Lui & Lei
la notte brava

13.08.2016 |
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"Intanto sul palcoscenico del teatro gli attori sceneggiavano le loro interpretazioni, invece, nella mia testa, era iniziata la proiezione di un film a luce..."
(segue da: i giorni dopo) Dopo aver salutato le ragazze, rassegnata, stavo per salire sulla bici quando mio fratello mi fece due proposte. Nella prima mi avrebbe accompagnata a casa, poi lui sarebbe ritornato al teatrino poiché quella sera c'era l'ultima prova di una commedia dialettale a cui partecipava come attore un suo amico, e che sarebbe andata in programmazione la sera successiva. Oppure avrei potuto aggregarmi a lui, poi più tardi saremmo rincasati assieme. Si era fatto buio e ritornare da sola non avrebbe certo costituito un pericolo, ma le strade di campagna non erano illuminate e un cattivo incontro per una ragazzina, ancora virtualmente ingenua e indifesa, non si poteva mai escludere. Tempo addietro, una bambina che abitava in quella mia stessa via, tornando da scuola in pieno giorno, alla luce del sole, arrivata in bicicletta ad una svolta si sentì chiamare per nome: Mxxxxx e girandosi si trovò al cospetto di un uomo adulto spuntato dal nulla con i pantaloni abbassati e col cazzo in piena erezione. Non le accadde nulla di tragico, ma per lei, ancora ancora infantile fu un vero trauma. Per me non sarebbe stato uno shock, almeno in parte, tuttavia i maniaci mi hanno sempre fatto paura, pertanto optai per la seconda opzione. Inoltre, durante la festa avevo spiluccato torte di ogni genere per cui non avevo fame e oltre a ciò dopo quella impegnativa giornata non mi andava di ascoltare le inevitabili lagne di mio padre rivolte al bestiame e agli insetti che divoravano le culture. Lo seguii e dopo pochi minuti giungemmo al teatrino proprio mentre le prove stavano per cominciare. Il locale era visibilmente vuoto, come spettatori eravamo in tutto si e no una decina: ma ciò era previsto. Io non ero per niente interessata alla commedia e la mia mente, i miei pensieri corsero alle due amiche che avevo lasciato sole e mi chiedevo cosa stessero combinando. Ma dato l'orario anche la mamma di Dxxx sarebbe rientrata al che la, la festa si sarebbe per forza conclusa. Trascorsi alcuni minuti di noia assoluta, il telescopio della mia mente ritornò a Sxxxxx, a quando l'avremmo accompagnata al patibolo. A quando la strategia di Dxxx concordata con me, elaborata in un gioco erotico particolarmente spinto sarebbe entrata nella fase calda. Quando Sxxxx messa sotto pressione come una pentola avrebbe accumulato così tanto vapore da doverlo spingere fuori fino all'ultima goccia da quella feritoia ancora immacolata nella quale avremmo, in qualche modo dovuto aprirle uno spiraglio. E per arrivare al risultatao pianificato l'unica possibilità che io riuscivo a immaginare era che Dxxx l'avesse convinta a sottostare al cugino che con astuto maneggio, con il suo splendido esemplare di virilità avrebbe concluso la missione, prima dirompente e poi esplorativa. Intravedevo altri scenari e tutti diversi tra di loro, ma se arrivati a quel fatidico giorno e Sxxxx avesse accettato di mettersi acquiescente su quel letto di spine, comunque fosse andata, io la vedevo già spacciata: e, per lei in quel giorno per lei fatale non ci sarebbe stata indulgenza alcuna. Intanto sul palcoscenico del teatro gli attori sceneggiavano le loro interpretazioni, invece, nella mia testa, era iniziata la proiezione di un film a luce rosse. L'ardore di quel giorno folle e immortale dentro di me non si era ancora estinto. Mi sentivo inquieta. Il filo dei miei pensieri scorse a quel momento in cui intravedevo la grossa cappella lucida varcare la soglia della morbida fessura di Sxxxxx che di certo non si aspettava che il saccheggio potesse essere tanto invasivo e tanto doloroso. Rivissi quei momenti di quando c'ero io sotto i ferri, e così, somatizzando, caddi in uno stato di concentrazione e di narcosi. La vampa mi entrò nel sangue. Il mio organismo reagì con una sorprendente e interessante