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Relazioni pericolose P.5


di PaoloSC
15.05.2024    |    3.348    |    4 8.0
"E’ possibile averle cotte al forno?” chiesi..."
La quinta parte di Relazioni pericolose.

Colpo d’azienda

Avevo preso una decisione importante: mi sarei dovuto fidare solo di me stesso. Partendo dal concetto che in azienda ero quello che aveva più da perdere e che l’insuccesso del mio progetto sarebbe stato catastrofico per me ed in potenza per la piccola che sarebbe dovuta nascere, decisi di basarmi solo sulle mie capacità e sul mio istinto.
Donato, il mio capo, aveva la buona abitudine di arrivare alle 7:20 in ufficio.
Abitava quasi al lungotevere dei Mellini. Scendeva di casa, si fermava all’edicola all’angolo tra Via Belli e via Cesi e comprava un pacco di quotidiani: Il Messaggero, il Corriere, la Repubblica, il Corriere dello Sport, il Sole 24Ore. Poi si fermava al bar all’angolo tra via Cassiodoro e via Tacito e si faceva preparare un cappuccino con molta schiuma ed un cornetto semplice da Giovanni, il proprietario. Quindi si metteva a parlare con lui della Roma fino alle 7:15. Poi, lento pede, arrivava sempre per primo in ufficio, saliva al piano nobile e si sistemava nella sua stanza direzionale, apriva il primo giornale (rigorosamente il Corriere dello Sport e dava una scorsa ai titoli. Poi si concentrava sulla lettura delle pagine politiche dei quotidiani “seri”.
Ex democristiano di ferro, divenuto berlusconiano doc, vagheggiava un’Europa unita dal Portogallo agli Urali, dalla Finlandia alla Sicilia, «con la Libia che deve essere la nostra quarta sponda, a fermare lì le invasioni barbariche che arriveranno da sud se non agiamo per tempo. E poi c’hanno il gas ed il petrolio, che a noi serve come il pane, e tu vai a fare a schiaffi con Al Khadafi? Ma tu a quello gli devi porgere l’altra guancia, ed anche altra parte anatomica, se necessario! Ah, l’Albania rappresenta la ventunesima regione d’Italia. Mandiamo i Carabinieri di Sua Maestà, un po’ di poliziotti e qualche prefetto alla Dalla Chiesa, un bel repulisti e diventa la nostra Guangzhou.».
Era il mio mentore anche se, negli ultimi tempi, mi ero un po’allontanato anche se eravamo comunque in ottimi rapporti, perchè non dipendevo più gerarchicamente da lui, ma riportavo direttamente al Boss, all’Amministratore delegato.
Passai a trovarlo, l’indomani mattina presto, prima che il casino in ufficio rendesse impossibile una conversazione privata e riservata.
“Donato, sto in mezzo ad un mare di guai. In realtà, stiamo tutti in mezzo ai guai!” premisi.
“Avrai saputo dei tre commerciali che il Boss ha voluto portare dentro ed ai quali vuole affidare alcune funzioni, no?” gli dissi accennando il discorso che mi aveva fatto Daniela.
Donato poggiò il giornale sul tavolo, lo chiuse, tolse gli occhiali, si alzò in piedi e mi disse: “Usciamo. Andiamo a prendere un caffè in centro”. Si recò all’attaccapanni, prese la sciarpa in seta, il paltò (il paletot, come gli piaceva dire) ed il cappello.
“Aiutami!” mi disse chiedendomi di favorirlo ad infilare il braccio nella manica del cappotto. Lo indossò e, con il cappello in mano, senza aggiungere nulla, uscì dalla stanza, scese le scale davanti a me, mi attese che uscissi fuori dall’androne, mi prese sotto braccio e mi condusse verso Piazza Cavour.
“Ragazzo caro, noto con piacere e con soddisfazione che qualche mio insegnamento è stato recepito. Finalmente ti sei degnato di venire a conferire con il tuo Maestro, giovane Adso! ” mi disse con malcelato orgoglio.
“Donato, lo so, ma hai visto che negli ultimi tempi la vita è diventata un po’ complicata per me. Il lavoro mi sta uccidendo, e tu sai benissimo perché, e la famiglia è traballante” gli spiegai.
“Quali problemi familiari ti crucciano, mio giovine pard ?”
“Donato, diventerò padre! Francesca ed io aspettiamo un figlio, anzi, io sono certo che sarà una figlia!”
“Ottima notizia. Meriterebbe di essere festeggiata a dovere, ma reputo disdicevole bere alcolici prima delle 18:30 della sera, oltre al vino a tavola, ovviamente. Escluse celebrazioni ufficiali, battesimi, cresime, matrimoni e promozioni, naturlich. Per questo motivo, ti invito a levare il calice questa sera, a chiusura di bottega!” concluse.
“Tutto qui?”
“No Donato, questa è la parte bella. Purtroppo ho problemi molto più grossi. E non so da che parte incominciare” gli risposi.
“Io di solito inizio dal principio. Nell’ordine soggetto, predicato, complemento. Proposizione principale, proposizioni subordinate. Dai, lo sai bene. Ho sempre affermato che a differenza di tanti giovanotti, hai una discreta padronanza della lingua italiana e sei uno dei pochissimi a cui posso pensare di affidare il compito di scrivere qualcosa che vada oltre la banale offerta di vendita in commercialese” mi blandì.
“In poche ed elette parole…” dissi chiosando un uso intercalare frequente “mia moglie è diventata lesbica, il Boss ha deciso di farci fuori tutti e tre e Daniela è una escort che fa le marchette per conto del Boss. E che si è scopata prima me e poi mia moglie. Pensi che possa bastare a definire la mia una situazione di merda o credi che debba aggiungere qualche altra sciagura?” gli risposi in maniera un po’ aggressiva.
Per la prima volta vidi Donato accusare il colpo e ponderare attentamente quanto dire. Pensai che la situazione era veramente complessa se non era capace di rispondermi al volo con una delle sue battute.
