Lui & Lei
Quella notte 2

24.11.2018 |
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"Dalla sua bocca filava saliva, ma non ci feci caso, avevo le orecchie troppo tese per certe banalità..."
5. --Forse tu non sei a conoscenza che le qualità di un uomo che maggiormente attirano una donna, sovente, sono le stesse che lei non può più sopportare anni dopo-- Nell’intervallo le parole e le perplessità avevano parzialmente escluso l’azione. Ritirò la mano che ancora mi teneva inerte al caldo tra le cosce bagnate. L’over quarantacinquenne che sembrava vivere sfrontatamente di brevi piaceri, sembrò non riuscisse più ad imporsi né ad incantare la sconsiderata sciacquetta, che come certi fiori che respirano solo quando fa buio aveva spiattellato la sua tempra. $ Oramai è inutile recriminare, quanto portare rammarico su ciò che si è fatto.$ Così dicendo si prese l’uccello, che si era lievemente afflosciato, in mano e mi guardò per specificare che aveva urgenza di dare sfogo al proprio vigore. A quei tempi avevo una incredibile capacità di adeguarmi alle situazioni difficili e così, quasi desiderosa di rovinarmi, volli infognarsi in quella storia più di quanto lo ero già. Alla sua muta esigenza che mi sentii addosso risposi: --io ho due mani, una bocca, due tette e una bernarda totalmente a tua disposizione. Per agevolarti sono persino disposta a lasciarti venirmi dentro. A giorni dovrei avere il ciclo per cui correrò questo rischio.-- Avevo un bisognino non più rimandabile pertanto inventai un espediente. --Non siamo venuti qui per il gatto? vai a controllare il micino e intanto ti cambi la camicia che hai inzuppato di sudore. Mentre io mi rimetto ti dai una rinfrescata e poi ricominciamo daccapo. Poi, però, senza indugi mi porterai alla mia auto.-- All’istante sembrò contrariato, ma successivamente dopo quel mio progetto notturno lo vedi contentissimo . Con voce franca sparò: $ va bene, strumentalizziamo l’intermezzo quale utile sosta per una vigorosa ripresa. Non vedo l’ora di venirti dentro così a fondo che ti lascerò il segno per giorni.$ Quella affermazione mi strappò una esclamazione. --Cazzo!-- Si aggiustò alla buona, posizionò la luce dell’abitacolo in modo che non si accendesse alla apertura della portiera poi scese. Appena lo scorsi sparire dietro la porta, senza essermi messa le mutande, scesi dall’auto, mi spostai in un angolo buio e in fretta e furia svuotai la vescica talmente dilatata da farmela addosso. Furtivamente risalii, appena fui sul sedile mi tolsi i pochi indumenti madidi che portavo ancora addosso. Restai in attesa nuda di madre. Dal borsello mi munii di fazzoletti di carta per togliermi per quello che fu possibile gli umori che avevo sparsi tra la sfrangiata e molle feritoia. Al contatto tattile rilevai la presenza del mini registratore a nastro che portavo sempre con me. Mi venne un’idea. Perché non registrare la fine della storia? Che ne sapevo io di quell’uomo estraneo? Ho dovuto rispondermi: niente di niente, tranne che aspirasse a farmi un lavoretto. Il registratore sarebbe stato un testimone. Provai un attimo di vanità al pensiero che le nostre effusioni avrei potuto ascoltarle e farle ascoltate in seguito a tante orecchie. Seguì anche uno sgomento cieco: come me la caverò? Come fonte di ispirazione così, tanto per tutelarmi da una ipotetica quanto aleatoria minaccia, azzerai il nastro in pochi secondi e mi preparai. Qualche minuto dopo avvertii la sua presenza e premetti il tasto, poi lasciai cadere il borsello tra i sedili. La portiera si aprì e il baldanzoso stagionato totalmente ringiovanito riprese il suo posto. Indossava una nuova camicia annodata all’altezza dell’ombelico sotto alla quale erano evidenti ciuffi di peli scimmieschi che gli sfuggono prepotenti e sgusciano da tutte le parti, e un paio di pantaloncini corti. Una volontà di fare spettacolo a tutti i costi e io volente o nolente facevo parte del suo spettacolo. Mi ero messa esattamente nel punto esatto di come ero mentre avevo sostenuto le prime terapie. Vedendomi completamente nuda, di primo acchito sembrò rimanere imbambolato come se la mia parte di cose la vedesse per la prima volta e il nuovo“discorso” fosse di difficile avvio. Aveva l’arte del saper aspettare e io gli lasciai il tempo. $ Come ti senti, ti sei ripresa?