Lui & Lei

Scusami


di geniodirazza
20.02.2024    |    2.627    |    0 8.7
"Un paio di anni dopo, Massimo, il preside che inconsciamente mi incantava, grazie ad agganci di cui disponeva per il ruolo, fece in modo che capitassimo..."
Negli anni in cui mi laureai, per una serie di fortunate coincidenze storiche, era ancora abbastanza semplice, per un buon laureato in lettere, ottenere una cattedra secondo le proprie aspirazioni; grazie a quelle contingenze e, soprattutto, alla mia robusta formazione culturale, mi trovai a meno di ventitré anni, ad entrare nei ruoli dell’insegnamento e a prendere possesso di una cattedra nel Liceo dove avevo studiato; rapidamente mi imposi per iniziativa e impegno professionale.
Un paio di anni dopo, fui mandata a fare da commissaria d’esame per la maturità in un paese della vicina riviera; il clima già favorevole e la giovane età mi consentirono di unire l’utile e il dilettevole; come già avevo sperimentato, mi dedicai contemporaneamente al lavoro ed alla pigrizia in spiaggia, appena potevo; fu così che incontrai Giorgio, di un paio di anni più grande di me, che di professione organizzava eventi.
La sua normale occupazione era l’allestimento di concerti, cortei, sfilate, comizi e tutto quanto si svolgesse in piazza; mentre bevevamo un cocktail analcolico, mi confessò che il suo sogno era realizzare un festival di poesia da rendere annuale, proprio in quel paese; poiché aveva saputo che avevo una cattedra di letteratura e che avevo messo su un gruppo di lettura nella scuola dove insegnavo, mi rivolse una serie di quesiti che ero in grado di risolvere.
Al momento di rientrare in sede, mi trovai coinvolta in una bruciante storia d’amore e dopo appena qualche mese decidemmo di sposarci; cominciò in quel momento il periodo più bello della mia vita, fatto di amore infinito, di sesso senza limiti, di interminabili scambi di opinione sui suoi sogni e sui miei impegni culturali; la sua idea di un festival della poesia mi coinvolgeva totalmente e godevo a sognare con lui in quella direzione.
Quando, però, verso i miei trent’anni, le cose si misero male per lui, perché non gli venivano affidati incarichi abbastanza alti per le sue ambizioni, mi allontanai progressivamente, quasi senza rendermene conto, e mi accostai molto al giovane dirigente scolastico che aveva preso possesso della presidenza del mio Liceo; la sua cultura e la sensibilità che dimostrava continuamente mi coinvolsero e mi trovai spesso a dialogare amorevolmente al bar, dopo le lezioni, o anche nel suo ufficio, con la scusa di impegni istituzionali.
Per alcuni anni le cose si trascinarono tra incertezze, diffidenze e dubbi, specialmente miei che ormai non davo più credito ai sogni di Giorgio e lo contestavo violentemente invitandolo ad arrendersi alla realtà ed a cercarsi un lavoro ‘vero’ più che inseguire sogni fanciulleschi; neppure prendevo in considerazione l’idea che quei discorsi umiliavano l’uomo e distruggevano il poeta sensibile che c’era in lui; ormai, tra il marito e il corteggiatore appassionato avevo scelto.
Un paio di anni dopo, Massimo, il preside che inconsciamente mi incantava, grazie ad agganci di cui disponeva per il ruolo, fece in modo che capitassimo insieme in una commissione d’esame in una città famosa per il turismo estivo che dominava l’economia del territorio, lui come presidente della commissione ed io come commissaria di italiano; i presupposti c’erano tutti, per una storia di sesso, se non d’amore; ci buttammo senza esitazione.
Le sue reali intenzioni mi furono chiare sin dall’inizio, quando mi comunicò, senza discutere, che avremmo viaggiato con la sua auto, evitando il fastidio dei trasporti pubblici; non feci obiezioni, convinta anch’io che quella vicenda ci avrebbe coinvolti assai profondamente; nella prima parte del percorso non fece nessun gesto significativo, fino alla sosta in un’area di servizio.