“Paolo, ti dirò tre cose. Una riguarda tua moglie, e credo che non abbia problemi a mantenerla tra noi perché non saresti stupido ad andare a dirla in giro, le altre due capirai da solo, senza necessità di mie ulteriori raccomandazioni, quanto siano delicate e riservate.” iniziò mentre, le mani dietro la schiena e lo sguardo a terra, sembrava stesse raccogliendo forza ed ispirazione.
“Francesca è una bella figliola, so da terze parti che ha un futuro da chirurgo plastico che definire roseo è riduttivo. Ha una bella testa, è molto autonoma, ha un carattere un po’ spigoloso ma è molto, molto intelligente. Ha un difetto, ahimè: è lesbica. Ti racconterò un fatto a cui non ho assistito personalmente ma che mi è stato riportato da persona degna della mia massima stima e fiducia che ho avuto l’onore di consigliare quando venne da me a chiedermi se fosse stato il caso di avvertirti su quanto aveva occasione di assistere.”
“Era il tuo ricevimento di matrimonio e tu eri con i tuoi amici e compagni di classe a festeggiare. In realtà ti stavano lanciando in aria come un fuscello, ma ipotizzo che fosse un trattamento speciale riservato a poche ed elette simpatie. La tua signora fu presa e portata in bagno delle donne dalla sua testimone, quella Domitilla un po’ cavallona, un po’ svampita, che sembra sempre o ubriaca o che ha appena assunto un paio di dosi di cocaina…”
“Ah si, parli di Dede!” lo interruppi.
“Si, lei!”
“È la migliore amica di Francesca!” ribattei.
“Si, non credo possa essere definita diversamente. Sicuramente è la migliore. Ho problemi a concordare sul termine amica, perché immagino sarebbe più opportuno definirla amante”.
Fossimo stati in un film, a questo punto ci sarebbe stato uno stacco musicale a sottolineare il colpo di scena mentre la camera inquadra il protagonista con lo sguardo sbarrato, la bocca aperta, bloccato dalla sorpresa e dal terrore di venire a conoscenza del resto.
“Caro il mio accolito, mi sento colpevole, in quanto tuo testimone di matrimonio, a non aver saputo usare tatto e diplomazia nell’avvisarti di quanto successe quella sera, ma la mia signora e padrona, che mi aveva raccontato il fatto, mi aveva fatto promettere che avrei taciuto”.
“Ora tu sai quanto io sia ligio alle promesse ed alle parole date, anche in affari, e non ho avuto pertanto motivo di dirti nulla, fino ad oggi, essendo il mio giuramento più solido di accadimenti magari imputabili ad eccessi alcolici o di altro tipo” continuò.
“E cosa ti avrebbe fatto cambiare idea, allora, scusa?” gli chiesi.
“La mia signora medesima, accompagnando la nostra figliola da un chirurgo plastico per mostrargli la cicatrice dell’intervento all’anca, si è imbattuta in tua moglie che era lì’ per un consulto, convocata dallo stesso chirurgo, ignorante del fatto che la sua collega fosse tua moglie e fosse ben conosciuta da mia moglie.” iniziò a spiegare.
“Ora, a parte la figura di merda che Teodolinda ed io abbiamo fatto con tua moglie e con te, visto che non abbiamo proprio pensato a coinvolgervi ed interpellarvi in alcun modo, quando le due sciagurate madre e figlia sono uscite dalla stanza di visita, hanno incontrato la vostra amica sciroccata Dede che però non ha avuto modo di riconoscerle” continuò.
“E allora? Non capisco!” mi intromisi.
“Porta pazienza e fammi spiegare. La tua signora è uscita immediatamente dopo di loro ed è stata salutata in maniera molto affettuosa, se mi è consentito il dire, dalla sua amica” e fece una pausa per consentirmi di metabolizzare l’informazione.
“In che senso affettuosa?” chiesi, sperando di aver capito male.
“Nel senso che lei ha abbracciato Francesca e l’ha baciata più che fraternamente sulle labbra.” rispose Donato.
“Vabbè, un bacio, se lo danno sempre un bacio sulla bocca!” cercai di mitigare il fatto e di convincere me stesso che non era nulla di che.
“Anche al ristorante, al tavolo nascosto dal separé, bocca a bocca come avresti potuto fare tu con lei se fossi stato da solo a casa sul talamo in procinto di agire «procreandi causa»?”
“E poi...non sta bene che una signora si faccia toccare le tette in pubblico!” aggiunse scuotendo la testa.
Donato mi aveva appena confermato ciò che sapevo da tempo e che avevo sempre rifiutato di accettare.
Francesca aveva una doppia vita e Dede era stata – e forse lo era ancora – la sua amante.
“Bene, il primo cazzotto da KO l’ho ricevuto: avanti con gli altri”.
“Mio giovine amico, la vita è dura, ma val sempre la pena di viverla fino in fondo. Ricordati che siamo nati per soffrire, soffriamo per vivere, moriamo avendo vissuto.”
“Si, vabbè, la tua solita filosofia stoica. A te Seneca ti fa una sega.”
“Tu sai perfettamente che Seneca di stoico aveva solo il desiderio di sopravvivere al suo ex-protegè…” alludendo al fatto che, secondo lui, non esisteva prova che Seneca fosse stato considerato veramente un filosofo dai suoi coevi, ma che abbia ottenuto la nomea solo in virtù della sua opposizione alle nefandezze di Lucio Domizio Enobarbo, poi detto Nerone.
“Vabbè… non voglio discutere di filosofia. Non adesso, almeno. Vorrei sapere che cosa ne sai di quel che sta succedendo in azienda. Sai perfettamente che quel progetto potrebbe significare miliardi di commesse da oggi in avanti per dieci anni!” gli dissi ribadendo quanto peraltro già sapeva, essendo stato uno di quelli che aveva appoggiato il mio progetto.”
