Lui & Lei
La collega - Parte prima
di PaoloSC
17.05.2023 |
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Poi mi chiese se gradivo ricevere un Aufguss..."
La collegaGiorno 1 – In albergo
Era aprile del 2009.
L’azienda mi mandò per lavoro in Assia, a Bad Homburg, nel bel mezzo delle colline Taunus, immersa in boschi rigogliosi e circondata di prati verdi e curati.
L’albergo che ci ospitava aveva un piccolo centro benessere nel seminterrato, e dopo il primo giorno di lavoro particolarmente stressante e faticoso assieme ad una collega decidemmo di provare a stemperare le tensioni accumulate.
La spa offriva una sauna, un bagno turco, una vasca idromassaggio ed una serie di docce “cromatiche” oltre ad una sala relax con qualche chaise lounge e le immancabili tisane. Ovviamente, c’era lo spogliatoio.
Lo spogliatoio. Si, unico. Un solo locale per uomini e donne.
La mia collega ed io (nessuna relazione, nessun reciproco interesse) eravamo già in accappatoio con il costume da bagno, opportunamente messo in valigia perché nell’albergo c’era disponibile anche una piscina coperta, per cui non avemmo troppe remore ad entrare ed a scoprirci. Lasciammo quindi gli accappatoi nello spogliatoio ed entrammo con le ciabattine da piscina nel locale spa. All’ingresso trovammo una serie di pittogrammi che indicavano chiaramente, a prescindere dalla presenza delle scritte in tedesco, in inglese ed in francese, quali fossero le prescrizioni: obbligo di lavarsi i piedi nella vaschetta all’ingresso, divieto di girare con le proprie ciabatte ed obbligo di indossare le pattine messe a disposizione, divieto di usare cellulari e macchine fotografiche, divieto di indossare costumi.
Si, c’era un cartello con il pittogramma di un uomo ed una donna in costume da bagno sbarrati con una croce. «Bitte beachten Sie, dass Badeanzüge im Wellnesscenter nicht gestattet sind», seguito da un più chiaro avviso in inglese «Please note that swimsuits are not allowed in the wellness centre».
La mia collega ed io ci guardammo sorpresi.
“Che facciamo?” le chiesi:
“Io nulla, vado a farmi una nuotata. Io nuda non mi ci metto di certo” rispose un po’ piccata.
“Io invece mi sa che entro” le dissi.
Mi guardò con un‘aria un po’ perplessa ed un po’ di riprovazione, ma decisi di tenere il punto.
“Capisco che ti possa vergognare, e sotto un certo punto di vista ti capisco. E ti dirò che il fatto che tu non voglia mi tranquillizza. Avessi accettato, sarei stato in imbarazzo” ammisi con la massima sincerità.
Per un attimo vidi nei suoi occhi un lampo quasi maligno, poi scosse la testa e mi rispose: “Allora vai, buon divertimento. Poi mi racconti, eh?”
“Eh no, cara mia, se vuoi sapere devi entrare e vedere con i tuoi occhi”.
“Pensi che non ne abbia il coraggio?”
“No…”
Lei mi scostò dalla porta a vetri, entrò nella vaschetta, si sciacquò i piedi e si immise nella sala nella quale affacciavano sauna, bagno turco e docce ed al centro della quale troneggiava la vasca Saun. Con sua grande delusione, il centro era vuoto, non c’era nessuno.
“Ma… è vuoto! Allora ci fermiamo!” mi disse.
“Si, ma dobbiamo comunque toglierci il costume. Hai letto il cartello?” mi rispose.
Avevo già avuto un paio di esperienze in una SPA mista in Alto Adige ed immaginavo che con grande probabilità sarebbe passato un controllo. Non volevo farmi rimproverare dal crucco di turno e quindi la avvisai che mi sarei tolto comunque il costume, ma mi sarei coperto con uno dei teli piccoli messi a disposizione. Era il massimo che ero disposto a concederle visto che, mentre in Sud-Tiröl ero tra sconosciuti e la mia vena esibizionista poteva essere acquietata senza rischi, lì, in quella situazione, a fianco di una collega per la quale non provavo alcuna simpatia nemmeno lavorativa, non mi sentivo assolutamente a mio agio.
Lei nicchiò, disse “No, allora vai tu, io vado in piscina, ci vediamo a cena”, uscì dalla sala chiudendo la porta alle spalle ma poi, dopo pochi istanti, tornò indietro dicendomi: “Ok, resto, però non voglio vederti nudo, ok?” quasi volessi a tutti i costi mostrarle il mio birillo. “Machittesencula!” pensai tra me e me ma poi, preso da un palpito “politically correct” le risposi “Mia cara, non ho alcuna intenzione di mostrarmi nudo a te. Mi rendo conto che la mia nudità possa darti fastidio, ma mi piace seguire le regole. Tu peraltro puoi non accettare e andartene quando vuoi. Nessuno ti trattiene, sia chiaro.”