Scesi all’auto e gli andai vicino; per la prima volta mi baciò ed io sentii gli uccellini cinguettarmi nella testa, le farfalle volarmi nello stomaco, i fuochi d’artificio esplodermi negli occhi; mi strinse a sé, mi riempì la bocca con la sua lingua che mi esplorava tutta e mi fece sentire la mazza contro il pube; mi accorsi che gli umori d’orgasmo ormai rischiavano di danneggiare il vestito che avevo indossato per il viaggio.
Mentre mi sciacquavo in un lavandino per rimettermi in sesto, mi accorsi dallo specchio che avevo l’aria trasognata di una donna innamorata; mentre prendevamo il caffè, Massimo mi toccò il seno e le natiche, disinvoltamente, senza neanche darlo a vedere e mi sussurrò dolci sconcezze che, anziché offendermi, mi deliziarono; sfiorai il suo viso con un bacio.
Come dio volle arrivammo all’hotel dove aveva prenotato una camera doppia; mi guardò sornione e si registrò ‘con signora’ evitandomi anche di esibire documenti; lo baciai a stampo sulle labbra, tra i sorrisi complici del personale; ci dirigemmo alla camera con la coscienza che da lì cominciava la nostra avventura nel sesso e nell’amore; appena la porta si chiuse dietro le nostre spalle, mi avvolse nell’abbraccio più caldo che avessi mai desiderato; mi strinsi a lui e gli feci sentire tutta la voglia del mio sesso rovente; avvertii la mazza che si rizzava prepotente e mi stimolava da sopra i vestiti.
Mi portò quasi a forza fino al letto e mi impose di sedermi; aprii il pantalone e lo abbassai alle caviglie, insieme al boxer; il cazzo mi apparve in tutta la sua possanza e lo amai, dal primissimo momento; lo presi a due mani e lo accarezzai, dal pube alla cappella; allungai la lingua e saggiai il sapore delle gocce di precum che uscivano dal meato; carezzai con le labbra la cappella e la spinsi sulla lingua, contro il palato; fremette e mi strinse le tempie in un gesto d’amore.
Sfilai il vestito e lo lasciai scivolare a terra; restai in slip, avendo rinunciato ad altri indumenti; lui era stato altrettanto rapido a spogliarsi del jeans, della maglietta e delle scarpe ed ora mi stava davanti, splendido nella sua bellezza apollinea col corpo segnato da una muscolatura tonica ma non di palestra, da un cazzo che, barzotto, valeva quanto quello di mio marito duro, da una bellezza notevole per un viso regolare, gli occhi intensi e la bocca carnosa; lo abbracciai e lo avvolsi in un bacio lussurioso.
Ricambiò l‘abbraccio con la foga del desiderio e sentii la lingua invadermi la bocca, riempirla e perlustrarla tutta provocandomi intensa lussuria ed eccitazione notevole, testimoniata dai capezzoli che si erano fatti duri come chiodi; non avevo scopato molto, quella settimana, e la voglia era sicuramente tanta; accostai il pube al suo e appoggiai con una mano il cazzo alla figa facendolo strusciare sul clitoride che reagì da par suo provocandomi un leggero orgasmo.
Per un lungo tempo mi abbandonai al piacere di sentirmi manipolare da lui che mi divorava letteralmente la bocca e la lingua, succhiandola come un piccolo cazzo, mentre le mani artigliavano i glutei e strapazzavano le natiche; un dito scivolò verso l’ano e sentii la prima piccola penetrazione; continuai a baciarlo abbandonandomi al languore che il piacere mi suggeriva; mi spinse seduta sul bordo del letto e mi intimò di succhiarlo.
Mi piaceva sentirlo autoritario e impositivo, specialmente se, dentro di me, lo confrontavo con la sdolcinata arrendevolezza di mio marito, che si perdeva in lunghissime ed estenuanti sedute di preliminari leccando, carezzando, titillando ogni punto erogeno fino a farmi sentire esausta e svuotata di ogni forza, prima di decidersi a mettermi nel corpo la sua mazza che restava, imperterrita, dura come cemento anche per ore.
Presi in mano il cazzo che mi inteneriva per come, al tempo stesso, appariva fragile e delicato per rivelarsi poi duro e spietato quando sfondava; lungo almeno una ventina di centimetri, roseo del colore di un neonato, al centro leggermente incurvato verso l’alto, scappellato offriva un glande a fungo di impressionante spessore che amavo moltissimo sentirmi penetrare in bocca e forzarmi la gola fino al vomito.
