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Lui & Lei

Un male oscuro


di geniodirazza
26.01.2024    |    2.228    |    2 9.2
"Lei lo accolse in vestaglia sul corpo nudo; le sue intenzioni erano chiare sin dall’immediato e il ‘maschio italiano’ non si fece sorprendere dalla scelta non..."
“Ciao Franco, ho portato i dati aggiornati della ricerca; credo che vadano bene; possiamo guardarli insieme?”
Rosa è a colloquio con Franco, assistente alla cattedra di Architettura e suo correlatore per la tesi che deve discutere di lì a qualche mese; l’appuntamento è quello fisso settimanale e devono discutere di alcuni dati che ha studiato quella settimana; ma il suo correlatore, che è anche un amico col quale ha collaborato alla stesura di diversi progetti di lavoro, sembra distratto da altri e diversi problemi forse difficili da risolvere.
“Sì, Rosa, vedremo subito non appena avrò risolto questa maledetta rogna ... Non preoccuparti; non si tratta né delle tesi né della tua; è per una impresa edile che non trovo per un progetto assai importante in Germania ... Niente, servirebbero giovani volenterosi disposti a trasferirsi per qualche mese nel nord della Germania, dove realizziamo un quartiere residenziale nuovo; purtroppo, non trovo una collaborazione valida in nessuna di quelle di cui mi servo normalmente ... “
“Aspetta un momento; mio marito ha una piccola impresa edile e tre dei suoi operai vengono dal Trentino; sono bilingue e forse possono tornarti a fagiolo; ti va se chiamo Nicola per sentire se ci stanno?”
“Ti pare il caso di chiederlo? Sarebbe la manna dal cielo; inoltre, in quella progettazione c’è anche un poco di mano tua, hai dimenticato quel piano per un nuovo quartiere residenziale?”
“Perfetto! Ciao, Nico; senti, il mio professore deve realizzare un progetto edilizio in Germania; ha bisogno di gente volenterosa che ci lavori; puoi venire all’Università e parlarne con lui? ... Bene; Franco, Nicola dice che si può fare; arriva a minuti e ne parlate; adesso mi fai il favore di guardare le mie ricerche?”
L’ipotesi va in porto e dopo qualche settimana Nicola con la sua squadra si trasferisce ad Amburgo; Rosa si concentra sulla tesi e quasi non soffre per la pendolarità del marito che solo ogni due settimane riesce a ritagliarsi un week end da trascorrere a casa, prevalentemente a copulare come ricci; nonostante le oggettive difficoltà, le cose sembrano andare benissimo ai due giovani sposi con il lavoro di lui che diventa produttivo, la laurea di lei che si fa sempre più vicina e l’amore intatto che vivono.
Una puntina di rabbia Nicola la sente ogni volta che si parla del progetto che stanno realizzando e nel quale qualche traccia della mano di Rosa si vede; l’idea che sia stata lei e fornirgli l’occasione per uscire dai confini ed imporsi a livello internazionale con la mediazione del suo correlatore, quella non gli scende proprio giù e il suo istinto maschilista gli fa provare una qualche vergogna per avere dovuto ricorrere a sua moglie per assicurarsi un lavoro di prestigio.
Culturalmente immerso in una temperie arcaica, Nicola soffre ancora di un complesso di superiorità da maschio alfa; la conseguenza è che non tarda a cogliere tutte le occasioni che gli offre la situazione particolare in Germania, con donne libere e disponibili ad ogni cantone, attratte come il miele dal maschio italiano; spesso durante la settimana da sfogo alla sua natura di ‘farfallone’ e scatena il maschilismo becero; trova però ancora il buonsenso di passare un week end a casa due volte al mese.
Presto però anche quel rituale salta, quando incontra una giovane signora, di circa quarant’anni, che lo cattura in una spirale di sesso e di piacere che lo travolge e gli fa dimenticare Rosa, la laurea che sta completando e i suoi doveri matrimoniali; di colpo, finisce quasi per dimenticare che esiste in Italia una sua realtà; dopo alcune telefonate quasi ‘estorte’ a se stesso per non perdere i contatti con lei, finisce per dimenticare la moglie e costruirsi una nuova vita ad Amburgo.
