Lui & Lei
Alle Scissure
di PaoloSC
09.03.2024 |
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"Si avvicinò e strusciandosi a me come una gatta mi morse un orecchio mentre sussurrava: “Se me li regali, stasera ti mostro tutta la mia gratitudine”..."
Alle Scissure è un racconto sostanzialmente autobiografico. Ho cambiato tempi e persone, cercando di anonimizzare al massimo i riferimenti a fatti e persone.E' un racconto legato alla storia con la mia prima moglie, svariati anni fa.
Spero gradiate ed apprezziate.
Prologo
Avevamo preso l’abitudine di festeggiare il mio onomastico (29 giugno) facendo una breve vacanza, due o tre giorni, in qualche località abbastanza vicina a Roma in modo da poter rientrare al volo in caso di necessità, visto che lasciavamo i bambini ai nonni.
Nel 2001, avevo scelto come meta un posto vicino a Roma, l’Aeneas Landing. Allora era meno lussuoso di oggi, ma la struttura era sostanzialmente la stessa, a metà tra un camping molto attrezzato ed un villaggio vacanze. Avevo prenotato un bungalow vista mare (oggi le chiamano Junior Suite) con la porta che si apriva verso l’esterno in pratica unica fonte di luce e di aria.
Il posto si trova poco a nord di Gaeta, ad un capo della spiaggia detta dell’Arenauta o dei 300 gradini, che si estende per oltre un chilometro e mezzo, sovrastata da alte scogliere (per scendere alla spiaggia si percorre la micidiale scala! 300 gradini uno diverso dall’altro, a superare un dislivello di circa 70/80 metri in poco spazio. In discesa ancora ancora, ma in salita garantisco che è una ammazzata!). Verso Gaeta la spiaggia si interrompe per un affioramento roccioso inframezzato da piccole spiaggette di qualche metro, chiamato genericamente le Scissure, anche se il loro nome esatto è le Falesie.
Ci sono capitati alcuni episodi di voyeurismo, in situazioni diverse: uno mentre stavamo in camera, uno in spiaggia ed uno, più sottile, in discoteca.
Colazione in camera
Per fare una sorpresa a Francesca, sapendo della sua necessità di dormire fino a tardi senza vincoli di orario quando era in vacanza, mi ero premurato di ordinare la colazione in camera in modo da evitare di andare entro le dieci al ristorante, ed avevo richiesto di portarmela non prima delle dieci.
Giacché il condizionatore non funzionava ed era già caldo, dormimmo con la porta aperta. Sempre per il caldo, avevamo dormito nudi fuori delle lenzuola, in quando con il caldo umido anche la minima copertura era generatrice di sudate. Non ci astenemmo dal fare del buon sesso prima di addormentarci entrambi a 4 di bastoni. La luce del giorno ed un po’ d’aria mi svegliarono verso le nove del mattino. Vedere Francesca nuda, a gambe larghe, le piccole labbra umide e beanti tra le grandi labbra gonfie di eccitazione provocò un attacco di libidine irrefrenabile. Mi inginocchiai tra le sue gambe e la baciai sulla passera leccandola delicatamente. Francesca si riscosse, iniziò ad ansimare, prese la mia testa con le mani e me la spinse verso il clitoride a cui mi dedicai mentre grugniva di piacere.
“Buongiorno amore!” le dissi tra una leccata e l’altra.
“Buongiorno un cazzo! Ora mi scopi per bene e mi fai venire!” mi rispose a metà tra l’incazzato e l’infoiato.
Non me lo feci ripetere due volte, mi gettai su di lei, lo appizzai contro la sua vagina e, dopo essere stato guidato dalla sua mano, entrai facilmente tanto era bagnata.
Iniziai a pomparla con intensità, quasi con violenza. Volevo sentirla godere ed urlare, tanto eravamo da soli.
Almeno così credevo.
Durammo poco entrambi. Francesca venne squirtando e bagnò tutte le lenzuola, io appresso a lei con tre o quattro intensi getti. Mi sfilai e mi misi seduto ad osservare il rivoletto di sperma che le usciva dall’orifizio mescolandosi alle gocce di liquido trasparente appena emesso, con il mio membro ancora eretto in bella vista.
Ehm! Qualcuno si raschiò la gola alla porta.
Era completamente aperta verso l’esterno, eravamo separati dal fuori solo da una zanzariera assolutamente trasparente.
Un ragazzo di una ventina d’anni con il vassoio della colazione in mano si appalesò davanti alla porta-finestra. Noi eravamo in contro luce, lui a favore. Impossibile che non ci avesse visto. Fece finta di nulla, poi si girò e poggiò il vassoio sul muretto fuori della stanza. “Lascio qui, poi passo a riprendere il vassoio. Scusate” ci disse.
Francesca ed io ci guardammo e sbottammo a ridere.
“Ci avrà visto?” mi chiese.
“E anche se fosse? Buon per lui!” risposi.
“Ma pensi che ci abbia visto mentre scopavamo?” ribadì.
“Anche fosse, ha visto il mio culo. E si, ha visto te che ti facevi scopare da me. Direi che non è un problema, no?” aggiunsi minimizzando.
“Tanto, oramai la cosa è successa. Inutile piangerci su, anche perché, alla fin fine, mica stavamo facendo nulla di male, no?” dissi abbracciandola e baciandola.
“Piuttosto, buongiorno amore!” le dissi.
Poi mi alzai dal letto, uscii nel terrazzino nudo così com’ero e presi il vassoio della colazione che poggiai poi sul letto.
“Dai, facciamo colazione” le dissi e mi misi accanto a lei. Passammo una mezz’oretta a smangiucchiare mentre chiamavamo mia mamma a cui avevamo lasciato i figli, a tranquillizzarli “Ma quando tornate te e mamma? Presto amore mio!”.
Terminammo di sbriciolare sul letto, ma comunque riuscimmo a rovesciare una mezza tazza di cappuccino, fortunatamente a coprire la macchia della deiezione di Francesca di poco prima. Mi alzai allora per poggiare di nuovo il vassoio fuori del bungalow.
Poi rientrai dentro e mi buttai a pancia in su sul letto mentre Francesca era andata in bagno.
Attesi che uscisse, e nel frattempo mi trovai a pensare al fatto che il ragazzo di certo aveva visto Francesca a gambe larghe, così come mi trovavo io in quel momento. Una lieve eccitazione mi attraversò il corpo come una scarica elettrica e mi toccai il pisello che subito rispose con un’erezione.
Francesca rientrò in camera in quel momento e vide il mio stato.
“È già pronto, vedo!” mi disse facendo l’occhiolino ed indicando il mio pisello.
“Sempre pronto per te, lo sai” risposi sorridendole e sperando in un trattamento speciale, cosa che fece subito. Si mise in ginocchio sul letto in mezzo alle mie gambe e si chinò su di me, iniziando a leccarmi.
