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Prime Esperienze

La figlia del portiere


di PaoloSC
24.03.2024    |    15.808    |    2 9.6
"“Fammi vedere quello che stavi facendo prima che suonassi” ribadì..."
Era fine giugno del 1976.

Un giugno caldissimo, uno di quei giorni in cui, complice lo scirocco, qualsiasi cosa indosso è di troppo.

Come sempre in quel periodo, mi ero alzato presto e mi ero messo a studiare per preparare l’esame di analisi matematica. Papà mi portava a letto una tazza di caffellatte amaro, sollevava la serranda ed apriva la finestra, poi mi invitava ad alzarmi dal letto con gesti cortesi e delicati: qualche goccia d’acqua gelata sul viso, quod sufficit per farmi schizzare. Lo ringrazierò a vita per avermi abituato a passare da 0 a 100 nel giro di istanti, cosa che mi tornò utile nella vita di tutti i giorni.

Mi infilai al volo sotto la doccia ed ancora bagnato indossai un paio di calzoncini corti ed una t-shirt e mi misi a studiare.
Verso le dieci di mattina, o giù di lì, ero uso andare a portare fuori il cane per fare una piccola interruzione. Le mie sorelle erano a scuola, mamma e papà al lavoro, la signora delle pulizie sarebbe arrivata verso mezzogiorno. Decisi di scendere nel giardino condominiale così come mi trovavo, senza cambiarmi. Ad una prima occhiata, ero vestito normalmente ma da vicino era evidente che non portavo biancheria visto che i pantaloncini da ginnastica di quei tempi erano inverosimilmente corti e a me, che avevo le cosce molto magre, si aprivano al cavallo facendo uscire fuori di frequente il mio arnese con le sue appendici. Però mi dissi «ma si, chissene, tanto sto fuori solo cinque minuti» e uscii così.
Fatti fare i bisogni al cane (uno yorkshire!) e raccolte in un sacchettino le sue deiezioni, mi diressi in garage dove c’erano i secchioni dell’immondizia (a quei tempi non c’era la raccolta differenziata, in casa esisteva uno sportello che si apriva su un condotto che convogliava il pattume in un bidone).

La casa del portiere era di sotto, all’uscita del garage. Le finestre davano sullo spiazzo condominiale ed erano per questo motivo quasi sempre chiuse.
Il portiere aveva una figlia di un paio d’anni più grande di me, Maria Rosa.
Ci conoscevamo fin dall’infanzia, giocava spesso con mia sorella di un anno più piccola e con le altre bambine del condominio. Segaligna, capelli neri, poco seno, cosce asciutte e poco culo: non uno spettacolo, però aveva un qualcosa che attirava la mia attenzione.
Innanzitutto era di frequente in gonna corta e non indossava quasi mai il reggiseno.
Poi, quando qualche volta aiutava i genitori nelle pulizie delle scale, la incontravo magari sulla scala a pulire qualche vetro ed era piacevole buttare un occhio sotto la gonna.

Quel giorno stava in bagno a lavare dei panni nella vasca che era proprio sotto la finestra.
La salutai.
“Ciao Rosy, come va?”
“Ciao Paolo, potrebbe andar meglio. Si è rotta la lavatrice e mi tocca lavare a mano tutto. Ho pure finito le mutande e devo aspettare che si asciughino per cambiarle.”
Buttai un occhio dentro la finestra e notai che era anche lei in pantaloncini corti, un paio di jeans tagliati cortissimi e di taglia abbondante, che appena le si appoggiavano sui fianchi ossuti. Peraltro, avevano una vistosa macchia di unto all’altezza della tasca destra, come se le si fosse rovesciato dell’olio.
“Hai visto che ti si sono sporcati anche i pantaloncini?” le dissi candidamente.
“Si, zitto… sono andata a mettere a posto il caffè e ho rovesciato l’oliera. L’olio è caduto lungo lo sportello e io mi sono appoggiata. Sono tutta unta. Volevo cambiarmi ma ho tutto sporco. Lasciami perdere…” rispose con tono volutamente drammatico.
Certe volte ci teneva a fare la vittima, lei figlia del portiere che non poteva permettersi nulla o quasi. Il che era anche vero, in parte; ma suo padre era amato da tutti i condomini per la sua cortesia e disponibilità. Qualsiasi cosa succedesse, difatti, lui era in grado di intervenire e riparare quasi ogni cosa, dalle serrande ai rubinetti, dalle finestre alle lampadine, tutti i piccoli interventi di manutenzione erano alla sua portata ed erano sempre remunerati bene.
“Vabbè, fa caldo, la roba si asciuga subito” le dissi. “La metti al sole e con questo tempo in mezz’ora si asciuga tutto, soprattutto il sintetico” le dissi indicando alcuni slip che aveva sciacquato.
“Ma visto che ci sei, lava pure i pantaloncini, almeno si asciugano presto” aggiunsi, senza sapere il perché lo dissi.