Politically correct, ma anche abbastanza polemico da risultare antipatico pure a me stesso.
“E poi” aggiunsi “ricordati che devi toglierti il costume anche tu!”
“Sei matto? Al massimo tolgo le spalline e lo nascondo sotto il telo”
“Fa come ti pare!” le risposi mentre uscivo dallo stanzone per rientrare nello spogliatoio a togliermi il costume: Volevo evitare di farlo davanti a lei.
“Dove vai, scusa?” mi chiese.
“A togliermi il costume. Non vorrai che lo faccia qui davanti a te, no?” le risposi piccato dopo essermi voltato ad osservarla con un’espressione seccata.
Arrossì ed annuì.
Tornai in sala indossando un telo, troppo piccolo per coprirmi tutto, che avevo serrato in vita. Mi arrivava appena a metà coscia, quando camminavo si apriva di lato e quando mi fossi seduto di certo avrei mostrato un po’ troppo, ma non avevo trovato altro oltre ad un telo da bagno lungo fino alle caviglie: troppo.
La collega mi dette il cambio entrando a sua volta nello spogliatoio. Capii che era entrata nel bagno e di certo ne approfittò perché sentii lo sciacquone. Dopo un paio di minuti ritornò con il telo da bagno che la copriva dalle ascelle alle caviglie. Le spalline del costume intero erano sparite, ma una rapida occhiata mi permise di capire che lo indossava ancora sotto il telo.
Entrammo in sauna. Io mi sedetti nella panca bassa, lontano dal braciere per gli Aufguss, ad un lato del locale, lei invece dalla parte opposta, sullo scalino più alto, quasi di fronte alla porta. Mi distesi sul telo che avevo preso e che avevo steso sulla panca, cercando di non mostrare nulla. Nella posizione in cui mi trovavo, poteva solo notare il bozzo del pube, ma cercai di minimizzare piegando la gamba in modo da nasconderle dietro di essa la mia zona genitale.
La sauna era regolata a 75 gradi, non eccessivamente alta, e dove ero io la temperatura era forse più bassa. Lei invece si trovava nella zona più calda e dopo qualche minuto la sentii sbuffare. Con la coda dell’occhio la osservai aprire il telo all’altezza dello stomaco e della pancia e cercare di staccare dalla pelle il tessuto del costume. In quel momento si aprì la porta della sauna ed apparse la Saunameisterin. Osservò prima me, che mi ero appena tirato su per vedere chi fosse, e poi la collega che era rimasta bloccata dalla sorpresa.
Disse quindi qualcosa con “Fraulein”, “nicht” e “Verboten” ma né la mia collega né io capimmo.
“Sorry, I didn’t understand what you said. In English, please” le disse.
“Madam, you can’t wear the bathsuite in the wellness center. It’s strictly forbidden” le rispose in un inglese pieno di Z e di dentali dure.
Rimase un paio di secondi scioccata, e stava per rispondere con il dito alzato quando l’addetta la prevenne ribadendo: “Vietato kostume in zauna” in uno stentatissimo italiano, per poi indicare me.
“Per favore mostra me tu non porta costume”.
Rimasi perplesso sul da farsi, era davanti a me e mi copriva dalla vista della collega per cui scostai un po’ un lembo del telo mostrandole il mio pisello.
“Ach, danke.”
Poi mi chiese se gradivo ricevere un Aufguss. Le chiesi quando e lei mi indicò una tabella nella quale erano indicati gli orari dell’attività. Ne era previsto uno dopo un’oretta circa.
Tornò quindi dalla mia collega che nel frattempo non aveva ancora metabolizzato la cosa, la prese per mano per aiutarla ad alzarsi e la invitò ad uscire.
Lei si scrollò di dosso la mano e borbottò “Non capisco il perché di queste porcate. Poi però lei è vestita!”.
“Guarda che lo fanno per motivi sanitari. I tessuti sintetici alle alte temperature favoriscono la proliferazione dei batteri.
“It depends on bacteria in synthetic fabrics at high temperatures, isn’t?” dissi rivolgendomi alla meisterin.
“Ja, it’s correct.”
“E perchè ora è vestita qui?” chiese la collega.
“Perché questa tuta è in cotone” rispose in inglese.
“Anche l’intimo?” ribadì.
“I don’t wear anything under. And the Aufguss will be provided naked” rispose.
La collega si alzò, uscì senza salutare e tornò nello spogliatoio.
