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Lui & Lei

Verde e azzurro - III


di Doctor_S
29.07.2021    |    2.200    |    7 9.9
"Mi concessi un attimo di tregua per prendere fiato e per ammirarla: aveva gli occhi chiusi, giaceva abbandonata sulle lenzuola arrotolate, riversa con le..."
I capelli sparsi sulle lenzuola incorniciavano la sua espressione di stupore mista ad una gioia quasi fanciullesca, sintomo di una inconsapevole necessità di qualcosa che improvvisamente la sconvolgesse e che, finalmente, aveva trovato appagamento.
Mi allungai sopra di lei, sostenendomi con le mani, e cominciai a baciarle le labbra, proseguendo poi sulla guancia in direzione dell’orecchio. < Chiudi gli occhi > le sussurrai. E scesi lungo il collo.
Uscì da lei e con la punta delle dita le sfiorai il fianco provocandole un brivido. Accarezzai il suo corpo come fosse fatto di cristallo, come un mercante che apprezza la maestria con cui un tessitore esperto confeziona il miglior cashmere del pianeta, ma con la brama di possederla ancora tutta per me. Dal collo spostai l’attenzione più in basso, baciandole la pelle tra i seni mentre con le mani glieli stringevo, morbidissimi, giocando con i capezzoli turgidi.
Mi concentrai su di uno stringendolo tra le labbra, mentre con la lingua lo stuzzicavo, succhiando delicatamente. Lei mi mise una mano tra i capelli e mi accarezzò, poi iniziò a stringersi l’altro seno e mi spinse la testa verso il basso. Era arsa dalla voglia. Voleva provare ciò che ero in grado di farle, ma io non avevo alcuna intenzione di lasciarla vincere. Perciò con estrema lentezza presi a baciarle l’addome, descrivendo delle larghe S mentre scendevo sempre più giù senza mai, però, arrivare oltre il monte di venere. Movimenti sinuosi, attentamente studiati, armonici, perdendo raramente il contatto con il suo sguardo. Lei si percorreva le labbra con la lingua e con gli occhi pareva volesse fulminarmi, mangiarmi come una mantide religiosa, una vedova nera.
La sua mano continuava a spingermi in basso fino a che cedetti: dischiusi le labbra e percorsi con la lingua i lembi di pelle ai lati delle grandi labbra. Dal basso verso l’alto, senza interrompere mai il tocco, assaporai ogni anfratto senza mai andare al dunque fino a quando non decisi di averla fatta soffrire abbastanza: scesi fino alla zona anale, leccandola con curiosità, per poi salire con studiata lentezza verso il cuore del suo piacere. Le allargai le grandi labbra con la lingua, insinuandomi dentro di lei e gustandone il sapore. Con movimenti decisi mi feci largo nella sua intimità e avidamente la feci mia, mentre lei mi spingeva la testa più a fondo contorcendosi. Alzai lo sguardo ad apprezzarla da quella prospettiva ed incrociai i suoi occhi socchiusi ma assetati di desiderio. Ormai la pelle del suo seno si era arrossata a causa delle attenzioni che, quasi violentemente, si stava dando con la mano.
Uscii da lei e mi diressi al clitoride. Con la mano scostai leggermente la pelle per scoprirglielo, mettendomi al comando di tutto il suo godere. Glielo presi tra le labbra e iniziai a deliziarmene, per mezzo della solita studiata lentezza. Era la carica di erotismo e adrenalina che lei provava, a darmi davvero piacere. Vederla lì, alla spasmodica ricerca dell’orgasmo che tanto le stavo facendo bramare, mi caricava di desiderio più di ogni altra cosa. Non era facile trattenere l’impulso di penetrarla e con violenza ferina martellarla senza remore, ma per me era sempre stata questione di testa. Arrivare a dare piacere attraverso la fantasia e gli impulsi dell’istinto altrui era una missione a cui non riuscivo a sottrarmi; mi sentivo come un allevatore di felini selvatici a cui dovevo insegnare a cacciare, ma senza mangiare la preda, a dominare il proprio corpo impedendo all’istinto omicida di prendere il sopravvento.