$ --Si, mi sono rigenerata: sono pronta.-- Si apre la camicia mettendo in mostra una folta peluria, si toglie i calzoni senza avere sotto gli slip e con un balzo si adagia sopra di me. Mi sorride gioviale, mi dimostra solidarietà e subito mi riempie di baci sul collo. Sorprendentemente non aveva la qualità fondamentale. Meditai: che si fosse sparato una sega? Non potevo saperlo. Mi prese una mano e me la portò in basso costringendomi ad afferrargli l’oggetto in trattazione. Lo prendo in mano. Era tumefatto, ma non aveva nulla a che fare con le caratteriste che avevo ben note. Per aiutarlo entro anch’io nel nocciolo del discorso, glielo meno lentamente con cura e passione e subito ne ebbi il riscontro. Intanto lui continua a sbaciucchiarmi con tale ingordigia che non rinunciava neanche quando sbattevo la testa. Con caparbia mi succhia i cioccolatini e intanto sento il cazzo gonfiarsi fino a quando le sue dimensioni avrebbero superato ogni controllo qualità. Lo mollo subito, chiedo scusa, ciangotto che sono in ansia, mi sento incapace di riprenderlo dentro. Lui visibilmente contrariato sa rendersi convincente. $ Detesto queste fisime bambinesche.$ Un’idea fece capolino dalla memoria. Appoggiai il piede destro sul cruscotto e il sinistro non saprei dire dove, accostai tre dita della mano con cui tenevo il cazzo e, facilitata dalle leggera curvatura del sedile me li infilai a uncino nel tunnel della spelonca e attesi il suo abboccamento che sapevo imminente. Mentre ancora se la stava spassando con bocca e lingua percepii la cappella toccare senza l’aiuto di alcuna guida, tasteggiare, saggiare, attentare di riconoscere l’umido e scivoloso alveo. Il gioco si fece viscido e infido. Inarcai il bacino per aiutarlo nel privato colloquio e appena ebbi la cappella a contatto con il ristretto spazio del buco che le dita avevano lasciato godibile strillai: --lì! lì!-- E parallelamente strinsi le gambe facendo pressione sul suo didietro. Appena la cappella imboccò la strettoia lasciai a lui ogni iniziativa e rimisi i piedi dove stavano. Sentii la grossa cappella premere, spessa, massiccia, addensata muoversi incerta come se si chiedesse se aveva imboccato il giusto canale. Forse aveva bisogno di conferme e gliele diedi repentina. Gemetti,--haioo! haioo! -- L’impresa dovette sembrargli più ardua di quanto si aspettasse. Lo sentii impuntarsi, spingere, tornare indietro, poi muovendosi con una misteriosa maestria sembrò girarmi dentro.
Dalla sua bocca filava saliva, ma non ci feci caso, avevo le orecchie troppo tese per certe banalità. Spinse deciso, gorgogliò,
mormorò e io emisi un urlo che esercitò su di lui una sensazione di potenza. Ormai incaponito, certo di aver imbucato l’anfratto principale spinge e io sentii molto bene la cappella morbida e polposa scivolare sulle dita, procedere verso il fondo finché ne persi l’adesione e la sentii salire nei meandri intimi, profondi e segreti. Poi arrivò il seguito del dardo che lo percepii più ruvido, inalberato, aggressivo scorrere con tutta la sua massa di carne. Presto la mano colse il graffiante pelo ispido e compresi che l’avevo dentro tutto fino alla base del fusto. Ero talmente intenta al successo della strategica operazione da scordarmi che mi stava frullando. Presi subito i provvedimenti premendo coi piedi inarcai il bacino, ancheggiai, mi dimenai, ripresi i timidi e lamentevoli gemiti. Dopo il servizio da poco assaporato, dopo aver avuto un numero di orgasmi dei quali avevo perso il conto avrei avuto difficoltà ad averne un altro, per cui il processo di dissimulazione era imprescindibile, e ci erano voluti anni per imparare a rendere luciferino l’artificio linguistico e sonoro che si addiceva. E in quello ero brava, per il resto io non mi risparmiai dandogli, sempre con la stessa cura, tutte le soddisfazioni che il mio corpo fu in grado di dargli. Anche lui aveva modificato il suo modus operandi, la sua bocca cercò la mia e sembrò pretendere che la aprissi. Per un certo tempo stetti con le labbra strette ma poi finii per ammansirmi. La aprii e gli succhiai la lingua rendendo naturale l’estremo artificio aprendo le danze a una bellissima apertura di gioco. Non mi stava fottendo, stavamo facendo l’amore e molto rumorosamente.
