamente allusivo e misterioso.
Tra le gambe sentivo il fagotto frugare sordo e come una falange minacciosa accalcata nel canale stretto che lo strizzava e si opponeva al suo passaggio. Per agevolargli il compito inarcai il bacino, e come tante altre volte spalancai le gambe senza darmi pensiero, senza controllare, con l’impeto di un gesto di accoglienza felice. Per favoreggiarlo appoggiai il piede destro sulla maniglia della portiera e il sinistro a cavallo del sedile del pilota, mentre tra le cosce mi sentivo ancora compressa, trapunta.
Duro come un masso iniziò un caos di spinte, di piccoli spostamenti avanti e indietro.
Avevo una certa famigliarità con quel tipo di visite. Eccetto casi eccitanti di per sé stessi, sono sempre stata parsimoniosa alla secrezione di muco. Chi mi conosceva ovviava con lunghi preliminari o con una slinguazzata di figa, a meno che volesse divertirsi in altri modi. Una feritoia inaccessibile poteva essere una figurazione di:“cazzo troppo grosso” e, se, i miei melodrammi non li facevano venire mentre me lo conficcavano dentro brutalmente avevano di che divertirsi. Ma di quel turacciolo, -che sapevo bene essere un cazzo,- che si dava tanto da fare per imbottigliarmi ancora non ne avevo nozione, ma mi suscitava perplessità e allo stesso tempo ero divorata dall’ansia di provare com’era.
--Fermati, mi stai facendo male!-- $ Che c’è, che hai! lo so che lo vuoi!$ --Mi fai male, ce l’hai troppo grosso, non senti che non ci passa? mi stai sfondando il suggello-- $ Perché! vuoi farmi credere che sei ancora illibata?$ --Macché! sono alcuni mesi che non ci passa niente da lì e il pertugio deve essersi ristretto-- $ Stai tranquilla, ho il grimaldello giusto per scassinare ogni serratura, anche quelle sprangate. $ Tra gemiti, guaiti e un pianto sommesso continuai. --Sono tesa! se avessi indossato il guanto sarei più rilassata.-- $ Lasciati andare, conosco i rischi dell’esercizio. i preservativi li uso solo quando vado con le puttane. $ Mi rispose secco. E ritornò a premere. E io sentivo la cappella sfrigolare come un turacciolo nel collo di una bottiglia. Tuttavia, quella frase mi fece rizzare le orecchie. --Quando è stata l’ultima volta che ci sei stato: a puttane.-- $ La notte di natale, ero solo e mi sentivo depresso, così per dispetto verso il mondo ne ho assoldato due: una vogliuzza di una notte. $
--Com’erano? e come è andata a finire!-- $ Erano giovani, più o meno come te; secondo te cosa avrei dovuto farci! le ho fottute in ogni modo che mi fu possibile! per tutta la notte! ecco come è andata a finire, mi sono venute a costare un occhio della testa.$ Lo intervistai sui momenti più incandescenti consumati quella notte per farmi un’idea sul destino che mi attendeva. Il suo resoconto che mi sembrò del tutto verosimile, ascoltato con carnale attenzione, risvegliò la mia libido e la roridità del mio sesso si mise in rapida ascesa; e a lui, da uomo assertivo non sfuggi il mio sostantivo cambiamento. Mi mise una mano sotto al culo e diede una ulteriore botta. Una lingua di fuoco avvampò nel mio ventre e la testa del cazzo guadagnò spazio.
