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Ho preso la testa tra le mani


di geniodirazza
26.04.2024    |    4.524    |    5 9.8
"Quando lui si abbassa su di me e comincia a leccarmi, davvero vado ai pazzi e non faccio che urlare il mio piacere senza remore; esauriti i preliminari, me..."
Sono profondamente convinta che mio marito mi ama; credo di amarlo anch’io, in qualche modo; stiamo bene insieme, ormai da qualche anno; la nostra vita scorre su binari collaudati, casa, lavoro, una puntata al bar, le vacanze al mare, nessun figlio; io faccio la cassiera in un supermercato, lui è operaio di fabbrica, coi turni alternati, mattutino, serale e notturno; nessun grillo per la testa, desideri piccoli e contenuti, quelli che il bilancio ci consente.
Il ragazzo che mi affascina, quella sera al bar, mentre mio marito fa il turno serale, è nuovo e davvero particolare, ben messo, palestrato, elegante, forse universitario, dalla parola facile e convincente; mi lascio travolgere dalla favella suadente e, dolcemente, trascinare nell’angolo dei bagni, dove molti vanno a pomiciare; quando mi bacia, reagisco baciandolo a mia volta, con trasporto ma senza amore; quando mi porta fuori e si fa succhiare il cazzo, agisco come in sogno.
Non ci fermiamo lì; le sere seguenti, per la durata del turno, ci troviamo al bar; stavolta monto in macchina con lui e mi lascio trasportare fino al parcheggio vuoto dello stesso supermercato dove lavoro; ancora una volta quasi una sveltina; tira fuori il cazzo duro; niente di speciale, sicuramente più piccolo di quello di mio marito; ma c’è la trasgressione a dare sale al tutto; me lo mette in mano e mi piega la testa a prenderlo in bocca.
Mi gusto l’afrore che emana, assaggio con gusto la cappella grossa e violacea; dopo una settimana, mi ci sono abituata e me lo lavoro con grande piacere, con la lingua e contro il palato, fino a strappargli sborrate lunghe e dense; mi stende sul sedile ribaltato, mi scopre il basso ventre, sollevando la gonna, e mi lecca lungamente la figa; vado in solluchero quando le labbra e i denti stringono dolcemente il clitoride e lo succhiano.
Finalmente me lo mette in figa e scatena la sua libidine; mi piace sentirmi sbattere come una puttana finché mi scarica dentro la sborra; prendo la pillola, perché non vogliamo ancora figli e lo lascio scaricarsi nel ventre con somma gioia; mi piace lasciarmi sbattere come un tappetino nella macchina, mentre il cornuto sta lavorando per assicurarmi il piccolo benessere di cui godo; il bel tenebroso affabulatore mi scopa bene e volentieri.
Quando mio marito passa al turno di notte, salto il fosso; l’appartamento è vuoto e lo guido fino al portone, me lo porto in casa e, arrivati in camera, finalmente me lo godo tutto nudo; è bello, da guardare, da toccare, da palpare in ogni dove; soprattutto, godo a stare seduta sul letto col cazzo in bocca tenuto fermo con le due mani che sostengono anche i coglioni; finalmente lo posso manipolare a mio piacimento.
Quando lui si abbassa su di me e comincia a leccarmi, davvero vado ai pazzi e non faccio che urlare il mio piacere senza remore; esauriti i preliminari, me lo sbatte in figa con mio grande piacere; dopo il primo impatto duro contro la cervice, mi scopa alla grande, per ore, facendomi girare in tutte le pose e facendomelo sentire fin dentro lo stomaco, da dietro, a pecorina, o passando per tutte le posizioni che vengono in mente.
Mi chiede il culo; non mi tiro indietro; prendo il gel che mio marito tiene in bagno per le inculate e mi faccio sventrare, con grande partecipazione e gioia; vengo anche dal culo e le sborrate si susseguono senza sosta; ci sono giorni in cui sono costretta a cambiare le lenzuola, quando lui se ne va, per non lasciare tracce troppo evidenti di cui mio marito potrebbe accorgersi; uso grande prudenza, in fondo.
Fa freddo e devo mettere su una copertina perché, quando sostiamo nudi, il fresco della sera ci prende; ormai sono troia fino al midollo e mi comporto come qualunque adultera con l’amante giovane e voglioso; un minimo di rimorso mi prende, perché vedo il grande amore e lo spirito di sacrificio di mio marito; rifletto che forse sarebbe più dignitoso lasciarlo e andarmene; ma dove? Non posso farcela da sola e, quasi a giustificarmi, mi dico che in fondo lo amo ancora, che sto solo giocando col sesso.
La serata è particolarmente gelida, ci rifugiamo in casa e ci fiondiamo sul letto; gli sfilo i pantaloni quando è già sotto le coperte e li getto a terra, mi spoglio freneticamente e ci lanciamo nella scopata più ricca e bella di quelle che abbiamo fatto negli ultimi quindici giorni; è l’ultimo del turno di notte, per mio marito; da domani, lavora di mattina e non sarà facile scopare con il mio giovane amante; ci mettiamo tutta l’anima e ci rotoliamo per tutto il letto fino a che albeggia.
E’ tardi, maledizione, lui tornerà tra poco ed io devo correre al lavoro, se non voglio rimproveri ingiustificabili; ci rivestiamo in fretta, quasi senza lavarci, e lui scappa fuori come un clandestino, per non essere visto; tiro su alla meno peggio lenzuola e coperta; il calore che abbiamo lasciato nel letto farà solo piacere a chi viene per riposare da una notte di lavoro, e il fatto che sia diffuso per tutta la superficie può apparire conseguenza della mia agitazione.
Scappo via anche io alla chetichella, vergognandomi di incontrare gente, e arrivo in tempo per prendere servizio; all’una smonto e torno a casa; in camera, lui sta ancora dolcemente e pacatamente ronfando; mi sento serena e cancello anche l’ultimo barlume di rimorso che ancora mi agitava un angolo della testa, e forse del cuore; ho preso un pollo in rosticceria, già arrostito allo spiedo, e lo sistemo nei due piatti di coperto per noi.
Sento che va in bagno, che torna in camera, per vestirsi; va nello studiolo e manovra per cercare qualcosa, forse documenti che gli servono; entra in cucina, prende il bricco del caffè freddo, ne versa nella tazza e lo beve a piccoli sorsi; non mi guarda neppure; comincio ad avere paura, non so di che; appoggia sul tavolo un portafogli che non conosco e le chiavi della casa; indossa l’impermeabile che ha poggiato sull’attaccapanni, prende un ombrello, esce e sbatte la porta dietro di sé.
Apro il portafogli e mi balza agli occhi la tessera d’identità del ragazzo; l’oggetto è caduto sulle lenzuola, non ce ne siamo accorti e lui se l’è trovato tra i piedi; resto pietrificata; il mio viso è del colore che aveva il suo quando è uscito, bianco come la calce; vedo d’un tratto l’abisso in cui sono caduta, capisco che è uscito non dalla porta ma dalla mia vita e che sono sola con le mie colpe e con la mia imbecillità; mi prendo la testa tra le mani e piango lacrime di infinito dolore.
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