Lui & Lei
Verona. 1

12.08.2022 |
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"] Mi disse dandosi da fare per togliermi di dosso l’ultima lingeria che mi era rimasta..."
1-In questo lungo periodo in cui il virus ha cambiato abitudini e usanze, ho trascorso numerose giornate in completa solitudine e per poter eludere gli effetti neurologici della pandemia mi sono guardata alcuni film revival tra i quali: le età di Lulù. Una scena mi fece balenare alla mente un episodio del quale sono stata protagonista avvenuto molti anni prima. Di quell’evento si sono accese in me le emozioni e i ricordi che da quel tempo avevo cacciato in un recesso della mia memoria. Una esperienza inconfessabile restata unica che non ho mai confessato a nessuno e così a poco a poco ha preso forma nella mia mente l'idea di lasciare il mio inchiostro per condividerla e rinnovarla, perché solo raccontando e scrivendo finisco per riportare alla luce e forgiare alla cura spasmodica ogni singolo dettaglio. Uno scritto che non avrà il compito prioritario di eccitare i lettori ma lo farò sgranocchiandolo come una pannocchia affinché possa avere avuto un senso e non si perda negli intricati meandri della memoria. Avevo 17 anni e con la mia amica Dxxx non cerano stati dissidi e non avevo rotto l’amicizia, tuttavia le nostre strade si erano divise. Lei aveva scelto una scuola a nord mentre io avevo optato per una al sud. Fu un fatto dipendente da circostanze imperscrutabili, ma prevedevo che saremmo rimaste unite da un tono di confidenza. Ma anche in questa dolce maniera ci eravamo allontanate moltissimo. Il paese era di provincia e pur prestandosi a queste sparizioni, paradossalmente si finisce spesso per incontrarsi, perché si hanno gli stessi amici, e si vive pur sempre nello stesso ambiente. Seppur le nostre scelte sembravano aver prodotto una distanza siderale, io ero sicura che sarebbe tornata una stagione di intimità: cosa che in qualche modo si è verificata. Un pomeriggio in un negozio di ferramenta mi ero recata per duplicare una chiave e mentre stavo uscendo incontrai Dxxx sulla porta. Ci siamo date un veloce saluto di straforo con l’accordo che l’avrei attesa all’uscita. Colloquiammo del più e del meno senza approfondimenti né scopi particolari. In seguito mi rivelò che il lunedì prossimo avrebbe dovuto recarsi in città per motivi di studio e mi chiese se le avessi fatto compagnia. Non mi aspettavo quell’epilogo, e se era vero che ogni evento possiede una causa principale, sul momento il suo invito restava avvolto da un fascio di nebbia, una zona grigia in cui non riuscivo a riconoscere il profilo della logica. Sono sempre stata la radice dell’indecisione, ma quando mi giungeva una chiamata da Dxxx prevedevo che era quasi sempre un arruolamento all’avventura, qualsiasi fosse stata la forma in cui si sarebbe manifestata. Sapevo che era un passo azzardato senza conoscere incognite e sviluppi, ma sapevo anche che se non l’avessi tentato non l’avrei mai capito. Per quel giorno non avevo impegni, pertanto risposi: ma --certo!-- All’ora stabilita salimmo sul treno che ci avrebbe condotte in una grossa città del nord a me ancora sconosciuta. Dopo più o meno un trenta minuti uscimmo dalla stazione e alla guida autorevole di Dxxx, dopo un breve percorso in una grande piazza imboccammo una viuzza laterale. Camminammo per una decina di minuti quando incontrammo casualmente due ragazzi maturi i quali provenivano in senso contrario. Appena furono a distanza ravvicinata si fermarono di rimpetto e mentre uno ghignava l’altro esordì con: -quanto vuole signorina, ho una buona misura.- Imprecai tra me e me; di solito non mi lasciavo condizionare dai molestatori, e anche in quel caso risposi in modo brusco --non ti conosco e non credo di voler parlare con te-- E proseguimmo. Ma i due ci seguirono vociferando senza lesinare epiteti degradanti fino a quando incontrammo un signore anziano il quale avendo inteso le loro molestie che mi urtavano veramente, prese le nostre difese. Esclamò in modo impositivo,*zoticoni, lasciate in pace le ragazze* e solo allora i due cafoni desistettero, e noi proseguimmo. 2-Più avanti Dxxx si era fermata davanti a un vecchio palazzo decrepito. Ne dedussi che eravamo arrivate. Un cartello avvisava che i citofoni non funzionavano per cui la porta era lasciata aperta, pertanto lei, senza indugiare ne aveva infilato il portone. Nell’ atrio c’era odore di piscia di gatto, poi dopo tre piani di scale salite a piedi ci fermammo davanti ad una porta mezzo scolorita. Dopo aver pigiato il pulsante sentii uno strillo che proveniva dall’interno: chi è. ++ amici++, rispose Dxxx e la porta si aprì. Appena entrammo dovemmo girare attorno a un letto a castello situato all’ingresso, e subito dopo imboccammo un corridoio con tante porte. --ma quanto è grande questo appartamento? ma quante stanze ci sono qui?