Poi lo ritirò, e subito riprese con un affondo deciso. Dalla mia bocca uscì un grido soffocato dalla sua. Tornò a cavarlo poi seguì una nuova stoccata e il cazzo s’intrufolò come un verme entra in frutto maturo. Il canale si era lubrificato e la verga inizio a farsi strada, saliva con lentezza, si inerpicò con un periodare elicoidale in salita lungo il tunnel che si faceva sempre più stretto e chiuso. E io aspettavo, attendevo acquattata l’esplorazione di quelle zone a lui completamente sconosciute. Come un toro mi colpì giusto con l’ultima cornata e la mazza si infilò nella caverna con uno straccio di esultanza, inebriante come il gemito che riuscì a strappami Il respiro mi si strozzò in gola quando emisi un singulto festoso. --Hooo.--
3-Con la mano sotto al culo mi stringeva le chiappe con le dita adagiate nel bel mezzo dell’infossatura e con la bocca tornò a succhiarmi un capezzolo che sentivo essere tumefatto. Quando lo mollò, si accostò a un orecchio e con voce incrinata, con aria da cospiratore mi chiese: te lo senti dentro? Che stronzo pensai. --Cosa credi! non sono una bambola gonfiabile! si! complimenti, il tuo cazzo mi ha sigillato il ventre. Mi sento satura come una botte piena.-- All’improvviso venni spinta da una improvvisa fame. La brama si incendiò. Il cuore fece le capriole. Il suo cazzo sembrò assumere un’andatura strana, drastico, cruento. Me lo sentivo addosso che sbavava dalla voglia, l’aria mi venne a mancare. --No! no! fermati! fermati!-- Almeno c’avesse messo un poco di tenerezza, magari sprecata, ma sarebbe stata consolante. Anche il mio cervello provò un brivido di calore. che bruciò il tempo. Tremante lanciai un grido e feci per liberarmi, ma lui mi tenne stretta, e mi scopò, mi scopò fino a quando mi venne una smania dentro che non me l’aveva fatta ancora provare nessuno. Ci provavo un gusto così schietto, calda da diventare matta gli gridai:--dai! dai! Il dardo infuocato mi esplose nel grembo e mi fece venire in una convulsione violenta, impetuosa, inarrestabile: e io trasecolai. Quando ripresi coscienza giacevo sotto di lui col cuore che scalpitava. Avevo la gola secca ed ero un poco refrattaria. Intanto auspicai che anche lui non fosse venuto: dentro oltretutto, ma il cazzo che tenevo ancora conficcato nella pelle che come un topo si rimestava nella tana resa dai miei schizzi scandalosamente lubrica, mi convinse del contrario. Quell’uomo aveva saputo usare con destrezza i suoi attributi dominandosi appieno e allo stesso tempo divertire il mio ricettacolo. Lo sentii esordire: $ Buonasera fanciulla. dove sei stata? lo sai piccola che hai dato veramente i numeri. $
Feci un leggero sorriso forzato seguito da un sospiro di sollievo. Anche stavolta era andata, ero riuscita a prendere tutto il suo cazzo e se fosse stato un uomo come tanti altri mi avrebbe riempita del suo seme e :amen. Ma non andò così. Dopo una attesa che mi sembrò lunghissima i meccanismi si rimisero in moto per il bis. Un poco recalcitrante lo accettai passivamente. Avevo i muscoli addominali rilassati e il suo timone navigava su e giù con agevolezza. Ogni tanto lo estraeva completamente poi faceva scivolare la cappella lungo il solco e ricacciava il pungolo con un “ploff “ nel buco delle pesca pelosa. Quanta esuberanza e energia giovanile possedeva nonostante la sua maturità! Evidentemente era molto eccitato dalla ragazzina incrociata per caso che le stava sotto: per lui uno sfizio, il trastullo di una notte. Che stupidi i giovincelli e gli uomini così detti normali a non andare a scuola dai mascalzoni e dai per imparare l’arte di scopare. In genere non ero in cerca di stalloni, ma il predone attempato con la vocazione a farsi le giovincelle mi invogliò di trasformare quella storia avvenuta per una coincidenza in una relazione duratura e di dargli di nuovo tutto quello che possedevo: e la fregola si rigenerò come un polipo che tagliato a pezzi e gettato in mare, si riforma. L’uomo animalesco e signore allo stesso tempo mi scopò, mi scopò senza ritegno. Ma in fondo, mi dissi, scopare con un uomo non era la cosa più naturale di questo mondo? Perché avrei dovuto tentennare? Con dei zig, zag, con dei sibili di spada che mi squarciavano il ventre mi condussero nuovamente sulla ruota della tortura del piacere. Io sbattevo la testa:--no! no! basta! è troppo! non lo sopporto più!