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trio

Gemelle 1


di geniodirazza
30.12.2023    |    5.202    |    2 9.7
"Che diciamo a tua sorella?” “Mia sorella può fare a meno del marito, come ha dimostrato; il mio letto è comodo per due persone; Franco dorme con me, e..."
Fulvia, una venticinquenne assai formosa, scosse con sensualità la folta chioma rosso Tiziano che mascherava, con una tintura di chirurgica precisione, la capigliatura per natura corvina, come in prevalenza le bellissime donne della regione da cui aveva origine pur abitando in piena Bassa Padana; la colorazione era diventata una necessità inevitabile sin da adolescenti, per distinguersi da Bruna, la sorella gemella monozigote, che preferiva un caschetto, di un nero intenso, sul modello della Valentina di Crepax.
Stava entrando in casa e portava con se un giovane assai prestante, che aveva selezionato con cura nel corso dell’ultimo mese, tra i molti corteggiatori che non le mancavano mai; era il quarto ragazzo che concupiva e col quale si apprestava a passare due ore, fino a cena, di passione intensa e molto tecnica, per umiliare suo marito Franco, che aveva ripetutamente e con forza respinto la sua richiesta di farle da servitorello in una scopata epica.
L’aveva conosciuto al mare, sette anni prima, ed aveva fatto appena in tempo a ‘strapparlo’ alla sua gemella, quando si era resa conto che lo scambio di intense occhiate tra i due segnalava un amore nascente che la rendeva particolarmente invidiosa; nonostante il profondo amore che le univa, non mancavano i momenti di frizione, quando si innamoravano della stessa persona o delle stesse cose; Franco era il ‘ragazzo a modo’ mira di tutte le ragazze; lo volle ad ogni costo.
Era riuscito a sposarlo, quando aveva vent’anni ed aveva appena ottenuto la cattedra in una scuola media cittadina; per cinque anni avevano vissuto l’amore più intenso che avrebbe potuto immaginare; qualche mese prima, i discorsi con le colleghe su amanti, corna e cuckold le avevano stimolato il desiderio di vedere Franco seduto su una poltrona ad ammirare la sua capacità amatorie in paziente attesa e, successivamente, a leccarle amorosamente i succhi di quella passione; glielo aveva proposto.
Era scattato il risentimento da maschio alfa di suo marito che aveva reagito con una forza incredibile; lo aveva minacciato di farsi scopare, una volta al mese, da un qualsiasi stallone, con o senza di lui, a cui negava qualunque approccio sino a quando avesse ceduto alla sua richiesta e si fosse piegato al suo dictat; dopo, gli avrebbe consentito di scoparla ed avrebbero stabilito una nuova piattaforma di convivenza.
Per quattro volte, l‘ultimo giovedì dei mesi successivi, aveva passato pomeriggi di grande passione, con stalloni scelti nel ‘giro’ degli amici e dei conoscenti; quando lui aveva minacciato la separazione e il divorzio, le era bastato fargli osservare che, opponendosi, lo avrebbe costretto a riconoscerle un assegno di mantenimento, con un esborso mensile che, per la sua taccagneria, era improponibile; Franco si era rassegnato e lei non si chiedeva neppure dove lui scaricasse le sue grandi energie di amante.
Non sapeva che intanto suo marito aveva già scelto di scopare con tutte le donne che conosceva e con quelle disponibili che di volta in volta gli capitavano davanti; dirigente di una nota azienda del territorio, aveva potere e prestigio, oltre al fascino personale che la moglie aveva già sperimentato più volte; la conclusione fu che lui scopava quasi quotidianamente con donne affascinanti; lei aspettava l’ultimo giovedì del mese per una scopata feroce ma non bella come avrebbe voluto.
Accompagnò il ragazzo alla camera e cominciò a spogliarlo libidinosamente; le piaceva molto fermarsi ad ammirare, a mano a mano che emergevano dagli abiti tolti, i pettorali scolpiti e forti, le braccia tornite, le gambe muscolose e nervose con una peluria gradevole e non eccessiva, i fianchi stretti e le natiche rotonde e ammiccanti; si perse ad ammirarne le forme con grande voglia lussuriosa e desiderò immediatamente impossessarsene nei giochi erotici che prevedeva.