6- Il suo attrezzo dalle linee e misure geometriche perfette, sembrava studiare tra i meandri intimi e confortevoli e come una onda ci fluttuava dentro, poi dondolava dolcemente con movimenti lenti, ripetuti, asilato dentro in un comodo tram, tram.
I suoi mugoli si fecero ampi, robusti e pieni che rimandavano suoni nella mia gola . Io gemevo con toni timidi appassionati e lamentosi. Stavamo facendo l’amore molto chiassoso, per la gioia del registratore. Lui mugolava, la sua voce era sensuale e corposa con un gorgoglio in gola, rauco, come una rana gigante in una notte di luna. La sua voce si fece rude, come la presa che aveva sul mezzo delle mie chiappe, per compiacerlo iniziai a emettere suoni animaleschi come una cagna in calore. Mi mollò il culo e mi mise il pollice in bocca. $ succhialo $ Mi disse. Obbedii, succhiai il dito saporito e lo leccai con la lingua fino a quando non potei resistere dal morderlo, lui fece un guaito da far perdere la testa. Era come se lo avessi dentro in due posti simultaneamente. Alzai di scatto il bacino, lo abbassai e lo innalzai prendendolo il più a fondo possibile.
Fu come se fosse arrivato al centro del mio corpo. Una sensazione meravigliosa. Totalizzante. Me lo sentivo dappertutto, dentro e fuori. Sul suo volto apparve l’espressione della pura lussuria. Aveva gli occhi ridotti a due fessure, la bocca semiaperta. Oh sì, c’era quasi, me ne accorsi. Urlare: sarebbe stata l’unica cosa che volevo. Debolmente oscillai i fianchi costringendolo a muoversi ulteriormente dentro di me. Strinsi come mi fu possibile le gambe e mi contrassi come un groviglio attorno al suo cazzo. Ero già venuta tante volte, ma quella sensazione di essere riempita fino al limite era impossibile sopprimerla. Il mio gridio si fece più netto, ma non gridai. Mi sentivo così bagnata che il sugo mi colava tra le cosce. Avevo le natiche in fiamme per sue artigliate e sentivo la mano che tenevo tra le gambe informicolata, sensazioni che non fecero che accrescere la sua lussuria. Egli continuava a grugnire mentre il cazzo duro come il marmo mi strusciava quel punto che mi faceva andare in visibilio. Stavo tornando in orbita. All’improvviso, mi afferrò da sotto il culo con una mano e con l’altra me la portò sulla spalla immobilizzandomi. Negli spasimi dell’agonia, affondandolo dentro di me finché ne aveva. Altruista fino all’ultima goccia, muovendosi lentamente mi riempì con zampilli intensi il ventre della sua sborra calda. Quella fu la sua ricompensa al mio sacrificio. Era venuto così, senza erompere al momento giusto nelle classiche e fulminee impennate generose e inattese che concludevano ogni amplesso. La macchia calda che si espandeva dentro di me mi fece provare un sussulto di piacere: ancora troppo in nuce per farlo germogliare. Con discrezione e non senza difficoltà dal peso del suo corpo accasciato a peso morto sul mio, ritirai la mano ancora prima che lui me lo tirasse fuori. Restò così, sopra di me ansimando continuando a mugolare fino a quando, lentamente il cazzo si sgonfiò, e venne espulso naturalmente. Quando si rimise a respirare regolarmente con una voce quasi supplice e dolcissima mi disse: $ mi hai fatto impazzire. $ --E io sto morendo dal caldo.-- Risposi, e la risposta non fu soddisfacente.