Accolsi molto volentieri la mazza e la presi a due mani, una per reggere i coglioni grossi e gonfi, forse di sborra e di voglia; l’altra per masturbare l’asta tenendola ritta sul ventre; le smorfie di piacere che leggevo sul viso deformato dalla libidine mi suggerivano i movimenti per farlo godere al massimo; appoggiai la lingua sul meato ed avvertii il sapore del precum che urgeva; strinsi le labbra e spinsi per farmi violare la bocca come una figa vergine.
Con la lingua lo feci scivolare sulle gote e, strusciando la cappella sul palato, spinsi verso l’ugola per ingoiarne al massimo; mi scopò per qualche momento nella bocca e dovetti frenare la mazza fuori dalle labbra per impedirgli di spingere fino a soffocarmi; mi dilettai per un tempo lunghissimo a scoparmi in gola col movimento della testa e, soprattutto, con un lavoro di lingua che ricoprì la mazza di saliva e la fece scivolare in fondo, finché riuscii un paio di volte a toccare con le labbra la peluria del pube.
Lui mi penetrò con violenza in gola, facendomi salivare fino a gocciolare fuori dalla bocca e spingendomi il cazzo fino a darmi conati di vomito e sensazioni di soffocamento; per un tempo infinito mi scopò in bocca e lo succhiai con passione; poi decise di fermarsi, sfilò il cazzo, mi sollevò per i piedi e si inginocchiò accanto al letto con la bocca impiantata direttamente sulla figa; cominciò un cunnilinguo lungo e dolcissimo.
Cominciò a leccarmi il ventre tutto, soffermandosi sull’ombelico con cui giocò volentieri, per passare lentamente sul monte di venere e aggredire la figa; prima leccò amorosamente le grandi labbra, poi le aprì con le dita e passò alle piccole labbra; le titillò con la punta della lingua e affrontò il clitoride che si era rizzato per effetto della stimolazione; catturatolo con il pollice e con l’indice, lo strofinò a lungo finché urlai per la sborrata.
Poi appoggiò le labbra e lo succhiò a lungo, beandosi degli umori di orgasmo che sgorgavano dalla vagina, lo prese delicatamente fra i denti e cominciò un’altra stimolazione, un poco più aggressiva, che mi inondò di piacere, scaricato in un nuovo orgasmo che bevve come un assetato; fui io a quel punto che lo spinsi supino sul letto, gli montai sopra a sessantanove e lo ‘obbligai’ a continuare a leccarmi mentre io prendevo in bocca il cazzo; lo fermavo stringendogli la testa tra le cosce, quando preferivo essere io a scoparmi in bocca con tutta la mazza, fino ai peli; lo lasciavo fare quando preferivo che fosse lui a leccarmi culo e figa, che si aprivano davanti.
Mi bloccò autorevolmente quando si rese conto che rischiava una sborrata precoce; si sfilò da sotto a me e mi lasciò carponi sul letto; si sistemò alle mie spalle e cominciò a succhiare e leccare, stavolta da dietro, tutto l’apparato sessuale offerto, anzi spalancato, davanti al suo sguardo e alla sua bocca; a spatolate larghe, percorse infinite volte il perineo, dalla figa al culo e viceversa, strappandomi orgasmi quando si tratteneva con la lingua in uno dei buchi.
La dolcezza della lingua che accarezzava la pelle mi fece abbandonare languida al piacere immenso che la pratica mi dava; sentivo intanto che, per dare forza alla scopata, mi stringeva i capezzoli e scosse di piacere si aggiungevano ai brividi che venivano dalla bocca che tormentava il sesso; avvertii il movimento del corpo che si appoggiava al culo e la mazza che penetrava in figa, a pecorina.
Nel silenzio generale si udiva solo lo sciaff del ventre che sbatteva contro il culo e mi sentii riempita perché lui spingeva come se dovesse far entrare in figa anche i coglioni; aiutava le spinte afferrandomi i lombi o i seni che pendevano, per gravità; piacere si aggiungeva a piacere; andò avanti a lungo; aveva una gran bella resistenza; quella volta si impegnò davvero allo spasimo.