Aveva scelto, stavolta, come complice della sua vendetta, un personaggio di scarsa rilevanza, un piccolo imprenditore di livello medio basso, assolutamente lontano da Franco ma della sua stessa cerchia; non le era difficile irretirlo in un’atmosfera di seduzione che lo sconvolgeva, considerata l’alta qualità della bellezza e del garbo; non erano quasi neppure entrati in camera che lui l’aveva avvinghiata con forza, la palpava e la maneggiava come una bambola di gomma; prima ancora di spogliarla, l’aveva sbattuta sul letto e le aveva infilato in figa un cazzo di media - bassa dimensione che a malapena la solleticava.
Manco a dirlo, niente a che vedere non solo con la dimensione della mazza di Franco che si faceva sentire, e come, per tutta la vagina fino all’utero; ma soprattutto con il garbo e l’eleganza con cui preparava le scopate; con un sesso meno di quindici centimetri, questo amante le procurava intensi fastidi picchiando come un maglio con l’osso pubico contro il suo; alla fine, si sarebbe trovata con un grosso livido sull’inguine che avrebbe attribuito, come tutto, alla resistenza del marito alla sua proposta.
Decise di ‘educare’ il caprone, lo frenò e lo indusse a spogliarsi con garbo, alternandosi a privare ogni volta l’altro di un capo dell’abbigliamento; le faceva rabbia dover ricorrere alle conoscenze acquisite con il marito a letto; ma era fin troppo evidente la differenza di classe tra le scopate e non voleva certo farsi trattare da bambola di gomma, mentre stava liberandosi, o almeno intendeva farlo, dal dominio di un dittatore.
Il caprone riuscì a cogliere la dolcezza dei modi di lei e, poiché aveva già scaricato la prima sborrata che gli premeva, la lasciò fare; Fulvia riuscì a farlo ripartire e lo guidò lentamente a scoparla come piaceva a lei, che in realtà era come la scopava Franco abitualmente; dopo che si furono denudati, aggredì i capezzoli, li succhiò e li mordicchiò eccitandolo; lui reagì ricambiando e, guidato da lei, riuscì in breve a succhiarla a dovere e a provocarle un grosso orgasmo; se ne compiacque con se stesso.
Subito dopo, lei lo aggredì con un pompino da manuale; in piedi accanto al letto, con lei seduta sul bordo, gli succhiò il cazzo con immensa abilità, leccando, mordendo e facendolo scorrere in gola, cosa non difficile viste le dimensioni, e mandandolo in visibilio con l’azione combinata della copula e della leccata, col risucchio e la masturbazione; lo fermava frequentemente, perché non voleva farlo sborrare subito.
Quando toccò a lui leccarla, lo dovette quasi guidare passo passo per obbligarlo a usare la lingua delicatamente, le labbra per succhiare il clitoride e i denti per mordicchiare le labbra, piccole e grandi, fino a che ottenne l’orgasmo desiderato; poi si fece montare; visto che in figa non le dava il piacere che cercava, prese dal cassetto il gel, si girò a pecora, unse il culo e il cazzo e lo invitò ad incularla; lui non credeva a se stesso e si lanciò con entusiasmo.
Nel culo il piacere era più intenso e vivo, finalmente sentiva il cazzo lungo il canale rettale e poteva mungerlo a suo piacimento; quello che la faceva godere di più, era la coscienza che stava manovrando un maschio, o presunto tale, che aveva fatto partorire a sua moglie quattro figli per la sua tendenza a scopare senza criterio; la sua soddisfazione era di avere un giocatolo umano a sua disposizione, anche se forse un oggetto di gomma l’avrebbe fatta godere di più.
Quello che stava domando non era un maschio che meritasse; era semplicemente un caprone senza sensibilità; si sentiva quasi una nave scuola che insegnava ad un troglodita cosa fosse fare sesso intelligente e godere con passione; la sborra che le schizzò nell’intestino comunque le diede una certa soddisfazione; lui sembrava convinto di essere un grande amante; ed era appunto questa sicumera quello che intendeva combattere in suo marito, attraverso quel caprone.
