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Lui & Lei

La luna nel cortile


di Mitchell
28.04.2011    |    15.231    |    0 7.2
"Un giorno un secondino venne a dirmi "tua sorella è morta in un incidente stradale"..."
Io ero innocente ma ero finito li' e da li' nessuno mi avrebbe piu' tolto. Omicidio plurimo colposo, sputtanato a vita, marchiato su tutti i giornali e condannato all'ergastolo. L'ho capito dopo che chi si puo' permettere un avvocato, di quelli potenti, se la cava.
Io ero povero in canna, quasi senza un lavoro. Mia sorella invece era ricca, il suo uomo un grande manager, con i soldi che gli venivano fuori anche quando pisciava. Era stata lei a far fuori i nostri amici quella sera. In preda all'ecstasy, in preda alla coca. Poi aggiungici tutto quello che ci aveva bevuto su. Prese il fucile da caccia di mio padre, entro' ridendo come una pazza nella stanza e comincio' a sparare. Lisa, Saverio, Cristina e Massimo caddero a terra come birilli, colpiti tutti in pieno petto, schizzando come fontane tutto il sangue contenuto nelle loro vene. Io me la cavai perchè feci finta di essermi addormentato dietro un divano.Ma il nascondiglio fu stanato quasi subito. "Alzati" mi disse Samanta puntandomi il fucile in faccia. "Alzati, devi chiamare la polizia e costituirti".
"Cosa stai dicendo? Li hai fatti fuori tuttiii! E loro non ti avevano fatto niente!".
Mi ero alzato barcollando e cercai di riportarla alla realtà, ma ne aveva di droga in corpo, era quella che comandava il suo io.
"Stronzo!" replico' dandomi un calcio nei coglioni che mi fece ricadere a terra in un dolore insopportabile. Nella sua follia era rimasta cosciente e fu il suo spirito di sopravvivenza a farle esclamare "Io non voglio marcire in carcere, lo farai tu al mio posto!". Persi i sensi. Mi risvegliai seduto per terrai una camera trincerata, con un tavolo in mezzo. Sapevo già dov'ero. La stazione di Polizia. Dopo alcuni minuti entrarono 2 uomini in divisa e un terzo uomo in giacca e cravatta. Fu lui a parlare con un inconfondibile accento siciliano: "Allora Luciano Nespoli perchè l'hai fatto?". Balbettando risposi "Io non ho fatto niente". "Trucidare quattro amici nel bel mezzo della notte ti pare niente, eh?. E per fortuna tua sorella è riuscita a salvarsi, senza di lei non saremmo mai riusciti a risalire a te!".
"Io non ho ucciso nessuno! E' stata lei!."
"Si certo e come no e io sono il presidente dei ministri. Allora vuoi andare avanti molto con questa farsa o accetti di dire la verità?".
Lo guardai in un modo che solo i miei occhi potevano sapere come lo stavo guardando. Poi abbassai gli occhi sapendo che qualunque cosa avessi detto sarebbe stata usata contro di me. Ero stato incastrato da quella puttana. Non avrei avuto possibilità. La voce del sergente diceva le consuete frasi di routine.
"Se non puoi permetterti un avvocato te ne sara' assegnato uno di ufficio".
Buoni quelli d'ufficio, ce ne fosse stato uno, dico uno che che fosse riuscito a far saltar fuori la verità, almeno una volta, una sacrosanta volta. La verità che saltò fuori era che avevo preso a fucilate i nostri 4 amici, a sangue freddo, nel cuore della notte, in preda all'alcool e all'eroina. Quando ero privo di sensi quella schifosa di mia sorella doveva avermi fatto un'endovena di ero. Di alccol ne avevo bevuto un po' quella sera, ma solo un po'. E se ti fanno gli esami del sangue anche quel solo un po' già basta per metterti davanti alla corte come alcolizzato. Eroinomane e alcolizzato. Mica li fecero i test a mia sorella, lei era quella che se l'era cavata, lei era il testimone d'accusa. Doveva avere avuto dei guanti quando sparo' ai nostri amici. E doveva avermi messo il fucile tra le mani quando ero svenuto. Le impronte digitali che furono trovate erano le mie. I processi di appello non servirono a un cazzo. Condannato a vita per aver commesso il fatto anche se il fatto fu commesso da quella maledetta di mia sorella. Poi nella vita ti abitui a tutto, anche a marcire in una prigione. Ti rassegni che il più forte vince sul piu' debole. E' cosa nota. Io ero il piu' giovane lì dentro, e forse anche il piu' carino. Tutti i carcerati alla fine diventano froci pur di sfogare le loro vogle animali. E non puoi fare niente quando sei tra tutti la pedina piu' piccola, in quella scacchiera animata da delinquenti, assassini, stupratori. In poco tempo divenni la puttana del carcere. Tutti se ne approfittavano di me costringendomi ai giochi sessuali piu' squallidi. Venni picchiato, stuprato, inculato. Obbligato a soddisfare chiunque, secondini, guardie, carcerati. Ero diventato una cosa, un oggetto di piacere, una bambola gonfiabile per tutti quei farabutti che in qualche modo dovevano svuotare le palle. Odiavo quelle bocche che passavano sul mio corpo, odiavo quegli aliti pestilenziali quando cercavano di baciarmi. Odiavo quei burattini viventi che il destino aveva costretto a convivere con me. Già, il destino, diamo sempre la colpa a lui, ma a chi si può dare invece quando sai che tu non hai fatto niente di male e sei costretto a vivere, forse meglio dire sopravvivere, e forse è meglio dire vegetare in balia di quei maiali, di quei mostri a cui la vita aveva tolto tutto, anche se il tutto se l'erano tolti da soli.
A una faida di loro piaceva fare un gioco. Mettermi in ginocchio e masturbarsi a un metro da me. Vinceva chi mi sparava in bocca. E vincevano tre, quattro alla volta perchè era enorme la voglia di svuotare quei testicoli di merda che qualcuno gli aveva fatto.
Io stavo lì, come una cosa, senza volontà, come una valvola di sfogo. Chi vinceva poi me l'avrebbe messo nel culo. All'inizio fa male, poi cominci anche a prenderci gusto. ti devi sfogare anche tu in qualche modo. Poi c'era il gioco delle docce. Cercavo sempre di farla quando non c'era nessuno. Ma qualcuno faceva da cimice e in tanti arrivano sapendo che io ero li'. E a quei tanti piaceva da morire pisciarmi addosso, in bocca, nel culo. Tante volte ho avuto la tentazione di staccargli il cazzo con i denti quando me lo infilavano in bocca e iniziavano a pisciarci dentro, ma se l'avessi fatto sarei stato torturato a morte. Vince lo spirito di sopravvivenza, è quello che ti fa rassegnare e accettare tutto, a vivere come un'automa, come una marionetta mossa dai fili degli altri. Col tempo diventavo sempre piu' malleabile, sempre piu' arrendevole. E non mi facevano neanche più effetto quei cazzi che mi sborravano in bocca, che mi sfondavano il culo, che mi obbligavano a bere il prodotto dei loro reni.