Tutto è cominciato quando Ulriche è entrata nel suo ufficio per chiedere informazioni su un appartamento che intende acquistare nel nuovo complesso; Nicola è cortese e adulatore come per natura con tutte le belle donne che entrano nella sua sfera d’azione; questa, poi, bionda con occhi azzurri, forme carnali al punto giusto ed aria decisamente provocate, lo intriga immediatamente e scatta la sua tendenza al corteggiamento che l’altra trova affascinante.
Ricca di famiglia, resa ancora più schifosamente ricca da un assegno esorbitante strappato, con il divorzio, al marito milionario, spende i giorni alla ricerca di passioni effimere e gioie del corpo e dello spirito; il massimo privilegio è a uomini giovani e attraenti dai quali si lascia sedurre per rapidi amplessi dovunque si trovino o per ‘storie’ più o meno lunghe purché condite da irrefrenabili e innumerevoli copule in ogni parte del corpo.
Nicola l’ha immediatamente affascinata, per la forma fisica, per l’età non molto distante, 27 contro 40 non era un gap eccessivo, ma anche per quell’aria da scugnizzo o da angioletto di quadri del Settecento che gli conferiscono il colorito bruno, tipico dei ragazzi del sud, i capelli neri e ricciuti, gli occhi profondi e neri, insomma l’aria classica del ragazzo scanzonato e gioviale pronto a farti toccare le vette del paradiso specialmente a letto.
Non deve neppure arrivarci, a un letto, per sedurlo o lasciarsi sedurre, difficile stabilire chi avesse cominciato, a fare sesso nello stesso studio, chiudendo solo la porta a chiave, sul divano ampio e ben conservato; si sdraia a gambe divaricate e Nicola le piomba addosso, gioca con le mani sul sesso, la stimola un poco, accompagna la punta della verga all’ingresso e la penetra con violenza fino all’utero; urla a squarciagola e comincia a grondare dalla vulva; lui la bacia con intensità annegando nelle sue labbra e penetrandola in bocca con la lingua come fosse un membro maschile che prende a succhiare come in una strana fellatio mentre picchia con forza sul ventre, incoraggiato dalle sue sollecitazioni.
“Si, dentro, spingilo tutto dentro … fino in fondo … mi sento aprire tutta, che verga meravigliosa hai, sembra che mi apri tutta e mi fai godere tantissimo; perdonami, ma non sono mai stata posseduta tanto completamente; mi sento impazzire dal piacere; non venire subito, cavalcami tanto, fammi sentire la potenza della verga fin nello stomaco, fammi godere, voglio avere tanti enormi orgasmi … ecco … sto venendo … non credo di poter più fare a meno di te, della tua meravigliosa mazza; io non credo di averne più, ho goduto tanto e voglio riposarmi.”
Ulriche aveva deciso che si sarebbero visti la sera, per copulare in piena libertà; per ora, dovevano riaprire la porta per non creare disagi e commenti; a casa sua, poi, avrebbero fatto tutto quello che fosse umanamente possibile nel sesso; gli promise di farsi possedere anche analmente, perché lui lo desiderava molto; Nicola si preparò all’incontro come ad un grande evento e si presentò con la bottiglia di vino e i fiori.
Lei lo accolse in vestaglia sul corpo nudo; le sue intenzioni erano chiare sin dall’immediato e il ‘maschio italiano’ non si fece sorprendere dalla scelta non prevista; la catturò immediatamente in un bacio tentacolare la cui sensualità sbalordì per un attimo la donna, decisamente avvezza a certe situazioni di coinvolgimento; ricambiò la lussuria con tutta la sua sapienza amatoria e gli diede immediato il senso di quel che potevano aspettarsi.
