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Verde e azzurro - XVI


di Doctor_S
24.01.2024    |    89    |    0 9.2
"Ma ci aveva fatto sorridere, non ridere..."
< Quindi ora tocca a me? > feci, richiamando l’attenzione sul gioco che sembrava riservare più divertimento di quanto promesso dagli autori sulla scatola.
< Si dai, vediamo che altro succede! > fece Roberta, applaudendo euforica. La guardai e ci scambiammo un’occhiata d’intesa, come due che giocano nella stessa squadra e stanno vincendo.
Tutti si ricomposero e pescarono una carta ‘risposta’. Io ne presi una ‘domanda’ e lessi: < 3 cose che tirano su il morale sono il cioccolato, il sole e … >. Subito pensai a tutte le eventuali possibilità che potevano concretizzarsi con quella frase e quasi tutte erano pirotecniche.
Osservai con attenzione le espressioni di ciascuno mentre giocava la propria carta. Sara, Grazia e Roberta sembravano cercare la combinazione adatta per accaparrarsi il punto ed essere premiate. Luca non pareva troppo convinto della propria scelta, mentre Simone aveva già calato la propria carta quasi senza pensarci. Doveva essere convinto di vincerla. < Ecco qua > fece Luca dopo aver posato l’ultima carta sul tavolo. Le mescolai, cercai lo sguardo di tutti ed iniziai a leggere a voce alta.
< 3 cose che tirano su il morale sono il cioccolato, il sole e… uno scaffale Billy > risate. Divertente e geniale. Ma si poteva fare di meglio. Girai la seconda carta. < 3 cose che tirano su il morale sono il cioccolato, il sole e le piccole labbra! > risi tantissimo. Era troppo azzeccata e perfettamente in linea con il tema. < Bellissima questa! > fece Sara. Simone sorrise soddisfatto. Si era candidato alla vittoria. < 3 cose che tirano su il morale sono il cioccolato, il sole e … > girai la terza < 21 centimetri di benessere. > Luca e Simone presero ad emettere versi animaleschi, mentre Grazia agitava le mani davanti alla faccia fingendo di avere caldo. < Anche questa merita, eh? Per qualcuna avrebbe già vinto. > dissi, prendendo la carta successiva. Notai il solito scambio di sguardi complici tra le presenti < 3 cose che tirano su il morale sono il cioccolato, il sole e fare la pole dance > ennesimi ululati di quei due. < Questa pure è di un certo livello, va detto! > commentai. Ma ci aveva fatto sorridere, non ridere. Mancava l’ultima. Continuai. < 3 cose che tirano su il morale sono il cioccolato, il sole e 3 dita in culo! > morti. Le risate per poco non ci uccisero. Sara ormai quasi piangeva, paonazza, e Simone si era piegato in due. Io non riuscivo a smettere di ridere e le guance iniziavano a far male. < Secondo me, abbiamo un vincitore… di chi è ‘3 dita in culo’? > guardai tutti al tavolo, ma nessuno alzò la mano. Poi d’un tratto < Mia! > esclamò Roberta. Tutti gli occhi la puntarono.
Mi voltai verso di lei, che ricambiò lo sguardo e sorrise. Poi, senza aggiungere altro, si alzò e si avvicinò a me. Mi diede le spalle e, piegandosi in avanti, abbassò fluidamente i calzoncini e il perizoma lasciandomi il suo bel culo sodo ad un palmo dal naso. < Ho vinto, mi dai il premio? > mi fece, mimando un twerk.
Mi alzai. L’aria si era fatta bollente. Tutti tenevano il fiato sospeso, aspettando di gustare con gli occhi l’elargizione del premio, tra urla e schiamazzi.
Si bagnò le dita e portò la saliva ad inumidirsi il culo. Io feci lo stesso con il mio medio, mentre Roberta si allargava i glutei con le mani, aspettandomi.
Con delicatezza applicai un po’ di pressione sull’anello di muscoli anali e, senza troppa difficoltà, scivolai dentro di lei. Lei reagì con un sospiro, senza opporre resistenza. Ormai avevamo fatto abbastanza pratica. Piano ritrassi la mano, per poi tornare ad affondarle dentro. Mi piaceva il modo con cui i suoi muscoli si allargavano al mio passaggio, stringendosi attorno al dito. Ipnotico. La penetrai di nuovo, causando un altro breve gemito. < Solo uno? Guarda che c’era scritto 3! > mi incitò Sara, maliziosamente.