“Si, lo so, Paolo. E la tua idea potrebbe generare ulteriori opportunità in tantissimi settori connessi. Quindi, sono assolutamente conscio della importanza dell’iniziativa. Quel che invece sono venuto a sapere, invece…” e qui si interruppe, si fermò, si girò verso di me e mi guardò diritto negli occhi ”…è che il tuo progetto, o meglio, il progetto dell’azienda si è scontrato con alcuni settori della politica che hanno tuttora grandissima influenza. Per meglio spiegarti, se il progetto fosse stato presentato da quella concorrente del parastato che già lavora nel settore agricolo sarebbe stato già finanziato al 100%. Tu saresti diventato un manager di quell’azienda e tutti saremmo contenti per te e per noi. Invece, la segreteria del Partito ha deciso che quel progetto potrà essere svolto solo da una società cooperativa che fa capo ad un’altra coop del ravennate.
Non mi far dire nomi, so che hai capito!” concluse.
“Quindi, è inutile che facciamo la presentazione, che ci sbattiamo, che convinciamo il capo di gabinetto… è tutta fatica sprecata!” dissi.
“Assolutamente sbagliato! Tutt’altro” intervenne con enfasi Donato.
“La tua presentazione deve, e ribadisco DEVE, andare al meglio. La stampa dovrà riportare la cosa evidenziando la genialità dell’idea. Io concederò un paio di interviste in qualità di Direttore commerciale e tu mi affiancherai come responsabile dei progetti speciali dell’Azienda. Poi, interverranno talmente tante persone che qualsiasi cosa succeda, tutti gli addetti ai lavori ricorderanno te, me e l’Azienda. A prescindere.”
“Ma noi non faremo niente, però!” ribadii.
“Non faremo nulla di pratico. Venderemo il progetto, l’idea. Anzi, regaleremo l’idea ed il know how che c’è dietro.”
“In cambio di?” chiesi.
“In cambio dell’avere mani libere su una torta ancora più grossa, di quelle che ci mangeremo tutti per vent’anni” mi rispose, e riprese a camminare.
“E allora, i tre moschettieri?”
“La nostra società cederà un ramo d’azienda nel quale saranno presenti un direttore d’area, un responsabile vendite ed un capo progetto più una serie di specialisti che già conoscono l’ambiente Agricoltura.”
“Usciamo da quel mercato, e cediamo a titolo definitivo una ventina di persone. L’unico che sarebbe rientrato nel giro ma che non passa sei tu” mi spiegò.
“Io? E cosa c’entro?” chiesi.
“C’entri perché sei tu il detentore del know-how. Ma noi abbiamo già fatto sapere che tu hai rifiutato la proposta di passare dietro la promessa della nomina a dirigente. Dovrai però passare le consegne e tutta la documentazione di analisi, idee, flussi, processi…tutto. Sarà un lavoraccio che ti porterà via almeno tre mesi. Tre mesi duri, mio caro amico, durante i quali sarai vessato e bistrattato dai tre stronzetti” mi spiegò.
“Vabbè, scusa, ma io cosa ci guadagno in tutto ciò?” gli chiesi.
“Innanzitutto, non verrai licenziato. Poi avrai un congruo aumento, diciamo che ho ottenuto per te un sostanzioso incremento sul coacervo, e la dotazione di un telefono cellulare aziendale. Poi, quando avrai finito, e sarà entrato il nuovo progetto, se avrai fatto bene il tuo lavoro anche in quell’ambito, avrai la gestione totale del progetto e delle 200 persone che abbiamo ipotizzato saranno necessarie. Significa dirigenza, segretaria, benefit…devo continuare?”
Feci un cenno di diniego con la testa, continuando a guardare per terra.
“E la terza?” gli chiesi.
“Oh, è semplice. Ho dato le dimissioni. Ho deciso di accettare un posto da cliente, anziché da fornitore. Lascio a voi la gestione delle cose commerciali”.
“E scusa, il tuo posto chi lo prende?” gli chiesi.
“Le due filiali Pubblica Amministrazione, centrale e locale, verranno accorpate in un unico mercato PA che sarà seguito da Michele. Tranquillo, per te non cambia nulla. Hai capito, responsabile dei progetti speciali? Mio giovane Dirk Pitt?” mi rispose facendo l’occhiolino e dandomi una manata leggera sulla spalla. Dirk Pitt era il protagonista dei romanzi di Clive Cussler, di cui ero pazzo, ed era per l’appunto il responsabile dei progetti speciali della NUMA, una mitica agenzia americana, segreta ma non troppo.
“Ma che dici, scusa?” gli chiesi. Non avevo afferrato per bene la cosa.
“Dico che dal prossimo mese sarai il responsabile di tutti i progetti speciali dell’Azienda. Intendo dire che tutte le cazzate più o meno importanti, le attività che richiedono inventiva, capacità organizzative, il reperire materiali e componenti speciali passeranno sotto la tua giurisdizione. Nel tuo gruppo sarete te e … te. Forse avrai il supporto di Daniela per organizzare trasferte, cene, pranzi e spedizioni. Più avanti, in base ai casini che farai e a quel che inventerai, ti verranno assegnate delle risorse. Al momento, sei un cane sciolto che risponde solo al Boss. Per ingaggiarti, i vari direttori di filiale dovranno chiedere a lui. Ed al direttore tecnico, ovviamente, che però non avrà giurisdizione su di te. Hai compreso?” mi disse prima di entrare al bar, la mano sulla maniglia.
“Si, Donato, ho compreso. Ma non è che hai posto per me, da te?” gli chiesi con una faccia tosta non indifferente.
“Ho promesso che non avrei preso nessuno per un anno. Tu non fai parte della lista dei possibili. A quanto pare, le nostre strade si dividono qui, mio caro amico!” mi disse mentre si apriva il cappotto per prendere il portafoglio dalla giacca.
Prendemmo il caffè in silenzio, ancora non avevo metabolizzato del tutto la quantità di notizie che avevo ricevuto in pochi minuti.
Uscimmo quindi dal bar, sempre in silenzio. Stavo ragionando ancora sulla cosa. In effetti, la mia vita sarebbe potuta cambiare nell’arco di qualche settimana, al massimo tre mesi.