reazione. Uno sfarfallio si formò nel mio ventre, mi sentivo le zecche nel mio inguine. La concentrazione e l'immedesimazione fu tale che mi trovai al posto di Sxxxx e ne provai tutte le sensazioni. Le mie mani strinsero i braccioli delle sedie che avevo accanto e i muscoli delle mie gambe si contrassero come se, io stessa la stessi penetrando. Avevo incarnato e impersonato entrambi i protagonisti del mio film: io ero lei che lo riceveva e ero lui che la possedeva. La sequenza del film fluivano veloci e in parallelo scorreva l'audio. Aahh! Basta! Fa troppo male! La pollastra con occhi sgranati, incredula si opponeva. La sua debole membrana interna faceva da scudo e resisteva alla setosa testa del cazzo che la stava assaltando. Su! Da brava bambina, resisti ancora un po', ormai è quasi entrato tutto. No! Non voglio, mi fa troppo male! E no micetta! Dovevi pensarci prima, ora è troppo tardi, non puoi cambiare bandiera ogni volta che ti fa comodo, hai detto che volevi provare com'era? Ora devi inghiottire la pillola e poi ingurgiterai anche il dessert. Conoscerai il piacere attraverso un intenso dolore. E lui, , che poteva risolvere tutto in un secondo, preferì avanzare a passo di lumaca per prolungare quel momento per entrambi irripetibile. Lui continuò nel suo doloroso cammino e non ci pensò nemmeno un istante a tirarlo fuori nonostante le urla di lei e i suoi speranzosi, inutili guaiti. Una bieca fiammata incalzò la mia libidine. Nel teatro le luci si accesero e la scenografia che fantasticava nella mia mente fece una repentina e penosa retromarcia. Non appena la faccenda ebbe fine e il pauso naturale -un rumoreggio che i miei nervi non sopportarono- mi indusse a afferrare che le banalissime prove generali dell'opera teatrale erano finite e davvero io non saprei raccontarvi la trama della commedia che vedemmo, né avrei saputo ripetere una sola parola di quel che avrei dovuto ascoltare. Ma in compenso mi ero conquistata pressappoco un'ora di sopore dal quale mi risvegliai come se avessi goduto di un amplesso gratuito e tremendamente spossante con un piccolo ermafrodito, poiché, ritornando in me mi riconobbi in una aliena. Gli attori scomparvero dietro le quinte e gli astanti si diressero verso l'uscita della sala. Mi alzai dalla sedia e, meno male che non mi ero seduta sulla sottana, sbirciando la sedia di legno lucido intravidi una chiazza di umori secreti dal mio furore. Se non avessi avuto quell'accortezza mi sarei tutta bagnata, come se mi fossi fatta la pipi sotto e sarei bruciata dalla vergogna. Mi aggregai al gruppo e a macchinetta lo segui verso l'uscita. Se una corda di violino poteva soffrire quella corda ero io, ma non era opportuno che lo evidenziassi. Un fuoco mi scorreva indecentemente dentro e fuori dalle vene. Mi trovai nelle stesse condizioni di una sorella di mia nonna la quale la sentii raccontare che per incoraggiarla ad affrontare i perigliosi scogli della prima notte di letto, le avevano somministrato," in una coppa d'argento", una porzione magica denominata " latte nunziale" composta da un'alchimia di . Dopo aver ingurgitato quell'intruglio dichiarò: che dopo un quarto d'ora si sentì avvampare e divenne tanto temeraria da falcidiare non un solo uomo ma un intero reggimento. (a parte il dettaglio non trascurabile che dopo nove mesi mise alla luce un bel marmocchio) Nel corso delle mie fantasticherie e macchinazioni alle quali avevo dedicato tanta energia, avevo raggiunto quello stadio. La passione si era impossessata di me, mi ro così talmente eccitata che avrei aperto le gambe al primo uomo che mi avesse rimorchiata, e di certo mi avrebbe cuccata senza prendermi con le cattive. Ero bruciante di desiderio e non avevo nessuno con cui potermi sfogare. A disposizione avevo solo lui, il porco, il mio tato, che non era certo il mio ideale per quella sera, ma, come diceva un vecchio detto contadino, -in mancanza di pane si può anche mangiare della polenta- e io per quella notte potevo accettarlo come sostituto: purché fosse riuscito a far defluire la mia nevralgica