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Gay & Bisex

AI - Amici Intimi


di leatherbootsfetish
19.04.2025    |    3.961    |    12 9.6
"Luca è impietrito e riesce a dire solo: “Andrea …” Non riesce a muoversi..."
Andrea e Luca si conoscono fin dai tempi della scuola e, nel tempo, hanno sviluppato un rapporto di amicizia fortissimo, quasi due fratelli. Cresciuti insieme nella periferia della città, si sono trasformati in due bei ragazzi, anche se un po’ grezzi, ai quali non mancano occasioni per potersi divertire. Oggi hanno entrambi trent’anni e sono molto diversi, ma la complicità tra maschi che li unisce è incrollabile.

Andrea è quello che ci sa fare di più con le tipe. È solare, allegro e superficiale, Uno di quelli che si godono ogni risvolto della vita, cercando continuamente di usare il grosso cazzo che ha tra le gambe. Se lo tocca spesso e se lo sistema continuamente in maniera plateale da sopra i jeans.
Luca è più introverso, sensibile e profondo. Andrea ha sempre potuto fare affidamento sulla solidità e concretezza del suo carattere e ancora oggi lo sfrutta inconsciamente, lasciando che sia lui a gestire la loro quotidianità casalinga.
Amici, complici, più che fratelli, nella vita hanno condiviso qualunque cosa, compresa qualche ragazza. La loro unione è indissolubile perché sono complementari nella loro diversità.

Venerdì sera. I lampioni si accendono uno dopo l’altro mentre la città si prepara al fine settimana. Dentro casa, la luce è calda, leggermente soffusa, e odora di birra, pizza appena consegnata e deodorante spray.
Andrea è sdraiato sul divano, a torso nudo, i jeans allacciati con noncuranza e i piedi poggiati sul tavolino dentro alle sue Nike consumate. Scrolla il telefono con una mano, mentre con l’altra si sistema pigramente il pacco, come fa sempre, con naturalezza. Ogni tanto ride, manda un audio, poi torna a sfogliare foto e storie.
“Oh, guarda questa. Ti giuro che stasera la faccio venire. Ha delle tette che sembrano disegnate. Ma che cazzo mangiano queste tipe?”

Dal corridoio arriva Luca, birra in mano e aria più tranquilla, maglietta scura e jeans puliti. Si sistema accanto a lui, senza dire nulla per qualche secondo. Solo il suono delle notifiche, il fruscio del gas nella birra appena stappata e il respiro lento del venerdì sera che inizia.

Andrea lo guarda di sfuggita e gli dice: “Che hai? Sei strano. Ti è morta la pianta in camera?
Luca sbuffa piano e risponde: “No, è solo che sei partito a razzo anche stasera. Non ti stanchi mai?
“Fratè, il venerdì è sacro. Allenamento, pizza, birra e figa. Equilibrio dell’universo. E poi chi si ferma è perduto”
Luca ride, ma è un sorriso tirato. Non sa dire perché, ma stasera qualcosa lo infastidisce. Forse è solo stanchezza. O forse è quel modo che ha Andrea di esserci ovunque, di riempire lo spazio. Di invadere.

Andrea si stira, le braccia sopra la testa, mostrando il ventre scolpito e l’elastico dei boxer. Si gratta l’addome, poi si appoggia alla spalla di Luca con un gesto affettuoso, maschio, rozzo e insieme naturale.
“Tu sei troppo rigido, lo sai? Ogni tanto dovresti lasciarti andare. Ti porto fuori io stasera, va’. Ci prendiamo due tipe, ci facciamo due risate. Come ai vecchi tempi”
“Magari. Ma stasera no. Io resto a casa”
“Ma sei scemo? È venerdì! Che fai, ti deprimi con le serie invece di goderti la vita?”
“Forse sì. Non lo so. Non ho voglia”
Andrea lo guarda con una smorfia di finta esasperazione, poi gli lancia un cuscino addosso.
“Ma che ti succede ultimamente? Sei sempre in modalità “film francese”. Guarda che se stai male me lo devi dire, eh. Te lo faccio passare io”
Luca ride: “Tranquillo. Sto bene”
Ma non è vero. E nemmeno lui saprebbe dire perché. C’è solo quella strana sensazione addosso, come se qualcosa si fosse spostato dentro di lui. Una nota stonata in un accordo che è sempre stato perfetto.
Andrea torna a controllare il telefono, indifferente, come se niente fosse. Non capta, non immagina. Per lui Luca è lì, come sempre, come deve essere. Fratello di vita, spalla, ancora.
E Luca lo guarda, una birra in mano e il cuore un po’ più confuso del solito.

Il letto di Luca è scomodo, come sempre. Il materasso ha una leggera conca sul lato destro e le lenzuola gli si attaccano alla pelle per l’umidità. Si è infilato a letto prima del solito, inventandosi una scusa banale. La verità è che non voleva uscire con Andrea. Non stasera. Non con quella sensazione addosso che l’ha tenuto ancora sveglio.
Nel buio, il suono della porta d’ingresso che si apre lo scuote. Sente le risate. Una voce femminile, squillante, un po’ sbronza. E poi quella di Andrea, roca, allegra, più bassa.
La porta della stanza accanto si chiude. Silenzio. Poi il clic del letto. I primi gemiti. E non c’è più bisogno di immaginare nulla.
Luca si gira nel letto. Si copre la testa con il cuscino. Ma non basta.
I suoni sono inequivocabili: il ritmo del materasso, i sospiri, lo schiocco di pelle contro pelle. Lei gode e Andrea ride. Quel suo modo volgare, spavaldo, maschio. Come se fosse sempre uno spettacolo.
Ogni tanto si sentono frasi spezzate, parolacce sussurrate, il suono sordo di un corpo che cambia posizione. Luca stringe gli occhi. Il respiro gli diventa pesante. Non capisce se è rabbia, disagio, o qualcos’altro.