“Ovviamente, ciò non collima per nulla con quanto ti può aver detto Daniela. Un’altra cosa, al riguardo. La signora ha grandi capacità seduttive che il nostro Boss ha usato spesso e volentieri per piegare il destino ai suoi voleri. Anche questa volta ha voluto mandare un segnale all’esterno attraverso Daniela che, però, non sa nulla dei reali obiettivi. A lei è stata raccontata una storia diversa, anche perché in un primo momento sembrava che anche lei fosse contemplata nel carve-out. Qui è intervenuto Michele il quale ha giustamente fatto notare che certi comportamenti dei tre ragazzacci nei confronti della ragazza avrebbero potuto generare alcuni giustificati risentimenti in lei, e che quindi non era il caso di metterla fuori. Ma ha condiviso la decisione di ridurne influenza e capacità di fare danni. Da oggi quindi la parola d’ordine è: tagliati il pisello ma lascia perdere Daniela. Stalle a metri di distanza. Attento a ciò che dici e racconti. Ma questo ti verrà spiegato meglio dal Boss stesso con il quale, mi pare, hai un incontro assieme a me e a Michele per l’ora di pranzo.”
“Ma io non ne sapevo nulla!” risposi sorpreso.
“Non dovevi saperne nulla. E tu NON SAI NULLA. Spero che ciò ti sia sufficientemente chiaro”.
“Chiaro, Donato. Chiarissimo. Solo che…” e feci una pausa ad effetto.
“Solo cosa?” mi chiese.
“Solo che Daniela e Francesca hanno fatto sesso assieme, ieri sera. Io, ovviamente, ci sono rimasto di merda.”
“Ah!” rispose Donato, questa volta sorpreso dalla notizia che gli avevo appena dato.
“Paolo, devi assolutamente rimettere ordine nella tua vita familiare al più presto. Prevedo altrimenti periodi tristi e situazioni sciagurate. Considera che siamo a Roma, in Prati, ad un passo dal Vaticano, a due passi dai palazzi del Potere, frequentati da persone che sono pronte a bastonare i tuoi vizi privati manifestando la loro pubblica virtù mentre poi in camera sono più sozzi e laidi dei peggiori sicofanti e lenoni in circolazione.”
“A loro piace frequentare di nascosto quella gente, ma poi sono i primi a spararti addosso per «lo schifo e la depravazione». Quindi, in campana!”.
SI, decisamente era il momento di raddrizzare un po’ Francesca, la futura madre di mia figlia.


Verso il convegno

Come anticipato da Donato, fui chiamato direttamente dal Boss al telefono, senza intermediari.
“Paolo, potresti dedicarmi cinque minuti. Siamo qui da me con Donato e Michele e vorremmo dirti alcune cose.”
“Mi devo preoccupare?” risposi pensando di fare una battuta per dimostrare di essere all’oscuro di quanto spiegatomi da Donato stesso poco prima.
“Tu devi sempre preoccuparti. Sempre. Le persone in gamba sanno che tutto può accadere e che bisogna essere pronti. Ma in questo caso, no, non devi preoccuparti. Dai, scendi giù che ne parliamo a voce. Muoviti!” mi disse con tono scherzoso.
Era la prima volta che mi trattava in quel modo, fino ad allora, complice la mia soggezione, avevo sempre avuto la sensazione di essere Fracchia sul pouf a sacco che non si reggeva in piedi.
Scesi quindi di corsa, bussai alla sua porta e stavolta senza attendere l’”Avanti” entrai.
Sui divani erano seduti il Boss e Michele da un lato e Donato sul divano di fronte.
Il Boss si alzò, mi strinse la mano e mi fece cenno di sedere accanto al mio mentore.
“Paolo, credo che sia venuto il momento di spiegarti ciò che sta per succedere e che avverrà nei prossimi giorni. Ti ho lasciato all’oscuro per farti comunque impegnare al massimo su questo progetto che però non porterà benefici diretti né all’Azienda né a noi, almeno nei prossimi tre mesi.
Ma giacché ti sei dimostrato ottimo conduttore ed organizzatore, ma soprattutto hai avuto questa idea geniale sulla base dati integrata, ritengo che sia corretto spiegarti il tutto.” ed iniziò a illustrare quanto mi aveva già detto Donato a quattr’occhi.
Feci finta di stupirmi, anche di essere dispiaciuto di quanto stava per avvenire e per il fatto che la mia idea non avrebbe avuto conseguenze dirette per me, ma fui costretto a sbarrare gli occhi quando tirò fuori la lettera del Personale con la quale mi si cambiava il contratto a far data da lì a tre mesi, passando direttamente dirigente responsabile dei progetti speciali con un miglioramento del 25% dello stipendio e con i benefit legati alla nuova posizione contrattuale.
“Credo che tu abbia bisogno di tutto questo, perché abbiamo saputo che presto sarai padre! È giusto quindi che l’Azienda, provveda anche a questo, offrendoti questa nuova posizione. Così avrai modo di passare molto più tempo in ufficio a lavorare invece di stare appresso a pappine e pannolini sporchi… che ne pensi?” e fece quel suo sorriso caratterizzato da un ghigno e dallo sguardo freddo e pericoloso.
Ero tuttavia molto contento di quanto mi era capitato.
Anche questa volta dovetti ammettere che Donato mi aveva raccontato solo una parte. Voleva tranquillizzarmi, ma voleva anche che fosse evidente la sorpresa che, obiettivamente, fu totale.
“Se ti avessi detto tutto prima, Il Boss se ne sarebbe accorto ed io avrei fatto una figura da pisquano proprio il giorno prima delle mie dimissioni ufficiali!” disse, lasciando sul mio tavolo l’ultimo pezzetto di verità.
“Ma quando vai via, scusa?” chiesi.
“Fine mese. Chiudiamo questa farsa e poi dieci giorni di ferie fino a fine mese. Il 2 maggio prendo servizio presso il mio nuovo datore di lavoro. Tranquillo, lavoreremo assieme ancora. Solo che io sarò il tuo cliente.