lussuria. Appena fuori, al primo angolo buio gli sarei saltata addosso come una belva in agguato, ma dov'era finito? Lo vidi a una decina di metri con un gruppetto di ragazzi che parlottavano con una signora piuttosto matura che a prima vista la battezzai come la sceneggiatrice. Avrei potuto raggiungerlo, ma ero troppo impaziente di uscire per imitare il suo esempio. Quel ficcanaso perché tardava tanto? Ero lì, agonizzante, in una imbronciata solitudine con il desiderio che mi pompava nelle tempie e dovetti sopportare la commiserevole intervista a quella donna, una femmina con una faccia repellente e dall'aria piuttosto puttanesca. Finalmente si decise a dirigersi verso la porta che portava all'uscita. Appena fummo fuori mi chiese cosa ne pensassi della commedia. Io gli risposi -- Bòòòòh!--- ++non è una risposta++ Replicò. E' che proprio ero tanto stanca che non l'ho seguita-- Avevamo raggiunto le bici e stavo per salirci sopra, temevo che la punta della sella potesse essere una complicazione: o mi faceva godere o sarebbe stato un ulteriore incentivo ai miei incestuosi propositi. ++Cosa hai fatto oggi per essere tanto affaticata? mi sembri anche arrabbiata, che ti prende questa sera!++ -- perché cos'ho che no va?-- ++ non so, sei diversa dal solito++ La risposta mi venne spontanea. --per forza sono diversa, con la sventrata che mi hai dato stamattina, lo credo bene di essere diversa-- Seguì un colpevole silenzio. poi riattaccò. ++Ti fa ancora male?++ -- No! Ne ho provato un pochino oggi mentre ballando dimenavo il culetto, ma ora sto bene-- ++oltre a ballare cosa altro hai fatto?++ --per il rispetto delle regole ho dovuto partecipare a tutti gli svaghi che hanno messo a disposizione.--++ ad esempio?++ --se te lo dico mi prometti che non brontolerai?-- dai raccontami qualcosa++ --ti scandalizzi facilmente?-- ++tu cerca di omettere le parolacce++ --abbiamo giocato a carte e alle ombre cinesi, poi c'è una cosina che non posso dirti senza diventare tutta rossa-- +me la dirai dopo, più avanti, quando non saremo più illuminati dai lampioni.++ --uh--huu-- Lasciai spandere la parola con ironica enfasi. La sella inizialmente fredda si era portata alla giusta temperatura e se non stavo ben ritta mi masturbava. occorreva fare attenzione o avrei corso il rischio di venire procurandomi un'altra disastrosa caduta. E poi, detto tra me e me, quella sera ero troppo infiammata e desideravo venire con un cazzo dentro: e l'avevo proprio li a pochi centimetri. Ma lui, a cazzo come stava? Dovevo verificare. Riattaccai. -- e tu cos'hai fatto oggi di interessante?-- ++ niente, proprio niente che ti possa interessare++ --a adesso come stai, voglio dire, lì ce l'hai duro?-- ++ma che ti prende questa sera! si! ce lo duro, e adesso che lo sai?++ --non ti credo, voglio sentire con le mie mani-- Mi avvicinai e con una mano glie lo palpai. -- vacca! quanta roba-- Alleluia! era vero, era tutto vero, con lo spessore dei jeans pareva molto più grosso del solito. Trovai strano che memore dello all'arma bianca del mattino, nel pomeriggio non si fosse fatto una sega. Nel frattempo eravamo arrivati alla fine dell'illuminazione pubblica e da li in poi avremmo proseguito alla sola tenue luce dei fanali. --Qui va bena, se ci fermiamo ti dico quella cosina in un orecchio-- ++se proprio ci tieni, più avanti c'è uno spazio dove potremo sostare++ Infatti, dopo una cinquantina di metri arrivammo a uno stradello battuto addetto al solo passaggio delle macchine agricole, e, per me per quello che avevo in mente di fare era come il cacio sui maccheroni. Ci fermammo e con le bici alla mano lo imboccammo e ci inoltrammo. Ai nostri fianchi avevamo una cultura piuttosto alta, non idonea per soddisfare le mie brucianti esigenze. Delle sue non me ne aveva fatto menzione, ma da come mi assecondava e dopo averglielo tastato mi erano piuttosto evidenti. Calpestando una coperta di trifoglio vellutata e rugiadosa, dopo una quarantina di metri arrivammo a uno spiazzo e nel chiarore lunare si stagliavano lunghe file di alberi da frutto. parcheggiammo le bici e come all'interno di un bosco mi appoggiai a un tronco d'albero. lui seguì i miei movimenti e sostò davanti a me. -- Ora ti dico quella cosina, avvicinati che te la dico in un orecchio-- Si avvicinò e ne approfittò per sbaciucchiarmi il collo. Niente succhioni volovo dirgli, invece dalla mia bocca ne uscì --Non sbavarmi addosso brutto porcello-- ++allora me la dici o no quasta "cosina".