Io approfittai della sua assenza per uscire e farmi una doccia nudo. Poi presi il telo e mi asciugai senza coprirmi, mentre la meisterin stava chiudendo in un sacco i teli usati che erano dentro un contenitore. Poi venne da me, mi prese di mano il mio bagnato e mi indicò la catasta di teli asciutti accanto al bagno turco.
“Questo è sporco, ora. No güt.”
Ringraziai ed entrai nel bagno turco che era pieno di una nebbia densa ed aromatizzata. Presi la doccetta, sciacquai il posto sotto di me e mi sedetti quasi in fondo.
Dopo qualche minuto si aprì la porta ed una figura si stagliò in controluce, seguita immediatamente da un’altra. Una volta entrati, si palesarono essere un uomo ed una donna, entrambi nudi, che dopo aver sciacquato il proprio sedile si disposero uno di fronte all’altro, a fianco a me. Altri secondi e la porta si aprì un’altra volta.
“Paolo?” sentii chiamare. Era la mia collega che mi cercava. Quando si accorse che non ero solo fece come un gesto di ritrosia, poi focalizzò meglio e si accorse che eravamo tutti nudi. Notai che ora indossava un telo un po’ più grande di quello che io avevo indossato fino a poco prima, chiuso al seno, che però le scopriva un’ampia porzione delle cosce arrivandole a coprire malamente i glutei.
Chiese permesso e si sedette davanti a me.
“Dovresti sciacquare la seduta con la doccetta” le dissi.
“Ma poi mi bagno il telo!”
“Non dovresti indossarlo, infatti.”
“Ma sono nuda, sotto!”
“Perché, noi come stiamo?” le rispose la ragazza accanto a me. “Non si preoccupi, signora, dopo un po’ qui ci si fa l’abitudine, e poi qui tra buio e nebbia non ci si vede nulla!”.
Io mi ero comunque coperto con la mano accavallando le gambe per limitare al massimo la mia nudità, ma dopo un po’ dovetti accomodarmi meglio. Inoltre avevo un gran caldo e avevo necessità di bagnarmi con la doccetta. Presi il coraggio a quattro mani, mi alzai di fronte a lei e mi bagnai. Era impossibile che non avesse notato che ero nudo, tantomeno che ero depilato, ed infatti la pizzicai a sbirciare attentamente.
Dietro il mio esempio, anche l’altra coppia si alzò e si bagnò con la doccetta.
Lei rimase coperta, le gambe accavallate ed il busto piegato in avanti, ma dopo un po’ dovette cedere e si tolse il telo, mostrando un seno un po’ cadente, la pancia con qualche rotolino di troppo e le cosce tutt’altro che tornite.
No, decisamente non era particolarmente bella, nuda. Diciamo che il costume adamitico le si addiceva meno che all’altra ragazza che era con noi.
Dopo qualche minuto le proposi di uscire e di andare nell’idromassaggio. Lei accettò. Credo che ne avesse abbastanza del bagno turco.
Anche l’altra coppia seguì il nostro esempio e ci raggiunse nella vasca.
Avevo già sbirciato la mia collega ed avevo notato che il suo inguine non era assolutamente curato, mostrando un pelo nero, folto e riccioluto che le copriva tutto il pube.
L’altra coppia era invece atletica, abbronzata, senza segni di costumi e anch’essi totalmente depilati.
Ci presentammo per nome, chiedemmo l’uno all’altro perché eravamo lì, di dove eravamo, ecc.
La mia collega si era rilassata un po’ perché le bolle coprivano le sue intimità e le sue forme, e partecipò alla conversazione. Arrivò di nuovo la meisterin che ci invitò in sauna per l’Aufguss.
Io accettai e mi alzai senza coprirmi, mostrando tutta la mia mercanzia alla collega. Altrettanto fece l’altra coppia.
Nel frattempo l’addetta era entrata in sauna con la sola parte di sopra della sua tuta. Si chinò per raccogliere un telo che le era caduto mostrando i suoi glutei nudi ed un bel tribale sul fondo schiena.
Poi si girò e fu chiaro che aveva uno strano piercing formato da due catenelle che partivano dall’ombelico e terminavano attaccati alle grandi labbra. Infine si tolse anche la parte di sopra della divisa e mostrò i capezzoli attraversati da una barretta.
La mia collega mi guardò sorpresa e quasi disgustata, quasi volesse incolparmi di quel che aveva appena visto. Si era rimessa il telo coprendosi fino al seno, ma sedendosi sulla panca le si era inavvertitamente aperto mostrando il suo pube “nature”. La aufgussmeisterin suggerì a tutti di toglierci i teli, di alzarci in piedi ed avvicinarci per poter godere delle intense gettate di vapore che aveva iniziato a provocare gettando dell’acqua aromatizzata all’eucalipto e al mentolo sulle pietre roventi della stufa e indirizzando servendosi dell’asciugamano verso ciascuno di noi. Fui il primo a godere di quel trattamento che respirai a pieni polmoni. L’immissione di aria carica di vapore, unitamente all’eucaliptolo usato come aroma mi provocò l’effetto Vicks Vaporub nel naso: si stapparono contemporaneamente entrambe le narici e sentii come se qualcosa mi stesse aspirando il muco dai seni frontali e dai turbinati.