“Sai che hai ragione?” mi rispose. Poggiò quel che aveva in mano, si slacciò il bottone metallico e con un unico gesto se li sfilò rimanendo in mutande, un paio di slip rosa trasparenti che a malapena celavano un folto cespuglio di pelo scuro.
Rimasi perplesso e sorpreso, ma la mia reazione fu evidente.

“Che c’è, che succede?” mi chiese.
“Nulla, è che non mi aspettavo di vederti in mutande!” risposi candidamente.
“Non è la stessa cosa che stare al mare in costume?” ribatté.
“Si, forse hai ragione”.
Poi giocai il tutto per tutto: “Allora, visto che ci sei, lava pure le mutande che porti, no?”.
Mi aspettavo un “no!” secco e fui quindi doppiamente sorpreso quando rispose “Hai ragione, ma tu non guardare! Anzi, chiudo la finestra e ci vediamo dopo”.

In effetti si sfilò le mutande e subito accostò la finestra del bagno. Inutile dire che la cosa mi provocò un’immediata erezione assolutamente non contenuta dai pantaloncini.
“Però così non vale!” le dissi da fuori la finestra. “Non mi va di parlare ad un vetro oscurato. Salgo a casa e casomai ci vediamo dopo”. La salutai e tornai su in casa a riprendere a studiare.
Volevo farmi una sega ma fui distratto dal telefono: era papà che mi chiedeva se mi ero rimesso a studiare visto che aveva chiamato prima ma non gli aveva risposto nessuno.
Gli spiegai che ero sceso a portare fuori il cane e che mi ero fermato a chiacchierare cinque minuti con Rosy.
“Va bene, però studia. Gli esami arrivano presto!” concluse la sua chiamata.
Inutile dire che quel poco di desiderio che era rimasto svanì immediatamente.

Mi rimisi a studiare con poca concentrazione, in testa il ricordo fugace di quelle mutande semi-trasparenti che venivano sfilate e poi la finestra che si chiudeva inesorabilmente a nascondere quella visione.
Dopo qualche minuto, l’erezione tornò prepotente: calai i calzoncini e iniziai a masturbarmi lentamente al ricordo di quella fugace visione quando suonò il campanello alla porta.
Aspettai qualche momento con il cazzo in mano e dopo qualche secondo il campanello suonò di nuovo.
Mi avvicinai alla porta, sempre con il cazzo in mano ed i calzoncini ai piedi e chiesi “Chi è?”.
“Paolo sono io, Rosy. La posta! Apri?” mi rispose.
Ero indeciso se aprire così e farmi vedere nudo o chiedere di attendere per ricompormi. Decisi di rischiare. Mi tolsi al volo la t-shirt e aprii la porta di casa tenendomi nascosto dietro di essa.
“Perché ti nascondi?” mi chiese.
“Perché sono nudo. Stavo per andare a fare la doccia!” risposi.
In quel momento arrivò di corsa il cagnolino incuriosito che si infilò nel varco aperto per uscire sul pianerottolo.
“Vicky vieni qui!” gridai e mi spostai da dietro la porta. Rosy era appoggiata con la mano alla maniglia e, venendo meno la mia spinta, la spalancò del tutto.