Dopo un po’, silenzio. Un silenzio improvviso, rotto poco dopo dal suono dei passi sul parquet e dalla porta d’ingresso che si apre di nuovo.
Lei se ne va. E lui arriva.
La porta della camera si spalanca senza bussare.
“Oh! Dormi?”

Luca si volta lentamente. Andrea è lì, mezzo nudo, solo i boxer addosso. I capelli lunghi un po’ arruffati, la pelle sudata, il corpo che ancora vibra di adrenalina.
“Adesso non più”
“Non fare il rompiballe. Te lo devo raccontare, fratello. Te lo giuro, questa me l’ha presa in bocca come se fosse stato pane e crema al cioccolato”
Si lascia cadere sul letto di Luca, stendendosi di traverso, il fianco che sfiora il suo. L’odore è fortissimo: sudore, sesso, profumo femminile appiccicato addosso. Luca stringe la mascella, resta immobile.

"A un certo punto l’ho presa da dietro sullo specchio, ti giuro, pareva di stare in un porno. Le tremavano le gambe. Poi mi guarda e mi fa: “Non l’ho mai sentito così grosso”. E io lì, fratè, gasato a mille. L’ho fatta venire due volte, due. Con le dita prima e poi …”
Luca, lo interrompe con un secco: “Basta, Andre”
Andrea lo guarda, sorpreso.
“Che hai? Non ti piace più sentire i dettagli?”
“Ho sonno. E tu puzzi di figa”
Andrea si fa una risata: “Geloso?”
“No. Solo stanco”

Andrea lo fissa ancora per qualche secondo, poi sbuffa e si alza. Ma non se ne va subito. Si ferma alla porta, si gratta sotto i boxer, sistemando il pacco con la solita disinvoltura.
“Sei strano ultimamente, lo sai? Ma tranquillo. Domani ti passa. Notte, bro”
Chiude la porta dietro di sé.
Luca resta immobile nel letto. Le lenzuola appiccicate alla pelle. Il cuore che batte troppo forte. E il cazzo duro. Senza motivo, senza logica. O forse sì. Ma lui non lo vuole sapere. Non adesso.

La cucina è ancora in penombra quando Luca apre il frigorifero. La luce fredda gli illumina il viso stanco. Ha già fatto il caffè, ha già dato una sistemata veloce ai piatti della sera prima, ha già fatto una doccia fredda che non è servita a niente.
Indossa una felpa larga e i pantaloni della tuta, ma si sente comunque nudo.
I pensieri della notte non lo hanno lasciato. Ha dormito poco, agitato. Ogni volta che chiudeva gli occhi rivedeva Andrea, sentiva la voce, le risate sporche, le parole sussurrate nel buio. E ora, mentre stringe la tazza tra le mani, il caffè gli sembra amaro in gola.
Poi arriva lui.
A piedi nudi, con i jeans mezzi sbottonati. I capelli lunghi spettinati, gli occhi ancora gonfi di sonno. Il passo lento, rilassato, un po’ barcollante.

“Mmmh, odore di caffè”. Si stropiccia gli occhi, poi sbadiglia largo, allungandosi come un gatto.
“Che sei già sveglio da un’ora? Cazzo, sei peggio di un monaco”
“Ho dormito poco”
“Eh, ti capisco. Con tutta quella passione nell’aria era difficile chiudere occhio”. Ride.
Luca non risponde. Andrea si avvicina, prende la tazza dalle mani dell’amico e ci beve dentro senza chiedere. Poi gliela restituisce con un sorriso da canaglia.
“Che sguardo, oh. Sembri uno che ha visto sua madre fare sesso”
“No, è solo che mi piace la mia tazza. E il mio spazio”
Andrea si piazza dietro di lui, lo abbraccia da dietro di colpo, cingendogli le spalle con le braccia grosse e nude, poggiando il mento sulla sua spalla.
“Ma che freddo che sei stamattina, bro. Vieni qui che ti scaldo io”
E Luca, rigido, cerca di scrollarselo di dosso: “Dai, smettila”
“Ma smettila tu. Che hai? Fatti una sega e sorridi un po’”
Ride, ma non molla la presa. Gli sfrega il petto con il palmo della mano in un gesto da fratello affettuoso, troppo affettuoso. Il bacino di Andrea si appoggia per un secondo contro il sedere di Luca. Una pressione involontaria, inconscia. Un secondo di troppo.
Il corpo di Luca si contrae, tutto.
Andrea finalmente si scolla, va a sedersi al tavolo e si gratta tra le gambe senza pudore, ancora mezzo addormentato.
“A proposito, me l’ha fatto con una lingua che sembrava una scopata a sé. A un certo punto mi ha preso anche le palle con una mano mentre …”
“Basta, Andre’”
Andrea si ferma. Lo guarda, un sopracciglio alzato.
“Ehi, oh. Ti ha dato così fastidio? Non sei tipo da gelosia per caso, eh?”
“No. Ma non ho voglia di queste stronzate”
“Va bene, va bene. Non lo dico più” gli risponde alzando le mani.
Poi sorride, beffardo: “Ma ti sei perso un bel film, te lo dico io”

Luca si volta di spalle, stringe il piano della cucina con le mani. Respira piano, cercando di restare calmo. Il corpo ancora avvolto dal calore del contatto. Il cuore che batte troppo forte per una semplice cazzata tra amici.
E Andrea lo incalza senza capire: “Sai che ogni tanto penso che dovresti farti un’esperienza fuori dal tuo solito schema. Una tipa strana, una notte fuori controllo. Insomma, qualcosa che ti spacchi la testa. Una roba che ti faccia venire voglia di vivere. Perché così, frate, sembri uno che si punisce da solo”
Luca non risponde.
Non può. Perché il vero problema è che quella roba che gli sta spaccando la testa ce l’ha davanti, ogni fottuto giorno. E non sa più come conviverci.