-- Lo graffiavo con le unghie, scalciavo e urlavo. Sottoposta a una pressione in pancia senza precedenti arrivai presto al massimo dell’estasi, meno intensa della prima volta, ma ugualmente liberatoria. Quando mi ripresi mi sono svegliata in preda al panico: che diavolo ci faccio qui ? Restai lì, stesa, perduta in me stessa, immobilizzata sotto un macigno incapace di alzarmi. Dopo più orgasmi gli uomini rappresentavano un fastidio più grande di quanto non ne avesse valuta la pena. Lo sentii pronunciare con voce impastata : $ Piccola, hai un aspetto magnifico. $ Avevo la bocca arsa, non mi ero lavata i denti, ero sudata con ancora addosso sottana e camicetta impregnate di sudore, emanavo zaffate di un fetore puzzolente; come potevo avere un aspetto magnifico? Mi resi conto di essere solo lo spettacolo di contorno del suo circo. Il mio impulso fu di scappare: ma il giro della giostra non si era ancora concluso. Ormai era notte fonda, l’abitacolo era una scatola afosa, rovente, i vetri chiusi e appannati, ed era troppo rischioso aprirli. Erano ore che mi scopava e avrebbe anche potuto eiaculare e finirla lì. E glielo dissi. $ Ma se siamo solo all’inizio.$ Mi rispose. Ma perché? che bisogno c’era? Per lui non era uno scopare, era lui ad avvertire la necessità di soddisfare il proprio ego, preso dall’anelito di dimostrare a se stesso e anche all’apprendista di essere un eccezionale amante. Quell’incontro avvenuto per una strana coincidenza temetti potesse trasformarsi in una notte senza giorno. Mi ero inguaiata con le mie stesse mani. Senza altro dire, mi tirò fuori il pungolo dal tunnel e mi girò sul fianco sinistro facendomi rannicchiare le gambe, mi afferrò con una mano una coscia e con l’altra mi artigliò una chiappa, e, mezzo secondo dopo il pinnacolo il quale lo sentii ruvido come un tronco rugoso affondò, tra le cosce, dentro, scivolando tra le labbra carnose. Con grande dimestichezza lo muoveva con grande disinvoltura nella bassa resa flaccida e viscida, mentre mi teneva con una decisa stretta: anche troppo dura per le mie necessità del momento. I sedili tintinnavano a ogni sferzata. Lo sentii accalorarsi, ansimare e incominciò a percuotermi con delle sonore sculacciate sulle chiappe: --ma che fai! mi fai male!-- E me le sono tenute, le pacche, e ho continuato a soccombere. --Mi resterà l’impronta-- $ Perché, a chi dovrai mostrare il culo! $ Il culo no, ma per la malanotte il giorno dopo avrei avuto le occhiaie che mi avrebbero invaso le guance e avrei dovuto escogitare alibi e escamotage d’ogni tipo per giustificarle. Alle mie colleghe avrei dichiarato che era solo stanchezza, ma loro beffardamente avrebbero rimuginato sogghignando: tanto lo sappiamo tutte che è “stato un cazzo”. Mentre lui terminò il suo discorso. $ Mia cara, dovresti conoscere i rischi dell’esercizio, detesto queste lamentele da bambina. $ Non mi piaceva rischiare, eppure il rischio veniva sempre a cercarmi. Il libertino si addentrò sempre più, ogni moina era svanita, ormai comunicavamo solo con cazzo e figa. Chiusa dentro all’auto mi sentivo una bestia in cattività, mentre il suo cazzo si scatenò. Mi flagellò, mi sentivo sfatta, ridotta a brandelli. Io, fingevo che mi piacesse, di godere come facevano le attrici porno che vedevo nei film a luci rosse con gemiti, lamenti, gorgheggi e coi soliti: -haaa!-haaa!- banali e privi di originalità. Ma la commedia della godereccia fasulla è durata poco. Proprio all’imboccatura, tra le grandi labbra insorse un leggero formicolio come un brulicare di insetti che si espanse subito anche sul pistillo, e ben presto il prurito divenne insopportabile. Mi spostai, allungai le gambe, mi girai, appoggiai le ginocchia sulla pedana e mi ritrovai a bocconi con ancora il cazzo conficcato dentro. Il brulichio si era modificato e incredibile a dirsi come effetto congiunto, come risultato annesso e collegato, si amalgamò allo stimolo del godimento e tornai a invocarlo ardentemente: il piacere: --Si! adesso si! si! così! L’agglomerato informe che tenevo pressato dentro mi riportò di nuovo all’idillio. Vari e mutevoli furono gli orgasmi, ciò nondimeno nessuno ebbe a che vedere con l’intensità del primo amplesso. Cessato l’effetto piacevole degli orgasmi sentii il formicolio che continuava a infastidirmi, a crescere fino a diventare straniante, e molto simile a una vestibolite acuta divenne insostenibile. E mentre lui andava ancora alacremente su e giù trovai l’ardire di ribellarmi. Con una voce flebile dissi. --Basta! vuoi farmi morire?-- Egli ridacchiò, ma senza cattiveria. $ Mi servi più da viva che da morta.$ Farfugliò, e finalmente mise fine all’amplesso, si girò e si accasciò sul sedile del guidatore.