Mi liberò del suo peso, si tirò su i pantaloncini e si riabbottonò la camicia. Lui era pronto per ripartire. Mentre io dovetti asciugarmi tra le gambe e pulire il sedile che si era macchiato dal classico sugo derivato dal processo della lavorazione. $ Non ti preoccupare, e di una stoffa antimacchia e lavabile: capirai con tutti quelli che salgono.$ Alla verifica dei fatti quella risposta strideva come una pialla da legno su di un piastra di ferro, difatti, era l’auto che usava per fare le guide agli aspiranti autisti, ma per quanto io ne sapevo su quel sedile ci stava il docente e non il discente. La memoria mi riportò con precisione a quando io sostenni le guide e glielo feci notare facendogli capire che non ero una alloca, lui cambiò discorso. $ Nessuna mi ha mai soddisfatto come te, sei così carina, cosi fresca. devo rivederti o non avrò pace. Sembri una bambina un esserino, invece hai una forza lì dentro insospettabile, sembri anche più matura di mia moglie, per certi versi. Sono molto contento del tuo stretto cunicolo - e si ammutolì.- Poi riprese, farò di te la mai beniamina. $ E sorrise con sincera felicità.
Il pensiero di essere invocata e rimpianta mi provocò brividi di piacere. Su di me le lusinghe funzionavano sempre, avevano un loro modo di bussare al mio cuore che lo portavano a fare capolino. Ma in quel momento mi resi conto che ero stata con lui solo per un misto di compiacimento, eppure decisi per quella notte di essere elusiva avendo intercettato che il casanova inseguiva l’utopia di avermi come amante. --Non so:-- risposi. Dipende da come andranno le cose, per adesso mi auguro che come premio di consolazione non mi abbia fecondata o non mi abbia attaccato l’herpes o qualcosa di peggio. Se proprio, saprò dove trovarti.-- E mentre stavo indossando la camicetta dissi: -- ora sono totalmente svigorita e se non hai nulla in contrario vorrei tornare alla mia auto.-- Se sei così smontata, te la sentirai di guidare senza appisolarti al volante? forse ti converrebbe passare qui da me la notte e domani mattina andando al lavoro passiamo dal parcheggio: ti lascio e io proseguo.$ Non la trovai una cattiva idea la sua, feci tutte le considerazioni, e furono moltissime, compreso quella di indossare il camice che avevo sull’auto come permuta per recarmi in fabbrica il mattino seguente e mascherare l’indecorosa vestitura che avrei portato sotto. Nonostante che l’insicurezza e la paura non fossero ancora scomparse risposi: --accetto, a patto che dormiamo in letti separati.-- $ No problem, avrai a disposizione la stanza di mio figlio.-- Nel frattempo avevo indossato la sottana, mentre le mutande e reggipetto li avevo infilati nel borsello. Quel gesto mi riportò al registratore che avendo finito il nastro si era spento.
Ancora una volta avevo asservito al dominio del suo eloquio. Era già la mezzanotte passata, scesi dall’auto e lo seguì come se stessi in un sogno fra cose e muri mai visti. L’ossigeno mi tornò di colpo al cervello causandomi una specie di sballo. Mi guardai attorno ma non vidi nessuno, sentivo solo il fragore di auto provenire dalla via adiacente che si propagava rimbombando nell'aria. $ Vieni. $ Mi dice. $ Ti offro da bere. $ Ma io lo fulminai con uno sguardo severo, come se gli intimassi di non prendersi troppa confidenza. Se qualcuno che mi conosceva mi avesse vista con un anzianotto con quella gonna corta da prostituta, mi avrebbe dato della demente. Non ero rotta a ogni esperienza e non sono mai stata una meretrice. O perlomeno non lo facevo di mestiere e non per strada, ma negli alberghi di lusso, dove si pagava molto assai, ed era il mio datore di lavoro che era anche il proprietario della fabbrica in cui lavoravo che pagava e mi patrocinava i clienti per uno smercio da qui dipendeva lo smercio e la sua fortuna. Mi convocava nel suo ufficio e mi istruiva: ##quando sarà in albergo se venisse accostata da un cliente cerchi di attaccare discorso e essere gentile: molto gentile.## --Gentile fino a che punto?-- Dicevo io. E lui discretamente: ##questo lo decida lei, ho fiducia in lei perché con la sua umiltà maliziosa ha talento da vendere e mi affido a lei perché sono certo che farà un ottimo lavoro. Sarà ben ricomprata.## E mi piantava lì su due piedi. E io, che dovevo fare? Avevo già il mio lavoro che mi piaceva e che mi dava soddisfazione senza dover farmi venire la voglia di fare la slandra. Ciò nonostante ubbidivo facendo del mio meglio sgarrando in quelle che erano le mie naturali inclinazioni.