Dopo il primo, grande assalto, sentirono il bisogno di riposarsi; lei ne approfittò per andare in bagno a rinfrescarsi; al tempo stesso, intendeva controllare cosa fosse successo in casa avendo sentito ad un tratto rumori che indicavano che Franco era rientrato e forse stava in cucina.
Infatti, mentre Fulvia si sollazzava con lo sconosciuto, in casa erano entrati suo marito Franco e la gemella Bruna; in procinto di specializzarsi, dopo la laurea in Economia, la sorella si era lasciata coinvolgere dal cognato, di cui era stata innamoratissima prima che Fulvia interferisse e lo ‘rubasse’, in una ricerca strana per una app che rastrellasse i millesimali delle attività di una multinazionale di cui faceva parte l’azienda in cui lui lavorava come dirigente specializzato in problemi amministrativi.
La ragazza aveva realizzato uno studio da cui emergeva che, dirottando tutti i millesimali, di cui nessuno si sarebbe mai occupato, su un conto privato e segreto, aperto in una banca delle Barbados, Franco poteva in tempi anche brevi disporre di un invidiabile capitale da reinvestire nelle attività che avesse scelto; da molti mesi lavoravano insieme a quel progetto e si incontravano a casa di lui per analizzare la situazione al momento; era la prima volta che l’incontro avveniva di giovedì pomeriggio.
Quando il movimento che i due amanti fecero per andare in bagno fu udito, nonostante la porta chiusa, anche dalla cucina dove erano, Bruna chiese conto al cognato della presenza di altre persone in casa; lui si meravigliò dell’ignoranza della ragazza; aveva parlato assai chiaro e raccontato tutto alla suocera, che chiamava ‘mamma’ per il grande affetto e perché la sua non l’aveva quasi conosciuta, essendo morta quando lui era molto piccolo
Le chiarì la situazione e l’altra rimase inebetita di fronte alla sfrontata perfidia di sua sorella che si rifiutava di vedere in quella luce di immensa cattiveria; ebbe una smorfia strana, prese il telefonino e chiamò casa.
“Mamma, sono con Franco a casa loro; in camera c’è Fulvia chiusa con un amante occasionale; Franco mi ha detto che sei al corrente della perfidia di tua figlia; a me fa schifo anche restare qui mentre a qualche metro la stronza si comporta da puttana; visto che dobbiamo cenare, che ne dici se veniamo da te? ... Non è necessario che spignatti; passiamo dalla rosticceria e prendiamo un pollo precotto ... E’ chiaro che viene anche Franco ... Di’ a papà di scegliere una bottiglia buona. Ciao, mamma, ti voglio bene!”
Franco la guardò stupita, come a chiedersi perché.
“Non fare storie, amore mio; piuttosto che reggere il moccolo, meglio andare a cena con mamma e papà ... “
Nel breve tratto per passare dall’appartamento della sorella a quello dei genitori coi quali viveva, Bruna ebbe modo di chiarire alcune cose a suo cognato; tra le altre, espresse la convinzione che Fulvia agisse senza sentimento, perché lei, come alcuni gemelli monozigoti, aveva un facoltà strana, avvertire su se stessa le emozioni dell’altra, nel piacere e nel dolore; nel passato, aveva quasi partecipato col corpo al loro amore, perché ogni scopata era avvertita anche da lei; negli ultimi quattro mesi non era accaduto.
Riteneva quindi che i tradimenti di sua sorella fossero di natura piuttosto ‘ginnica’ che emotiva; si era molto sorpresa non avvertendo più moti d’animo provenienti da Fulvia; adesso capiva perché e rimarcava che delle quattro occasioni di tradimento non aveva avuto nessun segnale, forse perché Fulvia non partecipava emotivamente alle scopate; era portata quindi a credere che la situazione potesse evolvere favorevolmente alla ricucitura.