E saranno augelli senza zucchero, per te.”
Mi dedicai per il tempo rimanente anima e corpo al progetto. Sapevo che non avrebbe avuto un futuro, ma le promesse fattemi da Donato valevano tutti i miei sforzi.
Preparai il tutto con la massima cura. La presentazione, i demo, i dati reali recuperati tramite amicizie al Ministero, insomma, avevo curato tutto quanto era in mio potere e sotto il mio controllo personale.

Mi trasferii un paio di giorni prima dell’evento a Cesena. Purtroppo, non avevamo trovato da dormire se non in Riviera, a quasi trenta chilometri e, con il traffico della fiera, quasi un’ora di macchina.
Alla fine Francesca, causa problemi di nausee e di gravidanza, aveva dovuto dare forfait complicando un po’ la vita di Daniela, la quale non riusciva a capire il motivo del mio “sconsiderato menefreghismo” nei confronti della situazione.
Sapevo, grazie a Donato, cose che lei non conosceva e ciò mi aveva tranquillizzato, certo di dovermi concentrare solo sul risultato tecnico per quel che apparentemente era una mera questione tecnologica.
Daniela ed io alloggiavamo in alberghi diversi, io a Cesenatico, lei a Bellaria. Eravamo pertanto liberi di fare ciascuno la propria vita; ciò non mi esimette dall’invitarla a cena la prima sera. Passai a prenderla al suo albergo, entrai nella hall e chiesi alla reception di chiamarla. La receptionist, una verace ragazza romagnola che rispettava l’ideale femminile felliniano, annuì, contattò la stanza poi, staccando un momento l’orecchio dalla cornetta, mi disse che la signora mi chiedeva se volessi salire un momento in camera.
Risposi “Dica alla signora che l’aspetto qui ma che si sbrigasse, ho fame e sono molto stanco”.
La ragazza annuì, fece una smorfia come per dire “Contento te!” e riferì. Annuì ancora e poi, attaccando il telefono, mi disse: “La signora ha detto di attenderla. Finisce di prepararsi e scende. Nel frattempo, posso offrirle io un aperitivo?”
Accettai di buon grado e la ragazza si spostò al banco del bar per preparare un po’ di noccioline, patatine e salatini da affiancare al “Punt e Mes” con ghiaccio che le avevo chiesto.
Mi sedetti al banco su uno degli sgabelli e attesi.
Rimuginavo sul fatto che le cose avevano preso strade diverse da quanto pianificato e che il profondo cambiamento annunciato da Donato avrebbe sicuramente impattato sul mio quotidiano.
E poi, c’era sempre il problema Francesca.
La sua irrequietezza sessuale mi metteva in difficoltà oltre a provocare profonde discussioni con i miei ed i suoi genitori che addossavano a me le colpe dei suoi comportamenti.
Purtroppo, persone cattive e meschine erano andate a riferire a mia madre di aver visto Francesca in compagnia di una donna in atteggiamenti lascivi. E la stessa persona, non contenta, era andata a raccontarlo al fratello di Francesca il quale, con un atteggiamento fanciullesco ed immaturo, aveva tirato fuori l’argomento durante uno dei rari incontri tra noi e la famiglia di origine di mia moglie.
Mia madre da cattolica praticante e beghina fino al midollo aveva fatto le sue telefonate ed era giunta alla conclusione che Francesca era posseduta dal demonio e che necessitava di un esorcista per cacciare via il diavolo. Era arrivata a contattare tramite le sue amicizie parrocchiane addirittura il famoso padre Amort, noto esorcista romano, che però (per fortuna!) aveva derubricato il fatto ad una “deviazione dall’ordine naturale delle cose, indipendente dalle azioni del demonio”.
Mia suocera invece mi aveva incolpato di aver plagiato la figlia, “tutta casa e chiesa fino a che non mi aveva conosciuto” e che ero io la causa di questa disgrazia. “Ed adesso la bambina nascerà malata anche lei!” concluse provocando un vaffanculo! all’unisono da parte di Francesca e mia con conseguente lite ed uscita dalla casa della suocera. A nulla valsero le telefonate di scuse sue, di mio suocero e di quel cretino di mio cognato: alla fine, tutte finivano con un immancabile “ma tanto, da uno come te, che ci si deve aspettare?” da parte di mia suocera convinta, more solito, di aver ragione.
Discussi ferocemente con mia madre al punto di non chiamarla per giorni. Poi, la convinsi del fatto che l’istinto materno avrebbe compensato tanti squilibri che al momento si manifestavano anche se, in cuor mio, sapevo che una volta presa coscienza della propria inclinazione sessuale, difficilmente Francesca vi avrebbe rinunciato.
Decisi comunque di affrontare il problema “di petto”. Ne avrei parlato con lei al mio ritorno, chiarendole esattamente cosa era successo, quel che mi aveva detto Donato e ciò che sarebbe successo nei successivi mesi.
Mi concentrai pertanto sull’obiettivo a breve: la riuscita del convegno.
Stavo ancora ripassando mentalmente la lista delle cose da fare e cercavo un modo per bypassare le leggi di Murphy, o almeno di rendere meno catastrofico possibile il verificarsi di uno o più eventi negativi, quando sentii una mano che si appoggiava alla mia spalla ed un paio di labbra poggiarsi sulla mia guancia.
“Ciao Paolo, vedo che ti sei fatto servire!” mi disse Daniela.
Mi voltai per salutarla a mia volta e rimasi anche questa volta colpito dalla sua eleganza ma anche dalla sensualità che emanava.
Pur essendo ancora la metà di aprile, le giornate erano già più tiepide ed in Riviera di Romagna la temperatura mite invitava ad osare gambe e braccia scoperte e scollature più generose. Ed infatti Daniela aveva osato, indossando un abito leggero, uno chemisier a fantasia sul giallo e sui temi dei blu, stretto in vita da una fusciacca in tinta unita blu come le scarpe e la mini Kelly di Hermes. Tenuto sbottonato sul davanti a mostrare la separazione tra i seni ed un petto già abbronzato, evidenziato da una collana d’oro e tessere smaltate di lapislazzuli, rendeva impossibile non notarla ed ammirarla, senza con ciò scadere nel volgare o nell’eccessivo.