La cena, fredda, era già pronta intavola e si sedettero rapidamente e svogliatamente piluccando frittelle e frutta e, ma soprattutto sorseggiando un delizioso vino leggero; cominciarono a ‘giocare’ passandosi voluttuosamente bocconcini e sorsi da un solo bicchiere, imitando le stupide dolcezze di innamorati persi, inesperti di tutto; in realtà la cena non interessava a nessuno; finirono per spostarsi in camera per sdraiarsi sul letto in attesa dello stupro desiderato e atteso.
Nicola si dedicò al suo fondoschiena; lei si sdraiò bocconi sul letto e lui prese a baciare tutta la parte del viso a cui poteva accedere, poi scivolò sulla nuca, sul collo e sulle spalle, fino a leccare il coccige; le manipolò le natiche col sensuale gusto di palparle, pizzicarle, accarezzarle, percorrerle con la lingua; si insinuò nell’incavo fra le due e le sue dita scivolano in giù fino ad incontrare il buchetto che spinsero delicatamente e forzarono ad aprirsi; d’un tratto lei sentì che qualcosa di morbido le sollecitava l’ano.
Capì che era sceso a leccare il buco e si insinuava con la punta della lingua nel forellino che cominciò a dilatarsi con più godimento; una mano si sostituì alla lingua e un dito penetrò fino alla nocca stimolando brividi; la forzò a sollevarsi sulle ginocchia fino a mettersi carponi sul letto; Nicola scivolò sotto di lei leccando il ventre, soffermandosi sull’ombelico e arrivando con la lingua alle grandi labbra ormai gonfie di piacere, di lussuria, di voglia; scavando con la punta, la lingua arrivò a stimolare il clitoride e le sferzate di piacere furono immediate e dure.
Lui tornò a dedicarsi all’ano e lo titillò con amore in tutte le pieghette; lei avvertì un liquido che scivolava dal buco nel canale rettale e capì che Nicola aveva preso dal comodino il gel lubrificante che avrebbe consentito lo stupro col minimo dolore; lo ringraziò mentalmente mentre gemeva per il piacere che la lingua dava alla vagina; si stava dando da fare per coordinare i movimenti perché avvertiva una simmetria sull’ano e sulla vulva che scaricava il piacere da una parte all’altra; si concentrò mentalmente sul sederino non vergine ma non molto maltrattato; sentì la cappella che si accostava.
Avvertì che la masturbava con più intensità; il piacere assorbì il fastidio della mazza che percorreva il canale rettale e forzava dolorosamente lo sfintere; la verga era particolarmente forte e gonfia, i testicoli, che prese in una mano, sembravano ancora più grossi e turgidi; Nicola accompagnava con le dita la manipolazione della vagina e lei urlò quando la punta dell’asta superò lo sfintere forse lacerandolo.
“Fermati un momento, mi fai male!”
Urlò, ma lui sembrava non curarsene e forse obbediva ad un impeto interiore che gli stava suggerendo di andare avanti perché la sosta avrebbe reso la penetrazione ancora più dolorosa; l’asta scivolò dentro mentre lei lacrimava senza volerlo.
“Sei un maledetto! Mi stai squarciando l’intestino; se mi hai lacerato qualcosa, giuro che ti eviro con le mie mani!”
“E’ tutto a posto, il dolore è passato; ora non avrai che piacere.”
Nicola sembrava voler addolcire il dolore della penetrazione anale, un male del diavolo che, dopo qualche minuto, divenne piacere infinito; si rilassò e cercò di assorbire il colpo, mentre ancora lui cercava di dirottare sulla vulva l’interesse, per coprire col piacere il fastidio recente; poi cominciò il calore a promanare dal ventre e a trasmettersi a tutto il corpo; gemette come un bambino malato di un male indefinito.
“Come ti senti, amore?”
Le sussurrò dalla sua posizione dietro di lei.
“Come la giovenca sull’altare di Priapo prima del sacrificio rituale!”
Gli rispose, un po’ scherzosa, un po’ polemica.
