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Lui & Lei

La ragazza del treno by Castellozzo


di Castellozzo02
26.09.2024    |    1.890    |    3 8.0
"«Ma vaffanculo!» imprecai a bassa voce e, scendendo dal treno, per poco non le vado addosso..."
Premessa! Questa è la RISCRITTURA dell'omonimo racconto di @TigroSegreto
https://www.annunci69.it/racconti-erotici/altro/La-ragazza-del-treno_149924.html

...
Faccio il pendolare e nei tre anni di viaggi, ho fatto conoscenza con altri, pochi, viaggiatori.
Era un lunedì. Il treno si era arrestato puntuale al binario e per fortuna alla stazione in cui salgo, c’è sempre tanto posto.
Mi sedetti di fronte ad una ragazza bionda, molto carina, con grandi occhiali da vista e piercing al naso.
Aveva la pelle bianca come il latte e nell’insieme risultava molto delicata, quasi diafana. I suoi occhi erano di una tonalità di grigio che mi ricordava certe mimetiche militari.
Nei giorni successivi ebbi la fortuna di trovare sempre posto davanti a lei. Anelavo che i nostri sguardi si incrociassero per farle un cenno di saluto, un sorriso e attaccare bottone. Ma lei teneva lo sguardo fisso e triste, rivolto al finestrino e da lì verso l’infinito.
Avrei voluto entrare nei suoi pensieri, sapere chi fosse, cosa le passasse per la testa, quale fosse il suo vissuto. Più volte mi sono schiarito la gola per attirare la sua attenzione ma gli Airpods la isolavano dal mondo e da me.
Volevo trovare un modo per approcciarla. Ma purtroppo detesto l’invadenza e le persone invadenti e quindi, per coerenza non lo sono con gli altri.
Con lei - figuriamoci!
Però venerdì scorso avevo sperato che si fosse palesato un vago barlume di possibilità perché, sollevando lo sguardo dal libro che stavo leggendo, incrociai fuggevolmente, per una frazione di secondo, il suo sguardo e indovinai due occhi che stavano sorridendo!
Ma il mio entusiasmo scemò e si estinse come un fuoco fatuo quando giunsi alla conclusione che la sua vaga ilarità dovesse essere stata causata dal titolo del libro. In quei giorni, infatti, stavo finendo un capolavoro della letteratura mondiale di tale Ersilio Castellozzo - uno dei miei autori preferiti! - e il titolo dell’opera era “Ragno violino, fammi un pompino”.
Un po’ depresso superai quella giornata. Ma alla sera, sul treno di ritorno, crebbe in me la volontà di tentare il tutto per tutto e mi imposi di trovare una soluzione!
E dopo cena, alla sesta bottiglia di birra doppio malto, ecco che mi si accende la lampadina!
Una soluzione infallibile, discreta, non invadente, quasi elegante, tendente all’originale - forse un po’ vintage.
«Le scriverò un biglietto!» esclamai ruttando.
Recuperai un blocco notes di un albergo in cui avevo soggiornato nel 2009 per ragioni di lavoro e scrissi in bella calligrafia le seguenti parole:
«In tutti questi mesi che ti vedo, anzi, che ti AMMIRO durante i miei viaggi, non ho trovato il coraggio di rivolgerti la parola. Affido dunque a questa penna e a questa pergamena ciò che il mio cuore non riesce a dirti con la voce! Mi chiamo Tigrobaldo e chiamerò «Felicità» il giorno in cui mi chiamerai!»
Aggiunsi in caratteri cubitali il mio numero di telefono e ripiegai il pezzo di carta. Dopodiché lo osservai e intuii che mancava ancora qualcosa. Scrisse «Leggimi! :-)» lo smiley non poteva mancare.
Il giorno successivo salii sul treno ma senza il mio libro. Sul volto della ragazza passò - fugace! - un’espressione perplessa. Forse il mio libro era diventato per lei un piacevole appuntamento quotidiano.
Mi sedetti, incrociai le braccia e finsi di dormire.
Quando il treno entrò rallentando nella mia stazione, mi alzai ed estrassi dalla tasca il foglietto e lo posai sul coperchio del cestino dei rifiuti.
Lei sollevò lo sguardo con aria interrogativa e io feci in modo che lei leggesse il mio labiale «È PER TE!».
Lei esitò un istante e in quel momento il treno si arrestò. Lei afferrò il biglietto prima che cadesse a terra per la brusca frenata e mi lanciò ancora uno sguardo.
Io mi affrettai verso l’uscita senza voltarmi, saltai giù dalla carrozza e mi allontanai a passo spedito.
Passai la giornata a sorvegliare il mio smartphone come un mastino nella speranza di ricevere un suo messaggio. Zero!
