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Antebaldo Pornieri Editore 04


di Castellozzo02
12.09.2024    |    674    |    5 10.0
"A quel punto, quel mio minimo di senso di colpa si era dileguato del tutto..."


Care amiche e cari amici, il caro Terzalberto Castellacci non mi dà tregua.
È un fiume in piena e produce idiozie erotiche (pornografiche!) a flusso continuo.
La cosa in sé non è un male - se non per il fatto che mi tocca tradurre i suoi guazzabugli in italiano corretto.
Lui dice, tra l’altro, che sono tutte storie vere, storie di vita vissuta.
Io mi convinco vieppiù che il nostro amico è un discreto cacciaballe!

Durante il pomeriggio di quella giornata (quella in cui conobbi Ghirlanda e per cui arrivai in ritardo in ufficio - vedi episodio precedente) non successe niente degno di nota se non la visita da parte di Guascona Scimitarra (la responsabile del personale) che mi intimò di recuperare la mezz’ora di ritardo pena la detrazione in busta paga dell’intera giornata lavorativa. Allargai le braccia e cedetti alla violenza e poi telefonai a mia moglie per avvisarla dell’imprevisto.
«Ah! Arrivi in ritardo? Questo mi dà molto fastidio!» mi disse «E pensare che avevo voglia di fare sesso, stasera. Ma, stante così la situazione, mi è già passata la voglia. A più tardi!»
Guarda caso, ogni volta che arrivavo tardi dal lavoro, le passava la voglia. Mah!
Mi consolai ripensando alla telefonata con Ghirlanda durante la pausa pranzo.
Avevamo già stabilito una possibile data per un incontro.
Alle 17:30 gli impiegati e gli operai abbandonarono in massa l’azienda e rimasi solo nel mio ufficio. Prima di andarsene, Guascona si era ancora affacciata velocemente per ricordarmi la mia mancanza «Mi raccomando! Guarda che domani controllo l’orario della timbratura!».
«Ma che stronza!» mormorai quando se ne fu andata. Con Guascona, di tanto in tanto, ci scappava una sveltina in piedi dietro agli scaffali più imboscati ma erano dettate dai suoi capricci del momento. Piuttosto che niente, è meglio piuttosto!
Nel silenzio udivo soltanto il sommesso ronzio del PC. Di lavorare non ne avevo voglia e mi stravaccai sulla sedia a fissare il soffitto sperando che quella mezz’ora passasse il più velocemente possibile.
A un certo punto mi giunsero dei suoni ovattati che non riuscii ad identificare. Perplesso mi alzai e mi affacciai sul corridoio.
Uno spiraglio di luce sul fondo mi fece capire che c’era una porta socchiusa ed era da lì che stavano arrivando quegli strani suoni.
Mi sfilai le scarpe e mi incamminai silenziosamente. Avvicinandomi compresi che era l’ufficio del Dottor Conato. Giunto all’uscio, lo spinsi delicatamente per guardare all’interno della stanza.
Deglutii ed avvampai: Tramontana Euclide, la giovane stagista era nuda e stava cavalcando, dando le spalle, un uomo che doveva essere per forza il Dottor Conato. La ragazza mi vide.
Ma solo lei: perché occludeva la visuale al suo amante. Ebbe un attimo di esitazione ma si riprese subito. Mi fece l’occhiolino ed estrasse la lingua muovendola da destra a sinistra. Esitai qualche istante, le sorrisi e mi ritrassi.
Vicino alla porta era rimasta una scarpa da ginnastica coi brillantini e mi venne un’idea.
Tornai nel mio ufficio dove recuperai un foglietto di carta su cui scrissi il mio numero di cellulare. Poi lo piegai fino a ottenere un quadrato di tre centimetri per tre.
Tornai silenziosamente all’ufficio del Dottor Conato, infilai il biglietto nella scarpa e me ne andai.