“Ti ho fatto molto male?”
Chiese premuroso.
“Non moltissimo; ma adesso cavalcami e fammi godere, così il dolore si cancella!”
Cominciò una cavalcata degna di Wagner e lei si sentì trasportata tra fuochi d’artificio, luci stroboscopiche, cori angelici e piacere allo stato puro; il suo non era più un sedere, il suo buco non era più un semplice ano; tutto era fonte di piacere infinito, di godimento, di gioia in cui si perdeva quasi annullandosi; non aveva mai provato sensazioni simili facendo sesso, neppure nei più intensi momenti d’amore, quando la valenza ideale arricchiva il gesto fisico.
Nicola quasi non ce la faceva più; stava cavalcando non sapeva da quanto tempo, con la verga stretta nel canale rettale che lo aveva catturato e se ne era impossessato; scoppiava dalla voglia di eiaculare e quasi non aveva il coraggio di interrompere il momento magico, finché lei non gli urlò che era il momento di lasciarsi andare e di godere nel suo intestino; di colpo prese coscienza che non lo avrebbe fatto finché non glielo avesse chiesto.
Gli impose di eiaculare e di farla godere coi suoi spruzzi nell’intestino; lo fece immediatamente, liberando un fiume di sperma che gli premeva sulla prostata e nei testicoli; per un paio di minuti non fece che svuotarsi e per quel tempo infinito lei continuò a sommare orgasmo ad orgasmo, fino a cadere sfinita sul letto con l’asta ancora duramente piantata nel ventre; occorsero ancora molti minuti prima che, delicatamente e impegnandosi insieme i due amanti, la mazza scivolasse via dall’ano lasciandole quasi un senso di vuoto; crollò rilassata, quasi in deliquio.
Quando si ripresero, Nicola era di nuovo in forma, confermando le attese di lei dall’amante latino; lei ebbe solo la forza di rimettersi l’accappatoio e le babbucce prima di tornare a sedersi a tavola; per fortuna, li aspettavano il caffè che era già preparato e il cognac che non avevano ancora bevuto; lui era felice come una pasqua per l’esito dell’incontro; lei si sentiva rotta in tutte le ossa, ma, dopo tanti anni, provava una sensazione di estremo piacere, quasi di una vita ritrovata.
“Mi pare che sia stata una meravigliosa esperienza e credo proprio che meriti di essere ripetuta; a me non dispiace l’idea di avere una compagna innamoratissima di me che soddisfa il suo bisogno di sesso con tanta lussuria. Se siamo d’accordo, potremmo trovare un’intesa per un rapporto ricco di fascino e di prospettive; se non sei d’accordo, grazie per la bella esperienza e arrivederci.”
Lei non ebbe la forza per controbattere, dopo una maratona di sesso così intensa; ma le bastò poco per riprendersi e passare la notte a copulare in ogni modo e in tutti i buchi; instaurò col bell’italiano un rapporto convincente che li portava a copulare quasi sempre per una intera notte almeno due volte al mese; sparsasi la voce che Ulriche aveva trovato un amante eccezionale, Nicola si trovò a godersi sesso e donne a iosa per tutto il tempo che rimase in Germania
Entrato nel circuito delle ditte che operavano a livello europeo, si trasferì per qualche mese in Francia e in Spagna; ma la Germania rimase il riferimento primario per i due anni che trascorse lontano da casa; era arrivato ad un punto di noia per cui non aveva nessuna nostalgia dell’Italia; da quando Rosa gli aveva comunicato che si era laureata e che stava avviando una sua attività autonoma, si andava convincendo che i rapporti non sarebbero stati più gli stessi, tra un ‘muratore’ e la progettista; per questo, si aggrappava ad amorazzi effimeri; ma intanto si raffreddavano sempre più le comunicazioni con Rosa.