“E va bene”, pensai “Ci ho provato. Tanto le dovevo e. Vabbe’, lasciamo perdere. Forse è meglio così.”
Ma sapevo che erano dei modi idioti e un po’ disonesti per consolarmi.
Avevo appena scolato gli gnocchi quando entrò un messaggio. «È lei!» urlai. «È lei chi?» rispose il ragionier Menaminchia dell’appartamento accanto. Non gli risposi, ovviamente.
«È stato un gesto delicato e gentile.» mi scriveva la bella sconosciuta. «Ma io non me la sento di iniziare una conoscenza o una frequentazione. Potrai mai perdonarmi?
Forse tu sei il migliore degli uomini. Ma io.»
E la frase finiva così.
«Ma io cosa?» esclamai. Menaminchia non riuscì ad esimersi dal farmi eco.
Ero quasi incazzato ma poi mi ricordai che il mood avrebbe dovuto essere disperato e tentai di piangere ma quando ti girano i coglioni non ce la fai!
Risolsi di non risponderle subito e posai lo smartphone in alto, su un mobile in camera da letto.
Finita la cena, visti due telefilm, lavati i denti e fatta una sega consolatoria sul bidet, andai in camera da letto per recuperare lo smartphone. Mi distesi e fissai il soffitto. “Cosa farebbe Castellozzo in una situazione come questa?”, pensai strizzando gli occhi per la concentrazione e poi il Maestro illuminò la mia mente e io scrissi: «Grazie per aver risposto. Tigrobaldo.» Non misi smiley o altri orpelli. Che andasse a cagare.
Sapevo che non era colpa sua ma io ci ero rimasto male.
Grazie al segone serale mi abbioccai rapidamente.
Il giorno dopo avrei voluto prendere un treno antecedente al mio solito ma non ce la feci. Salii sull’ultima carrozza. Non avevo proprio voglia di vederla.
Mi sedetti incrociando le braccia e guardai fuori dal finestrino. Ma il treno non partiva. Passarono cinque lunghi minuti quando dall’altoparlante arrivò l’annuncio che lungo la linea era caduta una sequoia e che il treno non sarebbe partito. Si chiedeva di pazientare nell’attesa di un servizio di pullman sostitutivi.
«Ma vaffanculo!» imprecai a bassa voce e, scendendo dal treno, per poco non le vado addosso.
Ero impietrito. Fui solamente in grado di fissarla negli occhi, in quei magnifici occhi alabastro grigio a cui avrei dedicato pagine e pagine di poesie in rime sparse.
Lei ricambiò lo sguardo. Anzi! Lo sostenne.
Alla fine riuscii ad emettere uno «Ehm!» e stavo per allontanarmi quando lei mi afferrò un braccio.
Meravigliato mi arrestai. Che belle mani aveva!
«Mi manderai a cagare per il mio messaggio ma sei l’unica persona che conosco - per modo di dire - su questo treno.»
Io riuscii solamente ad annuire ma dentro di me avevo paura che il cuore mi scoppiasse nel petto: lei mi stava toccando!
«Mi puoi dare un passaggio? Abito a ...»
Esitai un attimo «D’accordo.»
Senza parlare ci incamminammo.
«Vengo in stazione a piedi. Abito a cinque minuti da qui.» riuscii a dire senza guardarla.
In quel momento il cielo aprì le sue cateratte e, nel giro di un minuto, eravamo zuppi. Corremmo fino a casa mia.
Mentre aprivo il portone del palazzo le dissi «Ti do qualcosa da metterti. Non puoi andare in giro così. E nemmeno io!»
Le si guardò i vestiti fradici e risolse annuendo.
Salimmo i tre piani fino al mio appartamento dove la feci accomodare in bagno.
«Fatti una doccia calda. Ti lascio i vestiti sul mobiletto.»
«Grazie.» disse lei. Io uscii e chiusi la porta. Attesi di sentire lo scroscio dell’acqua e le portai una mia vecchia tuta grigia e un paio di ciabatte. Poi andai in camera mia e mi cambiai a mia volta.
Andai in cucina e misi su l’acqua per un tè. Ne approfittai per avvisare l’ufficio. «Ma proprio oggi?» urlò il mio capo. «Che colpa ne ho? Hanno detto che è caduta una sequoia sui binari!» risposi.
«Ma da noi non ci sono le sequoie! Cazzo!»
«Non so cosa dirle. Senta il telegiornale. Ho poco campo.» abbassai la voce emettendo alcuni monosillabi senza senso e chiusi la telefonata «Ma cagati addosso!» mormorai.
«Chi si deve cagare addosso?» chiese lei. Era giunta silenziosa come una pantera. Mi girai. Era bellissima anche in quella mia vecchia tuta sformata. “Cazzo, se ti desidero!” pensai.