La porta si richiude alle spalle di Andrea con un tonfo secco. Le chiavi, il borsone da palestra, le solite scarpe da ginnastica consumate. È andato. Come ogni sabato, ha lasciato dietro di sé l’eco del suo corpo, del suo odore, della sua voce. Un turbine che si porta via ogni pensiero.
Luca resta fermo un attimo al centro del soggiorno, in silenzio. C’è un sole pigro che filtra dalle finestre e illumina la polvere che galleggia nell’aria. Ha bisogno di muoversi, di non pensare. Così comincia a sistemare casa. Mette via i piatti, butta le bottiglie vuote, raccoglie magliette e calzini lasciati in giro.
Poi va in camera di Andrea.
Appena entra, sente quell’odore inconfondibile: sudore maschile, deodorante, testosterone. E sotto, un vago sentore di sesso. La finestra è chiusa, l’aria è ferma. Il letto è disfatto, le lenzuola ancora segnate da quella notte.

Luca si avvicina, prende i vestiti sparsi: jeans, la maglietta bianca arrotolata, i calzini buttati a terra. Poi li vede.
I boxer.
Elasticizzati, neri, lucidi. Quelli aderenti che Andrea mette quando sa che la serata promette bene. Luca li prende con due dita, per un attimo solo per buttarli nel cesto. Ma non lo fa.
Li tiene in mano.
Li gira tra le dita. Li stringe.
E poi, senza pensarci, li avvicina al viso.
Li annusa.
Un colpo secco allo stomaco. Odore di uomo, di sudore, un fondo leggerissimo di lubrificante e di sperma. L’istinto prende il sopravvento, irrazionale, urgente.
Si spoglia in fretta. T-shirt, boxer, tutto a terra. In piedi, nudo nella stanza dell’amico. Il cuore batte. La pelle è in fiamme. L’adrenalina scorre improvvisamente veloce.

Infilarsi quei boxer è come entrare in una seconda pelle. Caldi, stretti, ancora impregnati di lui. Il tessuto gli abbraccia il cazzo subito, lo stringe, lo avvolge. E lui si gonfia. Immediatamente.
Un brivido lungo la schiena.
Ma non c’è vergogna, non c’è panico. C’è solo pace.
Si guarda allo specchio nell’armadio. Quel tessuto nero lucido gli fascia i fianchi, segna ogni curva. Dentro c’è lui, ma anche Andrea.
Il suo uccello occupa il posto che è stato di quello di Andrea. E questa cosa lo fa sentire vivo, euforico, come se avesse scoperto un modo tutto suo di stargli vicino senza rischiare niente.
Sorride.
Sorride davvero.
Luca pensa: “Non lo saprai mai”
Si riveste, raccoglie il resto dei suoi vestiti e li mette nel cesto. Poi torna in cucina come se nulla fosse. Ma dentro… è diverso. Cammina con una consapevolezza nuova. E anche se il cazzo pulsa sotto i boxer che non gli appartengono, decide di tenerli addosso per tutto il giorno.
Solo per lui.
Solo oggi.

La porta d’ingresso si apre con il solito rumore secco. Andrea entra con il borsone della palestra a tracolla, le spalle sudate sotto la canotta nera e l’aria soddisfatta di chi ha appena fatto panca, squat e probabilmente anche due battute sporche con la receptionist.
“Casa dolce casa! Dove cazzo sei, monaco tibetano?”
Luca è in cucina, piegato sul lavello. Si gira lentamente, sorride, e Andrea lo squadra da cima a fondo.
“Ehilà, che ti sei fatto oggi? Hai l’aria rilassata come uno che si è appena fatto un massaggio con finale felice”
Luca si limita a sorridere appena, una piega strana sulle labbra. Ha ancora addosso i boxer dell’amico sotto una tuta morbida e sente il cazzo premere contro il tessuto da quando Andrea è entrato. Ogni suo movimento, ogni parola, ogni gesto … accende.

Andrea si avvicina, annusa l’aria.
“Ti sei fatto una canna o hai preferito una sega sul divano?”
Luca ride, cerca di restare tranquillo. Ma non dice nulla.
Andrea lo fissa un attimo, poi abbassa lo sguardo. E lo nota.
Il rigonfiamento.
Un accenno, niente di volgare. Ma abbastanza per far scattare l’istinto da maschio in modalità sfottò.
Con un movimento rapido, Andrea gli dà un colpetto secco, maschio, sul cavallo dei pantaloni. Un gesto che fanno da sempre, ma Luca sobbalza.
“Oh! Hai bisogno di scaricare, bro. Ce l’hai stampato in faccia. E pure in mezzo alle gambe.
Luca si irrigidisce. Il colpo lo ha fatto sobbalzare sul serio, e dentro i boxer rubati il suo cazzo ha avuto una fitta violenta, quasi piacevole. Un brivido lo attraversa da dentro.
Andrea, inconsapevole, si appoggia al bancone con un sorriso da diavolo.