La guardai e mi sorrise soddisfatta. Così mi chinai e lasciai scivolare un altro po’ di saliva sul culo di Roberta, facendola colare per bene attorno al mio dito, che lentamente estrassi. Poi unii le tre dita centrali della mia mano ben compatte tra loro e, con la stessa delicatezza di prima, mi feci nuovamente strada in lei.
Trattenne il fiato fino a quando non arrivai a fondo, per poi emettere un gridolino sommesso ma acuto. < Qualcuno, qui, sembra godersi il proprio premio… > commentò Grazia, palesemente incapace di nascondere la propria voglia di essere in qualche modo coinvolta.
Mi ritrassi, piano. Affondai, lentamente, ancora, ruotando leggermente il polso ad ogni passaggio. Ciclicamente, a ritmo costante, premiai Roberta lì davanti a tutti. Lei era bagnata, presa dalla sensazione che aveva iniziato ad apprezzare, e assecondava i miei affondi premendo il bacino contro la mia mano e gemendo.
Con una mano si teneva alla sedia davanti a lei, mentre con l’altra aveva preso a toccarsi.
Ero dannatamente eccitato e fui sul punto di abbassare di nuovo i pantaloni e scoparla così, piegata sul tavolo davanti a tutti, ma trovai la forza di trattenermi e dissi < Va bene così per ora. In fondo è il premio per un punto, non per la vittoria… > e delicatamente tirai fuori le dita. Lei sospirò, poi tirò su perizoma e calzoncini con aria fintamente seccata, e prese di nuovo posto come se nulla fosse accaduto.
Mentre mi asciugavo le dita con un tovagliolo, evitai di incrociare il suo sguardo. Sapevo quanto fosse in preda all’eccitazione e volevo che crescesse ancora di più a causa dell’interruzione forzata che le avevo imposto.
< Va bene allora, ora tocca a me leggere. > fece, pescando la carta domanda. < Caro Babbo Natale, per Natale vorrei … >. Ognuno pescò una carta e di nuovo tutti si concentrarono sulla propria mano. Silenzio.
La partita aveva ormai preso le sembianze di un torneo di poker, in cui tutti sembravano determinati a vincere un jackpot milionario.
Ad uno ad uno tutti posarono una carta coperta sul tavolo, scambiandosi sguardi e sorrisetti. Roberta era impaziente di leggere ciò che le avevano riservato, probabilmente fremendo all’idea di elargire un premio a qualcuno, così recuperò il mazzetto rapidamente e lo mischiò.
Prese la prima. < Caro Babbo Natale, per Natale vorrei un’orgia di frati benedettini > inutile fu il tentativo di trattenerci. Scoppiammo all’unisono in una fragorosa risata e fui abbastanza certo che nella mente di tutti si fosse, per un attimo, stagliata limpidamente quella immagine. < Un po’ difficile da realizzare come premio > riuscì a dire Roberta, rossa in volto dalle risa.
Attese qualche secondo che tutti riprendessero fiato e girò un’altra carta. < Caro Babbo Natale, per Natale vorrei sverginare brutalmente > sorrise < Bella, ma qui dentro c’è poco da sverginare ormai > rise < Per ora i frati si stanno divertendo ancora > e ridemmo alla battuta, concordi con lei. Continuò < Caro Babbo Natale, per Natale vorrei l’orgasmo > e la sua espressione soddisfatta non ebbe alcun bisogno d’interpretazione. < Oh! Siii! > fece Grazia, fingendo di provarne uno, accompagnata dai soliti versi da Neanderthal di Luca e Simone. Mi facevano morire dalle risate quelle loro reazioni, più di quanto mi divertisse il gioco in sé. Roberta si ricompose e riprese a leggere < Caro Babbo Natale, per Natale vorrei i CD falsi di Gigi d’Alessio > ed ovviamente la reazione fu nuovamente fragorosa, ma a lei non interessava più ridere. Lei voleva arrivare al sodo! Così prese l’ultima carta e lesse < Caro Babbo Natale, per Natale vorrei iniziare con la mano e finire con il braccio! > sia Sara che Grazia la guardarono. Luca e Simone si scambiarono un’occhiata complice e sorrisero ed io mi godetti la scena da una prospettiva un po’ defilata.
