Lui & Lei
i giorni dopo 3

30.06.2016 |
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"Appena arrivai al gruppo vidi su un tv a grande schermo il culetto di Dxxx precedentemente registrato..."
La smodata cappella aveva le sembianze di un cuore di vitello sulla quale al di sopra per forma e dimensione, avrei potuto giocarci una partita a dama. E non è una iperbole.Anche la sua lunghezza era prodigiosa, per non parlare della durezza la quale mi riempiva gli occhi e dava la prova che anche gli idioti non nascono invano. Quello che la natura gli aveva sottratto alla crapa principale l‘aveva aggregato all’altra pareggiando i livelli. In tutta sincerità avevo preso l’iniziativa solo per soddisfare la mia curiosità e mi bastava l’essere riuscita a fargli rizzare l’alberello della cuccagna dove le altre nemmeno ci avrebbero provato.
Ma poi, se avessi voluto mantenere la parola data avrei dovuto passare alla seconda mansione: tra l’altro la più difficile - fargli un pompino fino a farlo venire -. Un'altra nuova curiosità si accese: scoprire come un -idiota - si sarebbe comportato in quella licenziosa impresa. Mentre continuavo a masturbarmi facendo scorrere le sue dita lungo la mia fenditura che ormai colava, gli bagnai la capoccia con la mia saliva con una certa munificenza. Intanto che c’ero provai a prenderlo in bocca, ma riuscii a malapena ad alloggiare la cappella. Ne avvertivo la forma, glissando sul sapore, gli feci girare attorno la lingua, ma più di quella non riuscii a ingerire. Desistetti. Tornai a coprirgliela non senza difficoltà, poi incominciai a far scorrere la mano prima lentamente poi sempre più veloce. Sincronizzare il movimento delle tue mani fu impresa tutt’altro che semplice, pur riuscendo ad ottenere il risultato auspicato. Il motivo per cui toccarmi con le mie dita non provavo alcunché mentre farmi soffregare dalle sue mi aizzava, mi restò del tutto ignoto.
Dentro di lui era scattato evidente l’allarme della natura, a me il calore mi saliva verso l’alto, entrambi avevamo negli occhi la luce particolare del piacere puramente animale. La tentazione mi fissò dritta in faccia e mi incoraggiò ad andare fino in fondo. La decisione che presi fu scellerata ma una lussuria incontenibile mi illuse fosse, se non la più savia, almeno la più conveniente.
Spinta dall’urgenza sfidai l’idiota che stava davanti a me dritto e rigido che, con un arnese tanto gonfio da scoppiare, sembrava fosse lì solo per accontentarmi. Tenendolo in mano e aggrappata alla presa mi girai mettendomi prona, e, mostrandogli lo scrigno aperto retrocedetti. Le mie labbra che immaginavo rosee e così aperte, che anche un tonto come lui non avrebbe potuto ignorarle. Ma fu mera illusione.
Impaziente, sempre tenendolo ben stretto lo guidai con sicurezza verso l’irruzione, ma era troppo alto per la mia statura e per quanto lo tirassi verso il basso non giunsi a nessuna conclusione, - proprio non lo capiva, - e così non avendo altro modo di infilarmelo, a quell’evenienza dovetti al momento rassegnarmi. Ma la passione aveva preso il pieno possesso di me con tutti i suoi sintomi. Infiammata dall’avvenuto contatto della carne reso più intrigante dal segreto che il momento imponeva, fui incapace di rinunciare a quel trionfo al quale miravo e che non fui più in grado di respingere. E così trovai il coraggio per una mossa ancora più ardita. Lo spinsi contro il letto che aveva alle sue spalle dove lui fu costretto a sedersi. Ormai si fidava cecamente di me non ebbe reazioni, così ne approfittai per alzargli le gambe
di peso e stenderlo sul letto: proprio come se fosse un bambino menomato. salii anch’io sul letto che ben conoscevo e con una sforbiciata ci fui a cavallo. Presi con una mano quella verga il cui profilo era da coniar monete, la misi in verticale e gli posai sopra le mie labbra, quelle che tenevo tra le cosce. La tensione crescente mi imponeva fretta di concludere o sarei venuta senza infilarmelo, la miccia era accesa e
la bomba stava per esplodere. Auspicavo che non mi togliesse la fiamma di sotto proprio mentre la pentola era in ebollizione e allo stesso tempo temevo una sua eiaculazione improvvisa.