“Guarda, te lo risolvo io il problema. Ho conosciuto due tipe bomba in palestra. Una con le treccine, l’altra col culo da paura. Le ho invitate stasera. Una per uno, come ai vecchi tempi. Ci divertiamo, ci svuotiamo, e domani si parla di cose serie”
Luca deglutisce a vuoto. Lo guarda, in silenzio. Andrea non ha idea. Di nulla. E proprio per questo è tutto così spietato, crudele. E insieme eccitante da morire.
Andrea gli strizza l’occhio: “Dai, non fare il timido. Lo so che quando ti sciogli sei peggio di me. Ci scopiamo le due tipe insieme e vediamo chi resiste di più”

Luca si volta, cercando di nascondere l’imbarazzo. E quell’eccitazione crescente, sempre più difficile da camuffare.
Dentro quei boxer tesi, pieni del corpo di un ladro, il suo cazzo è rigido. Vivo. Pronto.
E la voce di Andrea, il suo odore, il suo sfiorarlo, lo stanno distruggendo.
“Magari. Vediamo”
“Bravo. Dai, che stasera spacchiamo”
Andrea si allontana per farsi la doccia, ignaro. E Luca resta lì, da solo in cucina, il cuore in gola e una sola certezza addosso.
“Stanotte sarà un inferno”

La serata parte come tante altre.
Birre in mano, musica di sottofondo, le tipe sedute una sulle gambe di Andrea, l’altra stretta al fianco di Luca sul divano. La luce è bassa, l’aria densa di dopobarba, vino rosso e voglia. Andrea scherza, tocca, provoca. Una delle due gli passa la lingua sul collo, lui le morde l’orecchio. L’altra ride, si sfrega contro la coscia di Luca e gli sussurra qualcosa.
Luca ha la testa leggera, ma non è l’alcol.
È Andrea.
È il modo in cui ride mentre le mani della tipa gli scorrono addosso, il modo complice con il quale guarda Luca e gli dice con gli occhi: ci sei? Sei con me? Come ai vecchi tempi?

Andrea rompe gli indugi.
“Dai, si va in camera. Facciamo le cose comode”
E ci vanno.
Tutti e quattro, insieme.

La stanza di Andrea è un casino come sempre, lenzuola in disordine e odore di sesso ancora nell’aria. Non c’è imbarazzo, non c’è esitazione. Andrea si spoglia prima, ovvio. Slip neri tirati giù con un gesto lento e teatrale. Il cazzo, grosso e già mezzo duro, oscilla pesante tra le gambe. Le tipe ridono, si eccitano.
Luca è lì, in piedi, a guardare.
Ancora addosso i suoi boxer. Quelli che ha rubato. Quelli che lo stanno stringendo come una seconda pelle. E sente tutto: il battito, il sangue, il calore che sale.
La tipa lo tira per la mano, si butta sul letto e lo trascina con sé.
Cominciano a spogliarsi.
Baci, graffi, respiri. Ma Luca guarda. Guarda Andrea. Nudo, in piedi, che si gode ogni tocco della sua tipa con una fame che fa tremare le pareti. Le afferra i capelli, glielo fa prendere in bocca, poi la spinge a cavalcarlo con una risata roca.
Luca è sull’altra ragazza, la monta con energia, si muove forte, geme. Ma ha gli occhi fissi sull’altro lato del letto, su Andrea che ansima basso, che suda, che stringe il culo della sua preda come se volesse affondarci dentro per sempre.
Ogni spinta dentro di lei, ogni colpo, Luca lo dà seguendo il ritmo di Andrea. Si muove come lui. Respira come lui.

L’odore del sesso riempie la stanza. Sudore, umidità, fiato corto. I gemiti delle due ragazze si mescolano ai respiri profondi dei due uomini. La stanza è un unico, caldo, groviglio di carne.
Andrea si gira un attimo verso Luca, con quel sorriso da maledetto che ha quando si diverte troppo.
“Dai fratè, fammela sentire urlare anche tu”
Luca annuisce, si spinge più forte dentro di lei. Ma gli occhi… sono continuamente su di lui.
Sul suo corpo, sul cazzo che scompare dentro quella figa bagnata, sulle sue palle pesanti, sulle mani forti che stringono, sulla bocca socchiusa che sussurra “sì, così …”

E Luca esplode.
In silenzio.
Senza un suono.
Con lo sguardo fisso sull’unica cosa che non può avere.

Il sole entra dalla finestra senza permesso. È domenica mattina inoltrata e la casa è immersa in un silenzio strano, quasi irreale dopo la notte sfrenata. Le ragazze sono andate via da poche ore, tra baci distratti e risatine post-sbornia.
Luca è già in piedi.
Nudo, in punta di piedi, si muove nella sua stanza con la precisione di chi nasconde un reato. Afferra i boxer neri e li infila nel cesto del bucato. Non basta. Li pesca di nuovo, li butta direttamente in lavatrice e fa partire il ciclo veloce. Deve farli sparire. Subito.

Il ronzio della lavatrice è l’unica cosa che sente mentre si infila i pantaloni larghi della tuta e una felpa, ancora scosso dal ricordo della notte. Dallo sguardo fisso su Andrea. Dal cazzo duro dentro una donna mentre desiderava un uomo. Quell’uomo.