Mugolai di piacere mentre con gli occhi chiusi mi gustavo quel lavoretto.
Poi sentii un rumore fuori, aprii gli occhi e vidi un’ombra fugace scomparire dietro la porta esterna.
Senza far capire nulla a Francesca, che ignara continuava a leccarmi e a succhiarmi come se niente fosse, mi concentrai sui rumori e sull’ombra che vedevo proiettata a terra. Poi, lentamente, dal bordo della finestra fece capolino una testa, poi la fronte ed infine gli occhi. Per un attimo i nostri sguardi si incrociarono.
Non so perché, ma in quel momento mi scappò un occhiolino di accondiscendenza.
Presi con la mano la testa di Francesca e la spinsi ad ingoiare per bene il mio cazzo, ed iniziai a scoparla in bocca sempre più in giù. Lei soffocava conati di vomito ma non si ritraeva. Dopo una decina di pompate in gola, si tirò su e si mise a cavalcioni su di me, prese il mio membro e se lo appoggiò al buchetto del culo, iniziativa che peraltro prendeva raramente e solo quando era particolarmente eccitata e vogliosa.
Iniziai allora a spingere per entrare mentre lei si allargava le natiche con entrambe le mani. Poi, con un movimento secco del suo bacino lo prese tutto dentro fino alla radice. Lentamente cominciammo a muoverci, io a spingere da sotto, lei a prenderlo da sopra, accelerando man mano ritmo ed intensità.
Un altro rumore, stavolta più forte, richiamò l’attenzione di entrambi.
Francesca si voltò di scatto e vide, come me, il ragazzo che con una mano reggeva il vassoio della colazione e con l’altra si toccava il pisello da fuori i pantaloncini.
“Io…scusate…ero qui per… ho preso…si… il vassoio…scusate… scusate… buon giorno” e fuggì via.
Francesca si sfilò subito e mi chiese: “Te ne eri accorto, vero?”
Annuii e lei mi tirò uno schiaffetto sul viso.
“Sei un porco. Ora che cosa penseranno di noi quando andremo a pranzo?” mi disse.
“Di te che sei porca ed hai un gran bel culo, di me che sono un uomo fortunato ad avere una moglie così bella e porca” risposi abbracciandola e baciandola.
Ci preparammo per andare in spiaggia ed uscimmo, giusto in tempo per incontrare le signore delle pulizie.
“Voi siete quelli del bungalow 132, giusto?” ci chiese.
“Si, scusi, abbiamo fatto tardi” rispose mia moglie. “Tutta colpa di mio marito che è molto stanco e voleva riposare stamattina” aggiunse con una faccia tosta come poche volte le avevo visto.
“Pensi che è talmente stanco che ha versato la tazza del caffellatte sul letto. Io ho cercato di pulire lenzuola e materasso con l’acqua, ma le lenzuola sono da cambiare ed il materasso è ancora un po’ bagnato…” continuò indicandomi come se volesse dire “Eh lo so, mio marito è un disastro!”.
Tacqui e mi trattenei dal buttarla di sotto sulle rocce sottostanti, ma le detti un pizzico sul culo subito dopo.
“Ahi!”
“Così impari a dire cazzate”
“E cosa avrei dovuto dire? Mio marito mi ha fatto schizzare e ho sporcato tutto. Colpa sua!”?
Giurai che gliela avrei fatta pagare, mentre mi concentravo ad osservarle ed ammirarle il culo appena coperto da un bikini ridottissimo che traspariva sotto il camicione di organza indossato come copricostume.
I guardoni
Come detto, la spiaggia si estendeva verso sud per oltre un chilometro.
Scesi in spiaggia, andai in perlustrazione (mi piaceva passeggiare e osservare le tette delle donne, erano i tempi del topless selvaggio, almeno lì) ed arrivai alle calette formate dalla falesia dette Scissure ove notai una discreta presenza di nudisti, per lo più uomini, alcuni dei quali al mio arrivo si alzarono in piedi ed iniziarono a masturbarsi. Tornai indietro e decisi di tornarci con Francesca, volevo sfrucugliarla un po’.
Francesca stava prendendo il sole sul lettino, il seno nudo un po’ calante, purtroppo non più quello della ragazza che avevo conosciuto una decina di anni prima, ma ancora piacevole da guardare e, garantisco, da toccare e ciucciare. Sotto indossava lo slip minuscolo che le avevo visto mettere prima e che avevo notato trasparire dal copricostume. Su di lei, faceva un effetto meraviglioso, inquadrandole il pube ed evidenziando il suo ventre piatto e tonico nonostante le due gravidanze e la quarantina passata.
La convinsi ad alzarsi dal lettino e le dissi: “Dai andiamo a fare una passeggiata assieme: più avanti è molto più bello di qui”, anche perchè in effetti in quegli anni l’erosione aveva quasi cancellato la spiaggia lasciando solo uno stretto letto di sabbia e ciottoli.
Si rimise il reggiseno e si legò un pareo alla vita.
“Prendo le ciabatte?” mi chiese.
“No, non serve, è tutta sabbia fino alle rocce, ma poi si può andare in acqua”
“Ma tu ci sei già stato?”
“No, però ho visto da lontano che era bellissimo e ho deciso di andarci con te!” (bugia!!!).
Camminammo per circa 15 minuti fino ad arrivare alle prime rocce. Davanti a noi, a dieci/quindici metri, c’era un’altra coppia con lei in topless e lui con un perizoma giallo che provocò l’ilarità e la bocciatura di Francesca “Io con quel culo flaccido eviterei di mettermi un perizoma, soprattutto fossi un uomo!”.
Francesca sapeva della spiaggia nudisti, ne avevamo sentito parlare da amici caietani che ci avevano ospitato l’anno precedente per un week end, per cui non si sorprese a vedere i primi uomini nudi in prossimità delle rocce.
Dopo qualche minuto sentiamo una voce ansimare e borbottare, ci giriamo e vediamo un uomo con occhiali da vista in celluloide, camicia a maniche corte, cravatta stretta, pantaloni lunghi e mocassini e valigetta 24 ore in mano che si affrettava sbuffando verso le rocce della scogliera. Ci guardammo stupiti mentre ci sorpassava chiedendo strada lungo il percorso obbligato tra le rocce, e sbottammo a ridere. Scomparve dalla vista poco dopo.
Avevo già notato come un po’ di persone si stessero iniziando ad agitare osservando noi e l’altra coppia che stavamo percorrendo il sentiero a mare in cerca di un posto dove stendersi a prendere il sole ed a fare il bagno.
La coppia davanti a noi si arrestò alla prima piccola caletta con una grossa roccia piatta e si sistemò lì. Noi andammo un po’ più avanti e ci fermammo dopo una ventina di metri, in un’insenatura più ampia, con spiaggia e comodo accesso all’acqua e rocce strategiche a coprirci ed isolarci da dietro.