< Devo dire che potrei premiare più carte contemporaneamente stavolta… anche se non sarebbe facile dividere il premio. > rifletté Roberta a voce alta. Grazia si morse il labbro. Sara dischiuse la bocca in attesa del verdetto. Pendevano dalle sue labbra. Ormai era un testa a testa, intuii. Puntavano al premio con brama e determinazione. < Secondo me, vince… L’orgasmo! > sentenziò eccitata Roberta, con fare giulivo e voce squillante.
< Ho vinto!! > urlò Sara, che prontamente si alzò, sollevò il vestitino nero e sfilò il tanga dello stesso colore.
Si chinò a raccoglierlo e, usandolo a mo’ di fionda, lo lanciò in direzione di Roberta facendole l’occhiolino. Senza esitazione, euforica, lo afferrò al volo per poi fare rapidamente il giro del tavolo, pronta ad elargire la meritata ricompensa. Sara spinse via le carte e si mise a sedere sul tavolo, con le spalle verso il centro e le gambe poggiate sul bordo, spalancate. Roberta la guardò famelica, mentre prendeva posto in ginocchio davanti a lei. Si racchiuse i capelli in una coda e Sara sollevò l’orlo del vestitino, invitandola a saziarsi della propria femminilità, liscia e fanciullamente paffuta, esposta davanti alla faccia della lussuriosa complice.
Era una scena che nessuno aveva intenzione di perdersi ed a testimoniarlo c’era il nostro esserci disposti a semicerchio attorno a quelle due, senza che nessuno avesse detto alcunché. Pubblico bramoso in prima fila a teatro, dove l’esibizione prometteva di valere per intero il prezzo del biglietto.
La lingua di Roberta non perse tempo: saettò tra le grandi labbra di Sara, della quale apprezzò gli umori con gusto. La ammiravo farsi strada tra i rosei lembi di pelle, morbidi e carnosi, saggiandone gli anfratti, e accarezzando in punta il clitoride della sua preda la quale, ad occhi chiusi, si assicurava che quella vivace lingua non esitasse a ricoprire il proprio ruolo nel migliore dei modi. Saldamente stringeva Roberta per la coda, guidandola nei movimenti, come tenendo al guinzaglio una belva feroce, mentre inarcava la schiena all’indietro scaricando il peso sull’altro braccio. Su e giù, insaziabile, quest’ultima quasi la divorava. Alternava lo sguardo freneticamente tra il monte di venere e le labbra dischiuse di Sara che, sonoramente, ansimava senza alcuna intenzione di trattenersi. Cercava approvazione, cercava indizi che la guidassero. Alimentava il proprio piacere attraverso il piacere che riusciva a darle.
Dava l’idea di una che si stesse divertendo, forse anche più della stessa Sara. Il respiro, affannoso per lo sforzo a cui sottoponeva la lingua, fluiva dalle narici come quello di un toro nel mezzo della corrida, rumorosamente. Più Sara le premeva la testa contro la sua figa e più lei accelerava il ritmo. Indomita.
Ci sapeva fare, pensai. Mi ricordava me stesso. Mostrava la mia stessa dedizione. In quel saffico abbraccio di labbra di differente natura, elettrizzava la stanza, sovraccaricava di stimoli le nostre menti che faticosamente elaboravano lo spettacolo che gli occhi catturavano con avido interesse. Era stata un’attenta allieva.
Con le mani le accarezzava la pelle delle gambe, dell’addome. Esplorava. Le infilava con curiosità sotto al tessuto, avida nel tastare la morbida consistenza di quel seno prosperoso. Leccate profonde, avvolgenti intrecci di labbra e carne. Gemiti. Erotismo. Calore e sudore. Caparbia ricerca della ricompensa, nella quale il ruolo del ricompensato veniva confuso e condiviso da entrambe e senza gelosie.