-- Non me ne importava un accidente, ma fu l’unica cosa che mi venne da dire. Poi aggiunsi: --non c’è nessuno?- - ++ci sono, ci sono.++ rispose Dxxx con disinvoltura. In cuor mio mi chiesi se prima avrei dovuto calcolarne il costo, ovvero se prima di intraprendere una avventura con Dxxx avrei dovuto valutane lo conseguenze. Poiché se il destino ci avesse messo il turbo poteva confezionare un evento che, nonostante ogni previsione, era e restava imprevedibile. E un viaggio cominciato male non poteva finire bene, lo sentivo per istinto. Lungo il corridoio scavalcammo un materasso steso sul pavimento e proseguimmo fino all’ultima stanza che apparve come una cucina disordinata con i soliti piatti sporchi sul lavello da lavare. I mobili erano ridotti all’essenziale, non c’era nemmeno un quadro, né una qualsiasi immagine sulle pareti. Seduto a una tavola che sembrava fatta a mano, c’era un ragazzo: ++quello è R....++ aveva detto Dxxx indicandolo. Lui stava fumando e mi lanciò una occhiata distratta. Era da un bel po’ di tempo che trattenevo la pipì, così mentre Dxxx colloquiava col tipo seduto io chiesi dove stesse il bagno. Uscii dalla cucina e tornando verso l’ingresso ho imboccato il corridoio e da una porta che si aprì a destra si affacciò un ragazzo più grande di me con la faccia da seduttore mascalzone mi apparve all’improvviso: # e tu da dove sei sbucata!# mi chiese. Prima che potessi rispondere mi afferrò con serena fermezza per un braccio e mi trascinò di forza dentro la stanza. --ehi! ma che ti prende!-- # baby! e me lo chiedi così?.# -- ma che ti sei messo in testa! mi stai importunando!-- Protestai mentre lo osteggiavo con le mani appoggiate al suo petto. Ravvisando la mia scarsa disponibilità ad accettare la sua avance, mi chiese con un commento un po’ stizzito: # ma allora che altro ci sei venuta a fare qui?# Aveva azzeccato la domanda da far naufragare in partenza ogni tipo di possibilità di trattative. Una di quelle domande per le quali non potevo delegare la risposta perché la risposta in se avrebbe contenuto la mia autorizzazione a proseguire per raggiungere l’obbiettivo che aveva preluso. Per compiacere Dxxx stavo appurando di aver fatto una grande cazzata, e quando dovevo prendere decisioni lei era sempre altrove. Durante la breve ma logorante lotta per liberarmi da lui, mi aveva torchiato le braccia e rimasi lì, incatenata tra le sue, in ginocchio, proprio davanti alla patta dei suoi pantaloni all’altezza del mio naso. Era gonfia che pareva contenesse una bottiglia di acqua minerale. Mi sentivo le guance in fiamme. Con una mano mi teneva per i capelli e con l’altra si slacciò i pantaloni e se li abbassò. Sarebbe stato infattibile per me prospettare una realtà così celere e così concreta per cui, schietta esclamai: --no! non farlo! # se sei venuta qui non sei candida come cappuccetto rosso.# -- non sono abituata a simili oltraggi.-- Risposi, continuando ad opporre una tenue resistenza ai suoi volgari toccamenti, ma ero in casa sua, nel suo ambiente e, lui deciso a sfruttare l'utile di una situazione e senza troppe pastoie morali, proseguì, come se facessi parte del mobilio. Con una arroganza ruspante continuò abbassandosi gli slip sciorinandomi il batacchio in tutta la sua carnale evidenza: eretto che non ammetteva più repliche. In quel momento restai a corto di parole. Il cazzo duro aveva sempre la forza di sconvolgere i punti deboli del mio subconscio e di sciogliere tutte le perplessità, specie quelle biologiche impresse dentro la carne. Sollevai lo sguardo e gli diedi una occhiata, anche lui mi fissava con gli occhi ardenti piantati nelle mie pupille e rantolò con una espressione prepotentemente decisa: # dai, per questa volta mi accontenterò di disperdere il mio incenso in questa boccuccia angelica.