++--si! Scusa, hai ragione-- Addolcendogli la pillola gli dissi. -- ho perso al gioco delle carte e per penitenza ho dovuto fare un pompino a un pargoletto.-- Cosa, che cos'hai fatto? Lo sapevo che sei un troia, sei solo una gran troia.++ Cos'hai detto? ripetilo se hai coraggio-- Si! Te lo dico e te lo ritorno a ridire, sei una troia di prima categoria.++ Quella parola, quel lessico scurrile pronunciato con tanta facondia e tanto disprezzo, fu come gettare benzina sulla combustione che divampava nel magma della mie viscere che armai avevano digerito i succulenti gelati della giornata e pregustavano una gran cena dando segni di impazienza. Dentro di me l'effetto fu esplosivo, con una risposta impulsuva sputai fuori: --e allora fottimi come si fotte una vera troia se ti riesce-- la parentela in quel frangente si disgiunse. eravamo divenuti due amanti e la solitudine luogo, quel buio misericordioso ne amplificarono la carnale determinazione. Appoggiata al tronco attesi la sua reazione che fu fulminea. si abbasso i pantaloni e le mutande assieme, preparò l'arnese scoprendogli la cappella. La luna fece da lumino. Un torbido afrore salì alle mie narici mettendomi in circolo il testosterone. La voglia mi entrò nel sangue. Eravamo in piedi e io avrei dovuto togliermi almeno le mutandine, ma avevo le scarpe bagnate dalla rugiada e sotto l'albero la terra essendo protetta dalle foglie era ancora secca e così mi sentivo inzuppate le scarpe. Togliendomi le mutande equivaleva a infangarle. Avrebbe dovuto prendermi con le mutande ancora addosso. Era la prima volta che lo facevamo in piedi, ma sapevo che si poteva fare, per cui perdurai. Lui sembrò interpretare i miei pensieri e furiosamente intraprese l'assalto. Io come mia consuetudine, non sapendo casa fare non presi iniziative. Tuttavia, avendo proprio una gran voglia lo incitai dicendogli: tanto per continuare in lessico scurrile, le prime indecenze che mi vennero alla mente. --Ho tanta voglia di cazzo, lo voglio subito, grosso e duro.-- I preliminari erano stati verbali per cui senza tanti ghirigori andò subito al sodo, ma incontrò più difficolta di quante forse si aspettava. I dislivelli tra le nostre stature furono il primo impedimento. Me lo puntò sul davanti, troppo davanti per poter trovare l'accesso. Sentivo le sue dita affaccendarsi con il cavallo delle mutande mentre lo spostava alla sinistra del mio inguine, ma poi quando toglieva la mano e premeva il cazzo per entrare il cavallo tornava al suo posto e gli toppava l'accesso. Nel frattempo ero in grande fermento, temevo che quella schermaglia lo facesse venire prima di infilarmelo. Non l'avrei tollerato, una conclusione affrettata mi avrebbe costretta, una volta tornata a casa, valicare l'orto e munirmi di uno zucchino o di un cetriolo per placarmi. Surrogati troppo freddi e frettolosi per quella tarda ora: non sarebbe stato il caso. A lui tremavano le gambe e seppur raddoppiando modi e sistemi, ancora non aveva trovato l'espediente corretto. Sopra la mia testa protendevano grossi rami ai quali con uno sforzo eccezionale mi appesi. Trassi le braccia e mettendomi in punta di piedi, quasi sospesa, tentai, per quanto mi fu possibile eguagliare i livelli. Ma anche quell'ultimo tentativo andò a vuoto. La verga puntò nella giusta direzione, ma essendo di sbieco, scivolò sulla fessura umida in tutta la sua lunghezza e si mise in parallelo a essa con la cappella che spuntava fuori, tra le mie chiappette del mio deretano. Gli dissi, --fermati, stai fermo così-- La voglia di cazzo mi stimolò la perspicacia. Con un altro sforzo liberai un braccio dall'albero poi infilai la mano sotto l'elastico delle mutande