Sarebbe stata la seconda inondazione di sperma della giornata e non sarebbe stata gradita. Ma poi pensai che se per disgrazia fossi restata pregna per la rottura del profilattico avvenuta il mattino, un’altra imbellettata sarebbe stata come - il cacio sui maccheroni, - una panacea capitata a proposito per travestire l’infausto incidente. Una fecondazione indesiderata la cui responsabilità l’avrei attribuita tutta all’idiota: che sarebbe stato per me molto meno imbarazzante che doverla imputare a un consanguineo. Ma in quel momento il fascino del piacere proibito era talmente forte che ebbe la meglio su ogni preoccupazione; quando perdevo la bussola la mia dissolutezza diventava sconfinata. Del resto si sa che sono le situazioni nuove a produrre le impressioni più forti, soprattutto nel campo dell’erotismo. Trovato il punto giusto, mi lascia andare giù, le mie gambe tremavano come foglie al vento, la gigantesca testa all’allargò le labbra e si inserì all’imboccatura del pertugio predisposto a riceverlo ma non ancora dilatato a sufficienza da permettergli il passaggio. Nonostante fossi stata penetrata il mattino, la testa di quell’ingombrante arnese si fermò nel punto cruciale
e, per quanto premessi sulla mia apertura non voleva oltrepassare quel valico. Ormai non era più il caso di tirami indietro, anzi provai a sollevarmi per poi lasciarmi andare per così dire a peso morto riuscendo a guadagnare qualche millimetro e a quel punto sembrava ormai più dentro che fuori. Era un impresa sostenermi sulla gambe e non riuscivo più a calibrare la pressione. Così, mi lasciai andare con tutto il peso del mio corpo appoggiato sull’asta, provai una insolita indefinibile sensazione di dolore e di piacere: ebbi paura di essere lacerata ma non volli indietreggiare. Le gambe si afflosciarono e la verga sprofondò in me con rapidità e io gridai di dolore: ma ormai era passato, aveva superato il punto critico arrivando circa a metà strada.A me bastava e avanzava per concludere. I muscoli delle gambe non mi ubbidivano più, così dovetti
appoggiarmi con le mani sul suo torace. La nuova posizione stimolò le parti più sensibili del mio apparato e in breve non resistetti più al quel grimaldello: riprovai quella sensazione di fare pipì. In una escalation inarrestabile esplosi in un orgasmo che valse almeno cinque di quelli che avevo provato fino a quel momento perdendo la cognizione del presente. Quando rinvenni le nostre pelurie si erano intrecciate. Godendo avevo perso ogni controllo e, rilassandomi su di lui mi era entrato dentro proprio tutto.
Dalla consistenza mi parve che lui non fosse ancora venuto. Per il mio discepolo immaginai che fosse alla sua prima lezione che teneva sul piacere. Appagata, era tempo per me di chiudere il sipario, mi veci forza per sottrarmi a quel sorprendente gingillo. Me lo sfilai di oltre la metà e convinta di essermene ormai liberata, diedi l’ultimo strappo ma, arrivato al punto critico dove prima la testa non riusciva a passare,
ma, la sua naturale conformazione, - progettata dalla natura per penetrare - gli aveva permesso di affusolarsi e adattarsi allo stretto antro. Ma poi, al momento di estrarlo, accadde che la parte più grossa della cappella, come due squame, sporgendo e premendo sui bordi della strettoia si allargavano e, come un arpione si agganciava e traeva. Con più tiravo con più l’effetto si accentuava. Proprio come accade a una cagna che si accoppia con un cane e non riesce più a staccarsi fino a quando il coito si conclude naturalmente. Incredula e preoccupata ci riprovai. Mi lasciai andare giù ficcandomelo ancora fino all’elsa, poi con un indelicato strattone mi sollevai: ma l’effetto fu anche più disastroso. Provai una fitta lacerante: per paura e dolore urlai. La situazione era allarmante, non c’èra più tanto da scherzare. Lui sembrava essere impazzito, tremava come affetto da febbre gialla, emetteva suoni convulsi e per me incomprensibili, si agitava e menava le mani. CONTINUA 12
Oltre al mio problema dovevo mantenerlo fermo, se si fosse alzato o sceso dal letto mi avrebbe trascinata con se devastandomi. Ebbi paura, ebbi realmente paura. I suoi occhi si erano fatti vivaci, le guance le si erano arrossate, il respiro era sempre più frequente, tentava di strizzarmi con le mani, apriva e chiudeva convulsamente le labbra.
La stretta pressione della mia calda guaina gli stava strappando il primo contributo alla sua verginità. Si irrigidì tanto da sembrare svenuto, avvertii gli spasmi interni del suo nerbo duro come un osso sprizzare guizzi caldi che si sparsero contro le pareti della mia delicata cartilagine avvertendomi che stava godendo di un gusto bevuto a lunghe sorsate infrangendo il suo lungo e freddo letargo del piacere. Tutto era andato contro e al di sotto di ogni mia malevola aspettativa. Non avevo e non potevo lamentarmi ma tutto da rimproverarmi. Temerariamente avevo iniziato un gioco azzardato divenuto pericoloso e non potevo né gridare né imprecare. La contraddittorietà della mia natura aveva avuto il sopravvento sulla ragione, avrei dovuto farne discernimento; ma per questo c’era tempo, al momento dovevo assolutamente liberarmi di quell’impiastro. Tenendo le mie mani sulle sue braccia per evitare che con movimenti incauti mi cavasse le interiora , feci forza sulle gambe e, spostandomi ai lati, roteando con movimenti circolari in un momento di insolita baldanza, azzardai uno strattone che, forse facilitato dalla iniezione lenitiva con cui aveva irrorato le mie pareti interne che si amalgamò con la mia, o, forse per il merito dei miei valutati movimenti, accadde che con un “ ploff “e un urlo straziante di dolore mi liberai di quel vandalico strumento divenuto al momento molto fastidioso. La frenetica ginnastica eseguita mi aveva portata nuovamente sull’orlo del piacere. Mugugnando, mi affrettai a premere la mia fessura sulla sua canna domata ma ancora consistente e sfregandomi giunsi rapidamente, -anche se di modesta intensità, -a un secondo orgasmo. Avendo di gran lunga superato la disponibilità del tempo che mi era stato assegnato, balzai giù dal letto.