Andrea arriva in cucina qualche minuto dopo. Capelli scompigliati, boxer grigi e la solita canotta bianca troppo larga. Si gratta la pancia e poi infila la mano nelle mutande come se fosse la cosa più normale del mondo, sbadiglia, prende una birra dal frigo anche se sono le undici del mattino.
“Mamma mia, bro, che notte. E che tipe. Non ci si può lamentare, eh?”
Luca sorride appena, senza alzare gli occhi.
“Devo dirtelo, però. T’ho visto. Tu eri un fottuto animale. Quella tua lì urlava come se le stessi leggendo l’apocalisse dentro. Complimenti”
E Luca gli risponde a denti stretti: “Già, è stata … intensa”
Andrea si appoggia al tavolo, lo guarda da sopra la bottiglia.
“Non ti ho mai visto così passionale. Ti giuro, a un certo punto l’ho pure detto alla mia: “Oh, senti il mio socio. Sta tirando giù la parete!”
Ride, genuino, affettuoso. Lo dice col tono di sempre: fratello tra fratelli, cazzo tra cazzi. Ma a Luca quel ricordo fa stringere la bocca dello stomaco. Perché non era solo sesso, non per lui. Non stanotte. Non con Andrea così vicino, così nudo, così… dannatamente bello.
La lavatrice ronza ancora. Luca lancia un’occhiata nervosa alla porta della lavanderia.
“Che hai da lavare con tutta ‘sta fretta? Hai pisciato nel letto?” gli chiede Andrea
E Luca, senza guardarlo: “No, un po’ di roba. Magliette e mutande”
Andrea alza le spalle, non ci fa caso. Fa un giro intorno al tavolo, gli si piazza dietro e gli stringe le spalle con quelle mani grosse da uomo di palestra.
“Oh, comunque mi sei piaciuto. Non è da tutti reggere il mio ritmo. Forse dovremmo farlo più spesso. Quelle due erano perfette per noi”

Le mani scivolano via, e Andrea si allontana per andare a prendere il cellulare, lasciando Luca in piedi, duro di nuovo, il cuore a mille, e un solo pensiero nella testa:
“Più spesso? Col cazzo. Quella sarebbe stata l’ultima volta”

Mangiano qualcosa insieme, poi Andrea con una sigaretta già tra le labbra, si infila in fretta i suoi stivali da biker e la giacca.
“Sto fuori tutto il pomeriggio. Un salto al centro commerciale, poi calcetto e quindi aperitivo con i ragazzi. Ci vediamo per cena?”

Luca annuisce, seduto sul divano facendo finta di guardare la TV. Il cuore gli batte già forte. Appena sente la porta chiudersi alle spalle dell’amico, resta immobile.
Attende il silenzio pieno. Poi si alza, lentamente, come se qualcosa dentro di lui si stesse sciogliendo. Come se non fosse più in grado di opporre resistenza a quello che vuole davvero.

Va in camera di Andrea. Spalanca l’armadio. Sa già cosa sta cercando.
Li vede subito: i jeans aderenti, quelli consumati, slavati, morbidi, con la patta a bottoni. Quelli che Andrea indossa sempre senza biancheria sotto, lasciando ben visibile il rigonfiamento naturale tra le cosce. Quelli che quando cammina, ogni donna, e non solo, si gira a guardare.
Li prende.
Con mani che tremano appena, si toglie tutto: maglietta, tuta, boxer puliti. Nudo, davanti allo specchio dell’armadio, si guarda un attimo. Poi infila i jeans a pelle.
Il tessuto è morbido, consumato. Gli accarezza le cosce, si stringe all’altezza dell’inguine. Chiude i bottoni della patta a uno a uno, lentamente. Quando arriva all’ultimo, sente già il cazzo premere. Ma è una pressione che lo eccita. Che gli piace. Che lo fa sentire bene.

Poi tocca ai texani consunti. I preferiti di Andrea. Quelli che mette quando vuole farsi notare.
Li infila come un rito. L’odore di pelle vissuta gli sale al naso. Dentro c’è la forma di Andrea, la sua andatura, i suoi passi. Luca li percepisce sui polpacci. Duri e familiari.

Infine, la camicia.
Quella attillata, blu scuro, che Andrea sbottona sempre fino al petto. Luca la infila e sente il tessuto tirare leggermente sui pettorali.
Si guarda allo specchio. Si sistema i capelli. Si passa le mani sulle cosce, poi sul pacco in evidenza.
Il cuore accelera.
Il cazzo è mezzo duro, già. E più si guarda, più si piace. C’è qualcosa di profondamente erotico in tutto questo. Non è solo un gioco. È appartenenza. È possessione al contrario. Lui che si lascia possedere da ciò che Andrea è. Da ciò che rappresenta. Da ciò che Luca non riesce più a ignorare.
Ma vestito così sente svanire la tensione. Non c’è più malinconia e nemmeno pensieri.

Si gira.
Cammina per casa.
Ogni specchio diventa un’occasione per guardarsi. Per guardarlo attraverso sé stesso. Si tocca sopra i jeans. Si accarezza. Si sistema il cazzo all’interno. Quel cazzo che preme sempre di più.
Vuole restare così, intrappolato tra il suo desiderio e l’illusione di essere dentro la pelle di Andrea.
E non ha nessuna intenzione di smettere. Si lascia cadere sul divano. I jeans stretti di Andrea tirano all’altezza del cavallo, contro il suo cazzo gonfio, duro, vivo. La camicia gli fascia il petto che si alza e si abbassa veloce e i texani sono li, la sua connessione con il pavimento mentre muove le gambe cercando una posizione comoda.

Ha il cuore che martella.
Le mani tremano appena.
Le dita vanno lì, tra le cosce, sopra il rigonfiamento evidente. E iniziano a muoversi.
Con delicatezza. Con fame. Come se stesse accarezzando lui. Andrea. Suo fratello.
Chiude gli occhi.
Lo vede. Il suo corpo, la sua voce roca, i suoi jeans che tirano quando è duro, il modo in cui si tocca senza nemmeno farci caso. Il modo in cui ride mentre si aggiusta il cazzo davanti a tutti.
E Luca lo immagina lì, tra le sue mani.
Apre il primo bottone. Poi il secondo. Fino alla fine.
Il cazzo esce e se lo impugna, caldo, teso, vibrante.
“Sei tu … sei tu, cazzo …”
La mano stringe, accarezza, sale e scende. Il respiro si fa pesante, profondo. Gli occhi ancora chiusi. La testa piegata all’indietro sul divano.