Sua moglie intanto si faceva in quattro per rimediare al danno che, oggettivamente, la sinecura di suo marito le arrecava; per sua fortuna, proprio la sensibilità degli amici di suo marito, quei ‘muratori’ che lei appezzava e di cui era sinceramente amica, le consentì di accelerare il processo di affermazione del suo studio; l’assiduità a ricorrere a lei anche per lavoretti facili ma remunerativi in pochi mesi le consentì di consolidare il successo; Franco, il suo professore, la inserì nella schiera dei progettisti di interesse europeo.
Quello che non aveva avuto tempo di dire a suo marito, che troppo presto aveva troncato le comunicazioni, era che l’ultima scopata coniugale era stata determinante per rimanere incinta; lo sapeva già quando gli aveva gioiosamente comunicato che si era laureata; la reazione negativa di Nicola la sorprese, la depresse e la indusse a tacere; per fortuna, la nuova condizione di maternità la sostenne e le diede la forza di reagire, per il nascituro soprattutto.
Trascorsero così due anni in cui si ignorarono tignosamente; lui si diede da fare per ottenere incarichi in mezza Europa e dovunque creò situazioni scoperecce che gli consentivano di sfogare la sua voglia perenne di figa; lei si concentrò sul lavoro e sul figlio che seguiva da perfetta chioccia in ogni momento del giorno; non riuscì a costruirsi uno straccio di vita sentimentale alternativa e l’amore materno finì per assorbire tutte le sue energie; il lavoro la gratificava con riconoscimenti continui.
Per una serie di adempimenti inevitabili, lui fu costretto a tornare alla città di origine dove, con l’arroganza tipica dei maschi alfa italiani di vecchia generazione, era convinto di poter contare ancora su una moglie e su una casa che aveva abitato con lei; neppure lo sfiorava l’idea che Rosa potesse aver costruito una nova realtà con un altro uomo; la sua protervia gli imponeva di credere di essere ancora il centro di una famiglia che lui aveva calpestato; entrando in casa, incrociò Rosa venuta per recuperare scatoloni.
“Buongiorno, Rosa!”
“Ah, sei ancora vivo, quindi?”
“Dovrei essere morto?”
“Per me lo sei da due anni!”
“Invece sono qui, sono ancora tuo marito e mi devi il rispetto che una moglie deve al suo consorte!”
“Senti, cavernicolo; il mio avvocato ti farà leggere una sentenza del tribunale in cui si dice che siamo legalmente separati perché hai abbandonato il tetto coniugale; leggiti le carte, prima di dire stupidaggini degne di tuo nonno!”
“Dove stai andando?”
“Senti, imbecille, sono una donna libera, ho comprato una casa per me e per mio figlio; finalmente ho completato il trasloco e mi trasferisco con lui nella nostra nuova casa; tu qui ci puoi portare tutte le troie che frequenti!”
“Tuo figlio?! Hai un figlio? Chi è il padre?”
“E’ l’anima sporca di satana in persona! Che te ne frega se non ci sei da almeno due anni, esattamente quelli che ha mio figlio Vittorio?”
“Lo hai chiamato come mio padre? C’entro qualcosa io?”
“Vai al diavolo; te lo dico con tutta l’anima; anzi visto che almeno un poco ti devo fare soffrire, ti dirò una cosa che fuori di qui rinnegherò fino alla morte; nell’ultima telefonata alla quale ti degnasti di rispondere ti comunicai che mi ero laureata anche se tu non c’eri e non ti eri curato di me per tutta l’Università; ti inalberasti perché diventavo più qualificata di te e ti sentisti messo da parte; ma questo l’ho capito, con molta sofferenza, solo dopo, quando ho preso coscienza che sei un becero maschilista.
Ti incavolasti così ferocemente che non mi lasciasti finire e da allora hai troncato ogni comunicazione; non riuscii ad avvertirti che ero incinta, di te stupido, perché ti amavo e copulavo solo con te; ho portato avanti la maternità da sola senza nemmeno un centesimo di aiuto tuo; per fortuna tuo padre e tua madre mi hanno sostenuto e gli imprenditori tuoi colleghi mi hanno procurato abbastanza lavoro da diventare autonoma.