Presi a stuzzicarla con maggiore velocità e con l’altra mano scivolai in lei. Istintivamente spalancò gli occhi, mi guardò e ansimante cercò di prendere aria. Con il medio andai alla ricerca della chiave di volta della cattedrale in cui custodiva la sacralità dell’apice del suo godimento… e la trovai. Iniziai a penetrarla col dito, sincronizzandomi al ritmo dei colpi secchi della lingua. Ad ogni schiocco, un affondo, ad ogni penetrazione, un passaggio sul clitoride senza risparmiarmi. Costante e deciso alimentavo il suo affanno, e più lei ansimava e più io mi impegnavo.
Il ritmo si face sempre più serrato, così mi diedi manforte con una altro dito. Lei inarcò la schiena e porto la testa all’indietro così lo sfruttai per puntare meglio le ginocchia a terra, garantendo al mio braccio un arco maggiore. La cosa fu evidentemente molto gradita poiché fu prontamente accompagnata dai suoi gemiti. Dentro e fuori le mie dita spargevano i suoi umori ovunque e le sue gambe mi bloccavano la testa impedendomi di interrompere tale condizione. I gemiti crebbero di intensità sonora non appena mi feci largo in lei con un altro dito. Ormai erano urla < Oh mio Dio! > fece con voce stridula. < Ommioddio!! > ancora.
Mi staccai dalla sua presa e, senza fermarmi, alzai un ginocchio da terra in modo da potermi impuntare e dare più forza ai colpi che le ormai quattro dita assestavano ad una velocità estrema, senza alcuna pietà. Provò a stringere le gambe attorno a me di nuovo, ma con l’altra mano gliele chiusi e gliele mantenni piegate sull’addome, aprendomi totalmente la strada verso la vetta del suo picco di piacere. Lei urlava e con le mani si aggrappava disperatamente alle lenzuola. Non era padrona del suo corpo, non riusciva a controllarlo né a direzionarne la percezione, in totale balia degli eventi. Doveva essere un’esperienza quasi mistica, poiché le forze sembrarono in parte abbandonarla. Poi esplose.
Tremava senza controllo, le gambe contratte, un urlo ed improvvisamente un getto di umori mi colpì all’altezza del petto. Istintivamente mi sarei allontanato, ma sapevo che dovevo concludere. Così dopo qualche secondo di spasmi e gemiti smisi di penetrarla ed iniziai, con estrema lentezza, a massaggiarle il clitoride col pollice mentre con le altre dita mantenevo una lieve pressione dentro lei. Il tremore si ridusse a qualche scatto, mentre percepivo la tensione delle sue gambe allentarsi fino a lasciarla inerme. Così, lentamente mi staccai da lei.
Mi concessi un attimo di tregua per prendere fiato e per ammirarla: aveva gli occhi chiusi, giaceva abbandonata sulle lenzuola arrotolate, riversa con le gambe piegate in un lato e le braccia stese lungo il corpo.
Il petto si sollevava e si abbassava freneticamente. Il cuore sembrava volerle uscire dal petto. Ero soddisfatto e felice di averle dato tanto. Appagato dall’averla portata a quel livello.
Andai in bagno a darmi una pulita. Ero ancora eccitato e nella mia testa rivivevo i fotogrammi degli ultimi istanti. Il braccio era piuttosto dolorante per lo sforzo e per l’acido lattico accumulato. Che spettacolo. Mi lavai la faccia e il petto, poi mi asciugai e tornai di là. Lei intanto si era girata di lato lasciandomi godere di nuovo della vista del suo spettacolare fondoschiena.
Sembrava dormire quando mi fece: < Ehi. Sono viva > .
< Mi fa piacere > risposi avvicinandomi.