Fu la volta della coppia di ragazzi: anche essi ricevettero una sventagliata di vapore con la stessa acqua aromatizzata, che provocò alla lei una serie di violenti starnuti accompagnati da uno scoppio di risate da parte di lui quando l’ennesimo starnuto provocò una rumorosa flatulenza. Inutile dire che la ragazza, arrossita fino alla cima dei capelli, chiese scusa per l’imbarazzante avvenimento. Ridacchiai anch’io facendo un gesto con la mano della serie “nessun problema!”, aggiungendo a bassa voce “tanto con tutto questo odore di eucaliptolo nel naso non sentiamo nulla…”.
Toccò infine alla collega la quale, pur mantenendo una pudica mano sul pube ed un braccio a coprire entrambi i seni, decise di avvicinarsi e di collaborare.
La aufgussmeisterin la prese per un braccio e la avvicinò a se; poi prese una boccetta dal contenitore che aveva con sé e ne versò qualche goccia nel secondo mastello dell’acqua. Immediatamente si sparse per l’aria un profumo di lavanda, fienagione e cannella che coprì ed annullò il precedente. Prese quindi il mastello e versò una mestolata d’acqua sulla pila di rocce che nel frattempo avevano ripreso un colore rosso intenso. Subito si creò una nuvola di vapore che indirizzò verso di lei sventolando il telo, mentre diceva ad alta voce “Atme! Respira!”. La collega aspirò con la bocca a pieni polmoni ma fu presa da un parossismo di tosse che la fece cadere a gambe larghe sulla panca, mettendo in mostra il suo sesso completamente ricoperto da un’impressionante foresta di peli neri.
Un sorriso di scherno comparve sulla bocca della operatrice, quasi a voler sottolineare l’inadeguatezza della donna.
Dopo questo raccolse le sue cose e ci suggerì di rimanere altri cinque minuti in sauna e poi di gettarci sotto la doccia fredda. Poi, sempre nuda, fece un inchino, salutò, si girò ed uscì dalla sauna con passo quasi militare.
Io provai a seguire il suo consiglio ma la reazione era troppo violenta: il getto d’acqua gelata che mi colpì fu come uno schiaffo che mi lasciò senza fiato, e non ebbi il coraggio di rimanervi sotto per cui mi gettai verso il telo per asciugarmi e riscaldarmi. La mia collega invece era andata direttamente alle docce cromatiche, questa volta stranamente senza mettere l’asciugamano per coprirsi. L’altra coppia invece rientrò dentro la vasca idromassaggio.
Andai nella sala relax e mi sdraiai su una chaise lounge dopo aver preso una tisana alle erbe ed un altro telo per riscaldarmi un po’. Stavo pensando ai casi miei quando mi sentii battere sulla spalla. Mi girai e vidi la mia collega, bagnata grondante e con un piccolo telo a tenuto di fronte ma più per asciugarsi che per coprirsi.
“Paolo, io andrei in camera ad asciugarmi i capelli e a vestirmi. Andiamo a cena assieme o hai altri appuntamenti?” mi chiese con tono gentile e cordiale, l’opposto di come era stata fino a poco prima.
“Va bene, vai pure. Io vado su tra un po’. Ci vediamo alle 19:30 al bar fuori la sala da pranzo” le risposi. Volevo offrirle un aperitivo come gesto distensivo, considerato anche il malumore e la scarsa tolleranza reciproca che aveva caratterizzato la giornata lavorativa.
La osservai tornare verso lo spogliatoio, il culo completamente scoperto. La sua figura non era curata, i fianchi larghi, le culottes de cheval e la cellulite non la rendevano particolarmente apprezzabile. Anche il seno, che avevo avuto modo di osservare in precedenza, era appesantito e gravava quasi sullo stomaco, i capezzoli scuri e spessi rivolti verso il basso. Si, nel complesso non era una bella figura e forse la sua ritrosia a mostrarsi era dovuta proprio alla sua scarsa avvenenza.
Mi riscossi comunque dai pensieri e mi alzai per tornare nello spogliatoio ove mi infilai ciabatte e accappatoio.
Arrivai all’ascensore ed attesi che arrivasse al piano. Entrai e premetti il tasto del secondo piano.
Si fermò però al piano terra. Le porte si aprirono ed entrò la mia collega, entrambi sorpresi di esserci incontrati.
“Credevo fossi già salita in stanza” le dissi.