Mio figlio risulta all’anagrafe frutto di un incontro occasionale con uno sconosciuto; solo ai tuoi ho confessato la verità; glielo dovevo perché loro, per me, sono da sempre ‘papà’ e ’mamma’; a te non devo niente ed anzi chiederò ad un giudice l’ingiunzione a non accostarti a meno di dieci metri da mio figlio; non voglio che me lo inquini con la tua ignobile presenza; adesso io me ne vado a casa mia, con mio figlio.
Ti lascio la nostra casa, quella dove ho vissuto solo pochi mesi d’amore con il ragazzo di cui mi ero innamorata, col quale ho cercato di avviare anche una collaborazione; non pensavo che segnalare a Franco la tua impresa diventasse per te un’offesa mortale; non credevo che la mia laurea ti facesse sentire umiliato; addirittura, mi illudevo che saresti stato orgoglioso di tua moglie, della donna che dicevi di amare; ora tutto è chiaro e tu ti levi dai piedi; d‘accordo?”
“D’accordo un corno! Vittorio è mio figlio e mi batterò alla morte per farlo riconoscere; basterà un test del DNA ... “
“Per mandarti in galera se ti azzardi a chiederlo senza l’autorizzazione della madre; lo dice la legge che adesso sono io a scegliere per mio figlio; non hai provveduto nemmeno a farmi sopravvivere quando ero incinta; adesso vieni qui e fai il padre padrone; giuro che se interpelli un avvocato o un giudice, impegno tutte le mie forze per distruggerti; sappi che, se voglio, oggi sono in grado di impediti anche di lavorare; in un mese ti riduco a chiedere aiuto alla Caritas; stai attento, amore mio!”
Non gli ci volle molto, per capire che sua moglie non aveva parlato a vuoto; tutti quelli che interpellò erano concordi nel ritenere che Rosa fosse stata una madre impeccabile, una professionista ammirevole e, perché no, anche la moglie preziosa di un marito assente; ad una festa sociale a cui partecipava per la prima volta, toccò con mano che sua moglie, indicata come ‘cittadina benemerita’ per l’anno seguente, godeva della stima e dell’amicizia di tutti i potenti della regione; cercò di accostarla.
“Ciao, il bambino lo hai lasciato da solo a casa?”
“No; mio figlio è dai nonni, adesso ... Nonno Vittorio e nonna Grazia, i tuoi genitori; loro si sono sempre dimostrati degni di affetto e il nonno, in particolare, è felicissimo che il nipote che abbia il suo nome ... “
“Ma tu hai detto che non ha il mio cognome ... !”
“Se sei stato un bastardo, la colpa è solo tua! Se dimostrerai che puoi meritare di essere il padre di mio figlio, si sta poco a ripristinare la vera filiazione!”
“Vedo che ormai sei una VIP; riuscirai a tornare ad essere anche mia moglie?”
“Imbecille, dieci, cento, mille volte imbecille, non ho mai smesso di essere tua moglie; sei tu che non meriti di essere mio marito; solo se e quando riuscirai a farti amare e rispettare come compagno di vita potremo parlare di ricucire; per ora, ti odio soltanto ... !”
Il dialogo non trova uno sbocco, non quello, almeno, che lui spera; si arrende e si limita ad ammirarla da lontano mentre viene chiaramente corteggiata da tutti e si schernisce accostandosi spesso a lui e da la sensazione di essere ancora innamorata di suo marito, nel disgusto evidente delle donne presenti che non le perdonano la resa; Il telefonino di lei squilla, risponde e si precipita di colpo da lui, sconvolta, chiaramente spaventata.
“Nico, dobbiamo correre all’ospedale; tua madre mi ha chiamato perché Vittorio sta male e lo hanno ricoverato; il medico vuole parlare con noi; hai la macchina? Io sono venuta in tassì.”