Ops!
Cercai di coprirmi alla bell’e meglio usando una rivista che era poggiata sulla credenza all’ingresso. Notai che Rosy si era infilata una gonna cortissima in tessuto molto leggero e che, come al solito, non portava il reggiseno perché i capezzoli erano evidentemente eretti sotto il tessuto di cotone della canottiera.
“Entra!” le dissi facendomi di lato per farla passare. Credevo avrebbe rifiutato, invece entrò e si chiuse la porta di casa dietro le spalle.
“Scusa, vado a mettermi qualcosa addosso” e mi diressi verso la mia stanza senza pensare che ero nudo anche di dietro. Immaginavo che mi avrebbe atteso in ingresso e fui molto sorpreso quando la vidi sulla porta della camera.
“Fammi vedere” disse indicando il mio membro ben eretto.
“Cosa?” risposi.
“Fammi vedere quello che stavi facendo prima che suonassi” ribadì.
“Non…stavo facendo nulla” balbettai mentre prendevo in mano l’asta all’altezza della cappella.
“Allora fammi vedere come non facevi nulla” ribatté, un sorriso ironico sulle labbra sottili.

Iniziai lentamente a far scorrere su e giù la mano sulla cappella tirando avanti e indietro il prepuzio. Il glande era lucido ed un paio di gocce di liquido seminale erano sgorgate dalla fessura.
Rosy prese la sedia della mia scrivania, la girò verso di me e si mise seduta a gambe larghe, mostrando il suo pube ed il suo inguine totalmente ricoperti di una fitta peluria nera, corta e riccioluta. Poi con le dita divaricò le labbra, scoprì il clitoride ed iniziò a stimolarlo.

Aumentai il ritmo.
“Fermo! Vai piano. Veniamo assieme!” mi sussurrò.
“Ti pare facile!” risposi con un fil di voce.
“Vieni qui” mi disse.
Mi avvicinai, lei tolse la mia mano, prese l’uccello ed iniziò una lenta masturbazione. Era più brava di me, che mi credevo campione mondiale di seghe.
Allungai la mano verso il suo sesso. In un primo momento mi bloccò con l’altra mano, poi, al secondo tentativo, mi lasciò fare.
Ero pure un quasi campione mondiale di seghe, ma non sapevo bene come gestire una vagina, come stimolarla, come farla godere. Ero ancora vergine e l’unico sesso femminile che avevo toccato fino ad allora era quello della mia prima fidanzatina, sfiorato attraverso un paio di collant ed un paio di spesse mutande di cotone. Ero un teorico del sesso, dopo approfondite sessioni di studio sulle riviste porno che avevo rimediato da qualche amico più avanti; ma non avevo idea di come fare.
Fu Rosy a prendere la mia mano e a guidarla.
“Ecco, senti qui questo bottoncino? Stimolalo con le dita, così, braaaaaaavo!” mi disse con un gemito.
Nel frattempo riprese a masturbarmi con maggior energia.
“Ppp..piano, mi fai male!” le sussurrai.
“Hai ragione, sei tutto secco. Aspetta”. Si avvicinò con la bocca alla cappella e ci sputò sopra.
Ebbi una forte contrazione, credevo di stare per venire. Rosy riprese a masturbarmi con maggior delicatezza facendo inumidire tutta la cappella.