# Il suo osceno linguaggio mi fece arrossire come una scolaretta e irruppi nel più smarrito disorientamento. Ma quello che più mi conturbò fu che mi mandò fuor di giri. Era un ragazzo pieno di vita, con le guance ombrate di barba, capelli corti e un sorriso da furbacchione. Vedere quel manganello bello teso e asciutto, più lungo che grosso, ma tale da ispirare reverenza, non potetti non ricorrere al metro il quale era idealmente la circonferenza che confrontavo con il primo che mi aveva infranto la membrana tesa alla base dell’addome e accesa una fiamma nel cuore che non si era ancora spenta: ma che mi aveva percepita unicamente come oggetto da cui aveva tratto tanta soddisfazione e tanto piacere: poi, al di fuori di quell’uso era scomparso dalla mia vita.3 Rialzai lo sguardo verso di lui e tutte le mie proteste si spensero. Poi chinai il capo e lo toccai con le labbra. Poi provai a leccarlo accarezzandogli la testa serica con la lingua. [ mmm ] Fece lui. Era gonfio di piacere, al tempo stesso setoso come acciaio avvolto nel velluto e aveva un sapore lievemente salato. Lui continuava a gemere, e nella mia testa incominciarono a formarsi fantasie perverse una dopo l’altra. Devo anche ammettere che fu uno strazio trattenere il mio corpo. Ancora prima che abbia potuto fare un vagito, separò lo spadone dalle mie labbra e me lo vibrò alcune volte sulle guance di qua e di la, poi lucido e gonfio di piacere con una vitalità animale tentò ti ficcarmelo in bocca. A quel punto gettando la maschera, a stento, titubante mi appresi a prendere in mano la sua verga ritta e saettante. Lo impugnai per bene alla base per averne il possesso e quando mi sembrò di esserci riuscita, mi misi a scoparlo con la bocca. Avvolsi la lingua attorno alla punta e lui flesse le anche. Poi si inarcò e io me lo spinsi ancora più in fondo appoggiandomi alle sue coscia. Sentii che le sue gambe si tesero. Mi afferrò per i capelli e incominciò a muoversi con movimenti contrapposti ai miei. # hoo. piccola! sei fantastica # Mormorò e io succhiai più forte facendo guizzare la lingua sulla punta della cappella gemendo un po’ più del necessario. Coprendomi i denti con le labbra, lo strinsi nella morsa della mia bocca. Lui sibilò e gemette e io lo presi ancora più dentro, e poi di nuovo sul davanti. La mia lingua continuò a guizzare intorno alla punta come su un ghiacciolo delizioso. Succhiai forte sempre più forte, spingendolo sempre più a fondo facendo piroette con la lingua. #mmmm! sto per venire, dai! dai! che ti vengo in bocca.# Inarcò i fianchi e le sue mani mi strinsero i capelli mentre io spinsi ancora più forte sfoderando i denti dandogli il colpo di grazia augurandomi che mantenesse il suo proposito e non mi schizzasse la sborra in faccia. Lui urlò e alla prima pulsazione mi preparai a ricevere l’inevitabile sgorgo nettarino. Un robusto drink dal sapore inconfondibile mi riempì la gola. In quel momento non mi andò di trangugiare il sufflè di uno che nemmeno conoscevo il suo nome. Con le lacrime agli occhi ero riuscita a non affogare e durante l’azione del cavare fuori lo strumento, tutta la brodaglia incominciò ad uscire insieme al cazzo sfiorito. Appagata la sua voglia, attrezzato di fazzoletti, dopo averne sfilato uno per se, come ultimo sfogo di chi è già è sazio, mi lanciò i restanti e quasi mi ordinò di pulire il pavimento dalla generosa porzione di quel dessert cremoso che vi era colato. Si ricompose e in tutta fretta ha buttato li due battute in una frase che ricordo ancora # era da tanto che non mi sentivo così bene, qualcosa che capita solo poche volte: secondo me puoi fare davvero il mestiere. se mai ti andasse torna pure quando vuoi. oggi sto andando di fretta, ciao. # E detto quello se ne andò. Non era stato il primo a dirmi quello che per lui sembrò essere un complimento, ma al tempo non ci feci caso e mi inginocchiai dandomi da fare per cancellare la traccia del mio peccato. Il dongiovanni rusticano se ne era andato senza nemmeno chiudere la porta e mentre meditavo che a conti fatti, evitando la consueta e sprezzante schizzata che altri solevano esplodermi in faccia nella loro spietata precisione, ne ero uscita integra da quella prova. Assorta in quella riflessione, non saprei dire se per uno strano gioco della fata turchina o se si fossero messi in fila, venni bruscamente distolta da un altro ragazzo più o meno della stessa età che era entrato dentro la stanza. Non realizzai se per acutezza mentale nel comprendere l’evidenza spudorata o per un piano diabolico ordito a mia insaputa con il predecessore, anche lui ancor prima che mi sollevassi, mi afferrò un braccio e con piglio e decisione mi trascinò su di una branda che stava dentro la stanza che fungeva da letto. Era alto coi capelli lunghi e biondi, lo sguardo penetrante, più grande di me con sembianze angeliche e un fisico da atleta: insomma un bel fusto. Dapprincipio osteggiai il suo morboso approccio per convincerlo a tornare sui suoi passi, ma lui indecentemente aveva allungato una mano e me l’aveva premuta sopra l’unica corazza che avevo: una maglietta beige con disegnato sopra due delfini. --ma che fai! si chiede prima di toccare!