Ci sistemammo ed io come prima cosa mi tolsi il port-cros, rimanendo nudo. Francesca mi guardò di sottecchi e mi chiese: “Che intenzioni hai?”
“Nulla, solo prendere un po’ di sole e fare il bagno nudo. Si può?” ribattei polemicamente.
“Fai come ti pare” mi rispose. Si slacciò il pareo, lo stese sulla sabbia accanto alla roccia, si tolse il reggiseno e si sdraiò a pancia in su, ginocchia raccolte e gambe aperte in direzione mare.
“Io vado in acqua!” e mi buttai in mare, feci un paio di bracciate ma appena superate le rocce l’acqua era gelida e decisi di tornare verso riva. Mi misi quindi seduto in acqua con le spalle coperte guardando verso mia moglie, quando mi accorsi che, nel breve momento in cui mi ero allontanato, al massimo tre minuti, s’era formata una colonia di pinguini guardoni (così da me definiti perché sulle rocce si muovevano come i pinguini sull’isola degli Elefanti in Antartide), per lo più con il pisello in mano. Erano circa una mezza dozzina nell’arco di una decina di metri.
Ero tentato di lasciare le cose come stavano, ma il numero di persone che si stavano masturbando stava crescendo. Erano circa una dozzina quando arrivò “l’uomo con la valigetta” che ci aveva poco prima sorpassato. Si fermò a tre o quattro metri da Francesca, aprì la valigetta, si spogliò nudo, piegò tutte le sue cose che ripose diligentemente nella 24 ore, la richiuse e rimase lì con il pisello in mano, proprio di fronte a Francesca che non si era ancora accorta di nulla.
Uscii dall’acqua velocemente ed altrettanto velocemente la maggior parte dei pinguini sparirono dietro le rocce. Ne rimasero solo due o tre, oltre all’uomo con la valigetta.
Andai ancora grondante da Francesca, ripresi il costume e lo rimisi.
“Fra, abbiamo compagnia!” le sussurrai.
Lei aprì gli occhi e si accorse delle due persone che la osservavano da relativamente vicino, entrambi con il pisello in mano. Si alzò di botto, si rimise di corsa il reggiseno, tirò su il pareo ed esclamò: “Sei uno stronzo! Potevi dirmelo prima, no? Dimmelo che lo hai fatto apposta” indicando i due.
Quello più indietro sparì in un battibaleno, rimase solo quello con la valigetta ai piedi, ancora con il pisello in mano come se non fosse successo nulla.
“E tu non gli dici niente a questo porco?” mi disse incazzata Francesca.
La presi per un braccio e la guidai verso il sentiero che ci riportava indietro.
Mi voltai pensando di essere seguito e mi accorsi che “l’uomo con la valigetta” aveva riaperto la sua 24 ore e si stava rivestendo. Era assurdo!
Tornammo indietro verso la spiaggia e percorremmo la spiaggetta nella quale si era sistemata la coppietta con l’uomo in perizoma giallo.
Mentre osservavo, mi accorsi che i guardoni si erano spostati sulle rocce dietro di loro ed attendevano l’evolvere della situazione.
Superammo la punta che separava la spiaggetta dalla spiaggia normale e dissi a Francesca:
“Andiamo a fare il bagno qui. Lascia il pareo, tanto non lo tocca nessuno”.
Francesca annuì ed accettò. Stemmo qualche minuto a bagno, stranamente l’acqua era molto più calda rispetto alla caletta delle Scissure, poi al momento di uscire ci accorgemmo che “l’uomo con la valigetta” si era fermato lì, a rispettosa distanza dal pareo di Francesca, e aveva riaperto la valigetta ed iniziato a rispogliarsi.
Era troppo per Francesca. Si liberò dal mio abbraccio e tagliò in diagonale verso la spiaggia, lontano dalla roccia su cui aveva poggiato il pareo dritta verso l’area più affollata.
“Vai tu a prendere il pareo. Se no a quello gli meno!” mi urlò mentre si allontanava spostandosi nell’acqua a passi più lunghi e rapidi possibile.
Quando mi videro arrivare decisamente seccato, i due sopra le rocce sparirono all’istante. Andai alla roccia per prendere il pareo, lo scossi con violenza per togliere la sabbia e mi girai di scatto verso “l’uomo con la valigetta” che, già nudo, la prese con entrambe le mani e se la sollevò a mo’ di scudo a protezione di un possibile gesto aggressivo da parte mia.
Scossi la testa, mi girai e raggiunsi Francesca, lasciando il tizio ancora con la valigetta alzata.
“Ti rendi conto di dove mi hai portato?” mi chiese incazzata. “Abbiamo due figli. E se ci ammazzavano?”
La tranquillizzai.
In effetti, i pinguini non sembravano pericolosi, ma … hai visto mai. Magari si avvicinavano ulteriormente, infastidendoci e provocando una reazione che sarebbe potuta risultare controproducente. Ma il fatto che fossero spariti al primo sentore di pericolo, mi faceva pensare che non avremmo avuto problemi.
Spiegai invece a mia moglie, sorridendo, che l’uomo con la valigetta era sicuramente innocuo e le raccontai della sua reazione al mio gesto, curiosa come tutto il personaggio.
Era di certo disturbato, tant’è che lo ritrovammo un’oretta dopo, perfettamente vestito, camminare lungo la spiaggia davanti all’Aeneas Landing mentre noi mangiavamo sotto un gazebo.
In discoteca
Il resort ai tempi aveva una discoteca a cui si accedeva da dentro il sito, aperta anche agli esterni.
Il maître ci aveva spiegato che quella sera c’era un evento importante, la proclamazione di miss Gaeta per le selezioni di Miss Italia e che avrebbero partecipato molte persone importanti, per cui era gradito un abbigliamento elegante.
Per fortuna, avevo pianificato di andare a trovare un vecchio amico, ex Vice Comandante del Porto di Gaeta, che voleva presentarci la sua seconda moglie (anche se in realtà voleva che Francesca facesse un rapido assessment sulla situazione estetica della signorina che aveva richiesto il rifacimento di seno, naso e orecchie) e mi ero portato per l’occasione giacca e cravatta.
Francesca ne approfittò e mi trascinò in almeno metà delle mille mila boutique del centro storico di Gaeta ove alla fine comprò solo un paio di sandali gioiello con il tacco altissimo ed un top nero con scollo all’americana che aveva preso tirandolo fuori dal mucchio senza provarlo. Mentre tornavamo indietro, si bloccò di fronte alla vetrina di una oreficeria artigianale, rapita da un collare d’argento in parte ricoperto in foglia d’oro che era abbinato a due bracciali alti da applicare sopra i bicipiti, anch’essi in argento e foglia d’oro, con gli stessi motivi.