Franco rinunciò a commentare, anche perché si erano fermati in rosticceria; la cena comunque fu simpatica e piacevole, anche se una dura ruga sulla fronte di Carmine, detto Nello, il padre delle ragazze, segnalava un disagio assai profondo; mente prendevano il caffè, i maschi, e una tisana, le donne, il discorso scivolò verso un reale approfondimento; Franco ribadì alla suocera il suo disagio a ricorrere al divorzio, anche per le minacce di Fulvia.
“Mamma, se stasera Franco si ferma a dormire da noi, ti turba molto?”
“Che vuoi dire con ‘si ferma a dormire da noi’? ... Dove si sistema a dormire? ... Che diciamo a tua sorella?”
“Mia sorella può fare a meno del marito, come ha dimostrato; il mio letto è comodo per due persone; Franco dorme con me, e facciamo l’amore; non dimenticare che sono stata innamorata di mio cognato prima che mia sorella irrompesse come un ciclone, solo perché aveva visto che ci guardavamo con amore e ci accarezzavamo con lussuriosa gioia ... “
“Ma tu non sei quella che aspetta il principe azzurro delle favole?”
“Mamma, non voglio rubare il marito a mia sorella; non devo essere io a ricordarti che lo amo; se un giorno arrivasse il principe che aspetto, lui tornerebbe dalla moglie e mi dimenticherebbe; intanto, come stiamo lavorando d’amore e d’accordo al suo progetto di lavoro, possiamo farlo anche a letto e non diamo molto peso ai formalismi coattivi; Franco, ci stai a fare l’amore con me fino alla morte?”
“Bruna, se fai l‘amore con me, chi pensi che possa fermare il cavallo per prenderti su e portarti in una favola?”
A sorpresa, fu sua madre a dire la frase conclusiva.
“Bruna, non raccontare favole; lo sanno anche i sassi che ami molto Franco, e non come cognato; visto che tua sorella ha scelto un comportamento ricattatorio e spregevole, niente ti impedisce di portartelo in camera e di farci l’amore che vuoi; se chiama Fulvia, le dico che suo marito è con una donna innamorata e che si arrangi; smettetela con il bon ton e fate quello che sentite ... “
La gemella mora prese il cognato per la mano e lo guidò alla sua camera; mentre ve lo conduceva, si stava già spogliando; arrivò al letto in reggiseno e un tanga minimo che sottolineava, senza coprire niente, la vulva asciutta, stretta, quasi verginale, e l’ano; le strisce di stoffa si erano perdute tra le natiche e nelle grandi labbra; le passò lussuriosamente le mani su tutto il corpo, mentre la baciava appassionatamente; lei si staccò con un gesto, si sedette e abbassò, insieme, pantalone e boxer; il sesso le balzò in viso stupendola; lo afferrò e leccò la punta.
Fu lui, però, a stupirsi, quando vide la boccuccia, che aveva ritenuto inadatta, aprirsi e ingoiare letteralmente il ‘mostro’ fino a raggiungere con le labbra la peluria del pube, resistendo a conati e minacce di soffocamento; evitò di spingere per non crearle difficoltà, ma fu lei a dare corpo a un movimento di vai e vieni che era un’autentica copula in bocca, accompagnata dalla lingua che percorreva tutta l’asta; si staccò, ma solo per leccare il sesso tutto intero e i testicoli, che prese in bocca uno per volta.
Si godette la fellazione per un tempo lunghissimo; lui fu costretto a frenare l’orgasmo più di una volta; finché decise di prendere l’iniziativa; le sfilò la mazza dalle labbra e la spinse supina sul letto; le abbassò delicatamente il fragile indumento e scoprì la vulva tutta intera; si accosciò in devozione e prese a succhiare, leccare, titillare vagina e ano, infilando le dita dentro e manipolando con sapienza; aveva una consistenza quasi verginale, la vagina, segno che non era abituata a copulare molto.