Mi scopò volentieri da quella posizione, poi mi rovesciò su un fianco e continuò a pompare in figa; sentivo l’utero maltrattato dalle spinte della cappella contro la cervice, tutto il pacco intestinale spostato quasi verso lo stomaco; ma le sensazioni erano di piacere intenso, di orgasmo continuo e di sborrate che punteggiavano l’assalto; sembrava irrefrenabile ed io mi perdevo appassionatamente nella scopata più bella e lunga che ricordassi.
Quando ritenne di avermi stancato le reni con la lunghissima monta in figa, sentii che si sfilava, si allungava verso il comodino e prelevava il tubetto di gel che aveva appoggiato; era il momento della più saporita e lunga inculata che potessi desiderare; con la punta del cazzo raccolse dalla figa abbondanti umori e li trasferì al buco del culo; ripeté l’operazione con un dito e lo infilò profondamente nel retto che lo accolse quasi deridendolo per la pochezza.
Le dita diventarono due e si aprirono a ventaglio ruotando; lo sfintere cedette immediatamente la sua elasticità; per infilare, e far ruotare, tre dita e poi quattro a cuneo versò un poco di gel e mi sentii aprire il culo fino al dolore; poi avvertii la cappella che passava l’ano e si spingeva in fondo nell’intestino; il ritmo classico dell’inculata da dietro mi prese e spinsi in direzione contraria per sentire il ventre fin sull’ano, tra le chiappe spalancate.
Mi montò così per un poco e godevamo entrambi mentre la mazza entrava in profondità, finché i coglioni picchiavano sulla figa, poi si ritirava fin quasi ad uscire completamente e, con un colpo secco o con una lenta progressione, rientrava dentro portando libidine e piacere; eravamo entrambi presi dalla passione del culo e godevamo infinitamente; amavamo entrambi l’inculata e mi fece percorrere tutta la gamma delle ipotesi.
Prima fu la volta della penetrazione da dietro classica, io carponi e lui inginocchiato; poi mi fece crollare su un fianco, mi sollevò in alto la gamba libera e continuò imperterrito a pompare nel culo; intanto, una mano passava davanti e raggiungeva la figa che masturbava sapientemente; la seconda cavalcata in culo mi deliziò moltissimo; mi fece rotolare sull’altro fianco e riprese la spinta dalla nuova posizione; mi abbandonai e godevo da matti.
Fu una pratica lunga; dopo forse un’ora il cazzo scivolava liberamente e indifferentemente in figa o nel culo, che si era assuefatto alla mazza ed ora la desiderava sempre più a fondo; mi chiese in un soffio di voce se poteva sborrare dentro; gli dissi senz’altro di sì e finalmente gli spruzzi di una sborrata lunga e sapida mi colpirono con sferzate all’interno del ventre; ad ogni spruzzo corrispose un mio orgasmo e mi sentii vuota, alla fine, mentre crollavo sul letto.
Quando il cazzo si svuotò e si ridusse di volume, delicatamente lo lasciò scivolare fuori e sentii la sua sborra che scorreva sulle lenzuola; ci accarezzammo con dolcezza e restammo per qualche minuto immobili a riprendere vigore; in attesa che riprendessimo energia mi riprese la rabbia contro mio marito.
Il mese circa di attività della commissione d'esame fu, contemporaneamente, un lunghissimo periodo di grandi scopate che si sviluppavano dalla sera tardi fino al mattino presto; parlammo anche molto, a letto, e lamentai la difficoltà che ormai avevo a rapportarmi con mio marito; Massimo non ebbe esitazioni a propormi di lasciarlo e di andare a vivere insieme, visto che ormai una certa intimità era stata raggiunta e che poteva essere una buona base di convivenza.
Non gli risposi nell’immediato; riflettei a lungo sull’impossibilità di recuperare una situazione ormai marcescente che poteva procurare soltanto dolore a tutti e due, se avessimo tentato di mantenerla in vita artificiale e provvisoria; con Massimo, invece, mi si apriva una prospettiva seria e positiva, dopo il divorzio da mio marito; le cose sarebbero andate meglio anche per Giorgio, una volta preso atto delle difficoltà a gestire una famiglia con le sue idee fanciullesche.