dietro la schiena, scesi attraverso la fessa delle natiche e raggiunsi con due dita la capoccia che trovai calda e scivolosa. La premetti, da sotto, spingendola verso il centro delle mie coscia facendola scivolare lungo l'ultimo tratto dalle feritoia, quel tanto che, appena raggiunse l'ingrasso della tana, come una lontra che entra nella sua, con un pluff gli si infilò dentro. Io che ero in trepidante attesa lo ricevetti con un --òòòòhh--. mantenni le dita a barriera e guida. I polpastrelli percepivano il segmento del pistone che mi comprimeva dentro in un su e giù. Un va e vieni molto ridotto e solo una ristretta porzione del pungolo, che come uno scalpello riusciva a scalfiggermi. Se toglieva la mano che faceva da tampone sarebbe uscito dalla sede e saremmo tornati al punto di partenza. No! così non andava bene. Con estrema foga incominciai a dargli delle direttive. --Voglio il cazzo, lo voglio tutto dentro, prendimi per le chiappe, mettimi le mani sotto al culo-- Lui eseguiva senza indugiare. --tienimi- alzami e spingilo dentro tutto- fermo così-solo un attimo-- Tolsi la mano che tenevo tra le mie cosce e tornai ad appendermi. Mi sollevai di poco, ma sufficiente per permettere a lui di avanzare di un piccolo tratto. Con una scioltezza da ginnica che sorprese anche me, alzai piedi e gambe e con una sforbiciata le racchiusi a tanaglia attorno ai suoi fianchi, e d'un tratto, ---hhooo! adesso si che mi sento bella piena, ho preso tutto il tuo cazzo!-- E iniziò un dialogo che non avrei mai previsto. ++sei una sgualdrina, solo una vacca può fare una sega a uno sconosciuto++ ma che dici, se è un mio compagno di classe-- ++com'era il suo uccello++ -- di quel mocciosetto? piccolo, la metà del tuo-- ++eee è venuto?++ -- certo, per forza, sono brava io, mi hai fatto scuola tu!-- ++e lo vedrai ancora?++ mmm, no, credo di no, è troppo bambino per me-- ++ sei una zoccola di primordine, una lurida svergognata++ --e tu sei un porcello, solo un animale nero come te poteva stuprare e rompere la figa alla sua sorellina-- ++sono terribilmente dispiaciuto, però, dai, l'hai voluto anche tu++ --solo finché ho creduto di non essere più vergine, ma poi ho capito che sarebbe stato troppo tardi e impossibile fermarti in tempo, così ti ho lasciato fare: mihaifattounmaleeee!! Gli uomini, quei mascalzoni, cercavano in me l'innocenza con tanta passione e solo per il piacere di distruggerla. Ma qualche volta, anche loro prendevano "lanterne per lucciole". Il nostro scurrile dialogo continuò. --ti perdono solo se non mi farai più la bua e mi farai godere-- ++ce la sto mettendo tutta++ Il livello di penetrazione era al massimo e la fase piuttosto concitata. --allora,,,vai, vai ,vai,-- Con le dita conficcate nelle mie chiappe mi reggeva e da sotto prese a sconquassarmi. Quando mi sbatteva violentemente verso l'alto io allentavo la trazione e mi abbassavo, ma il contraccolpo mi faceva sobbalzare come una bambolina di pezza. Quando poi me lo tirava verso il basso io mi ritraevo per controbattere il moto. Andava ad una velocità temeraria e io non potevo farcela, era troppo, decisamente troppo! Potevo solo tentare di contenerlo. ---haaa- haaa- haaa- ehi! Vacci piano!-- rallentò il ritmo e cambiò marcia. --così, così, dai, dai, così vai bene, hhaaa, sììì! -- Si fece bravo, mi dimostrò prontezza e padronanza. --Sei un mostro -porco- mi farai morire- basta, non resisto più- hhooo--++ te lo senti dentro?++ --si mi sento tutta piena, godo!