Bruna si godette a lungo le manipolazioni, le leccate e i titillamenti di lui su tutto il sesso; poi lo fece staccare, lo spinse supino in mezzo al letto e si piazzò a sessantanove su di lui afferrando di nuovo il sesso in bocca; intanto si dispose in modo che lui avesse davanti il sedere e la vulva a portata di bocca; per evitare che la doppia sollecitazione frenasse ambedue le funzioni, gli bloccò la testa tra le cosce e si dedicò alla fellazione con tutta la passione che sentiva arderle dentro.
Di colpo, si bloccò, allentò la stretta della testa e Franco capì che era il suo turno di farla godere leccando profondamente il sesso e infilando in vagina e nell’ano le dita, per titillarla; sentì gli orgasmi scaricarsi sul sesso dalla bocca che salivava abbondantemente e lo lubrificava; lo squirt lo colpì direttamente sulla lingua; lei non poteva urlare perché il sesso in bocca le bloccava la voce; ma i fremiti del suo ventre, le pulsioni della vulva e la bocca che versava saliva dai lati gli dicevano che godeva infinitamente.
Si fermarono esausti; lei ruotò sul suo corpo e si sdraiò a fianco, abbracciando il corpo disteso; lui si chinò sul petto e le succhiò amorevolmente i capezzoli appena evidenti sulle aureole rosa del seno piccolo e compatto ma dolcissimo; erano entrambi stanchi e decisero di concedersi una piccola sosta; quasi senza volerlo, dolci moine scattarono a suggellare un rapporto adulterino, fatto di solo sesso, ma condito con tanta passione e sentimento da apparire amoroso.
Poi Bruna decise che lo voleva sentire nel ventre; lo spinse per i fianchi finché lui le montò addosso, si inginocchiò tra le cosce ed appoggiò la punta del fallo alla vagina; lei abbracciò i lombi con le gambe e intrecciò i piedi dietro la schiena; spingendo il bacino verso l’alto, si penetrò seguendo con lussuria i centimetri di mazza che la penetravano dove mai era stata violata; il leggero fastidio che la mazza troppo grossa le procurava era alleviato e compensato largamente dal piacere che la inondava.
Franco si godette la copula e lasciò che fosse lei ad impossessarsi del sesso; il piacere che gli davano i muscoli attivi della vagina era indicibile; era felice di sentirsi posseduto dal calore di una donna apparentemente minuta ma capace di esaltanti manovre sessuali; quando lei glielo chiese a gran voce, cominciò a cavalcare con immenso gusto e sentì che ogni colpo era per lei fonte di intenso piacere; non avrebbe voluto eiaculare, ma lei lo stimolò, col corpo e con la voce, finché sentì lo sperma spruzzato nell’utero.
Si abbatterono di nuovo sul letto quasi svuotati; ma Bruna era pronta a riprendersi; si sdraiò supina e lo invitò a sedersi su di lei, piantandosi il sesso tra i seni; lui capì che voleva farlo eccitare con una spagnola e si preparò a godere fra i piccoli seni che lei schiacciava contro la mazza che scivolava fra i piccoli globi; lui spinse finché la cappella raggiunse la bocca e lei fece concludere la spinta tra le labbra unendo la fellazione alla copula tra i seni.
Mentre ancora stavano godendo ambedue nella nuova posizione, Bruna gli chiese se era disposto a violarle l’ano; talvolta l’aveva preso nel retto; ma si rendeva conto che la sua mazza era di ben altra dimensione; prese dal comodino a fianco al letto un tubetto di gel e glielo consegnò pregandolo di prepararla bene e di farle meno male possibile; Franco la mise carponi e leccò dolcemente e profondamente il perineo, infilando la punta della lingua sia in vagina che nell’ano.
Per prepararla al meglio alla penetrazione anale, infilò due dita e le fece ruotare; ungendole con il gel, portò le dita a tre e si rese conto che lei partecipava appassionatamente ai preparativi e si lasciava sfondare volentieri, per ora con le mani; amorevolmente unse l’ano e il canale rettale; le diede qualche indicazione per facilitare lo stupro; passò il gel su tutta l’asta, accostò la punta e spinse; si bloccò quando lei si lamentò per lo sfintere che resisteva; poi la penetrò con forza.