Mi alzai dallo sgabello per aiutarla a salire su quello accanto al mio mentre la ragazza dell’accoglienza veniva a chiedere se “la signora gradiva un aperitivo”. Daniela ringraziò sorridendo e rispose “Lo stesso del dottore, grazie” indicando con un dito della mano perfettamente curata il mio bicchiere.
“Che cosa bevi, per curiosità?” mi chiese.
“Ma come, chiedi «lo stesso» senza sapere di cosa si tratta?” risposi.
“Mi fido del tuo buon gusto. Un signore come te difficilmente beve robaccia” ribatté a sua volta, sorridendo un po’ beffarda.
“In effetti sto bevendo una cosa da vecchi, un Punt e Mes. Spero ti piaccia”
“Non è il mio preferito ma credo che sopravviverò”
“Sopravvivere…nessuno è mai morto per un Punt e Mes, dai! Al massimo si è strozzato per il nocciuolo d’oliva andata per traverso. Ma non ti preoccupare, con me non rischi. Conosco bene la manovra di Heimlich, e comunque qui in sala ci sono almeno una dozzina di medici. C’è un convegno da queste parti, ho letto su un cartellone. Purtroppo per noi, non c’è rischio. Devo trovare un altro sistema per farti fuori” conclusi ridacchiando mentre levavo il bicchiere alla sua.
“Stronzo! Non mi capacito di come tu possa essere così rilassato e tranquillo in questa situazione” ribatté un po’ seccamente.
“Cara, sto attentamente rivalutando le priorità. Da qualche giorno a questa parte ho deciso di cambiare approccio alla vita. Nello specifico, so di aver fatto tutto il possibile perché l’evento abbia successo, cercando di eliminare o minimizzare tutte le possibili cause di problemi. Dal punto di vista tecnico domani faremo l’ultimo collaudo. Ho parlato con l’Ente Fiera che mi ha assicurato che al posto del videowall potrebbero fornirci un proiettore ad alta risoluzione che è già montato in sala, proiettando sul telone che sarebbe alle spalle del tavolo dei relatori. Hanno un PC dedicato alle presentazioni, utilizzano lo stesso programma Storyboard di IBM e ho controllato, hanno la stessa versione che ho usato io. L’unico problema potrebbe essere in caso di incendio della sala, ma in questo caso andremmo a finire senz’altro sui giornali e sarebbe pubblicità gratuita senza sforzo. Già immagino il titolo: «Incendio nella sala congressi durante la presentazione della soluzione informatica della XXXX. Morta in sala una donna, organizzatrice dell’evento» con la tua foto a fianco. Anzi, che foto vuoi che mettiamo? Ne hai una in bikini da darci? Il bikini spacca!” conclusi ridendo.
“SEI UNO STRONZO!” sibilò, ma poi resasi conto dell’assurdità della cosa, scoppiò a ridere pure lei.
“Dai, andiamo a cena, ho fame” le dissi.
“Sai già dove andare?” mi chiese.
“Non ho assolutamente idea. Che dici, chiediamo alla signorina o andiamo alla ventura?”
“Andiamo alla ventura!” mi rispose, infilando il suo braccio sotto al mio e mettendosi al mio fianco con gesto affettuoso.
Entrammo in macchina e non potei esimermi dal notare che lo chemisier, seppur appena sopra al ginocchio, era rimasto sbottonato per molti bottoni scoprendo gran parte della coscia. Daniela notò il mio sguardo ma non dette impressione di preoccuparsene, anzi, rincarò: “Ma come, ancora ti sorprendi? Mi hai scardinato il bagagliaio di fronte a tua moglie non più tardi di una settimana fa, hai allargato tutti i miei sfinteri e ricoperta del tuo seme e ancora mi guardi così? Allora stasera si scopa!”
“Daniela, scusa, ma credo che tu abbia frainteso. Ti guardavo perché forse sei un po’ eccessiva stasera. Io avrei chiuso almeno un paio di quei bottoni. E no, stasera non si scopa. Almeno, noi due stasera non scoperemo. Poi, se quando rientri trovi qualche bel dottorino che ti faccia una visita approfondita, buon per te. Io passo.”
“Nemmeno se lo chiedo a Francesca?” buttò lì, dandomi ad intendere che c’erano stati altri contatti successivi all’ultima volta in cui c’eravamo visti assieme a casa sua.
“E certo, ora chiami Francesca, che per inciso non è a casa…”
“Si lo so, è in clinica perché ha un intervento urgente per ricostruire il naso di Aaaa Bbbbb, l’attrice, distrutto in un incidente casalingo: pare che abbia dato una nasata contro il pugno del suo fidanzato gelosetto che l’aveva trovata a letto con il suo miglior amico…”
“Ah, vedo che sai già. E immagino che ti avrà detto di circolare lontano da me…” sottolineai.
“No, ha detto che di te non gliene importa nulla, mi ha ordinato di stare lontano da altri uomini e, soprattutto, da altre donne!” ammiccò mentre poggiava la mano sulla mia spalla.
“Daniela, non è il caso. Dai, mettiti seduta per bene, chiudi un paio di quei cazzo di bottoni e cerca un posto per mangiare che non sia di merda. Ho fame e quando ho fame sragiono.” le dissi con un tono che non ammetteva repliche.
Ed infatti, Daniela si tacitò per un istante. Si morse le labbra per qualche secondo, poi ribattè incapace di abbozzare: “Uh come siamo sensibili! Non vuoi scopare con me stasera? E va bene, me ne farò una ragione. Ma non credere che non lo dica a Francesca!”
“Ah, adesso lo dici TU a Francesca? Ma questo è il mondo alla rovescia” dissi ad alta voce sbattendo la mano sul volante per sottolineare l’assurdità della situazione.