< Come cazzo hai fatto? >
< A fare cosa? A tenerti testa? A non morire strangolato fra le tue gambe? > le dissi stendendomi dietro di lei, abbracciandola.
< No, stronzo bastardo. Come hai fatto a farmi fare quella cosa? >
< Semplicemente ti ho impedito di opporti… Lo volevi, si vedeva, ma immagino che non abbia mai avuto abbastanza confidenza con te stessa da permettertelo. Ed io te l’ho semplicemente permesso… >
< Forse hai ragione… > e nel dirlo infilò delicatamente una mano tra di noi per prendere il mio membro che le premeva sul culo < …e non so per quale insensato motivo, ma ho bisogno di sentirti dentro di me ancora > continuò, mentre mi guidava di nuovo nelle sue grazie. Mentre la penetravo sentii che era ancora bagnata, calda e accogliente come all’inizio. Ero stanco. Lei pure. Ma quel piccolo gesto fu forse il momento più appagante dell’intero pomeriggio passato assieme e ravvivò la fiamma del desiderio, ma stavolta in maniera diversa. Non desideravo di fare sesso. Anelavo a fare l’amore.
E fu esattamente quello che facemmo: piano la penetravo mentre lei poggiava la testa sul mio braccio. Con l’altro la tenevo stretta a me, mano nella mano, stavolta concentrandomi su ciò che provavo nel farmi strada dentro di lei. Sensazione di completezza, di appagamento. Nessuna tensione e poca concentrazione. Ero semplicemente preso dal momento e avevo lasciato aperta la porta all’istinto.
Pace. Ecco cos’era. Non desideravo altra cosa all’infuori di ciò che stavo vivendo in quel momento. Nessuno aveva il controllo, ma entrambi facevamo esattamente ciò che volevamo.
< Vienimi dentro, ti prego! > mi sussurrò.
< Non posso. Non possiamo. Sarebbe una sciocchezza, lo sai. >
< Però è un peccato sprecarlo > disse, mentre si staccava da me.
Si girò, mi stese sulla schiena e mi baciò. Poi prese il mio membro tra le mani, si chinò e iniziò lentamente a leccarmi il prepuzio. Nulla di estremo, ma carico di erotismo. Le misi una mano tra i capelli, accarezzandola. Lei me lo percorse con la lingua in tutta la sua estensione e poi lo introdusse tra le sue labbra, continuando a leccarlo. Ci giocò per un po’, ne fece ciò che voleva e poi lo fece scivolare lentamente fino in fondo alla gola. Lo estrasse e di nuovo fino in fondo.
Poi mi guardò, lo lasciò uscire e disse: < Vorrei che anche tu venissi… Magari ora. Magari nella mia gola >.
La mia eccitazione ormai aveva preso il sopravvento su ogni controllo e le dissi sottovoce:< Va bene >.
Allora lei lo avvolse con le labbra, lo leccò ancora e lo fece di nuovo scivolare nella sua gola, mentre con la mano mi accarezzava i testicoli. Lì fui io ad esplodere.
Pulsai varie volte. Fu come una prima volta. Non avevo mai eiaculato così tanto ed in quel modo e, mentre ciò accadeva, lei eri lì ferma a guardarmi negli occhi continuando a giocare con i miei testicoli come se non desiderasse altro al mondo.
Quando ebbi finito, lentamente se lo sfilò dalla bocca, gli diede un’altra leccata e disse: < È stato tutto, veramente, fottutamente, bello! >.
< È vero. Grazie di averlo permesso > sussurrai con le mie ultime forze.
Non percepivo più le gambe. Lei scese dal letto e si diresse in bagno dicendomi: < Appena ti riprendi vieni qui, che così ci facciamo la doccia >.
Dopo qualche minuto mi alzai con fatica e la raggiunsi. Facemmo una doccia fresca, abbracciati a baciarci. Ci asciugammo, ci rivestimmo e tornammo verso casa. Ormai il sole cominciava a scendere all’orizzonte e di lì a poco i ragazzi sarebbero sicuramente rientrati.
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