4- Priva di energia, sfiancata, slombata, ancora con le formiche che mi brulicavano tra le cosce ero ansiosa di verificare il materiale che mi aveva tanto sfibrata. Mi misi in posa e lo vidi. L’abitacolo era parzialmente illuminato da una lampada dell’illuminazione pubblica e da una del giardino prospiciente, più che sufficiente per la disamina.
Il cazzo ancora eretto gli stava appoggiato sulla sua pancia. Spaventoso, scioccante, sconcertante, conturbante o straordinario, maestoso, un esemplare che avrebbe terrorizzato o fatto piacere a guardarlo a secondo dei frangenti. Alla prima occhiata che davo a un cazzo restavo sempre allibita, impressionata, poi con il ragionamento induttivo giungevo a una conclusione logica. Non avevo menzione di donne finite al pronto soccorso per essere state con un uomo. Era una fobia che mi portavo in testa da sempre, dovuta a un fatto avvenuto casualmente fin dalla mia infanzia. Avevo circa sei anni quando assistetti, nascosta, in un silenzio senza brecce, assoluto, trattenendo il respiro per non farmi scoprire, alla monta tra di un toro e una giovane manza. Scoprire le esagerate misure del manganello del toro mi traumatizzò, ma nel contempo, inibii ogni favola e mi resi conto e ne desunsi per la prima volta con certezza di come si facevano i bambini: ma l’incertezza e la paura si erano sedimentate. In seguito, interpretando la diagnosi arzigogolata di una psicologa, era diventata per me una consueta trasmissione di immagine che come un sasso mi portavo inconsciamente appresso ma che influiva sulla mia disposizione, e che con il tempo e la maturità si sarebbe esaurita. Ragione per cui c’era sempre del grottesco nei miei primi sguardi nello spiarlo sornione da lontano. Lui mi guardò, sembrò controllare i miei movimenti. Mi mossi senza sapere bene cosa fare. Lui mi prevenne, mi prese una mano e mi guidò, fingendo di lasciarmi libera per poi dirigere ogni mia mossa. Con movimenti di danza mi tenne nel cerchio magico delle sue volontà che sembravano essere quelle di farmi prendere in mano la materia principale. Lo toccai delicata come se fosse la sua anima. Poi, con due dita, il pollice e l’indice lo sollevai: era bollente e pesante, tumefatto con una cappella grande e ben tornita che sporgeva gibbosa in circonferenza, vedevo chiaramente la carne di un rosso fuoco. Tra quelli che avevo visto lo catalogai alla serie dei più tosti, del resto non ne avevo dubbi, non tanto perché l’avevo avuto dentro per circa due ore, ma per il suo modo di fare. Gli uomini che avevo conosciuto aventi il cazzo grosso avevano inciso sul proprio carattere il marchio della autorevolezza che coltivava quel genere di spregiudicatezza che li rendeva arroganti e convincenti. Era una logica deduttiva condivisa tra amiche e colleghe, e tutte erano concordi che facesse quell’effetto lì. Ma io quella notte mi ero disattivata fino alla paralisi. Mollai il cazzo che cadde con un tonfo, come se volessi soppesarlo e valutarlo a un tanto al kilo. Poi sapendo che non v’era uomo che non si sentisse lusingato dall’apprezzamento delle dimensioni del proprio scettro, dissi. -- Hai un cazzo spaventoso, se l’avessi visto prima col cavolo che ci sarei stata, me la sarei data a gambe levate.-- E lui. $ Eppure ti assicuro che entra e esce dal gioco in ogni circostanza. $ A quella frase sibillina mi si raddrizzarono le orecchie. Tentai di prendere le distanze, ma non ce la feci, lui ebbe il potere di strapparmi alle mie volontà. Mi afferrò per i capelli e mi trascinò nella direzione facile da immaginare. Mi opposi. Lui mi guardò come per supplicarmi: prendilo in bocca. A scodelle lavate tutti gli uomini erano tutti costruiti della stessa pasta di Adamo.-- La sua fu una continua provocazione. Lo osservai come avrebbe fatto un cagnolino che non ha capito l’ordine del padrone, ma poi ubbidii e mi accostai su di lui. La cappella era notevole e non riuscii a prenderla in bocca, allora lavorai di lingua. La leccai e la succhiai. Presi saldamente la verga con una mano e gli feci un veloce pompino, poi mi venne di morsicarglielo. Azzannai la carne cruda da sotto e strinsi con forza fino a lasciargli l’impronta della mia arcata dentaria. Per quanto serrassi i denti lui non batteva ciglio. Nel frattempo aveva proteso un braccio e la mano e mi aveva raggiunto da sotto la pancia la spelonca. Si mise a masturbarmi facendo scorrere le dita lungo la fessura. Poi spinse le dita verso l’alto: dietro, tra le fessa delle natiche. Scivolando più in alto di pochi centimetri si soffermò sul papavero. Il porco sapeva che c’era e l’aveva trovato.