7- Io non ho mai sedotto nessuno, avevo la vocazione di subirla la seduzione invece che infliggerla. Erano loro che mi volevano a loro immagine e somiglianza. Ma io ero come ero. Ero sempre io la vittima sacrificale che veniva immolata sull’altare nell’intricatissimo gioco dell’adescamento. Ma quella sera era diversa, quell’uomo dispotico essendo in un momento di scoramento sembrava essersi invaghito di me o del mio corpo. Entrammo in casa sua, mi mostrò la stanzetta del figlio e mi indicò il bagno. Feci una celere doccia, mi asciugai e vedendo appeso un accappatoio di misure adeguate, senza prestare riservatezze di chi fosse lo indossai. Sistemai alla meglio i miei pochi indumenti, presi accordi per il mattino e con una striminzita buonanotte, presi la direzione della stanza che mi aveva indicata che trovai illuminata da una tenue e sottesa luce rossastra -gradita dal figlio- supposi. Mi gettai a bocconi sul letto, e stanchissima feci un alacre resoconto di quella notte. Considerai che, se avessi accettato di rivederlo avrei dovuto patire molte altre notti come quella. L’esito fu che persi i contatti col presente e mi addormentai in un sonno profondo.
Non saprei dire quanto avevo dormito, nel corso di una stasi che traduceva alcune visioni riflesse nello stato onirico, ripresi lo stato di veglia con uno schok che mi fece vacillare fin dalle fondamenta. E’un sogno, mi rassicurai, meno male che è solo un sogno. Ancora in stato confusionale mi sentivo schiacciata, soffocata e io cercavo di liberarmi da quel peso ma non riuscivo a muovermi. Ce ne volle del tempo per tornare uscire dallo stato surreale e saltare a piè pari a quello di allarme.
Ero ancora stesa a bocconi e sopra di me avevo un peso che presumibilmente era un uomo, il medesimo stagionato che era tornato sul palcoscenico. Per quanto tentassi di togliermelo di dosso restava inamovibile dalla sua posizione. Il primo segnale di pericolo lo avvertii quando intesi e riconobbi al contatto attraverso l’adesione che avevo tra la fessa delle natiche con il passepartout che cercava un buco in cui infilarsi. I miei sensi si misero in agitazione. --Ma che fai, sei inopportuno, non voglio, tiralo via subito da lì. -- Si barcamena, poi abbassa il tiro cerca tra le culatte, ancora una volta lo sento tra le grandi labbra e: zag: me lo piantò dentro. --No! non farlo.-- Un'altra spintarella e affonda dentro al tunnel ancora scivoloso cagione dei precedenti servizi ricevuti e si mise a scoparmi da dietro: e mi era andata bene che non aveva imboccato il sentiero non ancora battuto. Si riposizionò e diede il via con una velocità sorprendente a una granicola di spronate che mi fecero strusciare in avanti. Mi puntellai, le chiappe sbattevano con un clap, clap, ritmico, frenetico come una sega che affonda nella carne viva.
-- Cosa ti è saltato in mente, sono stanca voglio dormire.-- $ Sei stata tu a chiamarmi, ti ho sentita piangere e invocare il papà perché avevi paura del buio, non immaginavo che fossi una bambina paurosa. Sono accorso e ti ho vista col culetto scoperto.