-- esclamai sofisticata e dispotica. Come risposta, da dietro mi ha baciato il collo, e poi mi ha dato un morso che mi trasmise una scossa elettrica. Sentii che mi sarei lasciare andare. Ma non potevo. Lui sembrò capirlo e mi infilò una mano sotto i vestiti rimanendo al fianco della branda. --fermati! non voglio. non sono una che si butta in qualsiasi avventura e vorrei continuare ad essere così. -- Dissi, tentando di allontanarlo spingendolo dalla collottola. Lui mi guardò confuso. [di tutte quelle che ho incontrato qui, tu sei l'unica che fa resistenza. cosa c’è? devo pur sapere come sei fatta!] Sotto un risolino scettico risposi: --le regole vogliono che si chieda sempre prima di toccare. cosa credi! che sia a disposizione di tutti quelli che a mano a mano si sono messi in fila per approfittare di me!-- [sei un bocconcino prelibato e non ho nessuna intenzione di mollare l’osso prima di averlo spolpalo: per bene.] Aggiunse con voce fonda. Usare l’espediente del professarmi linda e pinta avrebbe striso contro il buon senso, per cui ripiegai su: --sig. bravo ragazzo senza nome, non è una situazione facile per me, 4-sono venuta solo per accompagnare la mia amica e perché tra poco devo prendere un treno e sono anche fidanzata e innamorata: e lui non sa che sono qui.-- Basito dal mio contegno mi guardò come marziano che guarda stupefatto. [cara ragazza tutta acqua e sapone, non intendo proporti una relazione, sfruttiamo semplicemente il tempo che abbiamo a disposizione per goderci un po’: solo sesso e complicità come antidoto alla noia. una asciugata e nessuno saprà più nulla. e per me non sarà necessario che tu condivida perché la tua partecipazione mi interessa assai meno del mio godimento.] Mi sussurrò con la dissolutezza del libertino. Non ci vollero doti di preveggenza o sbalorditive qualità di divinazione che non si sarebbe soddisfatto con un celere bocchino. --non complicare le cose, io lo so che lo farei soffrire.-- Fu solo una bugia gettati lì che lo lasciò indifferente, perché ribatté:[a me invece farà un sacco di piacere l’essermi scopata per bene la ninfetta di un altro e tu fanne un falò di ricordi perché le corna stanno bene su tutto.] Se avevo qualche dubbio compresi che le sue intenzioni lasciavano davvero poco margine d’azione all’immaginazione e, per avvalorare la mia renitenza mi ero raggomitolata su di un fianco ponendogli la schiena. Lui in ginocchio a tergo mi teneva le mani premute sulle cosce, poi mi trascinò al bordo e strofinandosi sul mio culo l’attrezzo duro mi fece capire che aveva voglia di me. Incominciai ad oscillare come un pendolo. Sentivo il clitoride gonfiarsi e le ginocchia divenire molli, ma dovetti insistere nella dissimulazione perché maturava dentro di me un disagio autentico. Come è nella natura di tutti gli essere umani, in quel momento provavo la necessità impellente di svuotarmi la vescica: ma come dirglielo? La mia soggezione e incertezza furono elementi di destabilizzazione in un momento così delicato che mi disorientarono ulteriormente. Col senno del poi sarebbe bastato il proposito di rinfrescarmi dopo un lungo viaggio e avrei risolto il mio ingombrante problema. E’ notorio che certi bivi esistenziali andrebbero risolti nello spazio di pochi secondi, ma nei momenti critici non riuscivo mai a prendere la barra di comando. Se strappo i ricordi di quel giorno per tornare al presente, in quel momento mi rammaricai di non averne approfittato quando potevo farla rilassatamente alla stazione dei treni. E mi affligge ancora più doverne ammettere il motivo. L’emotività è sempre stata le nemica della mia vita: per il timore di perdermi restai appiccicata alla mia amica Dxxx come avrebbe fatto una cucciola smarrita per la paura di perdersi in un luogo a lei alieno. Avrei dovuto disinnescare la questione in partenza, ma ci voleva quella sfrontatezza e personalità che ancora non avevo e la premessa era che avrei dovuto stringere il muscolo anulare e resistere. Era un bel ragazzo, poteva avere più o meno 23 anni ma ne dimostrava di meno, di quella bellezza fresca che viene da dentro e non sfiorisce con gli anni. Confesso che, se non avessi avuto quel imbarazzante preoccupazione, non mi sarebbe dispiaciuto accondiscendere e forse proprio per quel motivo fui ambigua. --non posso! non voglio trovarmi incasinata, insomma, non ti conosco, sono ancora troppo giovane e tu potresti ingravidarmi e non ricordarti nemmeno di averlo fatto.