Nel contempo ero riuscita a pigliare in bocca una porzione del sostanzioso biscotto. Dopo la breve pausa insorse: $ Proviamo a farlo da qua? $ Mollai tutto e: --Ma sei pazzo, stai scherzando vero?-- $ Perché! non dirmi che non lo fai. $ --E non lo farò mai, scordatelo, nemmeno da morta.-- E lui, vistosamente imbarazzato: $ Ma dai, non è un mio ghiribizzo, sai quante ne ho conosciute che fanno tutte così? $ Mi venne alla mente la mia amica Dxxx, lei si che se lo pigliava nel culo senza fare tanti capricci. --Lo so, ci sono donne capaci di tutto.-- Con gli occhi radiosi continua. $ Non sai cosa ti perdi, al piacere anale una volta che l’avrai provato non ci rinuncerai mai più. $ --Non sono così sprovveduta, non mi convincerai che l’odore di merda è profumo di rose. inoltre, la voce del buon senso quotidiano mi suggerisce di non farlo, prendere un cazzo nel culo prima o poi presenta sempre il conto: e sarebbe un conto spinoso.-- $ Da quanto dici sembrerebbe che tu, (pausa) ci sono tutti gli indizi per una conclusione ovvia,(altra pausa) sentirti si direbbe che abbia una certa esperienza in materia. $ --Cosa credi! anche io mi sono trovata immersa nella stessa situazione in cui almeno una volta nella vita in molte hanno sperimentato.-- Se gli avessi raccontato di avere il culo con una lesione di quasi un centimetro e non essere mai stata realmente sodomizzata, si sarebbe scompisciato dalle risate. Una vicenda antecedente, una trabocchetto in cui ero caduta da, all’incirca sei mesi, avuta in un motel e che forse più avanti la narrerò. Egli continua incuriosito. $ E cosa ne hai ricavato? $ -- Una grande perdita di autostima. insieme a vergogna e umiliazione mentale e fisica.-- E trascurai volutamente i dettagli del brutale momento e una ferita che per bene mi fosse andata mi sarebbe rimasta come un marchio ignominioso per tutta la vita. Nel mentre, mi venne da chiedergli brutalmente, non avrei voluto, ma la domanda mi è saltata sulla lingua impellente e con naturalezza. Come se sapessi che la risposta non poteva che essere scontata.
-- E tu? inculavi tua moglie?-- Fa una smorfia come per dirmi: non potevi risparmiarmi questa scortesia? Ma io non intendevo essere educata, e detto tra noi ero pure perseguitata da quel dubbio. E come pensavo lo asserisce con mansuetudine: $ L’abbiamo sempre fatto, da quando avevo venticinque anni. $ Manovrando quello che tenevo in mano da farmi venire i calli: -- con questo?-- Come per dire: --con queste dimensioni? e a lei piaceva?-- Gli feci le domande tutte d’un fiato come se fossi fortemente incuriosita. Domande stupide poiché mi guardò stranito, come per chiedermi: quanti tipi di cazzi dovrei avere? Mi fa un sorriso furbesco e mi risponde. Mi malediceva per i primi tre cinque minuti ma poi le piaceva, del resto è stata lei a insegnarmi, poi abbiamo continuato così, un po’ per abitudine e perché mi piaceva farlo.$ --E non ti è mai insorto il dubbio che lo facesse solo per mera e buona educazione e si sottomettesse per compiacerti?-- $ No! no! credo che ci sia un equivoco.$ lo vidi perseguitato dai dubbi, il rapporto cessato tra di loro per lui era rimasto in sospeso e cercò con l’immaginazione di riempirne il vuoto.
(CONTINUA in quella notte 2)

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