Attesi le diciotto e cinque e poi, sempre silenziosamente, sgusciai fuori dal mio ufficio. Con un balzo oltrepassai la porta rimasta socchiusa dell’ufficio di Conato e scesi le scale per andare a timbrare.
Sperai che Tramontana avesse fatto buon uso del mio messaggio segreto.
Dopo diverse peripezie mi trovai infine sul treno verso Oggiono.
Non essendo il mio orario, non c’erano le persone che ero solito incontrare. Infatti una donna attorno ai quarantacinque, che stava leggendo un libro a cui aveva messo una copertina di carta - forse per non far sapere agli altri il titolo - abbassò gli occhiali da presbite e mi fissò per qualche istante. «Non l’ho mai vista su questo treno.» disse sporgendosi verso di me. Aveva parlato a bassa voce.
Le spiegai il motivo per cui mi trovassi su quel treno.
«È interessante, vero?» chiese.
«Che cosa?»
«Come un evento fuori dall’ordinario possa aprire porte ad altri eventi. Eventi forse.» lasciò la frase in sospeso per alcuni istanti e poi concluse «interessanti, non crede?» Mi stava fissando e io ne sostenni lo sguardo.
«Cosa sta leggendo?» dissi per rompere il silenzio elettrico.
La donna tolse la copertina per mostrarmi il titolo “Orgasmi liberi” di Troiardo Castellozzo. Quel nome non mi era nuovo, pensai.
«È scritto bene?» chiesi.
«L’ho letto già tre volte e mi bagno sempre.» rispose lei sorridendo.
Ebbi un’erezione e mi schiarii la voce. Lei abbassò lo sguardo e notò il rigonfiamento.
«Ho una parafilia. Sai quale?» chiese, passando al “tu”.
Feci di no con la testa.
«Scoparmi gli sconosciuti! Dove scendi?»
«A Oggiono.» risposi. «Perché?»
«È la prossima.» mormorò lei e si morse il labbro inferiore.
«Tu, dove scendi, invece?» le chiesi.
«Un po’ dove capita...» disse ridendo debolmente. «Scherzo.» aggiunse «Abito a Lecco.»
Annuii.
«Stasera mio marito non c’è.»
Io la guardai con espressione perplessa socchiudendo gli occhi.
«Troviamoci al Motel “Il Glandone”. Lo conosci?»
Annuii ancora. C’ero passato davanti tante volte sospirando e sperando di trovare una donna da portarci. Meditai rapidamente un piano per avere la scusa per uscire dopo cena e diedi il mio numero di cellulare alla sconosciuta esponendole il mio piano.
...
Mia moglie ed io cenammo quasi del tutto in silenzio.
«Non ci vuoi ripensare?» le chiesi mentre sistemavo la lavastoviglie.
«A proposito di cosa?»
La guardai e sorrisi.
«Non se ne parla nemmeno!» ribatté lei alzando leggermente la voce.
A quel punto, quel mio minimo di senso di colpa si era dileguato del tutto. Annuii senza guardarla e finii il mio lavoro. Passai lo straccio sui fornelli e poi nel doppio lavabo di acciaio inox, mi asciugai le mani, spensi le luci e la raggiunsi sul divano. Il televisore era sintonizzato sull’emittente a pagamento “Castellot-Flix”.
«Cosa guardi?» chiesi.
«Una rassegna di film bulgari in bianco e nero.»
«Una rassegna?»
«Sì, stasera danno ben tre film e intendo vederli tutti!» precisò lei.
Io annuii.
«Il titolo del primo film è “Petar Nenovsky va in campagna”.»
«E che ci va a fare?»
«Adesso guardiamo il film e lo scopriremo! Zitto ora, che mi devo concentrare!»
Proprio in quel momento squillò lo smartphone. Mia moglie ebbe un moto di stizza e io risposi subito.
«Cosa?» dissi con tono esageratamente stupito. Lei si voltò con la fronte corrugata.