E poi la porta si apre. Un rumore leggero. Non lo sente.
Ma Andrea lo vede subito.
Si è dimenticato il portafoglio. È salito di corsa.
Si blocca. Immobile. Lo sguardo fisso sulla scena davanti a sé. Luca, il suo Luca, disteso sul divano, con addosso i suoi vestiti. I suoi jeans. I suoi stivali. La sua camicia.
Il cazzo di Luca fuori, la mano che si muove lentamente. Il volto teso. Gli occhi chiusi.
“Luca, che …?”
Luca si blocca.
Un secondo eterno.
Poi apre gli occhi. E lo vede sulla porta.
Andrea è lì. In piedi. Fermo sulla soglia. Il portafoglio in mano. Lo sguardo incollato al suo cazzo duro tra le dita. Alla camicia sbottonata. Ai jeans aperti. Alla verità nuda e cruda.

Silenzio. Solo i respiri. Pesanti. Confusi. Il tempo che si è fermato.
Luca è impietrito e riesce a dire solo: “Andrea …”
Non riesce a muoversi.
E Andrea lo guarda. Non arrabbiato. Non disgustato.
Stupito. Stordito.
E profondamente, intensamente, colpito.
Il silenzio è denso come nebbia.

Luca ha ancora la mano sul cazzo, la camicia aperta, i jeans sbottonati, il fiato corto. Andrea lo guarda dalla soglia, fermo, con gli occhi spalancati cercando di capire. Ma non dice niente. Non ancora.
Luca si muove d’impulso, frenetico. Come un colpevole appena beccato.
Infilza il cazzo nei jeans con una smorfia, lo nasconde goffamente, chiude i bottoni velocemente. Si tira giù la camicia, si sistema senza riuscirci, gli occhi lucidi, la pelle rossa, il cuore in gola mentre cerca di giustificarsi.
“Non è, non è quello che pensi”
La frase più stupida e inutile del mondo.

Andrea non risponde. Fa un passo avanti. Poi un altro. Gli stivali scricchiolano sul parquet.
“Luca”
Il tono è basso, cauto. Come se stesse parlando a qualcuno che potrebbe spezzarsi con un soffio.
Luca si scosta, si gira di spalle, le mani nei capelli. Cammina avanti e indietro nella stanza, poi si blocca. Si stringe le braccia al petto.
“Non avresti dovuto vedermi”
“Che cazzo stavi facendo?”
Non c’è rabbia nella voce. Solo confusione. Curiosità. Una specie di paura.
Luca si volta di scatto, con gli occhi lucidi, e finalmente crolla.

“Non lo so!” La voce si alza, poi subito si spezza. “Non lo so, cazzo… È come se… È da un po’ che non riesco a smettere di pensarti. Guardarti. Sentirti. Tu che cammini mezzo nudo, che ti tocchi davanti a me come se fosse niente, che racconti tutto di te, di quanto scopi, di quanto sei sicuro. E io? Io ci impazzisco. Non riesco più a respirare”
Andrea è immobile.
Le parole lo colpiscono in pieno, ma resta lì, davanti a Luca, senza dire niente.
Luca si passa le mani sul viso, disperato, mentre i jeans gli stringono ancora addosso, gonfi del cazzo che non ha più senso nascondere”
“Ho messo i tuoi vestiti. I tuoi jeans. I tuoi cazzo di boxer. Mi ci stavo masturbando pensando a te. E volevo solo sentirti addosso. Un po’. Solo un po’. Perché non posso averti. E fa un male bastardo”
Poi si siede, le mani sul volto, il corpo che trema.
Silenzio.

Andrea resta lì, il cuore che batte forte, la testa che gira.
E per la prima volta non sa cosa dire.
Luca è ancora seduto sul bordo del divano, le mani che si stringono le tempie, il respiro spezzato. Le parole dette pesano ancora nell’aria, come piombo in sospensione.

Resta fermo davanti a lui.
Poi si muove. Lentamente. Gli si inginocchia davanti, gli prende i polsi con delicatezza, li abbassa. Lo guarda in viso e ci vede tutto: l’ansia, la paura, la fragilità, ma anche quel filo sottile di speranza che nonostante tutto brucia ancora.
“Bro, guarda me”

Luca alza gli occhi, lenti, rossi.
Andrea gli sorride appena: “Sei un coglione”
Una pausa.
Poi, con voce più morbida, quasi dolce:
“Ma sei anche fighissimo. E, porca puttana, non pensavo tu potessi stare così bene con i miei jeans. Ti stanno meglio che a me, davvero. Sei figo da far paura, così”
Luca sbatte le palpebre, incredulo.
Andrea gli fa un sorriso piccolo, vero. Senza malizia. Senza ironia.
Poi lo tira in piedi. Lo abbraccia.
Un gesto lento, totale. Lui è suo fratello.
Luca si lascia stringere, il viso affondato nell’incavo tra collo e spalla. Le mani sulle scapole larghe dell’amico, il petto schiacciato contro il suo. E lì, in quel contatto, Andrea lo sente. Lo sente davvero.

La protuberanza.
Il cazzo di Luca, sporgente, pieno, che preme contro il suo.
Ma Andrea non si scosta.
Non si irrigidisce.
Resta lì.
Il suo respiro cambia. Lentamente. Diventa più profondo. Più… consapevole.
Andrea, sottovoce, ancora abbracciandolo:
"Ehi, tranquillo. Non devi nasconderti con me. Mai più”
Poi gli accarezza la schiena, dolce ma forte. Non dice nulla di più. Ma nel suo abbraccio c’è tutto: comprensione, presenza, e qualcosa che, forse, non sa nemmeno lui di star iniziando a provare.
E Luca, con il cuore che gli batte contro le costole, resta lì.
Per la prima volta senza sentirsi sbagliato. Per la prima volta libero davvero.