Non volevo che prendessi freddo, così mi sono avvicinato per coprirtelo, ma poi non ho resistito senza palpare il culetto alla mia bambina. hai un culetto stupendo, e voglio insegnarti come usarlo.$ Poi con altre parole sgrammaticate aggiunse: $ alla mia bambina che sa già fare quasi tutto gli insegnerò anche a cuocere la torta.$ Come aveva potuto osannare una battuta così repellente? Mentre continuava scoparmi con una violenza che lo faceva apparire molto più giovane di quanto sembrasse, io rimuginai, macchinai, congetturai su come avesse potuto sfoderare quell’assortimento di asserzioni che non potevano essere che menzognere. Eppure le aveva interpretate con una descrizione scrupolosa e dettagliata e con una galanteria da sembrare verosimilmente vere. Supposi a un gagliardo scherzo, ipotizzai a una urgenza, un espediente, un desiderio di porsi comunque dalla parte della propria identità libertina. Poteva darsi, ma tutto restò vago, aleatorio, insoluto tanto da cancellare ogni mia idea che mi ero fatta sul suo conto. Non c’erano più parole tra noi, mi scopava col il mio consenso cieco e completo, la mia sembrava una assoluta resa del mio corpo alla sua ingordigia incestuosa.
Io ero la bambina e lui era il padre e facevamo l’amore rumorosamente e io avevo poco da ribellarmi e da infuriarmi, e i fatti parlavano chiaro, come le molle del letto che cigolavano a ritmo di ballo. E intanto lui mi scopava, mi scopava e mi scopava come se la rabbia si mescolasse irrimediabilmente al suo desiderio, nel tempo in cui io, con i riflessi troppo rilassati per parteciparvi, immobilizzata, mi sentivo legata come un salame. In un'altra circostanza avrei potuto dire di aver goduto di una esperienza intensamente vissuta e invece l’affrontavo senza lasciarmi sgomentare chiudendo gli occhi come se lo sforzo fosse troppo grosso per poterlo sopportare restando rigida come un pezzo di legno ad aspettare che finisse. Non saprei dire per quanto si protrasse, ma a me sembrò un tempo lunghissimo, quando il pavonesco si appollaiò inerme sopra di me. No! non era morto, era solo sfinito. Si era arreso per estenuazione, senza giungere allo sfogo, come avrebbe fatto un anorganico. Dopo un tempo indefinito, il dardo non accennava a sgonfiarsi ma il toro da monta sembrava non avesse più voglia o fiato per riprendere la montata. Mi mossi per liberarmi del suo peso di dosso, il cazzo si sfilò dalla figa e restammo uno accanto all’altro su di un letto a una sola lettiera. Avevo la testa così piena di sonno che lentamente il silenzio e la quiete sopraggiunsero e io, prima mi assopii, poi mi riaddormentai. Dopo non saprei dire quanto, ancora nel sonno sognavo un serpentello che si arrampicava tra delle pietre e vedendolo provavo come effetto contingente un solletico al centro delle chiappe, me lo sentivo nella carne come una molestia fisica. La sensazione persistenze e disagevole mi fece aprire gli occhi, ma il fastidio non cessava, era troppo autentico, troppo reale per essere un sogno. Come era mia consuetudine dormire ero messa su di un fianco leggermente rannicchiata ricoperta dal pigiama che avevo addosso sopra al quale il mio “padrino” ebbe l’accuratezza di aggiungere una coperta per proteggermi dal freddo. Una esecuzione accurata alla quale mi sentii in dovere di riconoscere, se egli il premio non se lo stesse servendo autonomamente. Da sotto la coperta e attraverso il pigiama aveva insinuata una mano della quale un dito era finito nel mio culo e lo muoveva come fosse un vermiciattolo. Per la prima volta capii cosa si prova a gridare porco in faccia a un libertino che ti infila un dito nel culo senza che gli avessi profilato il mio permesso. Provai una umiliazione che mi restò addosso, ma mi sentii morosa per l’avvedutezza che mi aveva testè dimostrato e non volli essere sgarbata, pertanto gli chiesi: --Un modo originale per darmi il buon giorno?-- $ Anche, ma più che altro una sveglia, è ora di muoversi. Avevo di che essere soddisfatta. --Se vuoi che mi alzi toglimi il dito dal retrobottega: adagio!-- Fu come se mi avesse toccata l’aria dell’inferno, come se un’altra pelle si fosse attaccata alla mia pelle che veniva strappata via. Avrei voluto pareggiare il male che m’aveva fatto. Avrei voluto insultarlo per la rabbia che mi aveva preso, ma non feci nulla e le parole mi morirono in bocca. Con la lingua in bocca amara, il freddo nello stomaco e il fuoco solo lì, nel culo, per ovvie ragioni entrammo in bagno simultaneamente. Spudoratamente nuda usufruii del wc mentre lui si mise a lavarsi lo strumento che sembrava dargli requie. Aveva perso la rigidezza ma manteneva dimensioni tali da scrollarsi di dosso tutti gli avversari. Avendo notato il mio interesse esclamò: $ qualche anno fa era anche più grosso.