«Cosa c’è?» si stupì lei.
Evidentemente aveva colto la frase dalla mia espressione. «No, niente.» dissi «era il mio capo che cagava il cazzo.»
«In che senso?»
«Non ci crede che è caduta una sequoia.»
«Ma che vada a cagare.»
Io risi e lei mi imitò.
Bevemmo in silenzio. Poi lei, senza dire niente, si alzò e si distese sul divano sgangherato. «Ti dispiace?» chiese.
Scossi la testa. Ci fissammo per una porzione di tempo indefinita fin quando lei allungò un braccio con cui mi fece capire di raggiungerla.
“Ah, adesso hai cambiato idea! Stronza!”
Ma, ovviamente, non volli resistere e, con espressione neutra, ostentando indifferenza, mi distesi accanto a lei.
Le passai un braccio dietro le spalle, lei si accoccolò e io la strinsi a me.
«Non mi hai ancora detto come ti chiami.» le ricordai.
«Lo so.» mormorò lei.
“Se va avanti così, questa mi farà innamorare!” pensai.
Ero indeciso se essere felice, preoccupato o incazzato. «E allora dimmelo, come ti chiami.»
«Alessia.»
«Piacere, Alessia. Ti ricordi come mi chiamo io?»
«Hai un nome strano. Ma chi te l’ha dato?»
«Castellozzo.»
«Ah, quello del libro dei ragni e dei pompini!»
Io risi e lei mi imitò. Poi ci baciammo.
Ci staccammo e volli dire qualcosa ma lei mi bloccò mettendomi un dito sulle labbra. Poi mi slacciò la cintura e i jeans e mi tirò fuori il cazzo.
«Ah, ha!» fece.
«Mi piaci.» le dissi.
«E ora ti piacerò anche di più.» si chinò e iniziò a spompinarmi. Me lo insalivò per bene e me lo scappellò.
Avevo dimenticato che sotto la mia tuta doveva essere nuda perché erano fradici anche i suoi indumenti intimi.
Infatti si sfilò i pantaloni e, sedendosi su di me, si infilò il mio cazzo nella sua figa. Cazzo, che libidine!
Era bagnata e stretta.
«Sì, scopami!» mormorai ad occhi chiusi.
«Guardami!» ordinò lei e si sfilò anche la parte superiore della tuta restando completamente nuda.
“Ma quanto sei figa...” pensai e sollevai le braccia per palparle le sue belle tette.
Lei, nel frattempo, aveva iniziato a cavalcarmi. Prima lentamente e poi sempre più veloce. Afferrai le sue chiappe e mi sincronizzai sul suo tempo. Avevo richiuso gli occhi e li aprivo a tratti. Lei aveva riversa la testa all’indietro, completamente presa dal suo piacere e ansimava. Come me.
Che bell’orgasmo sarebbe stato, pensai dentro di me.
Poi, all’improvviso, percepii le sue contrazioni, stava venendo. Che bello!
Si godette l’orgasmo fino all’ultima vibrazione prima di riprendere fiato, staccarsi da me e distendersi al mio fianco. Dal fondo del divano recuperai un lenzuolo di cotone con cui ci ricoprii a mo’ di coperta.
«Dammi un attimo e poi mi puoi scopare come vuoi. Voglio che anche tu abbia il tuo piacere.» disse a bassa voce con gli occhi chiusi. La strinsi a me e le baciai la testa.
Poi si mosse e io le dissi di mettersi a pecora. E lei ubbidì. La presi da dietro e la scopai ammirando il suo bel culo perfetto, rotondo, femminile, elegante, arrapante e da amare.
«Vienimi dentro!» disse lei intuendo dal mio ritmo che avevo cinque litri di sborra pronti sulla rampa di lancio.
«Sì, ti inondo, amore! Bella figa, che sei!» in quel momento il mio “denso e caldo Champagne” eruttò potente nelle sue profondità. «Quanta sborra!» urlai e Menaminchia non rispose. Probabilmente era a fumare sul balcone.
Lei si distese sotto di me e io mi ritrassi per mettermi al suo fianco.
«Ti sto insozzando il divano con la tua sborra.» disse.
«Non importa. Baciami.»
Poi ci staccammo.
«Come sto bene.» dissi.
Lei mi sorrise.
«Hai fretta di tornare a casa?» le chiesi.
«No.»
«Ceniamo insieme. Ti va sushi?»
Lei annuì sorridendo.
Passammo qualche istante in silenzio.
«Perché non volevi vedermi?» le chiesi.
«Te lo racconto un’altra volta. Adesso godiamoci il momento.» si era fatta seria. La fissai negli occhi e poi annuii e la bacia sulle labbra.
Ci addormentammo.
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