Poi si fermò, si alzò in piedi, si tolse la gonna e si sfilò la canottiera rimanendo nuda. Poi si riavvicinò a me e riprese a masturbarmi mentre con l’altra mano prese la mia e la portò al suo seno facendosi toccare e massaggiare quelle tettine.
Lentamente, inavvertitamente ci spostammo verso il letto. Fu un attimo e mi ritrovai sdraiato accanto a lei a toccarci reciprocamente.
Mi misi in ginocchio in mezzo alle sue gambe e le dissi “Fammela vedere!”. Era la prima volta che vedevo una fica dal vivo. La mia conoscenza dell’anatomia femminile era limitata a qualche foto porno.
Credevo addirittura che il buco fosse sull’osso pubico e fui quasi sorpreso quando ammirai da vicino la complessità dell’apparato genitale. Mi aspettavo un foro, mi trovai di fronte ad un’ostrica circondata da peli che luccicavano di gocce biancastre.
“Infilami il dito dentro” mi disse prendendo la mia mano e guidandone un dito dentro la sua intimità.
“Ecco, ora inizia a fare piano piano dentro e fuori. Piano!” sussurrò.
Fu una sensazione pazzesca, indescrivibile. Non riuscivo a paragonarla a nulla di conosciuto.
“Dai, accelera un po’” mi disse ansimando.
Non riuscivo a capire cosa stesse succedendo. Rosy aveva iniziato a stimolare con due dita il clitoride mentre con una mano si strizzava ora la tetta desta, ora la sinistra.
“DAI DAI” disse quasi urlando. Inconsciamente aumentai il ritmo e la profondità. Era tutto molto bagnato e scivoloso, là dentro. Gocce di umori stillavano da quella “cosa” che aveva assunto una forma diversa rispetto a prima, con le grandi labbra rigonfie e separate e le piccole labbra lucide e arricciate verso l’esterno.
Anche Rosy aumentò il ritmo quando poi, all’istante, fu scossa da tremiti e contrazioni che le fecero stringere violentemente le gambe, dopo avermi tolto la mano.
Capii solo dopo che aveva avuto un orgasmo.
Mi fece un cenno e mi fece distendere sul mio letto, accanto a lei.
“Ti senti bene?” le chiesi.
“Mai stata meglio” mi rispose sorridendo. Ero proprio imbranato.
Dopo qualche minuto, mi prese il pisello, sempre in quasi dolorosa erezione, e iniziò ad accarezzarmi e a masturbarmi. Dopo qualche colpo un po’ più a fondo, feci un verso di dolore: la pelle della cappella era secca e iniziava a farmi male. Rosy si chinò verso di lui, avvicinò la bocca alla cappella e vi sputò un’altra volta, dopodiché sparse il liquido con le dita tutto attorno. Riprese il movimento con la mano ma, dopo qualche secondo, decise di usare la lingua. Si mise in mezzo alle mie gambe, prese il mio cazzo in mano e lo portò alla bocca. Poi, iniziò a leccarlo sulla cappella e poi sull’asta mentre riprese ad usare la mano. Alla fine, si scosse, aprì la bocca e iniziò a succhiarlo come se fosse un ghiacciolo mentre la sua mano continuava a fare su e giù sull’asta.
Iniziai ad ansimare e a muovere ritmicamente il bacino sotto i suoi colpi e le sue succhiate. Si staccò con la bocca e mi portò all’orgasmo con la mano. Venni eruttando un enorme getto di sperma che riscendendo la colpì su un occhio, sulla guancia e poi sul seno; Rosy continuò a masturbarmi fino a che non terminai di eiaculare, una pozzetta di liquido bianco sulla pancia ed alla base del pene più tutto quello che le colava dalla mano.
“Wow! Ne avevi parecchio, eh?” mi disse facendomi l’occhiolino.
Si alzò, entrò nel bagno per pulirsi e lavarsi poi, dopo aver finito, mi salutò con un bacio sulla guancia.

“È stato bello. Mi è piaciuto molto, mi hai fatto godere. Ma non succederà più. Lo sai che sono fidanzata e non voglio tradirlo, per cui niente più sesso tra noi. Chiaro?” mi disse a bassa voce, con tono dolce e definitivo allo stesso tempo.

Non sapevo cosa rispondere, e mi limitai ad un semplice “Ok, grazie!”.
Rosy uscì di casa e dalla mia vita così come era entrata. Un attimo, ed era tutto finito.

Ricordo ancora quello sguardo e quella voce.

L’ho rincontrata di recente in una triste occasione. Il tempo non è stato clemente con lei, è invecchiata molto peggio di me. Mi è sembrata un'anziana ultra settantenne. Però anche lei non ha dimenticato: “Ti ricordi cinquant’anni fa, quasi?” mi ha detto facendomi l’occhiolino di nuovo.
“E chi se lo scorda!” le ho risposto all’orecchio, mentre l’abbracciavo per salutarla.
“Quando vuoi, chiamami!” mi ha detto.

Peccato non abbia il suo numero. Ma se è interessata, mi chiamerà lei. Sa come trovarmi.
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