Si avvicinò e strusciandosi a me come una gatta mi morse un orecchio mentre sussurrava: “Se me li regali, stasera ti mostro tutta la mia gratitudine”. La cosa provocò due effetti contemporanei: un’erezione selvaggia ed evidente, vista la mia abitudine di andare in giro “commando” soprattutto d’estate, e l’ingresso immediato nella oreficeria chiedendo il prezzo.
Mi aspettavo una cifra importante, invece me la cavai solo, façon de parler, con circa un milione. Ma nulla in confronto alla muta promessa di Francesca di dedicarmi una notte di divertimento.
Aggiunsi un paio di orecchini en pendant che avevano lo stesso motivo, ma che Francesca volle regalarsi. Tornammo giusto per cena, poi rientrammo nel bungalow per prepararci. La serata iniziava alle dieci ma sapevamo che prima di mezzanotte non sarebbe successo nulla, per cui ci prendemmo tutto il tempo necessario a prepararci.
Francesca mi precedette in doccia mentre approfittavo dell’aria piacevole in terrazzino per farmi la barba con il rasoio elettrico. Il terrazzo era in realtà una piazzola dedicata al nostro bungalow al quale si accedeva tramite una rampa di pochi scalini. Era abbastanza isolato, e l’assenza di illuminazione alta, sostituita da soli marcapasso e lampioncini bassi, rendeva quasi impossibile distinguere nel buio le figure. Ero pertanto comodamente nudo sulla seggiola da regista fuori della stanza quando mi alzai per entrare. In quel momento Francesca accese la luce della stanza che illuminò perfettamente la mia figura, evidenziando la mia nudità proprio mentre passava una coppia di persone coetanee che avevo già intravisto a cena e che alloggiavano qualche bungalow più in su di noi.
Mi ritirai immediatamente dentro la camera per non dare l’impressione di volermi esibire ma mi resi conto che la signora aveva buttato l’occhio e continuava ad osservare verso la finestra.
“Che è successo?” mi chiese Fra.
“Nulla, quando hai acceso la luce stava passando quella coppia che era al tavolo vicino al nostro a cena.”
“Ah si, la signora è una estetista di Napoli, lui fa l’avvocato” mi rispose. Come facesse a sapere, era un mistero.
“E allora?”
“Allora nulla, mi ha visto nudo!” risposi.
“Così impari a stare sempre col pisello di fuori.”
Si avvicinò, lo prese in mano, gli diede un bacino in punta e disse “Dì al tuo padrone che io sono gelosa che lui lo mostri a tutte… devi stare coperto” e mi coprì il pacco con entrambe le mani.
Mi avvicinai al suo corpo per restituirle le attenzioni ma lei si divincolò: “Vattene a fare la doccia, dai che poi è tardi. Hai visto i vicini che sono già andati?” mi disse.
Effettivamente erano già quasi le undici e dovevo ancora lavarmi.
Entrai in doccia e feci le dovute abluzioni, poi presi il rasoio trilama da donna che usavo di solito per depilarmi pube, inguine e genitali quando non potevo andare dall’estetista. Viste le premesse, una buona levigata all’attrezzo non avrebbe fatto male…
Uscii da bagno totalmente nudo mentre frizionavo la mia testa con l’asciugamano. Non vidi pertanto Francesca che si stava vestendo.
Aveva infilato il top con lo scollo all’americana e indossato il collare che le avevo regalato, che le slanciava e snelliva ulteriormente il collo. Alle braccia aveva i due bracciali con lo stesso motivo del collare e stava chiudendo uno dei due orecchini uguali che si era comprata.
Sotto non aveva nulla se non uno dei suoi striminziti perizoma string in tulle nero, un triangolo microscopico tenuto bassissimo sui fianchi.
“Esci così?” le chiesi.
“Si, andiamo” e aprì la porta uscendo sul pianerottolo.
“Beh, meglio di no. Non vorrei che ai vecchietti dell’ombrellone accanto al nostro venisse un colpo” disse rientrando.
“A parte le battute, cosa pensi di metterti?” le chiesi.
Sapevo che si era portato un cambio elegante, ma immaginavo che lo avrebbe tenuto per l’indomani per la cena con il mio amico ed ex-compagno di corso in Accademia Navale.
“Guarda, ho pensato di mettermi questo” e tirò fuori dal trolley un pareo fantasia con i colori del blu e del nero che non le avevo mai visto.
Se lo mise attorno alla vita annodandolo davanti poco sopra il pube, lasciandole scoperta completamente la pancia per buoni venti centimetri sotto l’ombelico. Era allacciato in modo da far cadere l’apertura all’altezza della gamba destra, alla cui caviglia aveva allacciato una cavigliera in catenella di argento e oro, anch’essa en pendant con collare, bracciali ed orecchini.
“Che ne dici?” mi chiese facendo una piroetta provocando l’apertura fino all’inguine del pareo.
“Ti si vedono le mutande” dissi scherzando, accennando al fatto che con la piroetta aveva mostrato tutto.
“Hai ragione. Ora le tolgo” e se le sfilò con un gesto rapido ed elegante, facendole scorrere lungo le gambe e sfilando uno alla volta i piedi che già calzavano i sandali gioiello. Poi si chinò, le raccolse e me le passò sul naso e sulla bocca facendomi notare che erano già umidicce.
“Amore, ma io dicevo per scherzo, è ovvio che ti si vedano le mutande se ti si apre lo spacco fino a lì. Perché non metti una spilla da balia o qualcosa del genere?” le chiesi.
“Shh…” mi disse appoggiandomi il dito sulle labbra mentre sollevava il piede destro indietro.
“Ma … vai così?”
“Si, stasera mi va così” e mi mise a posto il nodo alla cravatta che avevo indossato su una camicia di lino.
“No, senza cravatta tu. Vai bene così” e dopo avermela tolta, mi slacciò tre bottoni oltre al colletto, infilò la mano accarezzandomi sul petto e poi mi pizzicò il capezzolo.
“Ahi… ma sei matta?”
“No, ho voglia di divertirmi stasera. Ma la do solo a te, ricordati” mi rispose, seria.
Uscimmo dal bungalow giusto in tempo per incontrare la coppia di vicini di ombrellone, lui sui 75, lei qualcuno di meno. Nonostante il buio, squadrarono mia moglie osservandone l’abbigliamento. La signora indicò il collare ed i bracciali e le disse “Bellissimo, le sta d’incanto. Lei è una donna stupenda e di classe. Complimenti!” generando un sorriso di compiacimento in Francesca.
Salutammo e proseguimmo. Dopo qualche metro mi girai e notai che il signore era rimasto lì, a bocca aperta, a cercare di guardare la mia dea. “Antonio! Allora, che fai? E chiudi quella bocca che si riempie di zanzare e moscerini!” gli disse la moglie mentre tornava a riprenderlo per la mano come un bambino capriccioso.