-- La verità era molto più semplice, ma fu la prima ciancia che mi venne alla mente perché prendevo la pillola, e intrattenevo anche una torbida liaison con un uomo sposato, ma era una relazione segreta e illecita e ci tenevo che non venisse divulgata dai tetti. Finiva sempre in quel modo, ad ogni passo passavo di categoria e mi trovavo sempre a giocare con uomini più grandi e maturi di me. Sono sempre stata molto timida, ero una che faceva fatica a proporsi: non avevo la faccia, ma poi quando mi capitava mi piaceva viverla dal vivo. Tuttavia, quella volta, pur parlando per coperte allusioni, ne dedussi di essere stata eloquente per dimostrare l’assunto, perché con una calma tranquillizzante mi fece stendere, mi guardò, si frugò nei pantaloni e dopo due secondi mi vidi ondeggiare davanti agli occhi una confezione di Settebello. 5-Quel preservativo significava che lui da me pretendeva solo sesso, ed era anche certo che ero la vittima predestinata per i loro giochi. Ci fu un momento di ristagno nella conversazione e nel silenzio mi chiesi chi fosse quell’uomo. Cosa l’aveva portato da me? Mi sentii attraversare la mente di da una raffica di dubbi: con chi scoperà uno come lui? quante donne avrà? cosa mi avrebbe lasciato in eredità? Subodorai che sottobosco ci fosse lo zampino della mia amica di ex merende Dxxx, la quale mi avesse propagandata come predatrice sessuale, nata sotto l’emblema del: darla a uno solo è come fare un torto a tutti gli altri, un po’ emotiva: ma ci sta! Ma ero anche divorata da una curiosità che mi istigava. Giacché persisteva ancora la pozzanghera sul pavimento della pappa immonda lasciata dal ragazzo che andava di fretta intervenuto prima di lui, non potetti nascondermi dietro l’ombra del pudore. In aggiunta avevo già verificato quanto fosse arduo smorzare la brama ardente tipica di chi ha i coglioni ancora gonfi. Dopo alcune acrobazie la sua mano mi aveva raggiunto un seno da sopra la maglietta e prese a massaggiarlo mentre io cercai ancora una volta con ogni mezzo di sottrarmi protestando, ma devo anche ammettere che il mio proposito sottobosco era far sì che quella protesta si trasformasse in profferta. [che c’è ancora] --ti sei spinto un po’ troppo in là! mi vergogno!-- E lo ricacciai con un segno di no con la testa. Non potevo tollerare la mia malleabilità. Tentai di divincolarmi con tutta la forza che avevo, ma mi mancò il fiato e dovetti desistere. [basta lamentele. dovevi pensarci prima.] Lo sentivo respirami addosso, sembrava assaporare il crescere lento della mia eccitazione mentre le sue mani seguivano assorte le curve più nascoste del mio corpo. Sentendo che la mia difesa si allentava, mezzo minuto più tardi con una mano mi alzò la maglietta, mi baciò la pelle e con l’altra mi raggiunse i capezzoli. Li massaggiò poi li strinse. Mentre continuava a baciarmi con l’altra mano mi tirò su a piccoli scatti la maglietta, che ormai gli mancava solo l’ultimo tratto per togliermela del tutto. Sarebbe bastato non portare le braccia sopra la testa per impedirglielo: però l’ho fatto senza opporre la minima resistenza. In quel momento mi dissi: cara Lxxx anche stavolta ti sei fottuta da sola. E valutando che il tempo mi avrebbe remato contro, prona e, a optorto collo, decisi di spronarlo affinché la cerimonia, se non potevo evitarla, almeno si officiasse in tempi brevi e senza badare a troppi fronzoli. Senza altri preamboli mi pizzicò i capezzoli torcendoli leggermente tra le dita i quali si inturgidirono repentinamente. Avvicinò le sue labbra sulla mia guancia arrossata e mi mormorò con toni studiatamente mielosi, complimenti che miravano a incitarmi e rendermi obbediente. [ ho bisogno del tuo corpo.] Quel ragazzo ancora senza nome con le sue effusioni nel profondo mi attirava. Il suo tocco mi sfidava a provare nuove sensazioni, anche se la ragione mi imponeva di tenere a bada le emozioni. Ma non volevo provare sensazioni afrodisiache perché da un momento all’altro dubitavo di dover cambiare casacca. Ormai rotta a ogni malizia e avendo rinunciato a ogni pudore lo implorai non solo con lo sguardo: --giù! scendi più giù!