Disfatta, ferita, dilaniata avevo perso ogni cognizione, passai subito al ricompormi. Presi il rotolo di carta e provvidi, -sicura della sua incapacità di farlo autonomamente- di pulire il bamboccio. Lui mi guardava con un’aria smarrita e pareva chiedermi cosa fosse successo, i suoi occhi sembravano esprimere gratitudine. Senza indugiare passai la carta sull’asta che appoggiata sul suo ventre che così appoggiata assomigliava a un pesce gatto con le branchie dilatate.
Che quel “coso” fosse stato dentro di me mi sembrava impossibile. Come se fossi una mamma che accudisce il figlioletto, gli tolsi tutta la materia giacente color perlaceo mista a lievi e appena percettibili venature di sangue. Una mia seconda verginità se ne era andata.
Ero convinta che dopo quello slargo iperbolico il sentiero sarebbe stato battuto per ogni altra evenienza e a qualsiasi altra misura. Sbagliando. Se qualcuno mi avesse detto che avrei fatto una cosa
del genere, quando il mattino mi sono svegliata, non ci avrei creduto, né potevo immaginarlo. Ormai pulito lo tirai per farlo scendere dal letto: aveva ancora il respiro spezzato, con gli occhi mi fissava con sospetto, mi prese una mano e me la riportò sopra al suo pistacchio ormai floscio. Cosa? Restai sorpresa della sua improvvisa consapevolezza. Non era poi tanto tonto. Da quel momento gli parlai normalmente infischiandomi del suo quoziente intellettivo. -- Il tuo tempo è finito, ora finisci di coprirti e scendiamo, chissà cosa staranno pensando di noi due -- Naturalmente non ebbi sentore del suo comprendonio. Lo feci io, poi pensai a me. Mi pulii tra le gambe e me la tappai provvisoriamente con carta igienica, poi, sistemai il letto, feci sparire ogni traccia del misfatto, mi infilai le mutande e indossai la sottana, poi preso per mano lo
trascinai verso l’uscita. Appena aprii la porta la musica ci invase. La festa proseguiva anche senza di me. Passammo davanti al bagno, rimisi frettolosamente il rotolo di carta rimasta e non potendo sostare per ovvie ragioni, ne uscii rimandando
al da farsi successivamente. Pensai a come facesse lui quando aveva necessità del bagno, --Ma!-- Restava un mistero che
non mi riguardava. Scendemmo le scale, lui mi seguiva in silenzio e fedele come un cagnolino. Arrivati in taverna si presentò uno spettacolo sorprendente. ( qual è la storia che mette in crisi chi la racconta? fino ad ora ho narrato vicende reali,
la maggior fatica è stata ricordarle e descriverle da renderle comprensibili, ora però la tentazione di arrendermi è forte.
So quanto tutto questo possa sembrare una favola, ma io non invento nulla, non ne ho la capacità, riferisco per quanto surreale, solo quanto ricordo.) Dxxx, in slip di color idalco molto succinti e reggiseno trasparente, si dimenava a suon di musica mentre un ragazzo la stava filmando. Sxxxx, la festeggiata la fiancheggiava in jeans e reggiseno. Tutta la comitiva frenetica sembrava dare segni di follia. La ragazza mora latina era già scesa e si stava sbaciucchiando su di una poltrona col ragazzo con cui era salita prima di me. Ne dedussi che l’approccio aveva avuto successo. La festicciola si era trasformata in un orgia che avrebbe fatto invidia al più rinomato postribolo della antica Suburra. Dxxx appena mi vide prese per mano un guaglione e trascinandolo con se mi venne incontro. [ Era ora! Com’è andata? ]--Non ho combinato niente,-- Risposi. --Per passare il tempo gli ho raccontato la favola di Cappuccetto Rosso e si è addormentato,
poi,,,-- Prima di poter finire il mio sproloquio mi aveva lasciata varcando la porta che l’avrebbe portata, immaginai, nella sua stanza. Sxxxx, con la camicetta stretta in una mano e nell’altra teneva quella di un ragazzo che si portava a rimorchio e che lui passivamente seguiva. Mi inserii nel gruppo per disimpegnarmi del ritardato, ma lui continuava a girarmi attorno come formiche sul miele. Mi guardava con due occhi di fuoco che facevano volare l’immaginazione e come fossi una calamita sembrava lo attirassi a me. Solo allora compresi l’enormità della malefatta che avevo combinato. Avevo destato le sue pulsioni primitive. Avevo sparsa un’ombra sul suo destino che si sarebbe compiuta nei giorni a venire. Ogni donna a cui si fosse avvicinato avrebbe potuto avere comportamenti indecenti, e io sarei stata battezzata come la lurida scostumata che l’aveva introdotto agli atti del più sozzo vizio. Salire in quella stanza non era stata una mia idea, ma ormai la frittata era fatta. Era essenziale inventare una storia innocua ma convincente sperando che tutti ci fossero cascati. Uscii dalla taverna accertandomi che il tonto mi avesse notata,
passai per il garage e lasciando le porta socchiusa mi trovai all’aperto. Alacremente raggiunsi la porta principale e entrai in casa, risalii le scale e raggiunsi il bagno. Mi feci un “lavaggio generale” del quale trovo superfluo entrare in dettagli. Ridiscesi in taverna e mi unii alla mischia. Raggiunsi un angolo isolato e scrutai l’ambiente: il rompiscatole non c’era, mi aveva seguita, poi,
arrivato fuori, all’aperto chissà cosa stesse facendo. Rifeci il precedente percorso chiudendo la porta della basculante dall’interno: da lì non avrebbe più avuto accesso, mi augurai di non vederlo mai più. Se mi avessero chiesto di lui o della sua assenza io non avrei saputo dire nulla, la ragazza a cui era stato affidato si era disinteressa di lui, perché mai avrei dovuto farlo io che manco sapevo il suo nome? Per una ulteriore protezione andai al banco del bar dove altri miei coetanei se la spassavano, mi vuotai del Vodka ma invece di berlo, furtivamente mi intinsi di quel liquore sul collo e altre parti facilmente annusabili.