“No, mi sono fermata alla reception per chiedere un’informazione.” rispose un po’ vaga.
“Che tipo di informazione?” mi trovai a chiedere quasi contro la mia volontà. “No, scusa, sono affari tuoi, perdonami!” aggiunsi immediatamente.
“Niente di che, chiedevo se avevano anche servizi di estetica qui. Se faccio in tempo, domattina mi presento alle 8 prima di andare in sede” aggiunse.
“Ho un problema ad un unghia del piede” disse dopo una breve esitazione, sollevando leggermente in piede destro e mostrando le unghie poco curate e con lo smalto totalmente distrutto.
“Sciatta anche in questo”, pensai.
Annuii e stavo per ribattere quando si aprì la porta del mio piano.
Uscii dall’ascensore e, tenendo con una mano la porta aperta, le ricordai “Allora alle 19:30 al bar”.
“Si, grazie. A dopo” rispose con tono decisamente più cortese.
Mi ero seduto al bancone del bar in attesa della mia collega. Mi ero asciugato e fatto la barba, passato un abbondante dose di dopobarba e vestito in maniera sportiva ma abbastanza elegante: giacca blu, maglione dolcevita azzurro, pantalone grigio, mocassino nero. Stavo giocherellando con la carta dei servizi quando sentii appoggiare una mano sulla spalla.
“Paolo, scusa il ritardo, ma mia figlia ha avuto un piccolo problema” mi disse scusandosi del quarto d’ora di attesa.
“Anzi, volevo chiederti un parere. Le si è fermata la macchina di botto e non riparte più. Mi ha detto che c’è stata una grande fumata, si sono accese tutte le spie e poi si è bloccato il motore facendo slittare le ruote. Sembra come se qualcuno l’avesse trattenuta con una catena. E poi il motorino non gira più”.
Sapevo della sua unica figlia, circa coetanea della mia, che passava gran parte del tempo con il padre e qualche settimana all’anno con la mamma.
“Ma le luci rimangono accese?” le chiesi, per capire se non fosse stato un problema elettrico.
“Dice di sì, funziona tutto. Ma il motorino non gira.”
Intuii che aveva subito un grave danno al motore, un grippaggio, o la rottura della catena o della cinghia di distribuzione, o la rottura di una biella, comunque qualcosa di meccanicamente importante.
“Ma ora dove sta?” le chiesi.
“Sul carro attrezzi, la stanno riportando verso l’officina meccanica convenzionata”.
“Ma che macchina è?” le chiesi.
“È la mia 500 aziendale”.
“È diesel, giusto?”
“Si!”
“Chiedile se ha fatto rifornimento”
La chiamò al telefono e le chiese avanti a me “Tesoro, che hai fatto rifornimento, oggi?”
Sentii che le rispondeva affermativamente.
“Chiedile se lo ha fatto lei e cosa ha messo”
Sentii la risposta quasi dal vivo.
“Si, ha fatto il pieno di benzina”.
Appunto.
“Dille di stare tranquilla e di farsi accompagnare da un tassì a casa tua. Domani chiami e ti fai dare una macchina sostitutiva. Quella che hai è da buttare.”
“Ma come? È quasi nuova! Ha meno di 10.000 km.” rispose quasi scandalizzata.
“Se va bene, la riparazione costerà non meno di 7.000€. E non credo che la compagnia di leasing accetterà di pagare una simile cifra. Verrà venduta come rottame. Preparati a pagare 250€ di franchigia, il danno è dovuto alla tua negligenza” le aggiunsi, spiegandole che mandare a benzina un motore diesel lo fa esplodere in poco tempo, e che il danno non può essere riconosciuto come accidentale.
La serata non era iniziata nel migliore dei modi, per lei.
Peccato, perché riconobbi la sua buona volontà nel volersi mostrare un po’ meno pallosa anche nel vestirsi. Aveva indossato infatti una gonna sopra il ginocchio color verdone, una camicetta bianca accollata, un bolerino alto in vita ed un paio di scarpe con tacco moderatamente alto.
L’opposto di come si presentava di solito in ufficio, sempre in pantaloni ampi, scarpe basse, maglioni ampi e colori scuri.
Un piccolo inciso sulla mia collega. Pur dimostrandone qualcuno di più, era una donna di meno di cinquant’anni, laureata in matematica alla Scuola Normale di Pisa ed esperta di programmazione lineare. Era infatti stata chiamata per partecipare al gruppo di lavoro che doveva fissare le specifiche di progettazione di un sistema informatico di gestione delle risorse tecniche e logistiche per una nota multinazionale tedesca produttrice di automobili che aveva chiesto alla nostra azienda, anch’essa multinazionale, di studiare un sistema in grado di pianificare ed ottimizzare i lavori di manutenzione presso la rete delle sue officine specializzate.