L’abbraccio non si scioglie. Non subito.
Andrea stringe Luca contro di sé. E più passano i secondi, più quel contatto lo accende invece di metterlo a disagio.
C’è qualcosa di maledettamente potente in quello che sente.
Il calore del corpo dell’amico. Il petto che si solleva sotto la camicia attillata. La tensione muscolare sotto il tessuto. I cazzi che spingono sotto ai i loro jeans.

E poi lo guarda.
Si stacca un po’. Solo quel tanto da osservare Luca vestito come lui.
I jeans sbiaditi che tirano sull’inguine. La camicia aperta sul petto. I suoi stivali, così vissuti, così familiari. Quell’immagine lo ipnotizza. È come guardare sé stesso in una versione più vulnerabile, più cruda, più affamata.
“Cazzo, sembri me. Ma più carico. Più eccitato”.
Sorride, e gli passa un dito sul petto, tra i bottoni della camicia. Poi si avvicina di nuovo. Non per abbracciarlo.
Ma per sentirlo meglio.

Appoggia il bacino al suo. Lentamente. La protuberanza di Luca gli preme contro, decisa, viva. Andrea la sente, piena, consistente, e il suo respiro cambia.
Non si tira indietro.
Fa il contrario.
“Tu mi stavi pensando, vero?”

Luca non riesce a parlare.
Andrea lo guarda dritto negli occhi, poi si avvicina all’orecchio.
“Ti stavi facendo una sega con addosso i miei jeans, pensando al mio cazzo, pensando a me?”
È una provocazione. Ma non ha veleno. Solo fuoco.
Andrea lo prende per i fianchi. Le mani grosse che stringono proprio lì, dove i jeans tirano di più. Dove il tessuto si tende per colpa dell’eccitazione.
“Sai che sei dannatamente sexy così? Mi fai venire voglia di guardarmi allo specchio mentre scopo"
Le mani scivolano dietro. Gli stringe il culo. Forte. I jeans esaltano ogni curva, ogni tensione muscolare.
Andrea si morde il labbro. C’è eccitazione nei suoi occhi. Sincera. Cruda.
“Vuoi che ti tocchi io, adesso?”
La voce non ha più la leggerezza di prima. È bassa, sporca, vera. Una proposta sussurrata con l’urgenza di chi sta scoprendo qualcosa di nuovo e gli piace.
E Luca trema. Ma non dice niente.
Non serve.
Quando Andrea gli sussurra “Vuoi che ti tocchi?”, si limita ad annuire. Piccolo movimento del capo. Un sì che non ha più bisogno di voce.
Andrea lo guarda un istante, poi con dolcezza ma senza esitazione lo prende per le spalle e lo fa girare. Lentamente. Fino ad averlo di spalle, la schiena attaccata contro il suo petto.
Andrea ci si appoggia, il corpo che aderisce perfettamente. I suoi jeans contro i jeans di Luca. Il suo fiato caldo contro il collo dell’amico. Le mani che si muovono, lente, decise.

Scivolano sulla camicia.
“Cazzo, come ti sta questa camicia… sento ogni tuo muscolo sotto”
Sfiora i pettorali con i palmi aperti. Poi scende. Le dita trovano il rigonfiamento ancora chiuso dai bottoni. Lo accarezza sopra il tessuto, piano, con precisione, come se stesse scoprendo un corpo che già conosce. Lo stringe leggermente, lo aggiusta. Indugia su quel morbido cuscino per pochi secondi, poi infila una mano all’interno dei jeans e lo impugna, ne assapora la consistenza. Esattamente come è solito a fare con il suo.
Luca ha un sussulto. Sente la mano calda di Andrea sul suo uccello che ricomincia a crescere rapidamente.
La voce di Andrea è roca: “Questa minchia, la stavi toccando pensando alla mia, eh?”

Poi la mano sale, si apre sul petto. Scende lungo le cosce. Torna sul culo.
Lo stringe.
Lo afferra.
“Sei me. Ma con più fame”
Andrea chiude gli occhi. Si strofina piano contro di lui. Il proprio cazzo comincia a gonfiarsi, lo sente premere contro il culo di Luca. La camicia si tende, i jeans stridono lievemente sotto le mani che scivolano.

Poi, un sussurro.
Una domanda che non sembra nemmeno vera.
“Vuoi che entri dentro di te?”
Pausa.
Il respiro si ferma.
“Perché è come se stessi entrando dentro me stesso. Dentro quello che non sapevo di essere. E tu sei lì, così pronto”
Le mani non si fermano. Una lo tiene stretto al fianco. L’altra torna a premere piano sulla patta chiusa, quasi in segno di rispetto. Di richiesta. Sta aspettando.
Aspettando che Luca risponda. Che dica sì.
E quando Luca lo dice è solo un sibilo, ma è la chiave per aprire quella porta.

Andrea non si ferma più.
Non pensa, non analizza. Agisce. Il suo corpo sa cosa fare. Ha sempre saputo. E anche se non è mai stato con un uomo, qualcosa dentro di lui lo guida. L’istinto, la curiosità, il riflesso di sé che ha davanti. Vivo, ansimante, pronto.
Luca.
In piedi davanti a lui, vestito come lui, duro per lui. Il culo stretto dentro i suoi jeans aderenti. Le spalle tese. La nuca che pulsa sotto il fiato caldo. E quel sì sussurrato che ha fatto crollare ogni barriera.