L’ultima sera, quando lui tornò sull’argomento e mi propose ancora di andare a vivere con lui lasciando mio marito, gli dissi che lo avrei fatto volentieri; appena fossimo rientrati in città, avrei avvertito Giorgio e sarei sparita dalla sua vita; concordammo che mi avrebbe accompagnato per l’addio e poi avremmo spostato da lui il mio bagaglio personale; a quel punto, si apriva la possibilità di trascorrere ancora al mare, da qualche parte , il mese che lui poteva utilizzare di ferie.
Appena in città, ci dirigemmo difilati a casa mia; il portiere mi avvertì che mio marito non era in casa, era andato a Roma per un concerto da organizzare; ne approfittammo per raccogliere tutto quanto mi competesse nella vecchia casa e caricammo tutto sull’auto; Massimo trasportò il carico ed io mi fermai per rifinire l’addio alla casa, al matrimonio e alla famiglia; non ce la feci a lasciare lunghe spiegazioni; non cercai neppure di raggiungere per telefono mio marito.
Assai vilmente, mi limitai a scrivere su un foglio bianco, a grandi caratteri corsivi, ‘Scusami. Guendalina’; lasciai al portiere le chiavi dell’appartamento perché le consegnasse a Giorgio; al suo sguardo interrogativo risposi avvertendo che lasciavo mio marito e speravo che non mi cercasse più; mi trasferii a casa di Massimo dove avrei vissuto da convivente; ce ne andammo in Francia, per passare un mese tra viaggi e soggiorni marini; tornammo a fine agosto; non ebbi più notizie di Giorgio.
La ‘bella stagione’ che avrebbe dovuto essere quella con Massimo cominciò a fare acqua sin dagli inizi; il mio convivente rivelò immediatamente la sua vera natura, di maschio dominante che cercava le giovani speranzose per riempirle di dolcezze d’accatto e irretirle in una ragnatela di sesso e di amore che gli consentisse di scoparle alla grande per il tempo che lui decideva; con me pensava anche di avere trovato la schiava alle sue voglie e la certezza di trovare sempre una presenza nel letto.
Mi sanguinava il cuore quando riflettevo che avevo distrutto un castello di sogni per una realtà di disprezzo; ma Giorgio era letteralmente scomparso; furono gli avvocati ad accordarsi per una separazione senza oneri e per il conseguente divorzio; la mazzata più dura me la rifilò una collega anziana quando mi ammonì che un amore si coccola e si educa, non si rompe per un capriccio; purtroppo, la vita andava avanti ed io non ero più in grado di rimediare a errori commessi per fretta nel giudizio.
In tre anni, Massimo cambiò tre scuole e tre città lontane tra loro; mi trovai a vivere da sola quasi per tutto il tempo, perché anche nelle vacanze brevi o lunghe trovava il mondo di andarsene con qualche nuova conquista; ressi dedicandomi solo alla poesia ed organizzando con la scuola incontri di commento e di lettura, spesso con accompagnamento musicale, con ragazzi particolarmente sensibili che costituirono un gruppo omogeneo e attrezzato per affermarsi.
Quando incontrai un direttore di banca che mi sembrò attento e ‘potabile’, non esitai a cambiare idea e a costruire anche con lui l’illusione di un vita a due che fracassò clamorosamente; nell’arco di otto anni, registrai molti e dolorosi fallimenti delle mie illusioni di amore vero; l’unico approdo rimase la poesia, proprio quella su cui mi ero arenata per non avere sostenuto il sogno di mio marito, anzi averlo depresso con l’accusa di incapacità a gestirsi la vita.
Quando scoccarono i miei quarant’anni, mi trovai, quasi a sorpresa, a tornare da commissaria di italiano per gli esami di maturità nella città dove avevo conosciuto Giorgio e mi ero innamorata, prima che di lui, del suo amore per la poesia; la sorpresa fu più bella quando scoprii che si teneva quell’estate il ‘Festival di Poesia’ che il mio ex marito aveva sognato da sempre; a coronare la sorpresa, i manifesti che annunciavano la manifestazione e le magliette che indossavano i ragazzi del Comitato organizzativo.