«Va bene. Arrivo subito!» dissi e chiusi la telefonata.
«Ma chi rompe a quest’ora?»
«Guarda, non ti dico niente perché.» e lasciai la frase in sospeso. Mi alzai, mi misi una giacca e presi le chiavi dell’auto e anche quelle di casa. «Ciao, devo uscire. Ti racconto poi!»
«Non sai cosa ti perdi!» gridò lei poco prima che mi chiudessi la porta alle spalle.
...
Durante il tragitto avevo poi concordato con Clitoria (questo il nome della donna del treno) di incontrarci al parcheggio di un supermercato dove lei avrebbe lasciato la sua automobile in modo da arrivare la motel con una sola, la mia.
Lei salì velocemente e prima che potessi ripartire mi baciò con la lingua.
«Ho una voglia matta!» disse dopo essersi staccata. Si allacciò la cintura e io partii.
Mi mise una mano sulla coscia e la fece scivolare verso il cazzo che premeva per uscire dai pantaloni ed entrare nella figa di lei.
«Promettimi che mi chiaverai a pecora!» disse.
«Guarda, te lo giuro!»
Giunti al gabbiotto del motel, sbrigammo rapidamente le formalità e ci dirigemmo alla nostra stanza.
Velocemente entrammo nella camera. Clitoria si sfilò le scarpe e il tubino e si lanciò sul letto. Io la imitai. Ci avvinghiammo baciandoci con furia. «Ti voglio nuda!» le sussurrai all’orecchio.
In un battibaleno ci liberammo dei vestiti.
«Voglio succhiarti!» disse lei.
«Voglio leccarti!» risposi io.
Non ci rimase che metterci a sessantanove per assaggiarci a vicenda. Mi resi conto in quel momento di quanta nostalgia avessi di figa e broda di donna, di sapore di donna.
Dopo averla leccata con soddisfazione mia e sua le dissi «Voglio montarti.»
Lei mi lasciò sgusciare fuori e inarcò la schiena. Io mi posizionai dietro e, con la minchia scappellata, giocai un po’ con le sue grandi labbra.
«Dai, dammelo, dammi il tuo cazzo!» mi esortò lei. La voglia era tanta anche per me ed entrai con una spinta decisa. Quanti ricordi: la capella che strusciava contro le pareti interni di una figa calda e bagnata, la soddisfazione di percepire il suo godimento nel fare la troia da monta, la condivisione del piacere e l’annullamento del mondo esterno. Entrare in figa è un po’ come entrare in un’altra dimensione in cui spazio e tempo si annullano. Questa la segno e poi la rivendo!
Poi mi concentrai sul mio piacere e fantasticai sullo sborrarle in faccia o in bocca o sulle tette o sulle sue bella chiappe tonde. I suoi fianchi mi eccitavano. Mi eccitava tutta la situazione e temevo di venire troppo presto. Allora andai a mia moglie e a “Petar Nenovsky va in campagna” trasformandolo in “Terzalberto Castellacci va al motel con una bella figa - parte 1”.
Ma poi, qualche minuto dopo (penso! quando scopo perdo la cognizione del tempo) sentii montare la sborra che si appressava alla rampa di lancio.
«Mi manca poco... Dove la vuoi, la sborra, troia?»
«Dammela qua, sulle tette, in faccia, dove vuoi...» rispose lei e si staccò.
Presi a menarmelo «Sì, sì, cazzo, arriva, troia, arriva la sborra, puttana!»
Un primo fiotto le colpì la guancia, poi aggiustai il tiro e le bagnai una tetta e poi lo avvicinai alla sua bocca che lo accolse bevendo le ultime gocce.
«Ti sei masturbato.» osservò lei, vista la scarsa produzione.
«Sì.» mentii. «Non ho resistito!» mentii ancora.
«Vieni qua e coccolami un po’.» disse lei.
Ubbidii e poco dopo ci addormentammo entrambi.

- continua -
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