Puzzando di alcool, sarei passata per ubriaca e sarei stata considerata una inetta incapace né di gestire né di ricordare. In casa mia gli alcoolici ad alta gradazione erano sostante sconosciute
per non dire proibite, solo l’alkermes era tollerato come ingrediente per i dolciumi che mia madre in certe ricorrenze adoperava. (continua13)
Quale è la verità? quello che si ricorda o quella che si è vissuta o quella di qui si è stati testimoni. Io ero là e come testimone narrerò come l’ ho vista e come persona l’ho vissuta.
La assenza di Dxxx aveva, in parte, rabbonito l’ambiente. Alcuni copie ballavano senza entusiasmo, altre come annoiate se stavano al bar assaggiando dolciumi e bevendo chi birra chi liquori. Io sembravo essere l’unica che si sorbiva analcolici e spiluccava piccole porzioni delle cotante torte sparse in ogni dove.
Come se avessi avuto la scarlattina nessuno dei ragazzi mi abbordò. Forse era che per le circostanze ero presa da una crisi di nervi, troppo tesa e guardinga li mettevo tutti a disagio. Infatti, in cuor mio persistevo nel chiedermi che fine avesse fatto il matto. Quando qualcosa poteva andare male io congetturavo sempre il peggio e da quell’istante era come se fosse andata veramente male. Col fiato in gola e la testa affollata da brutti pensieri lo immaginavo vagare per la strada, seguire e avvicinare scambiandola per me una qualsiasi ragazza che allarmata avrebbe gridato, poi: i soccorsi, l’intervento delle autorità, le indagini e lo scandalo sarebbe stato planetario. La paura è un meccanismo che fa percepire in anticipo i rischi, ma questa volta era arrivata troppo tardi. Col trascorrere del tempo la mia ansia deragliò in una vera preoccupazione, ma non avevo scelta, dovevo solo attendere e ben sperare che la mia buona stella continuasse a proteggermi dalle mie frequenti violazioni. Nel frattempo Dxxx varcò la soglia col suo sorridente guaglione che con le gote arrossate appariva soavemente soddisfatto. Si era rivestita cambiando look, indossava jeans corti sdruciti e una camicetta scollata senza maniche: chi è di sangue blu può concedersi di tutto. il tempo scorreva e nessuna altra coppia sembrava essersi composta. Reputai che ognuno dei ragazzi, nel loro intimo segreto desiderassero essere il pupillo della più gettonata, la più appariscente ma non disponibile: Dxxx. Mentre le quattro ragazze ancora coinvolte al gioco, non erano sufficientemente spregiudicate da esporsi e scegliersi un compagno. Constatando la situazione Dxxx, implacabile, passò al gioco della carta più bassa e: a chi la tocca la tocca. Stava riaffiorando la sua vera natura inquieta e sanguigna. Come in un castello delle fiabe le quattro ragazze stavano confuse e ammassate le une contro le altre, raccolte in una specie di mucchio attorno a Dxxx e sembrava pescassero tutte dalla sua bocca. Con l’aiuto di dolciumi e liquori, dai sensi stuzzicati da luci psichedeliche, stordite dalla musica che rintronava nelle loro menti, coi volti arrossati
dai vapori di alcool e odore di birra, come un gregge di vergini folli attendevano le istruzioni della maitresse. Io appartenevo alle quattro, tra cui Dxxx, Sxxxx e la mora latina che avevano già partecipato al gioco: per cui escluse. Vennero distribuite quattro carte alle quattro ragazze, ma per i ragazzi i conti non tornarono:
escludendo i quattro ne restavano solo tre. Pur escludendo il matto uno mancava all’appello. La ruota si fermò. L’arcano doveva essere svelato. Sapendo bene che la prima gallina che canta ha fatto l’uovo, sarei stata volentieri in silenzio, ma la situazione mi stava scoppiando dentro per cui azzardai una domanda: chiesi ad alta voce rivolgendomi a tutta la platea chi fosse il tutore del -/ / /- feci una pausa, perché non conoscendo di lui neppure il suo nome non seppi come chiamarlo, ma poi all’incirca ricordai
--il pensieroso-- la tutrice risultò essere la ragazza mora che appartata era ancora intenta ad amoreggiare con la sua nuova fiamma. A quel punto qualcuno di noi avrebbe dovuto prendersi la briga di avvertirla interrompendo il suo idillio. Nessuno si propose e siccome l’iniziativa era stata mia, mi feci coraggio e mi avvicinai alla coppietta in fregola. Lei era come seduta, le vedevo solo le ginocchia, il ragazzo era molto vicino a lei, avviluppati in quella posizione sembrava stessero accoppiandosi. Non ebbi l’ardire di intromettermi e feci dietro front. Il momento era solenne, mi rivolsi alla direttrice e padrona di casa e gli dissi che sarebbe stato un compito suo. A lei non piacque e me lo dimostrò apertamente. Si avvicinò allo stereo e lo spense. Il silenzio improvviso rintonò come un temporale d’estate. Anche la coppietta si destò vedendosi addosso l’attenzione di tutta la ciurma. Alla ragazza gli venne chiesto se ne sapesse qualcosa. Con l’aria penosa di chi è stato sorpreso nell’intimità e vuole darsi un contegno, rispose che era nel suo solito allontanarsi e girovagare senza meta.