Il logo dell’iniziativa era la parola ‘Scusami’ scritta in corsivo di traverso, proprio come nel foglio che avevo lasciato a Giorgio andando via; il sottotitolo ‘le parole mai dette’ indicava chiaramente la difficoltà a confessare gli errori ma che forse la poesia e le scritte potevano aiutare ad esprimere, come le scuse per un errore commesso; il responsabile dell’organizzazione era, manco a dirlo, il mio ex marito che aveva realizzato un sogno in cui non avevo saputo credere fino in fondo.
Mentre prendevo un gelato al bar, mi fermai incuriosita ad ascoltare i commenti di alcune ragazze che cercavano di dare un senso alle scritte; non resistetti e le provocai a confessare se c’erano parole mai dette e affidate a poesie o a canzoni, come ‘mi dispiace’ ‘è stata colpa mia’ e, per l’appunto, ‘scusami’; la più vivace mi chiese come facessi a spiegare in quel senso; una giovane signora, con un bambino piccolo a fianco mi indicò come la commissaria di italiano al liceo; la guardai meravigliata.
“Guendalina, come professoressa accetti il tu dai ragazzi e ti fai chiamare ‘profia’; posso darti del tu e ricordarti che quindici anni fa sono passata proprio per l’esperienza della maturità?”
“Certo che mi ricordo; tu sei Marta e presentasti una bella tesina su Pirandello; il bambino è tuo figlio? Ti somiglia molto!”
“Se guardi meglio, capirai anche tu che somiglia di più a suo padre ... “
Stai cerando di dirmi che è il figlio di Giorgio? È tuo marito, quindi?”
“È il mio compagno; non siamo sposati; tu hai trovato un sostituto?”
“No; dopo che me ne andai, ho fatto molti tentativi, ma il vuoto del poeta che mi amava non potrà mai essere colmato ... “
Entrarono di colpo alcuni giovani che riconobbi subito come gli alunni del mio Liceo con cui avevo messo su il gruppo di Poesia; il più vivace, ma anche il più dotato e il mio preferito, mi disse pacatamente che volevano partecipare al Festival come circolo associativo ma occorreva l’avallo del responsabile; solo io potevo garantire; assicurai che me ne sarei occupata volentieri.
“Guendalina, se davvero vuoi parlare con Giorgio, puoi venire a pranzo da noi, se non ti turba l’idea di stare a casa del tuo ex marito e di confrontarti col tuo biglietto di addio in cornice; Giorgio lo conserva come una reliquia e, come vedi, lo usa come logo.”
Aprii il telefonino e le mostrai, tra le foto, quella del foglio incriminato.
“C’è chi ne fa una reliquia e chi la prova di accusa della sua stupidità, amica cara!”
“Guendalina! Sei proprio tu? L’assassina è tornata sul luogo del delitto?”
Giorgio era apparso dalla strada; forse aveva appuntamento con la compagna; mi strinse le mani con calore e capii che era felice della coincidenza; anch’io ero emozionata, ma riuscii ad ingoiare il magone; con un linguaggio frenetico, sovrapponendoci nel dialogo, dicemmo molto quello che avevamo deciso con Marta, dalle mie felicitazioni per il risultato ottenuto all’invito a pranzo, dai progetti futuri possibili alla mia invidia per la felice realizzazione della sua famiglia.
Poiché si avvicinava l’ora di pranzo, passammo da un negozio di frutta e verdura dove Marta prese numerose insalate ed ortaggi che il compagno sapeva essere le mie preferite a tavola; apprezzai molto il garbo della donna che avvertivo più amica sincera che da odiare perché aveva colto il meglio da un mio stupido errore; passammo rapidamente da un negozio di souvenir che lei gestiva sul lungomare solo per indicarmi in cornice il foglio con la scritta incriminata.
Lo guardai con una certa nostalgia e notai l’etichetta che recitava ‘bruco o farfalla?’; guardai Marta con aria interrogativa; mi rispose che Lao Tse aveva scritto che ‘quello che il bruco chiama fine del mondo, il resto del mondo chiama farfalla’; non potevamo escludere che dalla fine del mio matrimonio fosse nata una farfalla, scherzando le feci presente che la vita di una farfalla è di poche ore; mi rispose che la loro era appena uscita dal bozzolo; sarebbe durata molto a lungo, se ci stavano attenti.
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