“Non c’è bisogno che ti scaldi. Francesca mi ha solo chiesto di darti un’occhiata e di aiutarti per quanto è possibile. Ha capito la situazione che si è venuta a creare ed è preoccupata per te. Mi ha detto che era giusto che lei si tenesse fuori da questa storia per te e per noi, e che comunque visto che le nausee peggiorano non era proprio il caso di fare 400 chilometri in macchina e sottoporsi allo stress. Si, perché LEI mi ha detto di essere incinta, mentre TU non mi ha detto nulla!” concluse non senza astio.
“Quanto al sesso, è per l’appunto solo sesso. Come quello che abbiamo già fatto un paio di volte. A me non fa male, a te nemmeno, Francesca in questo è agnostica. Sa che il sesso è una cosa, l’amore un’altra.”
“Il fatto che Francesca abbia una visione diversa dalla mia sul sesso non mi consente di fare come mi pare. E non mi pare il caso di continuare con questa storia del sesso tra di noi. Daniela, devi scordarti me come oggetto del tuo desiderio. IO NON TI SCOPERÒ PIÙ. Spero sia chiaro. Non è per te. È per me, per mia moglie e per mia figlia. Cerca di capire.” le dissi con voce serena, convinta e speravo convincente.
Un semaforo divenuto rosso all’improvviso mi salvò da una rispostaccia che sentivo stava per arrivare. Dovetti infatti frenare all’improvviso per evitare di attraversare un incrocio pericolo. Il fatto mi diede occasione di imbattermi in una trattoria quasi sul mare, lungo la statale che unisce Bellaria a Cesenatico.
“Irma e Maurizio” era il nome che campeggiava su un’insegna in legno bianco con lettere blu illuminate da un faretto. Il locale sembrava piccolo ed accogliente, ben frequentato a vedere il numero delle auto parcheggiate. Misi la freccia ed al verde accostai per entrare nel park di fronte al locale.
“Ma lo conosci?” mi chiese Daniela.
“No, ma credo che non ci troveremo male. Guarda quante macchine e che macchine” dissi.
In effetti c’erano Mercedes, Lancia, Citroen, Jaguar, un paio di Porsche ed un’immancabile Ferrari, oltre a qualche Rover ed altre berline di fascia alta.
Parcheggiai dove l’omino mi indicava. Si precipitò ad aprire lo sportello a Daniela per rimanere fulminato dalle cosce completamente scoperte mostrate dalla mia segretaria che non si era ricomposta per nulla. Dubito che si sarebbe scordato di noi, per cui gli allungai subito 1.000 lire di mancia per il servizio. Lui si tolse il cappello, fece un inchino e ringraziò “Grazie dottore, grazie signora. Se mi lascia la chiave le porto la macchina di fronte all’uscita quando finite” mi disse.
Volevo rifiutare ma poi ci ripensai: non lo avevo comprato io, era stata Daniela che, con la sua presenza, lo aveva annichilito e ridotto in servitù. Solo a me non faceva più effetto.
Entrammo nel locale, un piccolo ristorante con una decina di tavoli al massimo, per lo più tutti occupati.
Già disperavo di riuscire a sedere prima di una mezz’ora, ma non avevo tenuto conto delle doti di convincimento di Daniela. Al proprietario bastò uno suo sguardo languido per comandare al cameriere “Separa quel tavolo da quattro, sono in ritardo, aspettano” per darci il tavolo d’angolo, più riparato e intimo.
“Esattamente il tavolo che volevo!” esclamai sottovoce alla mia segretaria.
“Vedi che significa andare con i bottoni slacciati? E aspetta che mi guardi le tette dall’alto!” disse scoprendo ancor più il decolté. “Vedrai che godremo di un servizio perfetto!” aggiunse ridacchiando. Non dubitai, sapevo ed avevo provato sulla mia pelle le capacità che Daniela sapeva mettere in campo.
Il cameriere arrivò sollecito con le carte del menù e dei vini.
“Immagino che qui si mangi soprattutto pesce” dissi rivolto a me stesso. Non amavo la cucina di mare, preferivo di gran lunga una salsiccia ad uno scampo o una fiorentina ad una spigola, ma a Bellaria, nei pressi del mare, era impensabile altrimenti.
“Se il signore gradisce, potrei vedere se in cucina possono prepararle una piccatina di vitello”.
Nicchiai, avevo visto che nel menù c’era pesce al forno e orata al sale.
“Daniela, la prenderesti anche tu un’orata al sale? Ne facciamo preparare una un po’ più grossa invece di due piccole, se le hanno” dissi.
“Si, senz’altro, mi fa piacere il pesce, soprattutto se è grosso!” rispose facendomi l’occhiolino mentre fissava il ragazzo leccandosi le labbra.
“Io… credo di sì. Forse c’è una spigola o un fragolino se vogliono… chiedo in cucina” e sparì di corsa.
“Daniela, PIANTALA! Ora quello torna ancora più impacciato e fa casino. Chiudi quella scollatura!”
“Ma perché, si vede che non porto il reggiseno? Mica è trasparente il vestito .. beh, si un pochino.” e nel frattempo scostò lo scollo dal seno scoprendo appena un capezzolo.
In quel momento tornò il cameriere che, colpito dal seno di fuori, iniziò a deglutire ed a boccheggiare.
“Allora, si, dicevamo… che si può se volete.”
“Si può cosa?” chiesi.
“Si può fare un pesce più grosso. Abbiamo un’orata per due persone abbondanti, diciamo tre, o altrimenti un fragolino un po’ più piccolo. Tutti pescati la scorsa alba qui davanti” aggiunse mentre compulsava freneticamente i suoi appunti cercando di non guardare dentro la scollatura di Daniela che era sempre più allargata e scostata a scoprirle il seno.
“Allora va bene l’orata al sale. Come contorno ho visto che avete patate fritte. E’ possibile averle cotte al forno?” chiesi.
“A me porta un’insalata verde, invece” si intromise la mia segretaria.