-- [dolcezza, non vedo l'ora di sentirti urlare, ma l’appagamento del desiderio comporta la fine di tutto.] Rispose con un tono del tutto naturale. Sta di fatto però che mi baciò l’ombelico, girandoci dentro la punta della lingua, per poi scendere, bacio dopo bacio, fino all’orlo dei jeans e me li abbassò fino alle ginocchia. La sua bocca arrivò tra le mie cosce, soffiò in modo lieve ma persistente attraverso il pizzo ormai bagnato ci appoggiò sopra due dita esercitando una diabolica pressione. Poi insinuò l’indice sotto l’elastico e mi spostò di poco il cavallo. Mi infilò due dita tra le coscia, e dopo aver tastato l’umore gelatinoso strinse il palmo sul monticello come una ganascia e mi esibì una espressione sbalordita e altrettanto soddisfatta: [che maialina! non voglio, non voglio e sei già un lago.] Di fatto ero di una eccitazione palpabile generata dalla precedente poppata consumata col maldestro dongiovanni che l’aveva preceduto, e me ne rallegrai perché ero ansiosa che l’ormai ineluttabile match si concludesse rapidamente. Ma, sulla tela della sorte era disegnato un altro disegno. Dopo aver tastato il bagnato, spostò di lato il cavallo degli slip, mi insinuò le dita tra i riccioli del pube e io smaniosa gli afferrai le dita tra le mie e gliele spinsi dentro la fessa. --dai!-- Emisi un lamento e la fiammella si accese, i sensi cedettero completamente e mi abbandonai a quel lubrico piacere che tutto redime. --più forte-- Lo implorai. Mi aggrappai allo straccio messo a coperta mentre lui aumentò il ritmo delle dita dentro e mi schiaffeggiò delicatamente il monte di venere con l’altra mano. [ti piace così è? birboncella!] Dimenai i fianchi in modo provocante, intanto gli mugugnai ammiccante:--si! mi piace! non ho mai provato un gusto simile! dai! così! massaggiami bene all’interno.-- Brontolai recitando: ma in seguito quando le sue dita sfiorarono con la lievità di un archetto lo stelo fremente del mio clitoride, mi rifiutai di arrendermi, finché la supplica della carne ebbe il sopravvento. Vacillando dal timore di pisciargli in mano, sussultai senza più embarghi e spinta al culmine dell’eccitazione gemetti senza più freni. Inarcai violentemente la schiena, lanciai un urlo roco e lo squirting arrivò subito straripando come un fiume in piena. [ecco, lo sapevo che sei tutto candore e innocenza di fuori e tutto fuoco di dentro.] Con gli occhi ancora velati dai postumi dell’orgasmo, ma soddisfatta poiché ero riuscita nell’impresa di coniugare il godimento puro senza trascurare l’esigenza principale di non mollare la pipì, alzai le gambe, poi zampettando riuscii a liberarmi dei jeans rimasti a mezza via. Mi infilai le dita sotto l’elastico delle mutandine di pizzo nero e smaniosa lo incitai: --dai toglimi tutto! fai presto! strappale via! dai ficcamelo dentro.-- Invece, col suo iter dimostrava di non aver troppa fretta di perforarmi il corpo. Mentre lui mi esibiva una espressione di meraviglia, agguantai l’orlo e con un colpo secco le abbassai e con un piccolo sfoggio, gli misi in mostra la nera criniera leonina insieme al luogo nascosto della mia preziosità. [hai più peli tra le gambe che capelli sulla testa.] Mi disse dandosi da fare per togliermi di dosso l’ultima lingeria che mi era rimasta.6 dai! lisciami il pelo.-- Ma lui niente. Lento e svagato come se mettermelo dentro fosse l’ultimo dei suoi desideri. Certo che le stranezze erano tante: il suo modo di fare iniziò a farmi serpeggiare un dubbioso timore. Io un pezzo alla volta ormai ero rimasta nuda mentre egli era ancora completamente vestito, addirittura con le scarpe ai piedi. Avvisaglia che mi fece sorgere un dubbio atroce. Arrivai a sospettare che mancasse dell’elemento essenziale e che si fosse infilato una pannocchia o una protesi per schioccarmi. Stringendo un lamento tra i denti, mi piazzai seduta e tenendo lo sguardo fermo sul rigonfiamento della patta gli cacciai le mani sulla cintola, diedi uno strattone e gli abbassai i pantaloni. Portava mutande azzurre a vita bassa con lo strumento che appariva di traverso e l’elastico glielo teneva contro la pancia. Quella massa ancora da manifestarsi la strinsi appena un po’: era dura come il legno. Ero nervosa, le guance mi palpitavano mentre lui non parlava, non diceva proprio niente. Gli misi le mani ai fianchi sopra l’elastico delle mutande, diedi uno strattone verso il basso graffiandogli il didietro con le unghie mettendo a nudo lo strumento. Lo fissai ipnotizzata. [lo sguardo dettagliato che gli rivolgi non lascia dubbi sul fatto che quello che vedi ti piace.] Sussurrò con una certa malizia. E io risposi con una frase non affatto casuale: --è l’idolo che la mia spelonca più brama, ma è troppo! ma è, è grosso, troppo grosso-- Quale elogio per un uomo! Era un ordigno capace di accendere l’immaginazione, di un diametro di dimensioni medio grandi, con increspature davvero esagerate capace di soddisfare le più svariate esigenze. Ormai collaudata anche a misure xxl, non mi scioccò, ma reagii come se mi fossi trovata di fronte a un evento sconvolgente. Mentre lui, alla mia teatrale reazione non avrebbe potuto mostrare una faccia altrettanto soddisfatta, il mio sguardo si fissò sulla