La prende per un braccio e la guida precipitosamente all’uscita; raggiungono l’auto, la fa salire e parte sgommando; mentre guida come un forsennato, borbotta qualcosa fra i denti; lei crede di sentire che prega.
“Nico, non può essere in pericolo di vita; Dio non può consentire che paghiamo così a caro prezzo la felicità che non abbiamo saputo cogliere; dimmi che tutto si risolverà, ti prego; dimmi che il nostro bambino starà bene ... !”
“Rosa, ho una paura tremenda; stammi vicino; è la prima volta, nella mia vita, che mi accorgo di quanto ho bisogno di te; perdonami, se ti riesce, e preghiamo insieme che quest’incubo passi presto. Cosa ti ha detto mamma?”
“Non molto; il bambino si è sentito male e tuo padre si è precipitato al pronto soccorso; i medici sono confusi e non sanno capire; hanno bisogno di verificare con noi se è un male ereditato; Nico, ho paura come e più di te; ma è il momento di farsi coraggio e di stare vicini; dimentichiamo gli errori e il passato; per ora, conta solo che Vittorio stia bene; possiamo fare lo sforzo di essere migliori di come siamo stati finora e preoccuparci di salvare il salvabile, anziché rivangare gli errori?”
“Rosa, non devo fare sforzi inutili; ti amo come quando ti conobbi, tanti anni fa; eri quasi una ragazzina; poi qualcosa si è deteriorato, tra noi, ma da questo momento l’unica cosa che conta è la salute di nostro figlio!”
Il medico avverte che il bambino presenta sintomi non semplici; tutti i chirurghi dell’ospedale si stanno consultando; l’interpretazione diffusa è che un male congenito, mai emerso, si sia manifestato con una certa virulenza danneggiando il fegato; loro sono stati convocati perché è presumibile che uno dei due sia in grado di donare un pezzo di fegato al bambino; quell’organo può essere trapiantato con successo, si adatta all’ambiente e cresce autonomamente, senza danneggiare né il ricevente né il donatore.
Vengono sottoposti ad immediate analisi per verificare la percentuale di compatibilità; il padre risulta più idoneo; il trapianto viene operato in poche ore e padre e figlio vengono ricoverati vicini, in una stanza con tre letti; madre, nonno e nonna si trovano a piangere di gioia di fronte ai cari bendati che riposano per effetto dell’anestesia; nonna Grazia propone a Rosa di andare a casa a riposare e tornare la mattina dopo, quando saranno svegli.
Ma Rosa non ha nessuna intenzione di lasciare il figlio, e neppure il marito adesso, soli in una stanza d’ospedale; indica il letto vuoto e dichiara che dormirà lì; sarà la suocera, l’indomani mattina, a darle il cambio per consentirle di riposare un poco, quando lei sarà rasserenata dal risveglio dei suoi uomini; al momento di salutarla, nonna Grazia la stringe tra le braccia a comunicarle affetto.
“Rosa, so che Nicola ha meritato di essere condannato a pene infernali per come si è comportato, ma non riesco a dimenticare che è mio figlio e forse possiamo ancora aiutarlo a tirare fuori il buono che c’è in lui; cerca di essere generosa; è giusto che lo punisca e lo faccia soffrire; ma abbiamo visto che sa anche essere un buon padre e, guidato, può ancora essere un buon marito; usa la severità necessaria, ma cerca di guidarlo, anziché condannarlo; ti voglio bene e vorrei vederti felice, non esasperata.”
“Mamma, lo sai che lo amo ancora troppo per volerlo solo condannare; deve meritare il perdono, mio, tuo e di nostro figlio; lo so che c’è molto di buono di lui; l’ho amato da ragazzina e non ho smesso oggi, per qualche scempiaggine; riusciremo a trovare una quadra, ma dovrà imparare il rispetto e l’amore vero, non l’arroganza del maschio; non avere timori; confido troppo sull’intelligenza del mio compagno, per non ritenere che si correggerà e me lo troverò a fianco a guidare nostro figlio. Ci vediamo domani, mamma!”
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