“Si, credo di sì. Le abbiamo fatte per il rombo, credo che ce ne sia una porzione per lei.” Aggiunse.
“E come antipasto o primo, prendete qualcosa?” chiese ad entrambi.
“Io prenderei un piatto di crudités” rispose Daniela.
“Per me delle cozze al pomodoro” dissi.
“Ottimo. Da bere?”
“Ho visto una bottiglia di Pagadebit. Ne avete ancora?”
“Certo signore!” e scappò via.
Tornò dopo qualche minuto con la bottiglia del vino, quella dell’acqua ed il cestino del pane. Aprì le bottiglie e ci riempì entrambi i bicchieri. Poi, dopo una rapida occhiata alle tette di Daniela, ora veramente visibili senza sforzi, scappò in cucina.
“La fai finita? Tanto non puoi scopartelo stasera!” buttai lì a ridere.
“Lo dici tu!” rispose guardandomi di sottecchi.
“Ma dai… hai fior fior di medici, uomini e donne, in albergo. Perché accontentarti di un ragazzetto che avrà si e no 19 anni e che se tanto mi dà tanto, è il tipo da eiaculazione precoce?”
“Perché i medici si sentono esseri superiori e quando sono in convegno sono tutti porci.”
“Anche le donne?”
“Soprattutto le donne” rispose col tono di chi la sapeva lunga.
Il cameriere si affrettò a tornare con gli antipasti.
Mentre metteva il piatto delle crudités davanti a Daniela ebbe modo di osservarle le cosce. Notai che si soffermò per un po’ con gli occhi bassi e ne dedussi che, probabilmente, Daniela aveva lasciato qualcos’altro di scoperto.
La cena scorse tranquilla, io forte della mia ritrovata serenità, almeno sul lavoro, Daniela che invece si appoggiava sulle mie nuove certezze e su un paio di bicchieri di troppo di Pagadebit.
Era il momento del conto e chiamai il ragazzo con un cenno. Lui capì immediatamente e mi portò il classico contenitore con lo scontrino all’interno. Io presi la mia carta di credito America Express e la mostrai. Il ragazzo tornò con la macchinetta per passare la carta e mi fece firmare la ricevuta. Misi 5.000 lire dentro il portacarte e mi alzai mentre lui spostava la sedia di Daniela.
“Hai deciso, poi? Rimani in zona o vuoi che ti porti in albergo?” le chiesi davanti al ragazzo.
Credevo di metterla in difficoltà ma lei rispose senza batter ciglio.
Prese il mento del ragazzo tra pollice e indice, gli girò il viso verso di sé e gli disse: “E’ vero che mi accompagni tu a Bellaria all’albergo?”.
Il ragazzo nicchiò e le rispose “Signora, se vuole le trovo un tassì. Da qui a Bellaria sono dieci minuti, anche meno”.
“Ma io non voglio un tassì, voglio te”.
“Signora, io l’accompagnerei con piacere ma viene a prendermi la mia morosa all’uscita”.
Sapevo che Daniela avrebbe risposto “E allora diciamolo anche a lei!” ma la precedetti.
“Dai Daniela, ti porto io in albergo. Prendiamo l’ultimo bicchiere assieme e se c’è un bel mediconzolo ti ci affido.”
La mia segretaria, visibilmente alticcia (colpa delle due bottiglie di vino, quel Pagadebit era veramente bastardo), si fece guidare alla porta ove, quasi per magia, ci attendeva la mia macchina con il parcheggiatore che mi stava porgendo le chiavi.
Gli lasciai altre 2.000 lire di mancia, mi feci aiutare dal cameriere a mettere per bene seduta la mia collega, chiusi la porta e partii verso l’albergo.
“Non c’è bisogno che corri, né che prendiamo il bicchiere della staffa. Ho bevuto abbastanza per stasera e domattina devo svegliarmi presto, come te, peraltro. Dì la verità, sono brava come attrice? Hai visto la faccia del ragazzetto quando mi ha risposto «Signora, viene la mia morosa»? Era terrorizzato!” mi disse. Sembrava come se non avesse bevuto nulla.
“Ma … “
“Si, ho bevuto, ma non sapevi che posso assumere grandi quantità di alcol senza conseguenze. Se ci hai fatto caso, ho lasciato metà e passa dell’aperitivo ed il primo bicchiere di vino l’ho bevuto solo dopo l’antipasto, a stomaco già semipieno. Il trucco è lì. Far bere l’altro ma far finta di bere. Devi mantenerti sempre lucida, soprattutto quando fai certi lavori!” concluse facendo riferimento al suo passato da escort.
“Quindi non sei sbronza?”
“No. Assolutamente no. Ciò non significa che sia molto stanca. Certo, mi farebbe piacere addormentarmi dopo che mi hai scopata per bene, ma tu non vuoi e non posso di certo violentarti. Vuol dire che cercherò un vecchio medico, se è ancora in piedi.”
Detto ciò, visto che eravamo arrivati davanti al suo albergo, aprì la porta, si chinò verso di me per baciarmi sulle labbra, scese dalla macchina, prese dal sedile posteriore il soprabito che si pose sulle spalle, fece un cenno di saluto con la mano ed entrò da sola nella hall.
Risposi al suo cenno con un mio cenno, riaccesi l’auto e tornai in albergo.
Ero stanco ma riuscii a chiamare Francesca, salutarla, raccontarle un po’ di cose e sentire dalla sua voce come si sentiva. Stranamente mi chiese di Daniela, interrogandomi se eravamo stati assieme anche dopo cena. Le confermai che ero da solo e che non avevo alcuna intenzione di condividere il mio letto con nessuna che non fosse lei. Francesca mi mandò dei baci, mi disse con la sua vocina da gatta quanto le mancassi, e mi promise che al mio ritorno mi avrebbe fatto capire quanto avessimo bisogno l’uno dell’altro. Stemmo al telefono qualche altro minuto prima di salutarci e di addormentarmi.
L’indomani sarebbe stata una giornata complicata.

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