cupola del tutto scoperta, luccicante e rossa come un gambero e restai ipnotizzata dalla goccia che usciva e stava per cadere e da lì mi è scattata la voglia di saperne di più e gustare l’infuso ben caldo. Spalancai la bocca e, solerte, azzardai di mettere mani allo spadone per intrappolarlo nei suoi abissi: ma lui non volle che gli toccassi il cazzo. Gesto che col senno del poi giustificai per e a propria salute. [no, baby, sono io che ho le mani sui comandi.] Mi disse. Il tizio, ignaro di mettermi in grande difficoltà, mi dimostrò di non appartenere alla risma di quelli che si bruciavano in rapide e vivide fiammate. Ruspò in una tasca dei calzoni che gli avevo da poco abbassati e si munì della busta che mi aveva sfoggiato. La aprì, ne estrasse l’impermeabile e imperturbabile lo svolse fino al ceppo del tronco poderoso. Aveva sgominato lo spettro della condiloma o ancor peggio dell’aids, ma in pari tempo la plastica e vedere il serbatoio increspato e pieghettato bastò a mitigare la mia voluttà. Dopo quella spontanea interruzione, per riscaldargli il motore della mente, mi portai una mano tra le gambe e con un tono sommesso emulai una frase a effetto che avevo letta in un libretto erotico: --fammi tua! dai! mettilo dentro! ho voglia del tuo cazzo! -- Mantenendo la mano tra le cosce, per stimolargli l’appetito mi aprivo e dischiudevo la fessura calda, scivolosa e ospitante. Ma lui era uno che separava il grano dalla pula, e mi rispose:[consumare prima del tempo rovina ogni sapore. prima ho voglia di toccarti dappertutto.] Ma io non potevo sopportare più a lungo. Intanto col passo lieve di un contrabbandiere, si spostò sul fondo della branda, si accovacciò e dopo aver messo la testa tra le mie gambe con la punta della lingua prese ad entrare e uscire dal solco, rapido e impietoso. Poi si mise a ruotarci attorno alternando leccate corte e premute con opportuni accorgimenti e delle slinguazzate che partivano dal clitoride al papavero. Dopo essersi divertito a poppa e a prua massaggiando ogni centimetro del mio corpo seguendone i contorni e i rilievi con raffinati e sottili rituali, la sua bocca si congiunse con la mia. A quel punto colsi un’altra insolita stranezza. --posso farti una domanda?-- Senza attendere risposta conclusi: -- devi proprio restare vestito?-- Stupito dalla mia interrogazione, si slacciò la camicia e si liberò dei restanti indumenti e si buttò su di me immobilizzandomi i polsi con le mani. Avevo davanti agli occhi il suo petto nudo e muscoloso, cosa che meritò un momento di silenziosa ammirazione. Si sistemò con le ginocchia tra le mie gambe e io convinta che il tribolato percorso procedesse verso la fusione delle carni, aprii le gambe, alzai le ginocchia e mi preparai, duttile e prona a sopportare l’estremo attacco. 7 Invece, con un appetito terrificante e apparentemente insaziabile mi succhiò le labbra, mi ficcò la lingua in bocca dalla quale riconobbi il dolciastro inebriante sapore di frutta lievemente marcita della mia figa. Nel contempo però lo sentivo pucciare il consistente biscotto nell’umida fessura insinuata tra cosce ben tornite, ma solo per un tuffo di pochi attimi: un colpo su e uno giù, come se incredibilmente sbagliasse bersaglio. Eppure il taglio era ampio, piuttosto dritto e profondo. Un percorso unico lineare che non offriva vicoli laterali né possibilità di errore. Non era stato certo il primo goleador a commettere un errore del genere, a sbagliare il primo colpo, ma lui mi aveva dimostrato di avere lo smalto e la fama del donnaiolo, eppure continuava a sforacchiare e a sondare nell’alveo della lunga fessura senza mai centrare la strada maestra. La sua serica testa era arrivata un paio di volte a centrare il bersaglio: ma poi nisba! Eppure, qualcosa non mi tornava. Singolare ma nient’affatto casuale. La sua straordinaria imperizia mi disorientava. I suoi manierismi, la immensa grottesca stoltizia a lungo andare diventarono paradossali. Ne dedussi che fosse solo il frutto di un calcolo immondo. Una forma raffinata e suprema di masturbazione. Ma, provocante da morire. Quando la fiamma iniziò ad attecchire spinta da un bramito bestiale di desiderio, mi liberai di una mano e la feci scivolare tra i nostri corpi e arrivata al suo esemplare di virilità, lo agguantai tra medio e anulare e gli misi la cupola appoggiata alla zona di ingresso, poi dissi assertiva: --adesso ho propria voglia di cazzo: vieni! entra! coglimi!-- Ma lui si prese il tempo di regolare la messa a fuoco fino al momento in cui sentii la cappella imboccare l’anfratto e soffermarsi tra le soffici crespe delle parti intime. --uhhh. ohhh. invadimi. riempimi tutta!