Arrivammo alla discoteca. Pagai il biglietto ridotto in quanto ospite del resort e mi recai con mia moglie al bancone per prendere da bere. “Un Margarita per me ed un Negroni per la signora” chiesi al barman mentre Francesca si accomodava su uno degli sgabelli alti sedendo con la destra ed appoggiando la sinistra. Il telo del pareo era strategicamente piazzato a copertura del pube, ma un attento osservatore avrebbe notato l’assenza di slip in quanto il fianco era completamente sgombro da lacci e fianchetti se non per il pareo stesso.
Dopo un paio di minuti ci porsero i bicchieri e si appalesò il maître che ci invitò, quasi fossimo gli ospiti d’onore, ad accomodarci nel salottino-privé destinato alle autorità ed ai vip locali, assieme alla giuria, ai sindaci di Terracina, Gaeta e Formia e ad un noto politico locale, eletto senatore a Fondi, di cui si narrava fosse il sugar-daddy di una delle candidate miss, coetanea e compagna di scuola di sua figlia.
Francesca si sedette con molta circospezione cercando di tenere la gonna chiusa il più possibile, ma il pareo faceva un po’ i capricci ricadendo a destra e a sinistra e mostrando tutto lo stacco delle cosce di mia moglie che cercava di coprirsi, a quanto pare con poco successo, con la borsetta.
Finalmente, terminata la premiazione della Miss da parte del senatore suo Sugar-Daddy, il DJ diede fuoco alle micce e circa verso la mezzanotte iniziò con “Blue” di Eiffel 65, brano travolgente che fece scattare in piedi Francesca che mi prese per mano e mi trascinò in pista a ballare. Fummo raggiunti dai nostri vicini di tavolo a cena, che si unirono a noi. “Possiamo? Vi disturbiamo?” mi chiese lei, mentre suo marito squadrava con attenzione il seno di mia moglie sotto il top che, illuminato dalla lampada blu e dalla luce bianchissima del flash strobo, appariva molto trasparente, mostrando il seno un po’ calato e svuotato, causa allattamento, di Francesca.
La signora indossava un paio di jeans a vita bassissima ed un top a canottiera, anche lei senza reggiseno visto che si vedeva ballonzolare al ritmo della musica. Parlare con la musica era impossibile, ma feci un cenno di assenso ed entrambi si accostarono, lui a mia moglie e la signora davanti a me. Aveva la vita talmente bassa che durante i movimenti di bacino il pube si scopriva quasi del tutto mostrando una strisciolina scura. Quando si voltò ondeggiando con il culo, mi resi conto che non indossava nessun tipo di slip e che quindi la strisciolina scura poteva essere solo il ciuffetto di pelo.
Il DJ mise ancora un altro paio di brani commerciali dance e passò alla musica elettronica tutta basso, cassa e sintetizzatore, giocando con gli effetti sonori, la voce e le luci.
Era un po’ troppo per noi e ci spostammo verso il bar per bere qualcosa, seguiti subito dall’altra coppia.
“Permettete? Sono Giovanni S. e questa è mia moglie Michela. Noi siamo di Napoli e voi?” si presentarono porgendoci la mano.
“Io sono Paolo CS e lei è mia moglie Francesca. Noi siamo di Roma” risposi mentre ci stringevamo reciprocamente le mani.
Iniziò una conversazione quasi banale, basata sui figli (anche loro due, poco più piccoli dei nostri), del lavoro (avvocato e estetista), del tempo, della salute, del governo, delle tasse.
Quando Francesca raccontò di essere un chirurgo estetico, esperta in plastica e protesica mammaria, a Michela si illuminarono gli occhi. Prese i suoi seni attraverso il top e li portò in alto cercando di far intuire dimensione e volumi e chiese sfacciatamente: “Ma per avere una quarta comm’aDio commanda, c’aggio affà?” mentre guardava il marito con riprovazione.
“Pecchè stu’fetente del marito mio m’aggia ditt «Patrì, chist’è ‘nu caso disperato, serve ‘nu gommista, no ‘nu chirurgo»” generando una risata sincera da parte nostra.
“No Michela, non serve un gommista. Solo che una quarta secondo me ti starebbe male. Il seno è come un bel vestito, deve caderti bene addosso, a prescindere dalla stoffa. E addosso a te, vedrei al massimo una terza, ma credo che una bella seconda soda con forme naturali starebbe molto meglio o, come dite voi, «meglio assai»” rispose Francesca con tono leggero ma professionale.
“Oh Francesca, sapessi che piacere che mi fai. Io non la voglio tettona, a mia moglie. A me piacerebbe che tornasse quella bella guagliona che era da fidanzata, con due zinne che erano due sassi…ops!” e mise la mano davanti alla bocca quasi a scusarsi dell’affermazione.
“Se vuoi, ti lascio il numero di telefono della mia segretaria e prendi un appuntamento, così possiamo fare una visita e ti faccio un preventivo, senza impegno, eh? Ah, e non devi pagare nulla, capito?” le disse.
Si scambiarono i numeri e Francesca, per rimettere il telefonino in borsa, inavvertitamente aprì il pareo mostrando a me ed a Michela la sua vagina completamente depilata.
“Mi accompagni al bagno, Francesca” chiese Michela prendendola per mano. Francesca mi guardò come per dire «ma che vuole mo’ questa?» e si lasciò trascinare verso le toilette. Nel frattempo feci il gesto di pagare per noi e per l’altra coppia ma il barista mi rispose: “No, dottore, voi non dovete niente, ha già pensato l’avvocato” indicando il mio vicino.
“Giovanni ma perché?”
“Ma dai, per così poco! E poi, mi fa piacere avervi incontrato, siete l’unica coppia nostra coetanea: o sono ragazzetti, o vecchi pensionati!” rispose facendo un gesto ad indicare la fauna nel locale, decisamente più giovane di noi.
Mentre attendevamo il ritorno delle nostre mogli, ci mettemmo a chiacchierare dell’unico argomento alternativo a donne e politica: il calcio.
Giovanni confessò di essere un timido tifoso della Juventus (“Ma come, un Napoletano doc che tifa per la Juve? «San Gennaro, San Gennaro mettigli ‘a mana ncopp’ a capa e facitilo guarire a chisto poveretto»” provai con il mio miglior napoletano. Il risultato fu sicuramente positivo perché si fece una grossa risata e si complimentò.
“Ma sicuro che non sei di Napoli, Paolo?” mi chiese.
“No, è che adoro il dialetto napoletano e la napoletanità. Peraltro trovo che la descrizione migliore di Napoli e della sua essenza l’abbiano data non Giuseppe Marotta, Eduardo De Filippo o Totò, ma Luciano De Crescenzo in «Così parlò Bellavista». Ha saputo descrivere aspetti della vera napoletanità, non delle macchiette di Totò o dei ritratti tristi e un po’ drammatici dei personaggi in Filomena Marturano o Natale in casa Cupiello.”