Dopo un matrimonio andato a rotoli a causa delle corna che le aveva messo il marito con la sua migliore amica, si era lasciata andare dedicandosi solo al lavoro ed ai suoi tre gatti, uno più grosso dell’altro, visto che la figlia aveva preferito stare con il padre.
Inoltre, la sua disavventura coniugale l’aveva resa sospettosa e guardinga nei confronti dell’altro sesso, facendole assumere atteggiamenti di rigetto verso gli uomini che doveva frequentare, nella fattispecie i colleghi, che di certo non la rendevano più attraente e piacevole da frequentare.
Tutto ciò, unitamente ad una sciatteria e trasandatezza che probabilmente le era un po’ connaturata, aveva generato un’aura di antipatia generalizzata.
In ufficio era quasi sempre da sola, consumava il suo pasto sulla scrivania, leggendo qualcosa sul computer, per poi rituffarsi nell’attività di analisi e progettazione in cui peraltro eccelleva.
Solo una volta sembrò prendersi una cotta per un ragazzetto molto più giovane di lei con il quale era stata destinata a collaborare per un progetto molto importante. Qualcuno raccontò di fugaci incontri clandestini, di una trasferta a Verona in stanze comunicanti, ma successivamente il ragazzo dette le dimissioni e sparì dalla circolazione.
Tornando al momento, la mia collega si era intristita ed innervosita per la problematica.
Mosso da sincero dispiacere, le proposi di aiutarla facendomi dare i dati da comunicare a suo nome alla Direzione del Personale ove potevo contare su un’amica fidata e particolarmente gentile, e ad organizzare il prelievo della macchina sostitutiva per sua figlia in attesa del suo rientro.
Mi ringraziò con un sorriso sincero e, visibilmente sollevata all’idea di avere un uomo accanto che potesse aiutarla, si rilassò e gradì lo spritz Hugo che le avevo fatto preparare.
L’atmosfera si sciolse e ci spostammo al tavolo dove nel frattempo fummo raggiunti da altri colleghi.
Buttai lì casualmente il fatto che in albergo ci fosse un centro Wellness ben attrezzato, e che avevamo goduto di un piacevolissimo Aufguss in sauna.
Credevo che avrei sorpreso gli altri miei colleghi (due donne ed un uomo) i quali invece mi parlarono di una stupenda struttura poco distante dal centro del paese, che aveva una dozzina di sale per bagno turco e più di una ventina di saune a tutte le temperature, una piscina parzialmente dentro e parzialmente fuori la struttura, attraverso la quale si poteva andare all’aperto e poi rientrare senza dover uscire dall’acqua.
E poi magnificarono le piacevolissime strutture relax, il ristorante, la palestra… insomma, mi scatenarono la curiosità di andare a vedere questo posto.
“Paolo, sono curiosa anch’io di vedere: ci andiamo assieme?” mi chiese la mia collega, stupendomi.
“Si, certamente, perché no! Allora ti è piaciuto, eh?” le chiesi facendole l’occhiolino.
Lei arrossì e annuì con la testa.
Il suo gesto non sfuggì agli altri i quali non persero tempo a stimolarla a raccontare.
“Nooo, devi raccontarci. Cosa hai fatto? Cosa hai visto?” la tampinarono.
“Nulla, non ero preparata al fatto che qui alla SPA si sta in totale nudità. Dapprima credevo che non sarei riuscita, poi alla fine mi sono resa conto che è tutto abbastanza naturale e che dopo un po’ non ci si fa caso. Beh, quasi…” concluse abbassando inavvertitamente lo sguardo verso il mio inguine.
Hai capito la collega… allora aveva guardato bene cosa avevo tra le gambe.
La serata scorse tranquilla e verso le dieci ci salutammo ritirandoci nelle nostre camere.
Ero a letto a leggere qualcosa quando suonò il telefono.
“Hallo? Who’s speaking?” dissi senza pensare.
“Paolo, sono io. Scusa se ti disturbo, volevo sapere se potevi coprirmi per qualche minuto in più domattina. Avrei una necessità personale che dovrebbe portarmi via un’oretta. Pensi di potermi aiutare?” mi chiese.
“Ma si, certamente. Ricordati di darmi i dati che servono, oppure tieni a portata di mano il cellulare se dovesse servirmi di chiamarti!” le risposi.
Ci salutammo e ci augurammo la buona notte.
Giorno 2 – In albergo
La mattina dopo mi svegliai abbastanza presto, infilai una felpa ed un paio di calzoncini da palestra e mi recai in palestra per fare un po’ di esercizi. Non trovai nessuno e potei completare il mio solito piano di allenamento senza dover cambiare le sequenze alle macchine.