-- Il sangue mi affluì rapido al viso. Mi aspettavo un accesso a razzo, invece, superato la soglia di ingresso, invadente e coprente procedeva a piccoli tratti: un pezzetto alla volta. Spronato da una persistente pressione procedeva intoppando, quasi a fatica, come se fosse un fuori misura. Il logorante attrito mi paralizzava l'espressione del volto e i muscoli del corpo. Nel frattempo sembrava che il suo arnese, consistente come una massa di granito, si fosse ingrossato di misura in modo preoccupante. Riscontrando una accoglienza più difficile di quello che si aspettava, con un ultima brutale spinta prese a forzare il passaggio. Le mie urla riempirono la stanza. Un’ultima pressione miscelò i nostri gemiti e superò l’ultimo delicato passaggio. Le nostre membra si accarnarono e divenimmo un corpo unico. Come spesso mi capitava io avevo perso il controllo della favella e la sua verga si era rincantucciata come una bestiola nella tana. Dopo una breve pausa fece una retromarcia per poi ripercorrere la stessa strada e continuare a muoverlo dentro di me con una lentezza devastante. [ e adesso che dici?] Esordì lui e continuò. [te lo senti dentro?] --si! mi sento piena! un po’ troppo, ma è magnifico. -- Mi stantuffava con affondi profondi, ritmici ma precisi e dirompenti da rosolarmi a fuoco lento. Seppur classificato tra i ben messi in arnese, ben presto mi ero adattata alle sue misure e il suo scettro incominciò ad assomigliare a tutti gli altri: e i primi lampi di piacere mi mozzarono il fiato nella gola e tra le gambe mi erano entrati i bagliori delle fiamme ardenti. Con i muscoli contratti attorno al cazzo ne assaporavo tutto l’attrito. Ogni sua spinta. Ogni suo affondo. Quando le sue labbra si congiunsero alle mie mi lasciai travolgere da un vortice di meravigliosi sensazioni. Il suo bacio, dolce come un volo di rondine, quel nostro aggrovigliarsi di lingue per alcuni minuti, ruppe l’incanto riportandomi bruscamente alla realtà. Con un repentino cambiamento di umore tentai di allontanarlo da me. -- basta! non ti voglio più! toglimelo subito da lì!-- Mi sentivo il fuoco dentro, ancora pochi stimoli e avrei perso la concentrazione e i solfurei abissi che già scottavano mi sarebbero esplosi dentro. Ho dovuto provvedere prima che la vampa innescasse il processo irreversibile, perché temevo che se fossi venuta, come sempre accadeva, mi si sarebbe annebbiato il cervello per un certo tempo e, a seguito delle intense contrazioni e rilascio fuori controllo del muscolo associato, mi sarei pisciata sotto. Una volta desta avrebbe fatto orrore e vergogna! Essere associata a quell’episodio sarebbe stata una macchia permanente che mi avrebbe fatta passare in proverbio. E lui, [bistratta ragazza nevrastenica, ancora lui: il cornuto!] Il cornuto non esisteva, ma non potevo dire la verità, ma da lì trassi lo spunto per la motivazione del mio cambiamento. --Si! è come se mi vedesse! lasciami, voglio andar via!-- Mentre io continuavo vanamente a ribellarmi, i suoi occhi lanciavano fiamme e dopo avermi afferrato entrambe le mani, me le portò sopra la testa. [ragazzina isterica, appena ti ho vista ho deciso di scoparti, per cui non te ne andrai fino a quando ti avrò strapazzata per bene.] Poi aggiunse: [in tutte le tue parti.] Nel mentre, con la destra me le strinse entrambe e la sinistra la infilò sotto il mio fianco destro finché la mano mi arrivò tra le chiappe. Manifestando la sua collera con ogni muscolo del suo volto mi disse che da come mi ero comportata fino a quel momento non avevo dimostrato di essere un esemplare di virtù e che era troppo tardi per farmi spuntare l’aureola. Nonostante la prova inconfutabile della mia colpa, io continuavo a rifiutarlo e lui mi consigliò di smetterla di fare la ritrosa perché conosceva altri mezzi per farmi tornare alla ragione e aggiunse che le mie resistenze oltre che infantili apparivano pretestuose e ridicole. --ma è vero!-- Insistetti nella vana tentazione di placarlo.
[dovresti sapere che oggi giorno l’infedeltà è considerata un elemento che contraddistingue la libertà di scelta.] Il gran persuasore con la sua arte oratoria mi aveva convinta che altro non potevo fare se non cedere. Ma che altro potevo fare? Stretta dalle sue braccia, intubata alla perfezione dal luogo sotterraneo dalla colonna di Ercole ben conficcata tra le gambe, avrei avuto poco da scalpitare anche se avessi potuto usare tutte le articolazioni. (CONTINUA)
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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