“Paolo, mi complimento. Sembra che conosca molto meglio te la mia gente che non tanti napoletani che frequento!” mi disse, dandomi un buffetto sulla mia coscia.
In quel momento ricomparvero Francesca e Michela.
L’estetista napoletana sembrava accaldata e un po’ agitata.
“Tutto a posto, Fra?” chiesi a mia moglie che stava sostenendo per il braccio la donna.
“Si, è che Michela ha preso una congestione e credo debba andare in camera” mi rispose, facendo un cenno a Giovanni perché la accompagnasse.
Il marito prese sotto braccio la moglie e si avviò subito verso l’uscita. Si girò subito dopo “Ma Francesca, Paolo, perché non ci accompagnate? Noi abbiamo una suite e c’è una sorta di gazebo sul terrazzino davanti” ci disse.
Guardai Francesca con sguardo interrogativo e lessi nei suoi occhi un senso di approvazione, del tipo «Ma si, tanto qui non è che mi diverta un gran che».
Ci accodammo pertanto ai due seguendoli passo passo, facendoci guidare verso la loro suite.
Dopo pochi metri e qualche scalino, arrivammo alla piazzola nella quale era montato un gazebo arredato con un tavolino e due divanetti uno di fronte all’altro.
“Io approfitto per andarmi a cambiare, mi tolgo questi pantaloni che mi danno fastidio. Giovanni, fai tu gli onori di casa. Anzi, chiama a Pasquale, il mettr e dicigli di portare una bottiglia di sciampagna” suggerì Michela.
“Ma dai, non credo sia il caso, mica fanno questi servizi, a quest’ora” disse Francesca.
“Isso è compare a sorema. Patreme è accussì co’ patre suo” rispose facendo il gesto di unire i due indici di lato.
“Mia moglie intende dire che il maître, Tommaso, è il testimone di mia cognata ed i loro padri sono amici intimi. In effetti, noi siamo qui perché conosciamo lui” intervenne Giovanni traducendo e spiegando. Entrò in stanza e di certo chiamò la reception facendosi passare la discoteca perché lo sentii chiedere, peraltro con molta gentilezza, se poteva mandare un ragazzo con una bottiglia e quattro calici.
Uscì dalla porta finestra sorridente e aggiunse “Tutto a posto, amore. Ora ce la portano”.
Michela si ritirò un momento mentre mia moglie ed io ci accomodavamo sul divanetto fronte mare.
Francesca si accese una sigaretta e nello spostarsi per poggiare la pochette sul tavolino fece un movimento per cui il pareo le si aprì davanti mostrando tutto. Giovanni fece finta di non accorgersene impegnato com’era a leggere qualcosa sul cellulare, ma sono certo che avesse buttato più di un occhio a quel che c’era in mezzo alle gambe aperte di mia moglie. Anche lei se ne accorse ma, contrariamente a quanto mi sarei aspettato, non fece nulla per coprirsi. Il nostro ospite continuò a far finta di nulla ma si notava come si forzasse a non guardare.
“Eccomi, di cosa stavate parlando?” disse ad alta voce Michela mentre ritornava in terrazzo. Si era cambiata, i jeans a vita bassa avevano lasciato il posto ad un caftano di cotonina leggerissima, quasi trasparente. Era evidente che non indossava reggiseno di sorta perché la stoffa disegnava perfettamente il profilo dei capezzoli e delle areole. In più, era portato con la scollatura completamente slacciata e tenuta aperta a mostrare il solco fino allo stomaco e parte dei seni, peraltro abbronzati. Si appropinquò a sedere di fronte a me, accanto a suo marito, e mentre passava non potei non fare a meno di notare, sempre grazie alla trasparenza del tessuto, che anche lei non portava slip di sorta; attraverso il vestito difatti si notavano la macchia scura del pube e la fessura della vagina.
Quando si mise a sedere, anche il suo sguardo fu calamitato dall’inguine scoperto di mia moglie. Credevo che stesse per segnalarglielo, immaginando che non se ne fosse accorta, ma poi si bloccò come se ci avesse ripensato. Poi si rialzò un po’ e mentre tirava su la veste verso le ginocchia disse: “Certo che stasera fa un caldo da morire!” sollevando il bordo del caftano come per sventolarsi e mostrandomi così tutta la sua mercanzia.
“Signò, ho portato la bottija che m’ha detto Tommaso… ‘ndo la poggio?”. Era uno dei camerieri del ristorante, probabilmente ancora in piedi a rassettare ed a pulire, che avvertito dal maître ci aveva portato una bottiglia di Ferrari, una glacette con tanto ghiaccio e quattro flutes.
Giovanni indicò il tavolo in mezzo a noi ed il ragazzo si sporse per poggiare il tutto quando fu colpito anch’egli dalla seminudità di Francesca. Stava per far cadere la bottiglia ma si riprese immediatamente dicendo “Scusa, è che quando so’ bagnate ‘ste bottije scivolano un botto!” e provocando la nostra ilarità.
Giovanni servì da bere, brindammo e chiacchierammo un po’ fino a che la bottiglia non fu vuota.
“Noi vorremmo ritirarci, Francesca è un po’ stanca!” dissi ad un certo punto.
Avevo notato l’irrequietezza di mia moglie e sapevo che c’era qualcosa che l’aveva disturbata per cui presi la palla al balzo e ci congedammo. Ci salutammo affettuosamente con baci e abbracci e promessa di stare insieme l’indomani.
Il bagno di notte
Presi per mano mia moglie e ci recammo verso il nostro bungalow, ad una cinquantina di metri di distanza.
“Mi dici che t’ha preso? Capisco che ti stessi rompendo, ma ad un certo punto proprio non t’ho capita.” le dissi mentre entravamo in camera.
“Si, mi stavo rompendo. Volevo giocare un po’, magari andare a fare il bagno nudi tutti e quattro!”
“Potevi dirlo, invece di sbuffare!” le risposi.
“E tu dovevi capire che volevo divertirmi. Se no, perché avrei lasciato la gonna aperta? Per inciso, Giovanni era visibilmente eccitato. Quando mi ha salutato, ho capito che era molto contento di avermi visto.”
“In che senso, scusa?”
“Nel senso che aveva un’erezione niente male. Mi sa che anche lui sta messo bene come te. Però deve esserci qualche problema perché Michela mi ha detto che non fanno sesso da un bel po’ e che lui non si eccita. Infatti anche lei aveva voglia di provocare, come hai visto. Ma tu hai rovinato tutto!” mi rimproverò.
Rimasi basito. Francesca voleva giocare, fare casino, ed io non avevo capito nulla.
“Vuoi che vada di corsa a dirglielo, prima che vadano a letto?” le chiesi. Non sapevo nemmeno perché avevo accettato questa situazione, ma qualcosa mi spinse a comportarmi in quel modo.
“Ti va?”
“Mi va cosa?”