Gli chiese di fermarsi per lasciare che il retto si abituasse all’ingombro, poi lo incitò a spingere e a sfondarla; lui lo fece con dolcezza, quasi con amore e, quando sentì che il randello era tutto dentro, fino ai testicoli, tirò a se le natiche perché gli riempissero il ventre; afferrò i piccoli seni e li usò per fare leva mentre la sbatteva dolcemente nel retto; si sentirono fusi in un solo corpo e si diedero tutto il piacere possibile in un rapporto anale; l’orgasmo di lui fu la conclusione degna di una copula immensa.
Quando lui si sfilò dall’intestino dolcemente, più delicatamente di come era entrato, lei ebbe la sensazione di essere stata svuotata della passione che l’aveva riempita; andò in bagno e si sentì che lavava via le scorie dal corpo; tornata a letto, si accoccolò e lo baciò dolcemente su tutto il corpo; andarono avanti per alcune ore; verso le tre, lei lo avvertì che non poteva tornare a casa e lasciarla sola; avrebbe dormito lì e il giorno seguente, arrangiandosi con della biancheria lasciata nei cassetti quando si era fermato con sua moglie, sarebbe andato direttamente al lavoro.
La notte di amore e di sesso che avrebbe dovuto solo soddisfare un antico bisogno della cognata risultò invece una miccia pericolosa che rischiava di provocare un incendio assai più vasto di quanto potevano immaginare; Franco e Bruna rinunciarono presto ad incontrarsi a casa di lui, col rischio di doversi confrontare con la gemella arrogante e presuntuosa, che intendeva sempre e comunque imporre agli altri la sua interpretazione della realtà.
Trasferirono documenti e materiali a casa della suocera e fu Franco a spostarsi alcune sere della settimana da Bruna per continuare il lavoro che avevano avviato con la app; la cena coi suoceri e con la cognata divenne una costante quasi fissa decisamente più apprezzata e migliore della ‘sbobba’ che la moglie legittima rifilava al povero marito escluso dalla camera da letto ed anche dalla cucina; l’abilità culinaria di Melina e di Bruna entusiasmava il ‘marito cacciato’.
Quasi naturalmente conseguente fu l’invito a Franco a restare a dormire nel letto di Bruna, con la quale si determinò uno stato inclassificabile di intimità per cui finiva per diventare la ‘moglie surrogata’ della gemella rinunciataria; l’impegno nei lavori per la applicare la app inventata li assorbiva molto e scatenò la curiosità di ‘mamma Melina’ che chiese a Bruna di spiegarle l’arcano; non era facile ma riuscì a dimostrarle che suo genero stava arricchendosi rastrellando millesimali.
Il buonsenso da massaia della donna le fece porre la domanda cruciale, a che pro si stessero dannando l’anima per creare un patrimonio clandestino in una banca lontana migliaia di chilometri; i due si trovarono alquanto in difficoltà; la signora chiosò che forse un figlio avrebbe risolto la questione; il genero fu costretto a precisare che sua moglie aveva deciso e proceduto a farsi legare le tube, perché non accettava la schiavitù della pillola anticoncezionale e guardava con terrore la gestazione di una maternità, con il conseguente rigonfiamento del corpo e del ventre in particolare.
La precisazione suonò molto dura ai genitori, che in un nipotino credevano fermamente e mai avrebbero pensato che una delle loro figlie arrivasse a tale estremo per impedirlo; Bruna divenne decisa e stringata.
“Mamma, Franco, badate bene che non ho parlato a vanvera quando ho detto di voler fare un bambino con te; se ci stai, ribadisco che sono pronta a concepire con te il figlio che Fulvia non vuole assolutamente; tra le altre cose, avrebbe gli stessi cromosomi e sarebbe totalmente figlio nostro, mio, tuo e di tua moglie; se io dovessi incontrare il mio ormai insperato ‘principe azzurro’, sarà sufficiente dichiarare che il figlio l’ha partorito Fulvia, che non può occuparsene e per questo l’ha affidato al padre e alla nonna.