Non c’era da preoccuparsi, prima o poi sarebbe tornato come una pecorella all’ovile. Non sapevo che legami avesse con quel ragazzo, ma contenta lei contenta tutti. Il mio nodo d’angoscia si allentò. Dove fosse andato e cosa avesse fatto non mi fu mai dato a sapere. Si passò all’altro, che fine aveva fatto? Chi l’aveva visto per ultimo? Due ragazzi bisbigliavano tra di loro: qui gatta ci covava. Che fosse insieme al matto? L’ipotesi venne subito esclusa. Uno dei due ragazzi farfugliò, interrompendosi più volte per
l’imbarazzo disse che era chiuso in bagno, indicando quello della taverna perché aveva un problema, ma senza specificarne la natura. (quella casa aveva tre bagni, uno privato della stanza dei genitori, inaccessibile, uno per il piano notte e uno per la taverna) Di primo acchito si pensò che si fosse ubriacato. Un no! Secco del ragazzo lo escluse.
Dxxx si innervosì, la festa stava prendendo una brutta piega. Dxxx voleva sapere e l’unico ad esserne informato sembrava essere quel ragazzo, ma impacciato non voleva o non se la sentiva di delucidare.
Tutti pensavamo alla stessa cosa ma nessuno ebbe l’ardire di farne cenno: -droga!- in casa di Dxxx! Una parola abominevole, sarebbe stato per lei un intollerabile putiferio: nel dubbio doveva sapere, e subito. Bussò in bagno senza avere risposta. In una crisi di nervi lo minacciò, che, se non apriva subito avremmo sfondato la porta. La chiave girò nella toppa e lei entrò chiudendosi la porta alle spalle.
Trascorsero una decina di minuti e quando finalmente uscì nessuno fece più caso a lei né si preoccupò per quanto avesse da dire. La musica, anche se di minor intensità, aveva ripreso e le lampade stroboscopiche lampeggiavano. Alcuni ragazzi erano intenti a rivedere il filmato ripreso in precedenza. La ragazza mora sbaciucchiona trincava dalla bottiglia liquore come se fosse acqua minerale naturale: fuori frigo per giunta.
Le ragazze erano frementi e al settimo cielo in una esaltazione non confacente al frangente. A parer mio, nel loro inconscio erotico avrebbero avuto la necessità di ragazzi più maturi che, con mezzi naturali le avessero raffreddate in quel triangolo isoscele che tenevano nascosto in una vegetazione di peli varianti per intensità o per tinta. In buona sostanza, fui la sola tribolata ad avvicinarmi a Dxxx e chiederle cosa diavolo stava accadendo. Succintamente mi rispose che il ragazzo ce l’aveva tanto duro da non riuscire a pisciare e siccome aveva bevuto parecchia birra aveva la vescica tanto piena da procurargli forti dolori di pancia. Mi trattenni dallo scompisciarmi da un risata: sarebbe stata uno sproposito in quel momento.
Non seppi che dire, per me era un argomento tabù. Non sapevo nemmeno che quando gli uomini ce lo hanno duro non riuscissero a far pipì. --Hai parlato con lui? Gli hai chiesto come mai? è un fatto anomalo, l’unica terapia che conosco è il farlo venire-- non era il caso di scherzare né di usare mezzi termini. [volevo aiutarlo ma non ha voluto, mi ha detto che lo ha fatto già da se ma non è servito, prima o poi vedrai che la farà!] Questi contrattempi l’avevano seccata e infastidita.
--Ma non possiamo lasciarlo solo-- insistetti. [se proprio ti da tanto fastidio provaci tu!] Mi rispose lapidaria, forse in una sfida. Decisi che, se certe cose sono da fare vanno fatte, ogni altro dialogo sarebbe stato inutile.( continua14)
Attirata dal mistero, mi apprestai a varcare la porta del bagno con apprensione temendo che fosse chiusa dall’interno.Il ragazzo non l’aveva chiusa, pensai che quando si sta male per tutti la paura fa novanta
ed è sconsigliato isolarsi.
Forse, la mia apparizione non fu calzante in quel momento intimo e riservato, ma per me era indispensabile comprendere la gravità della situazione. Era in piedi davanti al wc, compresi quello che stava tentando di fare e quando mi vide impacciato si ricompose. La mia intrusione l’aveva messo in difficoltà e sicuramente anche a disagio, ma se volevo aiutarlo dovevo insistere, acquisire la sua confidenza e la sua fiducia. Sudava a freddo, aveva sul volto i segni della sofferenza e dello spavento. A parer mio un medico sarebbe stato opportuno, o quantomeno avvertire i genitori. Mi avvicinai e gli dissi,-- Stai tranquillo, con me sei
al sicuro, andrà tutto bene-- Gli mormorai in un tono calmo e pacato mentre il rossore si diffuse ancora di più intensamente sulle sue guance. La mia voleva essere una presenza tranquillizzante e come se fossi una mamma tentai di rassicurarlo per avere una risposta.--Ti è capitato ancora un fatto del genere?-- gli chiesi * no! è la prima volta.* Continuai ad interrogarlo su ciò che aveva mangiato e bevuto ma non ebbi riscontri importanti. La faccenda non era da sottovalutare, così andai sul pesante.