“Ti va di fare il bagno e magari … giocare assieme?” mi chiese guardandomi negli occhi. Poi mi prese la mano e mi disse: “Ma prima che ti metti in testa strane idee, questo cazzo è solo mio. Chiaro?” e dicendomi queste parole mi prese con la mano l’uccello serrandolo.
“Uh…ma siamo eccitati! Allora ti va il gioco, eh? PORCO!” aggiunse ridendo.
“Dai, vai, io intanto prendo il telo da mare e ti aspetto all’angolo!” mi disse dandomi una spinta per farmi muovere.
Feci una breve corsetta scendendo i pochi scalini a due a due e poi prendendo il vialetto che portava alla suite da cui eravamo appena partiti.
Bussai e suonai alla porta e mi aprì Michela che si stava rassettando il caftano. Buttai un occhio e vidi che anche Giovanni stava riallacciandosi i pantaloni.
“Vi va di fare il bagno a mare adesso, così? Portiamoci solo un telo per asciugarci. Ok?” dissi con un po’ di fiatone.
“E Francesca?” chiese Michela alla quale si erano appena illuminati gli occhi.
“Sta arrivando. O meglio, ci aspetta all’angolo. Si è attardata a prendere il telo!” risposi.
Giovanni apparve alla porta e rispose immediatamente “Certo che si. Michè, pigli chisti dduje, raje! Facimmo ampressa ampressa!” indicando un paio di teli da mare appoggiati su una madia.
Presero le chiavi e chiusero la porta alle loro spalle lasciando la luce del terrazzo accesa.
“La luce!” disse Giovanni
“E chi se ne fotte, alla luce! Iamme!” rispose Michela.
Trenta secondi dopo ci incontrammo con Francesca e scendemmo in spiaggia.
Era una notte limpida, la luna quasi piena era già alta in cielo verso est e si rifletteva sul mare nero e calmo. C’era qualche faretto basso che rischiarava il vialetto di accesso al ristorante e qualche luce attorno alla piscina di acqua naturale sopra la spiaggia.
Ci appoggiammo al primo ombrellone con i lettini che incontrammo, proprio a fianco della scala di accesso alla spiaggia, e poggiammo i teli.
“Allora ci spogliamo? Nudi, eh?” dissi come per mettere in chiaro la cosa.
“E certo! E se no che stiamo a fare qui?” rispose Giovanni.
Francesca si slacciò il pareo e si sfilò il top rimanendo nuda.
A sua volta Michela si sfilò il caftano dalla testa, anch’essa rimanendo nuda.
Io mi tolsi la camicia (la giacca era rimasta a casa) e mi slacciai i pantaloni dopo aver tolto con un rapido gesto le scarpe. Francesca mi si avvicinò e aprì la patta tirandomi fuori l’uccello già gonfio e facendomi scorrere i pantaloni lungo i fianchi.
Giovanni si sedette sul lettino per sfilarsi i pantaloni e rimase a sua volta nudo.
Poi tutti e quattro, come percorsi da una scarica elettrica, corremmo verso il mare e ci gettammo in acqua.
La prima impressione era che l’acqua fosse gelida, ma poi, dopo qualche secondo, fu gradevole.
Mi avvicinai a mia moglie e l’abbracciai di spalle facendole sentire la mia erezione contro la schiena.
Lei ricambiò e, allungando una mano, mi prese il pisello scappellandolo ed iniziando una lenta masturbazione.
Io invece andai a sentire la sua vagina calda e scivolosa, e cominciai a stimolarle il clitoride.
Anche Giovanni e Michela si erano abbracciati, ma si erano stretti uno di fronte all’altro. Michela infilava la mano tra lei e Giovanni cercando il suo membro mentre lui le accarezzava un seno.
Dopo un paio di minuti iniziai a sentir freddo e mi resi conto che Francesca stava tremando.
“Noi usciamo, è troppo fredda!” dissi.
“Anche noi, troppo fredda per stare dentro!” rispose Giovanni.
Uscimmo di corsa come eravamo entrati. Mi sporsi a prendere il telo di Francesca, lo aprii e lo avvolsi attorno a lei abbracciandola, poi presi il mio e mi coprii. Nonostante il freddo, avevo ancora una buona erezione che si vedeva anche con il telo addosso.
Anche Giovanni e Michela si erano coperti con i teli, ma non mi sembrava che lui fosse eccitato, nonostante stesse strusciandosi contro la pancia della moglie mentre le frizionava la schiena.
Ci sedemmo su una coppia di lettini, Francesca ed io da un lato, Michela e Giovanni dall’altro.
“L’acqua però era bella!” dissi.
“Si, amore, era bella ma un po’ freddina!” rispose Francesca.
“Si, è vero, un po’ freddina. Però è anche vero che siamo ancora a giugno e quest’anno non ha fatto molto caldo fino ad oggi!” intervenne Michela.
“Vero! Alla fine è solo da un paio di giorni che è arrivato il caldo. Anzi, stasera fa decisamente caldo” aggiunse Giovanni aprendo il telo e rimanendo nudo.
Lo imitammo tutti e tre.
La luce della luna, una volta abituati all’oscurità circostante, rischiarava abbastanza da consentire di vedere i particolari dei nostri corpi.
Avevo notato che Michela aveva capezzoli sensibili e areole grosse, che coprivano gran parte della mammella. Una volta scoperti, forse per l’aria frizzante ma più probabilmente per l’eccitazione, i capezzoli erano irti e lunghi quasi due centimetri. Anche Francesca, che nonostante le gravidanze aveva ancora un fisico da trentenne, aveva i capezzoli eretti. Noi ometti invece eravamo in quello stato barzotto, in evidente stato di eccitazione non ancora tale da provocare una totale erezione, ma abbastanza da segnalare “ehi, se continuiamo così qualcuno dovrà prendersi cura di me”.
Pur non essendo superdotato potevo affermare, con i miei 19 cm, di essere decisamente sopra la media. Giovanni forse non era lungo quanto me, ma compensava con il diametro. La sua cappella era molto più grande della mia, già bella massiccia, e l’asta era spessa almeno un cm più della mia. Notai che Francesca osservava con attenzione in mezzo alle gambe prima Giovanni e poi Michela per poi tornare dall’uno e ritornare dall’altro.
Michela da par suo si stese all’indietro allargando le gambe e mostrando una vagina depilata sovrastata da un ciuffo sul pube. Si notavano le piccole labbra sporgenti e a “cresta di gallo”, fuoriuscenti dalle grandi labbra già gonfie di eccitazione. Rimasi un momento ad osservarla in viso mentre passava la lingua nervosamente attorno alla bocca. Notai che si era concentrata sulla vagina di Francesca che era invece completamente depilata.
“Vedo che sei una delle poche che si fa la ceretta brasiliana, oppure ti radi?” chiese.