Con questa scusa stupida e assolutamente non credibile potrei anche vantare una mia non credibile verginità; se trovo un principe azzurro totalmente tonto, ci crede; altrimenti, lo rincretinisco abbastanza che finisce per crederci! Mamma, mi giudichi pazza?”
“Forse sono vecchia e non ci capisco; perché siete ancora qui e non state rotolandovi sul letto per metterlo in cantiere, questo figlio vostro?”
“Perché aspetto la fine del ciclo; poi interrompo la pillola e ci diamo da fare finché non rimango incinta, Non sperare che ci voglia meno di un anno, per tutto questo!”
Ma un anno passa anche in fretta, se l’obiettivo è una trasformazione al limite dell’assurdo e oltre; le buone idee, ed anche le cattive, vengono come le ciliegie, una tira l’altra; l’ipotesi di un figlio che fosse di una delle gemelle monozigote ma che toccasse anche l’altra, madre riconosciuta dalla legge come legittima, e la nonna che se ne sarebbe presa cura divenne presto una linea di condotta per le azioni successive derivate immediatamente dalla domanda di Melina.
Franco progettò immediatamente un modo per mettere a capo di un piccolo impero il figlio che ancora non era stato concepito, assegnando l’amministrazione dei beni accumulati all’estero alla madre affidataria, Bruna, e lasciando a lei ampia possibilità di azione per curare suo figlio e i suoi interessi; lui ripiegava nel ruolo ambiguo di ‘Consulente Aziendale’ senza stipendio, che viveva parassitariamente a carico della donna che amministrava i beni.
Bruna costituì e depositò una Società Anonima della quale solo dopo avrebbe indicato il proprietario in suo figlio e amministratrice in se stessa; partecipò ad aste giudiziarie e, con i capitali depositati all’estero, acquisì aziende decotte che Franco rilanciò con giochi di joint venture con società estere dello stesso livello; il lavoro industriale, condotto con sapienza ed energia dal cognato, mise Bruna in condizione di risultare una delle imprenditrici più apprezzate e corteggiate della regione.
Mentre il pancione cresceva nell’adorazione di padre, madre e nonni, i due ‘cognati terribili’ imperversavano nell’economia della regione e mettevano a segno colpi su colpi rilanciando produzioni e salvando posti di lavoro; l’anomala situazione di Franco che passava intere nottate dai suoceri presto fu accettata come ordinaria; Fulvia continuava imperterrita a ripetersi che suo marito doveva cedere e diventare schiavo della sua libidine.
Quando Bruna era al settimo mese di gravidanza e si poneva già la necessità di un viaggio per farla partorire lontano da occhi indiscreti, un cambiamento di proprietà dello stabile in cui alloggiavano i suoceri mise in crisi l’affitto di cui godevano da decenni; l’unica alternativa era comprare, dalla finanziaria che aveva acquistato l’edificio, lo stesso appartamento che, con un anticipo congruo e un mutuo pluriennale, poteva diventare di proprietà.
Di fronte al rischio che sua madre subisse uno sfratto assai problematico per i loro equilibri, Bruna cercò tutti i percorsi per aiutare i suoi ad acquisire l’appartamento; come al solito, fu Franco a tirare fuori dal cilindro la soluzione; suggerì alla cognata di pagare dal conto off shore l’anticipo; i suoceri si sarebbero fatti carico del mutuo di poco più oneroso del vecchio affitto; concordarono che l’operazione sarebbe stata fatta attraverso la società; i nonni diventavano inquilini di una proprietà del nipote non ancora nato.
Per assicurare che non potessero essere sfrattati, suggerì di assegnare loro l’usufrutto vitalizio dell’appartamento; per garantire anche a Bruna e al bambino un alloggio sicuro, fece comprare un miniappartamento, a fianco all’alloggio dei nonni, che in breve diventò l’alcova dove i ‘cognati terribili’ si rifugiavano volentieri a fare l’amore per tutto il tempo che volevano; Franco si era licenziato dall’azienda ed ora figurava disoccupato, a carico della cognata, con l’incarico di Consulente Aziendale.
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