8- Appena si rese conto che lo osservavo con interesse, volle dimostrarmi la medesima ossessiva necessità della sua continua verifica erotica. Da qualche tempo avevo preso l’abitudine di prendere le misure dei cazzi che mi passavano per le mani, così rivedendolo rinvigorito, tanto per aggiungerlo alla collezione e annotandone l’esito dell’amplesso, protesi il braccio sinistro.
Lui prontamente intuendo il mio intento me lo avvicinò. Con il pollice e l’indice lo circuii, la punta delle dita restavano scostate di parecchio. Quando le tolsi -le dita- mantenni il cerchio che ad occhio e croce non era inferiore ai cinque centimetri di diametro. Mantenni il calco e alzando la mano gli chiesi: --come credi che mi sentirei dopo che mi avresti aperto un buco del genere?-- $ E’ il primo passo che è difficile e il sentiero si apre solo camminando $ --Quindi? dovrei fare quello che non so fare solo imparare come va fatto occultando il buon senso? ma non siamo tutte uguali.-- La mia scusante risuonò di esile efficacia e dudosa. Non era il momento di sollevare polemiche incendiarie, ma compresi che la topa aveva perso di valore, sfoggiare candore e vanto per avere ancora il deretano integro si rivelava un privilegio nefasto. E nel contempo, essendo una novizia accalorava in lui la brama di ficcarmelo in culo secondo il criterio che chi arriva prima gli tocca il meglio, e la pietà sarebbe divenuta fragile: fragilissima! Il tempo era scaduto. Un ultimo colpetto al viso e scendemmo le scale senonchè un altro problema si presentò alla finestra. Uscire allo scoperto com’ero vestita avrebbe attirato l’attenzione dei suoi genitori e per lui l’evidenza di essersi fatta una bambina poteva essere imbarazzante se non compromettente. Prontamente escogitò una soluzione. Invertì l’auto dell’autoscuola con quella personale che teneva parcheggiata in garage. Mi cacciai tra i sedili posteriori e partimmo per l’ultimo viaggio. Durante il breve percorso lui assunse tutte le sue caratteristiche peculiari. Un uomo perentorio che non celava la sua superiorità sulla donna fino a paragonarla a un’auto che va giudicata in base alla sua ripresa. Senza la carità di un sorriso, non ebbe nessun rispetto per la sua interlocutrice e compagna di viaggio avvelenandomi la giornata.
Aveva tanta rabbia dentro da sputare fuori, ma io compresi che aveva anche tanta debolezza in cui affogare.
Si arrampicò sugli specchi per strapparmi un nuovo appuntamento, con frasi come: $ dovresti provarci, forse ne nascerebbe una storia vera-non vedere indegnità dove non esistono.$ Per essere stata complice della scorreria della notte provai un disgusto improvviso che mi atterrì e mi fece sentire indegna. Io non trovai nessun desiderio di reggere il solito gioco, inghiottivo come se fossi soprapensiero alla ricerca delle frasi giuste limitandomi a recitare una parte, e cioè a rispondere con dei forse, dei farò e dei vedrò. Finalmente raggiungemmo il parcheggio dove la mia auto mi stava aspettando. Immalinconita, ebbra di umiliazione salii sulla mia auto, allo specchietto scorsi il mio viso dal colore della stanchezza, come se avessi la tinta di una malattia che stava per arrivare o che era da poco finita. Avviai il motore, ingranai la marcia e presi la strada e la mia vita tornò ad imboccare il suo binario. Su quell’episodio lasciai cadere la polvere del tempo, e quella polvere viene spazzata via ogni qualvolta rivedo un’auto con la scritta “autoscuola.” E anche se sono trascorsi molti anni provo ancora frustrazione e rabbia. ( FINE)
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