Tornai in stanza, mi gettai dentro la doccia e feci appena in tempo ad uscire quando sentii bussare alla porta.
Mi ero appena legato in vita l’asciugamano ed avevo metà viso coperto dalla schiuma da barba.
“Chi è?” chiesi da dietro la porta.
“Paolo, sono io, ho provato a chiamarti ma non rispondevi e per questo sono passata a bussarti alla porta” mi rispose la mia collega.
“Sono mezzo nudo, aspetta che mi copro un momento” le risposi.
“Ma se ti ho visto nudo per mezza giornata, ieri… pensi che possa scandalizzare?” ribatté ridacchiando.
Aprii la porta e la trovai in accappatoio ed in pantofole, cellulare e chiavi della camera in mano.
“Ma dove vai ancora in accappatoio? Non avevi un appuntamento dalla pedicure?” le chiesi.
“Si ma non solo. Vabbè, te lo spiego dopo. Volevo darti questo” e tirò fuori dalla tasca un foglietto di carta con i suoi dati, quelli della figlia, indirizzo di casa, numero della patente sua e della figlia, codice fiscale, ecc.
“Nel caso te li chiedessero” mi disse.
Sorrisi, le feci un occhiolino e ci salutammo.
“A più tardi. Mi raccomando, non esagerare!” le dissi.
“In che senso?”
“Non farti fare troppo bella. Guarda che poi è un casino…” le dissi guardandola di sottecchi.
Mi sorrise, arrossì come una liceale, si girò e scappò via sorridente.
Fatta colazione, chiamai in ufficio e chiesi della mia amica al Personale. Le spiegai la situazione e la pregai di aiutarmi a darle una mano.
La mia amica, particolarmente protettiva nei miei confronti, mi chiese il motivo per quell’interessamento.
Le risposi che la collega mi faceva quasi pena, avevo capito la sua anima e volevo sinceramente aiutarla e farla sorridere.
“Di certo non lo fai per sesso, vero?” mi chiese con tono quasi inquisitorio.
“A parte che non sarebbero affari tuoi!” le ribattei “e comunque, no, non lo faccio per sesso. Non è il tipo di donna che mi può affascinare. E poi è nulla in confronto a te!” le dissi, riferendomi al periodo da scopamici che avevamo passato qualche tempo prima.
Lei rise di gusto e poi mi disse: “Saresti capace di scoparti chiunque, con quel modo di fare. Anche un cesso bisognoso di affetto.” Immaginai che non dovesse correre buon sangue tra le due.
“Comunque tranquillizzala, dille che chiamo subito per la macchina sostitutiva e che per domani dovrebbe averla. Dille anche che la chiamo nel pomeriggio” aggiunse.
“Non credo che riuscirai a parlarle oggi pomeriggio. Almeno, non dopo le 17:00. Abbiamo un incontro in sede.” mentii. Avevo in un attimo pianificato una visita a quel megacentro benessere di cui avevo avuto notizia la sera prima a cena. Ed avevo intenzione di portare con me la mia collega.
Uscii dall’albergo e mi recai a piedi verso la sede dell’azienda.
Giorno 2 – In ufficio
Il management locale ci aveva riservato una sala riunione annessa alla quale c’era una sorta di cucina attrezzata con macchine per il caffè alla americana, caffè espresso, succo di frutta, the, succo di arancia ed un vassoio di brioches e di torte locali.
Riempii una mug di caffè all’americana nel quale versai ben cinque confezioni di crema di latte. In sostanza, avevo fatto un caffellatte con la panna.
Iniziammo la riunione ed i colleghi tedeschi e inglesi mi chiesero dove fosse la collega. Spiegai loro che la figlia aveva avuto un incidente con la sua auto a Roma e che era stata trattenuta in albergo per gestire la cosa, ma che ci avrebbe raggiunto quanto prima.
I colleghi accettarono la spiegazione ed iniziammo la riunione, affrontando nel frattempo una serie di tematiche sistemistiche e di servizio, non collegate direttamente alla parte di sviluppo.
In qualità di responsabile del team italiano e della gestione dei progetti speciali, ero l’autorità sul campo con il grado più elevato e dovetti condurre la riunione, discutendo su chi facesse cosa e sui costi interni da addebitare. Scoprii che le tariffe interne dei tedeschi erano circa il doppio delle nostre e quelle degli inglesi quasi il triplo. Fu faticoso trovare una quadra visto che il fatturato era stato diviso equamente tra le tre country e che a causa delle nostre tariffe, sarebbe stato molto più conveniente che all’Italia fosse assegnato molto più di un terzo. Alla fine riuscii a spuntarla grazie all’intervento del responsabile tedesco che convenne che la nostra proposta era decisamente più competitiva.
Nel frattempo ci raggiunse la mia collega.