D’un tratto, Sara lasciò la presa sulla testa di Roberta. Si raddrizzò e sfilò il vestito dalla testa. I capelli le ricaddero morbidi sulle spalle e sembrò divampare di quella fiamma erotica che la caratterizzava. Poi si adagiò con la schiena sul tavolo e tirò a sé le gambe, tenendole ben spalancate con le mani. Per Roberta fu un invito a nozze, un invito alle sue dita per accomodarsi tra le grazie che le venivano messe a disposizione, un invito a penetrarla senza remore con lo scopo di ottenere l’unico risultato possibile. Senza esitazione. Fino in fondo.
Leccava e giocava con le dita dentro di lei, mentre Sara godeva del supplizio dell’essere completamente abbandonata al suo volere. Inerme e felice di esserlo.
Urla di piacere permeavano l’aria, frutto delle accurate traiettorie che Roberta imprimeva alle proprie dita. Vibrando, entrava ed usciva da Sara, senza smettere di leccarla. A ritmo costante e sostenuto. Ancora gemiti, ancora urla. Le gambe rigide, i muscoli contratti, la testa all’indietro, i capelli sparsi sul piano del tavolo ad incorniciarla e la bocca spalancata a testimoniare lo sforzo di resistere alla foga dell’atto.
Con l’altra mano, Roberta le stringeva il seno, le stuzzicava il capezzolo, sovraccaricando di stimoli la sua ben voluta vittima. La guardava, ne studiava le smorfie. Carpiva ogni reazione che il proprio lavoro riusciva a generare.
Due, poi tre. Infine quattro. Trovò il modo di farsi spazio con quasi tutte le dita.
Ipnotizzato seguivo il ritmico allargarsi e ritrarsi di quelle grandi labbra, così carnose, rosee ed invitanti. Sferzate dalla lingua e dalle labbra di Roberta, sembravano pulsare. Morbide. Trovavo Sara particolarmente attraente dal punto di vista sessuale, nel suo essere prorompente. La sua statura contenuta dava l’impressione di essere quasi sproporzionata rispetto all’abbondanza che la natura le aveva donato. Non era grassa, anzi, mostrava un addome morbido ma relativamente ben definito, le gambe toniche e generose all’avvicinarsi ai fianchi dove non trovavano posto smagliature. Già alla torre avevo apprezzato a fondo la generosità del seno che, nonostante le dimensioni, riusciva a tenersi sodo e sostenuto. Per non parlare poi del culo, sul quale avrei volentieri affondato i denti. Menzione particolare per la rosea e leggermente rigonfia fessura che custodiva la chiave del suo piacere lì, fra le sue gambe, in quell’abbraccio di labbra carnose. Provavo quasi invidia nel non poterle io stesso assaporare. Ma non sembravo essere l’unico ad essere pervaso da tale sensazione.
Grazia, seduta tra Simone e Luca, teneva lo sguardo puntato nello stesso punto a cui il mio aveva fino a poco prima fissato l’attenzione. Si mordeva il labbro, tradendo il susseguirsi dei miei stessi pensieri.
Pensieri che, a differenza dei miei, avevano lasciato spazio ai fatti, poiché saldamente teneva nei pugni il cazzo di tutti e due. Riservava loro il solito trattamento di favore, ma stavolta veniva adeguatamente ricompensata: le mani di entrambi ricambiavano il piacere giocando allegramente tra le sue gambe.
Tutti e tre non erano in grado di distogliere gli occhi dalla scena che sul tavolo trovava compimento, dalla quale erano talmente presi da volerne replicare l’intenso piacere dandosi a loro volta piacere.
In sincronia, Grazia scendeva e risaliva con i pugni attorno al sesso di Luca e Simone. Nel mentre l’uno giocava con il suo clitoride e l’altro le teneva un paio di dita a danzare dentro la figa.
La trovavo sexy nel suo camicione, sollevato fino alla vita. Attraverso i bottoni semiaperti scorgevo la sinuosa curva del seno e fantasticavo sulle immagini di quella stessa mattina, impresse a fuoco nella mia mente. Più in basso, la mia attenzione fu rapita da un curioso luccichio. Ci misi poco a realizzare quale ne fosse l’origine.
Grazia oltre al camicione non indossava altro che un plug anale su cui era incastonata una gemma sfavillante. Evidentemente aveva previsto di divertirsi parecchio quella sera, molto prima di sedersi a giocare. Era dannatamente eccitante, pensai.