--Ti sei fatto almeno una sega?-- Sorprendentemente ebbi una risposta pacata e tranquilla.*No, ho provato ma mi fa troppo male*-- Male? Anche il pisello ti fa male ?-- La risposta positiva mi indusse a una esamina più concreta. --Aspetta, lascia che ti guardi -- E’ incredibile a quali miserrime consolazioni s’aggrappi la mente umana nelle grandi afflizioni. Lui non si oppose e io mi diedi da fare con le mani e lo tirai fuori. Aveva un cazzetto dalle dimensioni simili a quello di mio fratello, completamente ricoperto, solo una piccola parte della punta della cappella era visibile. Liscio, bianco, sembrava quello di un bambino che doveva ancora raggiungere lo sviluppo.
Ormai avvezzata a quel genere di arnesi, lo toccai delicatamente con due dita, mi meravigliò la sua temperatura: era bollente.
Provai a scoprirglielo speranzosa di scoprire il nocciolo del problema, ma escludendo il calore, la durezza che assomigliava più al marmo che alla carne, non vidi altra anomalia. Azzardai alcuni movimenti morbidi come eseguiti da un bravo maestro di musica, ma temevo potessero portare altra legna sul fuoco aggravando la situazione, inoltre mi dimostrava chiaramente un notevole fastidio. Ce l’aveva tanto gonfio che sembrava stesse per scoppiare da un momento all’altro. Era un ragazzo della mia età, conoscevo il suo nome perché compagno di scuola, magrolino, timido, la sua piccola statura forse gli procurava complessi d’inferiorità. Vedendo le condizioni di soggezione e di imbarazzo del rampollo rimasi talmente scossa da quella scena pietosa che già mi pentii di aver iniziato l’impresa. Ma il suo sguardo implorante fece si che il suo problema divenne anche mio: quel virgulto mi intenerì. Glie lo tenevo tra le dita e lo sentivo palpitare con veemenza, il sangue affluiva con impeto nelle parti infiammate, aveva urgente bisogno di un sollievo. Ma quale? Un salasso? Follia. Tentare di farlo eiaculare, ma poi se fosse risultato inutile se non dannoso a cosa sarei andata incontro? Non avevo la patente per simili manipolazioni, ma per quanto mi spremessi le meningi le mie conoscenze si limitavano a quelle naturali, oppure: come una folgorazione mi venne alla luce
qualcosa di artificiale come < si! il ghiaccio. > In casa mia veniva spesso usato contro le tumefazioni come potente debilitante e antiflogistico. Lo condussi vicino al lavandino e aprii l’acqua facendone scorrere
un leggero rivolo, lo consigliai di bagnarsi con acqua fredda, inoltre gli dissi che lo scorrere dell’acqua lo avrebbe stimolato. Un antico rimedio della nonna. Continuai con-- ora rilassati, tra pochi minuti tornerò con del ghiaccio, se non funzionerà avvertiremo i tuoi genitori.-- Per quanto tutti gli altri se ne fregassero a me sembrava una situazione da non prendere alla leggera. Uscii dal locale e passai per la bolgia senza fermarmi, andai in cucina senza chiederne l’autorizzazione, frugai nel frigo e presi tutti i cubetti di ghiaccio
a disposizione, li avvolsi in un tovagliolo e mi diressi d’urgenza da lui.
Non so e non mi chiesi se fossi stata sorvegliata dalla padrona di casa. Rientrai: poverino, era proprio disperato. Gli abbassai i calzoni, chiusi il coperchio del wc e lo feci sedere sopra. La sua ubbidienza era commovente.
Gli appoggiai attorno, a piccoli tratti la ciambella di ghiaccio attorno alla base dell’asta. Al centro della corolla di ghiaccio gli spuntava la testolina della verga rimasta coperta. Come un bambino impaurito mi fece pena. Ora dobbiamo solo attendere, se non avrai un miglioramento entro diedi minuti dovremo contattare i tuoi genitori.
Se ti sentirai di fare la pipì non sforzarti di usare il wc, nelle tue condizioni mi sembra troppo scomodo, usa il lavandino e non preoccuparti di nulla. Non ero del tutto convinta, qualcosa strideva. Com’era possibile tanta eccitazione: era poi solo eccitazione? Poteva essere che il culetto di Dxxx l’avesse tanto infervorato? Se così fosse stato lei sarebbe anche stata in grado di annientare qualunque erezione. E perché non io! Un’idea aberrante: sarebbe stato come accendere un petardo in una polveriera, ma nell’agitazione del momento la tentazione fu troppo ghiotta, come potevo non caderci?
Chiusi la porta a chiave per evitare sgradevoli sorprese, senza alzare la gonna mi abbassai le mutandine fino alle ginocchia, poi li fece scivolare con lievi movimenti sul pavimento. Aprii le gambe e mi diressi sopra di lui, mi abbassai fino a quando la testa del pisello mi sfiorò le labbra che dalla precedente battaglia col matto erano ancora umide. Mi aggrappai alla vaschetta e con accurati movimenti, con tutto il criterio possibile gli strusciai la testa, che, scappellandosi a poco a poco fece capolino nella mia porta del piacere incominciando la sua prima esplorazione. Di un caldo bollente entrò percorrendo solo pochi centimetri, ma si perse come nel più lungo dei cammini. Bastarono pochi movimenti rotatori e il suo ardore trovò appagamento dentro il mio alveare ronzante, e come un ape industriosa accolse tutto il suo nettare.