-- ++ e allora godi, godi brutta sporcacciona++ Caro lettore , non so se arrivato a questo punto tu ti sia eccitato, il che detto per inciso tra me e te, mi lascia del tutto indifferente, ma ti assicuro che in quel momento io ero sul punto della pre-esplosione. Entrambi eravamo arrivati al punto "del non ritorno". Scoprii come un amplesso compiuto anche con la scurrilità delle parole, fosse tanto virulento, totale e soddisfacente. Dove il bello e il bestiale si erano fusi. --dai- continua- continua- haiiaa- reggimi--hoooo---hhooo--hhooo--. In quel ventoso momento, cominciò a gravarmi addosso la parvenza che quel candelotto acceso che avevo dentro di me, e che ad ogni colpo, ribattuto da recisi echi dalle mia grida, chissà il perché sembrava diventare sempre più grosso finché sembrò essere incontenibile: e, nel tremore della lussuria il primo fuoco d'artificio mi scoppiò nel ventre. Seguirono un'altra successione di spasmi tanto cruenti da spaventarmi. Per un momento temetti che le fiamme non si spegnessero mai più. La loro intensità fu talmente spasmodica che l'incantesimo prevalse, mi pervase ovunque, fino a farmi precipitare in un incredibile prurigine di piacere supremo. I miei strilli si confusero con il frinire dei grilli e i miei ululati con quello delle cagne in calore. Io dico che anche la natura che non potette oscurarsi gli occhi né tapparsi le orecchie, si sbalordì da ciò che fu costretta a vedere e a sentire. Obnubilata, i suoi grugniti da maiale sgozzato io li avvertii solo come rumori indistinti. Quando, dopo non molto rinvenni, il cataclisma si era ridotto a un debole venticello che poi si interruppe del tutto. Dall'allagamento che stagnava dentro al mio alveo ne desunsi che entrambi avevamo raggiunto il deliquio della meta agognata. Sguarnita di ogni reazione vitale rimasi appesa ai rami dell'albero e appoggiata al suo tronco. Inerme, il peso del mio corpo gravava tutto sulle sua braccia. Il suo dardo ancora dentro al mio anfratto del piacere si stava spegnendo come un lumicino. Lo tenni avvinghiato ai fianchi fino a quando l'attrezzo ormai afflosciatosi ritirò e non ne ebbi più sensazione. Ansimanti, io avevo le guance in fiamme e lui mi scrutava con un ghigno trionfante. Strappata al mio stordimento, lo vidi scrollarsi il biscaro e poi rivestirsi. Quel gesto avvisato nella oscurità della notte mi rammentò una frase che di mia nonna la quale, se ben ricordo, diceva pressappoco che gli uomini una volta "fatta", loro si tiravano su le braghe e se ne andavano, e a noi femmine restavano tutte le conseguenze. Infatti, a me il cavallo delle mutandine tornò al suo posto e mi tamponò dentro il liquido seminale che mi aveva inoculato. Piantato dentro di me lo stavo portando appresso per poi liberandomene
il prima possibile, ma nel frattempo avrebbe potuto realmente procurarmi innumerevoli complicanze. Riprendemmo le biciclette e fummo pronti per immettersi sulla strada del ritorno e mettere una pietra su quella epica, magica, superlativa giornata. Ma la lapide non fu tombale.
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- In quel momento, in quel preciso istante io non potevo sapere, non potevo nemmeno vagamente immaginare che il Sig. Ma-Fatum che era stato fino a quel momento tanto favorevole, tanto munifico e accondiscendente nei miei confronti, mi stesse voltando la schiena su quel fato puntuale e sincronizzante. Caro lettore è facile per te e per me decifrare un destino ormai compiuto, ma un destino in fieri non è uno di quei romanzi polizieschi in cui basta indagare per scoprire che l'assassino è il maggiordomo. Fedele lettore, se hai avuto la costanza di seguirmi fino a questo punto senza mandarmi a battere, mi permetto di farti una domanda: esiste un ordine naturale prefissato dall'universo ad opera del Logos? Io non lo so! Come non potevo sapere che quella notte l'ineluttabilità del destino mi stesse tradendo aspettandomi al varco. La mia vita ancora in nuce venne irrimediabilmente condizionata da quei momenti di indecenza che quella notte mi concedetti e gli effetti nefasti si spalmarono nei giorni e anni a venire. Cosa è accaduto di tanto infausto? Se continuerò a scrivere di me e avrai la tenacia di seguirmi forse un giorno lo saprai. Ti chiedo nuovamente venia se il mio racconto non ti ha debitamente eccitato e del tempo che ti ho estorto. Sono contrita: ma fare incetta di voti alti non è nelle mie aspirazioni. Scrivo perché rivelare i miei segreti, ora, mi rende serena e contribuisce a lenire il mio malessere. Fine episodio. Amichetta.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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