Un gemito, acuto più degli altri, richiamò la mia attenzione al tavolo. < ODDIO! STO VENENEDO! > urlò Sara, schiacciando la faccia di Roberta contro di sé un attimo prima di iniziare a tremare convulsamente.
Roberta, intanto, replicava alla lettera i movimenti che io stesso avevo compiuto su di lei per regalarle il massimo godimento possibile e sembrava che stessero per sortire lo stesso effetto su Sara.
Infatti, urlando, Sara investì con un getto di umori il volto di Roberta. Copioso e lungo, mentre incontrollabilmente continuava a tremare. Roberta chiuse istintivamente gli occhi e aprì la bocca per assaporare il dono che le veniva offerto, come se bevesse dalla coppa dei vincitori. < OHHHH SIIIIIIII!!! > gridò ancora Sara, quando le dita di Roberta accelerarono ulteriormente dentro di sé, facendola esplodere ancora ed ancora sulla sua faccia a gambe tremanti.
I fiotti si susseguirono. Getti incredibilmente potenti dei quali Roberta si dissetò, lì in ginocchio, fino a quando non iniziarono, lentamente, ad affievolirsi come gli spasmi che avevano pervaso quelle carni ben tornite.
Il petto di Sara si sollevava e si abbassava freneticamente, come se avesse da poco tagliato il traguardo in una competizione da scattista. Gli occhi chiusi, la testa reclinata di lato e seminascosta dai capelli. Le gambe ancora aperte, penzoloni sul bordo del tavolo, incorniciavano la figura di Roberta seduta sul pavimento.
Ovunque, sul tavolo, sul pavimento, sui piedi delle sedie, gli schizzi puntinavano la superficie. Testimoni dell’intensità estrema con la quale quell’orgasmo aveva investito sia Sara che Roberta. A quest’ultima feci più attenzione quando mi resi conto che era letteralmente zuppa: la canotta bianca era talmente bagnata da lasciare chiaramente intravedere i suoi capezzoli, turgidi per l’eccitazione. I capelli formavano timidi ricci, come appena usciti dalla doccia. Assieme a lei, d’altronde.
< Cazzo tesoro, non pensavo facessi tutto questo casino! > ridacchiò rivolgendosi a Sara, che, con voce flebile rispose: < Nemmeno io! In genere non assomiglio ad una fontana… >.
Luca, con ancora il cazzo tra le dita di Grazia, confermò < Si, non ha mai squirtato così tanto! Cosa le hai fatto? Me lo insegni? >.
< Assolutamente no! È un segreto! > fece Roberta, incrociando il mio sguardo in cerca di approvazione. Poi si alzò in piedi e, guardando le condizioni in cui verteva, decise di sfilarsi la canotta lasciando in bella mostra il suo splendido seno perfetto.
Fece il giro del tavolo e, fingendo di strizzarla, la poggiò allo schienale della propria sedia e riprese posto, giusto all’altezza della testa di Sara.
Le prese la testa tra le mani e la baciò. Con quelle poche energie che le rimanevano, Sara ricambiò dolcemente. Poi aprì gli occhi.
< Ho vinto? > chiese sorridendo.
< In realtà non ancora, ma sembra che tu abbia fatto jackpot. > dissi.
Tutti risero alla battuta e lo presero come sprone a tornare al gioco. Sara, con non poche difficoltà, scese esitante dal tavolo e, seguendo l’esempio di Roberta, recuperò il vestitino per poggiarlo al proprio schienale. Poi si sedette.
Quella partita aveva preso una piega decisamente affascinante. Inattesa, ma sperata.
< Quanti punti bisogna fare per vincere? > chiese sornione Simone. < Di solito cinque… > feci io.
< Cinque?! > chiese Sara, quasi scioccata < Io mi accontento del mio bel punticino: sa comunque dare belle soddisfazioni! > ridacchiò in direzione di Roberta. < Dai su! Tocca a te! > la pungolò lei di risposta.
< E va bene… Vediamo un po’ se riesco a leggere > e pescò una carta domanda. Poi lesse: < La serata perfetta: pizza, birra e… > Sorrise. < La lingua di Roberta c’è tra le carte risposta? > chiese Luca.
< Quella ha già risposto abbastanza, cretino! > fece Sara divertita e scoppiammo a ridere di nuovo.
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