Lasciai trascorrere alcuni secondi poi staccandomi da lui, mi alzai la sottana e gli mostrai il mio splendido tempio. All’improvviso fu come se una sonda l’avesse sbalzato fuori dalla realtà. Con un entusiasmo che sembrava esprimere un ringraziamento, il suo sguardo mi ricambiò per aver ricevuto una così alta dose di felicità nella sua espressione più alta. Sarei stata volgare a lavarmela davanti a lui che impietrito mi fissava, per cui non lo feci, me la tenni tutta dentro, mi misi le mutandine e lo rassicurai: ho fatto tutto il possibile, vedrai che tra un po’ starai meglio. Subito mi resi conto di aver fatto un’altra cazzata. E stavolta bella grossa. Come sempre la mia considerazione sopraggiunse ancora una volta in ritardo, e anche se fatta a fin di bene, la frittata era strafatta. Nella sciagurata ipotesi che l’avessero interrogato avrebbe saputo mantenere la bocca chiusa? -- Quello che è successo dovrà restare un suggello tra noi due:-- lo raccomandai più volte e molto seriamente di mantenere quel segreto. Lo guardai, ce l’aveva ancora duro e non capivo proprio il perché di tanta energia: una alchimia o qualche bevanda, un’allergia o cose del
genere doveva aver fatto reazione, ma io allora non potevo sapere. Rammento, semmai qualcuno leggerà questo scritto, che il mio comprendonio era quello di una adolescente di tredici anni appena compiuti, scivolata in un mondo molto più grande di quello che io ero. Lui non proferì parola, gli dissi che sarei tornata molto presto e se si fosse sentito di farla, la pipì, di usare il lavabo. (continua 15)
Se non si fosse liberato non avremmo potuto procrastinare una telefonata ai suoi genitori. Ma questo per non impressionarlo lo tenni per me. Mi assicurai di aver lasciato scorrere un rivolo d’acqua e molto inquieta me ne andai.
Appena arrivai al gruppo vidi su un tv a grande schermo il culetto di Dxxx precedentemente registrato.
Ne dedussi che i ragazzi avessero collegato la video camera al tv. Ora lo spettacolo era duplice, lei che ballava dal vivo e il precedente registrato dove appariva in slip altamente sexosa. Si muoveva bene su quelle note, dovetti ammettere che aveva tutte le doti di una cubista da night. Sxxxx le faceva da partner, radiosa con un sorrisetto ammiccante, si muovevano piene di energia come se nella vita non avessero fatto altro che ballare. Sembrava che nulla le potesse esaltarle più della musica e della danza. Seguendo una serie di fugaci considerazioni ne dedussi che Dxxx stava gettando la stessa lenza che aveva usato con me, e Sxxxx, strumento compiacente ma inconsapevole, stava abboccando alla stessa esca. L’avrebbe sedotta, manipolata a suo piacimento poi l’avrebbe piazzata con un elucubrata furbata al suo cuginastro il quale l’avrebbe sfoggiata godendosela in una bella orgetta, proprio davanti agli occhi bramosi di Dxxx solo per soddisfare il suo voyeurismo. Un disagio silenzioso mi serpeggiò dentro. Se la mia percezione avesse avuto riscontro sarei stata una vera allocca, tuttavia, quello che avevo avuto e provato né lei né nessuno altro avrebbe potuto togliermelo. Pur tuttavia l’insulto reclamava vendetta.
Quel momento di smacco e delusione venne suffragato da un evento quasi miracoloso: dal fondo apparve il mio amorevole assistito da tempo chiuso in bagno. Per un attimo temetti il peggio, ma poi il suo sguardo soddisfatto mi confermò il contrario.
Una delle mie terapie aveva avuto l’effetto portentoso auspicato. Quale delle due fosse stata non mi era dato a sapere. Gli andai incontro e ci sedemmo su di una poltroncina. Avrei voluto interrogarlo ma la musica era assordante e ci rinunciai. La mia curiosità poteva essere soddisfatta anche con il semplice tatto. Lo toccai in quel posto e: cavolo ce lo aveva ancora duro!
--Ma chi sei, un orangutan?-- Non seppi se mi comprese ma non ebbi alcuna risposta in merito.
Avevo ancora dentro nei miei meandri tutto il sugo che mi aveva inoculato e che stranamente non dandomi alcun fastidio avevo obliato. Il ragazzino, ancora un bimbetto, magro, ma grazioso, mi metteva a mio agio. La mia attenzione cadde su una coppietta che si era appartata e si stavano baciando con una passione quasi contagiosa. In quell’istante sentii che mi mancava qualcosa. Il mio turbamento venne interrotto da una ragazza che abbandonando il gruppo si dirigeva nella nostra direzione. Era la mora latina, quella che trangugiava direttamente dalla bottiglia, sembrava spaesata, forse un po’ brilla a giudicare dal passo incerto in cui si muoveva, il sorriso che pochi minuti prima le illuminava il volto era sparito: non stava bene. Non eravamo noi il suo traguardo ma il bagno che fortunatamente si era liberato: ma non lo raggiunse.