Confesso che feci quasi fatica a riconoscerla. Si era sistemata i capelli, indossava stivali sopra il ginocchio nuovi di pacca, un pullover su calze coprenti stretto in vita da una cintura alta tre dita e, soprattutto, era truccata in maniera eccellente.
Sembrava un’altra persona, tanto era cambiata. E se ne accorsero anche i colleghi. C’era un francese in carico alla locale filiale che si alzò e la salutò con il baciamano. Il mio omologo tedesco spostò la poltrona dal tavolo per farla sedere e poi la riaccomodò verso il tavolo.
Io rimasi fermo, seduto, e feci uno sforzo per simulare disinteresse.
Più tardi mi alzai per rifornire la mia mug di caffè e ne approfittai per chiederle: “Vuoi anche tu una tazza di caffè?”
“Come il tuo, grazie!”
Non capivo cosa intendesse, sta di fatto che le preparai una tazzona di caffè con molta crema, come piaceva a me. Le misi vicino alcuni pasticcini locali come stuzzichino, e le aggiunsi una bustina/stick di zucchero. Mi riaccomodai accanto a lei e le porsi la tazza. Lei si girò verso di me e mi ringraziò con un sorriso largo, sincero, che però faceva trasparire altro.
Dopo ancora un paio d’ore di aspre discussioni su chi faceva cosa, e dopo aver parlato ancora dei massimi sistemi, ci spostammo nella sala da pranzo attigua dove avevano preparato un brunch in piedi.
Approfittai per chiedere alla mia collega se c’erano state novità.
“Vorrei ringraziarti per il tuo intervento. Hanno chiamato mia figlia dalla centrale di noleggio e le hanno detto che nel pomeriggio le consegnano un’auto sostitutiva. È una Panda a benzina, ma va bene lo stesso. Basta che possa venirmi a prendere venerdì in aeroporto”
“Guarda che se hai bisogno, ti accompagno io…” le dissi.
“No, figurati, credo che incontrerò anche il padre, visto che arriva anche lui all’aeroporto circa alla stessa ora” mi spiegò.
Mangiammo tutti assieme e cercammo di creare un minimo di spirito di squadra per poter iniziare a costruire un team costituito da persone così disparate e diverse tra loro.
Proposi di andare la sera stessa a mangiare tutti assieme in birreria. I colleghi inglesi accettarono, i tedeschi declinarono quasi tutti perché abitando in zona avevano da rientrare in famiglia.
Nel pomeriggio affrontammo le tematiche relative allo sviluppo del software e la mia collega illustrò la struttura dell’applicazione ed i punti salienti da coprire.
Fu un momento abbastanza faticoso perché gli argomenti erano diventati tediosi e ed erano intervenute divergenze di opinione sugli strumenti da utilizzare, con i tedeschi e gli inglesi spreconi nel voler acquisire pacchi di licenze di prodotti software e noi a spingere per l’adozione di piattaforme il più possibile open-source. Alla fine, dopo un’opera di mediazione svolta soprattutto dalla mia collega, giungemmo ad una scelta di compromesso che accontentava un po’ tutti, salvaguardando i grandi numeri da un lato e la semplicità e concretezza dell’ambiente applicativo dall’altra.
Alle cinque del pomeriggio sciogliemmo la riunione e ci demmo appuntamento per le otto e mezza in una birreria in centro dove la locale segreteria aveva prenotato un tavolo per noi.
Mentre tornavamo verso l’albergo mi rivolsi alla collega e le dissi: “Senti, volevo proporti una cosa.”
“Anch’io!” mi rispose.
“E allora dimmi tu”.
“Ti andrebbe di accompagnarmi a vedere quell’altro centro benessere di cui hanno parlato gli altri ieri?” mi chiese.
“E’ esattamente ciò che volevo proporti” le dissi sorridendo.
“Allora andiamo!” propose.
“Subito? Così? Perchè no!” risposi.
“Aspetta però” disse.
“Cosa?”
“Non dovremmo passare a prendere qualcosa in albergo? Costumi, accappatoi… che ne so.”
“Non hai capito? Qui nei centri il costume è vietato. Per i teli e gli accapatoi, te li danno loro. Sono compresi nel biglietto di ingresso” le spiegai.
“Ma quindi, nudi nudi come ieri?” chiese.
“Si. Ma nelle saune è proprio vietato coprirsi. Nei bagni turchi il telo è inutile perché si fradicia, in piscina si va nudi e al bar… pure”.
“Vabbè. Sono curiosa. Però un po’ mi vergogno.”
“Non ti devi vergognare. Vedrai, ti ci abituerai”.
Nel frattempo feci cenno ad un tassì che si fermò accanto a noi. Feci entrare la collega e chiesi all’autista di portarci alle terme Taunus.
Paolo Sforza Cesarani
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