Un giorno un secondino venne a dirmi "tua sorella è morta in un incidente stradale".
"Non fosse mai nata..." ribattei io. Allora un po' di giustizia in questo mondo c'è.
"Io non voglio marcire in un carcere" mi disse quella sera. Marcirà sotto terra e credo sia anche troppo benevola come penitenza per una come lei. Mi aveva condannato a una vita senza vita, non ci puo' essere perdono per un essere come quello. Ogni volta che i porci abusavano di me pensavo a mia sorella, avrebbe dovuto esserci lei al mio posto, magari a lei sarebbe anche piaciuto. Ma in fondo piaceva anche a me, avevo uno scopo ormai, soddisfare le voglie di gente fatta di merda, come la merda che si mangiava in mensa, come la merda che cagavi in quella piccola tazza in cella che lo stato ti mette a disposizione per liberarti degli escrementi. Ma non so se fossero più escrementi quelli che uscivano dal culo o tutto il resto, la società, il sistema corrotto, i boicottaggi, il potere dei potenti che vince sul potere dei deboli. Il denaro che vince su tutto. Quando hai quello puoi comprarti ogni cosa. Anche le false verità.

Nelle notti col cielo sereno guardavo la luna da dietro le sbarre. Era bella quella luna quando si affacciava sul cortile. Il cortile delle nostre passeggiate nell'ora d'aria.
Mi ricordava la luna che guardavo dal mio cortile quando ero piccolo. Quando ero piccolo, quando pensavo cosa avrei fatto da grande...

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