Si piegò in avanti come se colpita da una fitta allo stomaco, si mise una mano alla bocca e l’altra sul ventre: ormai era troppo tardi, con un pigolio vomitò svuotandosi lo stomaco sul pavimento di una roba biancastra e puzzolente di alcool. L’aria si era fatta rancida. Dxxx, che assistette impassibile alla scena divenne irascibile. La ragazza mora scoppio in lacrime e io avrei dovuto soccorrerla e magari consolarla, invece come pilotata da una forza sconosciuta presi per una mano il ragazzino e lo trascinai con me verso il piano superiore. Abbandonando il terreno di gioco sapevo che sarei stata punita se non sospesa, ma in quel
momento l’incognito non mi turbò. Salimmo frettolosamente le scale e senza esitare lo condussi nella solita stanza. Più che motivata, mi tolsi le mutandine e mi sedetti sul bordo di quel letto dove conobbi le mie prime peccaminose esperienze: troppo violente, perfino troppo forti per essere sopportate. Non potevo fare a meno di notare che il pollone, non certo vigoroso, ma dai capelli ben pettinati faceva di tutto per rendersi elegante e importante.
Quel suo desiderio di piacermi non poteva lasciarmi indifferente perché dimostrava di essere attratto da me, e questo, vi confesso, mi commuoveva. I suoi sguardi ingenui e la schiettezza del suo viso, la trasparenza della sua pelle sotto la quale scorreva un sangue ben colorito: tutto confaceva a quel momento. Con questo giovanotto che probabilmente dell’amore lo conosceva solo per sentito dire o averlo visto in filmati porno, potevo abbandonarmi alla gioia senza dovermi controllare, scapricciandomi con qualsiasi sghiribizzo mi passasse per la testa. Il mio grande divertimento sarebbe stato nell’ammaestrarlo e fattore non trascurabile rifarmi dell’umiliazione subita dalla mia compagna dei miei primitivi eccessi.
Difficilmente avrebbe potuto ripetersi una occasione così favorevole per rivalermi sulla mia dignità ferita.
Sorrisi, gli presi una mano e gliela baciai avidamente, lo abbracciai e con alcune parole intercalate da baci e abbracci, gli domandai se avesse voglia di provare di stare con me per il poco tempo che ci era concesso. Fu come chiedere a un denutrito di banchettare con il suo piatto preferito. Tuttavia, arrossì per questa mia nuova proposta. Senza altre chiacchiere, gli abbassai i calzoni. Cominciai coi soliti preliminari, quelle deliziose graduazioni di piacere delle quali mancavo ancora di bravura.
Gli portai una mano sotto la camicetta per farmi accarezzare i miei seni tondi, poi la accompagnai in basso, e gli feci toccare quella parte di me che per il calore che in quel momento emanava potevo definirla come la bocca di una fornace ardente.
Mentre le sue dita mi palpeggiavano, io gli appoggiai una mia mano sulla sua forza: era cosi duro! Eretto e curvo verso l’alto!
Un gioiello di valore inestimabile, una straordinaria offerta per placare la mia vendetta. Lo strofinai gentilmente, e il mascalzone ribelle sembrò gonfiarsi e assumere una aria ancora più superba. Non si poteva più rimandare e dovevamo passare alla soluzione definitiva.
Per rendere le cose più agevoli mi misi sul letto scoprendo tutta la mia mercanzia e per facilitargli l’accesso mi misi un cuscino sotto le reni. Tenevo i fianchi bene alzati e la gambe spalancate al massimo. Allungai una mano e raggiunsi il suo furioso ariete, lo scappellai per bene e lui mi mostrò con prepotenza la sua testa vermiglia. Gli feci cenno di salire sul letto e mettersi tra le mie gambe.
Si tolse le scarpe e impastoiato dai calzoni abbassati fino alle ginocchia salì e si insediò per la sua prima volta tra le gambe di una donna. Il suo giavellotto era pronto per colpire e lo esortai a usarlo bene, colpire forte e con precisione. Forse l’eccesso della mia furia mi rese troppo esigente facendomi scordare che per lui era la sua prima volta. I suoi colpi incerti e imprecisi andarono un po’ qua e un po’ là senza mai centrare il bersaglio. Irrequieta, glielo presi con due dita aperte a V e lo appoggiai sul punto che lo aspettava nella posizione più adatta a riceverlo. Il piacevole tepore delle labbra gli fece capire di aver imboccato la strada giusta e come un apripista spinse e le lab- bra si allargarono. Lì! Si! Dai! Spingi! Al suo passaggio mi ruppi in un lamento straziante quando in realtà fu solo di piacere.
Lui esitò un momento, forse impressionato dalla mia lamentosa reazione, ma poi, superando la suggestione, si sistemò meglio e con un nuovo affondo si apri la strada verso l’alto trovando una pista scorrevole lubrificata dal suo stesso olio balsamico.
Come una macchina parti in quarta a tutto gas con movimenti veloci e disordinati. Per non urtarlo non volli mancare di premure e con diplomazia lo pregai di fermarsi. -- Ahaia -- Ahioo,-- mi fa troppo male! -- fermati! Ti preggoooo!-- Per essere più convincente e evidenziare la mia finta sofferenza sbattevo la testa
a dritta e a manca in uno lamento crescete.
Interruppe l’azione per un momento, fu una sosta di piacere. Lo presi per le braccia e lo guardai dritto negli occhi e gli dissi: (continua16)
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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