“No no, ceretta dall’estetista. Anzi, ora la mia sta imparando un metodo con una cera dura in palline, una sorta di resina, che si mette a sciogliere e si stende con una spatolina di legno. Poi si aspetta che si freddi un po’ e la si strappa. Fa un po’ meno male della ceretta tradizionale e lascia la pelle molto più liscia” e mentre lo diceva, aprì per ben le gambe per mostrare le sue grandi labbra, anch’esse gonfie di eccitazione.
Poi Michela si concentrò su di me e notò che anch’io ero depilato.
“Ah, anche tu depilato. Ma fai da solo con il rasoio o con la crema?” mi chiese interessata.
“No, vado anch’io dall’estetista, la stessa di Francesca. Ho provato anch’io quella brasiliana” risposi prendendo inconsciamente in mano il mio pisello per toccarlo e mostrare l’assenza di peli. Inutile dire che il mio gesto riscosse grande successo in Michela che lo osservò avvicinandosi.
“Posso toccarlo per sentire come è? È un interesse professionale, ovviamente!” chiese rivolgendosi a Francesca.
“Credevo fossi interessata a sentire il risultato sulla mia pelle!” rispose con tono scherzoso ma non troppo mia moglie.
Michela allungò quindi la mano ad accarezzare pube ed asta, senza stringere.
“In effetti è molto liscio. Giova’, quando torniamo a Napoli tocca a te!” disse rivolgendosi al marito mentre me lo prese in mano e lo scappellò.
“Oh scusa!” disse mollando di colpo il mio pene. “Un gesto istintivo!” si scusò, ma tutti la prendemmo a ridere.
“Francesca, fammi sentire…” e la fece alzare ed avvicinare, facendola girare a favor di luce. Poi sollevò la mano e la passò all’interno delle cosce accarezzandole il sesso.
Francesca trasalì e si leccò le labbra.
Sia Giovanni che io avemmo subito un’erezione. Giovanni se lo prese in mano ed iniziò una lenta masturbazione. Michela si alzò in piedi e, sempre tenendo la mano sul sesso di mia moglie, le si avvicinò e sfiorò con le sue labbra prima il seno e poi la bocca. Francesca da par suo rispose prendendole le tette ed accarezzandole. Io mi spostai dietro mia moglie ed infilai il mio membro tra le sue cosce facendolo scorrere tra le sue grandi labbra fino ad arrivare a toccare la mano di Michela che si era di nuovo intrufolata lì. Senza dire nulla, la donna staccò la mano dalla fica ed iniziò ad accarezzare e poi a stringere la mia cappella che si strusciava contro il sesso di mia moglie.
Giovanni fece lo stesso, molto eccitato vista la sua grossa, nel vero senso del termine, erezione; si pose alle spalle di Michela e la penetrò da dietro mentre con una mano le accarezzava il clitoride.
Iniziammo silenziosamente a fare sesso, Francesca seduta su di me, Giovanni che impalava sua moglie.
Dopo un po’ i nostri mugolii divennero più intensi, il respiro affannato ed i movimenti più inconsulti.
Francesca venne, come spesso le accadeva, con un intenso getto di liquido trasparente che andò a bagnare un piede di Michela ed uno di Giovanni. Dopo poco, venni anch’io scaricando una robusta dose di seme dentro mia moglie. Ci seguirono Giovanni e Michela. Il loro fu un orgasmo quasi silente. Michela iniziò a masturbarsi il clitoride mentre Giovanni la penetrava sempre più forte. Poi entrambi ebbero una serie di tremiti e con un urlo soffocato Giovanni ebbe il suo orgasmo, seguito dopo poco da Michela, anch’ella scossa da tremiti.
Ci accorgemmo solo allora che, ad un paio di ombrelloni di distanza si era seduta un’altra coppia. Erano abbracciati, la mano di lui sotto la gonna di lei che a gambe larghe lo favoriva. Come si accorsero che eravamo venuti e che ci eravamo accorti della loro presenza, si alzarono e sparirono nel buio.
Traccheggiammo un po’, aspettando che uno di noi facesse la prima mossa per rompere l’imbarazzo.
Presi l’iniziativa.
“Uh, la scopata al chiaro di luna mi mancava!” dissi ridacchiando.
“E che scopata!” aggiunse Francesca. “Amore, sei il mio stallone preferito!” aggiunse prendendomi le labbra tra pollice ed indice, strizzandole e stampandoci un bacio.
“Come il preferito? Vorrai dire l’unico!” risposi fingendo stupore.
“Eh si, l’unico… Ti piace scherzare eh?” ribatté facendomi l’occhiolino.
Giovanni e Michela si guardarono sorpresi, imbarazzati a quell’uscita di Francesca.
“Tranquilli, è un nostro scherzo. Facciamo sempre così… a lei piace mettere in imbarazzo chi ci ascolta.” dissi cercando di stemperare la tensione.
“Francesca, sei una donna fantastica!” le disse Michela. “E hai la fortuna di avere un marito superdotato. Non che debba lamentarmi, eh, ma … Paolo, complimenti!” mi disse.
Io feci spallucce ed abbracciai Francesca, un gesto per far capire quanto le fossi legata.
“Michela, ti aspetto a studio. Vediamo di fare qualcosa di bello… diciamo una rinfrescatina alla carrozzeria, ok?” e la baciò sulle labbra.
Giovanni era rimasto taciturno e perplesso. Lui, a differenza mia, non era assolutamente abituato alla bisessualità latente della moglie. Annuì e si strinse a Michela, ma senza passione. Immaginai che una volta in camera, avrebbero avuto di che discutere.
Si era fatto molto tardi, erano quasi le quattro di mattina. Ci avvolgemmo i teli a mo’ di pareo, ci alzammo e ci incamminammo verso le nostre camere.
Giunti al nostro vialetto, ci salutammo con baci e abbracci.
“Ci vediamo domattina, eh!”
“Si senz’altro. A domani. E grazie di tutto!”
“Buonanotte!”
“Notte!”
L’indomani alle sette e mezza ricevetti una telefonata di mia mamma.
Sofia era caduta dal motorino del ragazzo e si era lussata una caviglia che si era gonfiata. Aveva bisogno di fare una lastra e reclamava la presenza della mamma.
Alla reception lasciammo un biglietto per Giovanni e Michela con i nostri recapiti telefonici e le scuse per essere dovuti scappare.
Li incontrammo di nuovo a Roma, Giovanni aveva accompagnato Michela da Francesca per una visita preliminare ed un consulto estetico. Raggiunsi sul tardi mia moglie, proprio mentre stavano per ripartire per Napoli.
“Tutto a posto, Giovanni?” gli chiesi.
“Insomma…” mi rispose con una smorfia.
Venni a sapere da Francesca, un paio di mesi dopo, che avevano deciso di separarsi e che Michela non avrebbe proceduto con l’intervento pianificato.
Ovviamente, non li abbiamo più né visti né sentiti.
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