Andrea lo spinge piano in avanti, contro il muro.
“Tieni le mani lì. Fammi vedere quanto lo vuoi”
Luca obbedisce, docile, tremante.
Andrea lo osserva un secondo. I jeans gli tirano addosso. Il suo cazzo è duro, potente, pulsante. E dentro, un misto di eccitazione e adrenalina gli monta nel petto. È come scopare qualcosa di suo. Un’altra versione di sé. Un gemello di pelle che si offre, che brama.

Le mani gli scorrono sulla schiena per poi accarezzargli il petto. Gli aprono la camicia. Gli accarezzano la pelle. Poi scendono ai fianchi. Alla cintura, ai bottoni dei jeans. A uno a uno, li slaccia. Lentamente.
Gli scivola dietro. Gli abbassa i jeans fino a metà coscia, lasciando scoperto il sedere sodo, compatto, già teso per lui. Andrea ci passa le mani sopra, lo esplora. Lo stringe. Lo separa piano con i pollici, guardando. Sentendo il calore che emana.
“Merda, guarda che culo che hai”
E lì si ferma un attimo.
Non sa esattamente come muoversi. Ma non gli importa. Il desiderio è troppo forte, il corpo davanti a lui troppo invitante. E il pensiero gli scivola addosso come un sussurro sporco:
“Non sarà così diverso. L’ho fatto con decine di donne. Posso farlo con lui. Con lui voglio farlo.”

Andrea si abbassa. Sfiora con la bocca la pelle. Lecca. Bacia. Morde piano. E Luca geme, trattenuto, con la fronte contro il muro. Il corpo si tende, si apre. Si offre.
Andrea lo stringe forte. Il cazzo spinge, vibra.
La voglia è troppa.

Stacca le mani dal corpo di Luca solo il tempo necessario per potersi slacciare in fretta la cintura e sbottonare la patta dei jeans senza nemmeno calarseli. Tira fuori dai boxer il suo cazzo durissimo e poi si riconnette a Luca con le mani che accarezzano, che stringono, che esplorano.
Il suo viso è attaccato a quello di Luca e gli sussurra piano: “Adesso ti prendo. Come ho preso altre. Ma con te, è diverso”
Il corpo di Luca si muove, si prepara, accoglie.
E Andrea, con un ultimo respiro profondo, si lascia andare.
Dentro.
Nel suo amico. Nel suo riflesso. Dentro sé stesso.

Luca ha le mani sul muro, le dita aperte, le braccia tese. Il viso è appoggiato al freddo della parete, ma il resto del corpo è in fiamme. I jeans gli scendono sulle cosce, gli stivali di Andrea lo tengono saldo a terra. Il sedere nudo, offerto, esposto.
E dietro, Andrea. Caldo. Duro. Pronto.

Il primo contatto è una carezza. La punta del cazzo di Andrea che scivola piano tra le sue chiappe, esplorando, cercando. E poi si ferma.
Un secondo di sospensione. Di attesa.
Luca trattiene il fiato.
Poi Andrea spinge. Piano. Deciso.
Il corpo si tende, si apre, si lascia fare. È lento, ma non c’è esitazione. C’è solo desiderio.
Luca resta in silenzio e pensa: “Sto sentendo Andrea. Dentro. Finalmente. Finalmente è reale”

Andrea affonda un po’ di più. Il respiro si spezza. Le mani stringono i fianchi di Luca, forte, come se volesse aggrapparsi a lui per non perdersi. I muscoli si muovono sotto la pelle, vibrano. Il cazzo entra ancora. Un centimetro alla volta.
“Bro, sei stretto da morire”
Luca geme. Non solo di dolore. Di pienezza.
Andrea resta fermo un attimo, completamente dentro.
Poi comincia a muoversi.
Piano. Profondo. Ritmico.
I colpi diventano sempre più lenti, più intensi. Ogni affondo fa gemere Luca contro il muro, la fronte sudata che scivola sul cemento freddo. Ogni spinta di Andrea è un colpo di verità. Di potere. Di possesso. Ma anche… di unione.

“Così… sì, così”. “Sei mio, cazzo. Lo sei sempre stato, vero?”
Luca annuisce appena. Non ha fiato per rispondere. Ma lo sente ovunque. Nella pelle, nel ventre, dentro le ossa.
Le mani di Andrea esplorano. Gli sfiorano i pettorali sotto la camicia che non si è tolto, lo stringono contro di sé mentre continua a spingere dentro. Ogni colpo è più profondo. Ogni colpo è più loro.
Non ci sono più dubbi. Né limiti.
Solo due corpi. Due amici. Due anime.
Un solo respiro condiviso.

I colpi diventano più veloci. Andrea si è perso nel corpo di Luca. Le mani lo stringono ai fianchi con forza, le dita affondate nella carne, gli stivali piantati a terra. Il bacino spinge avanti, ancora e ancora, con un ritmo che cresce, diventa fame, diventa furore lento. Non c’è più nulla fuori da quel contatto.
Solo calore. Frizione. Pelle contro pelle.
Luca ha la testa bassa, le labbra semiaperte. I gemiti gli escono rotti, spezzati. Ogni affondo lo fa fremere, lo fa sussultare. Il cazzo duro gli sbatte contro il muro ad ogni spinta, strusciando, stimolato solo dal movimento, dalle vibrazioni. Non ha bisogno di toccarsi. È tutto lì, nel modo in cui Andrea lo prende.

“Cazzo, Luca … sei … sei perfetto …”
Luca geme più forte. Si muove all’indietro, accogliendo ogni spinta con il corpo che si apre sempre di più. Il suo cazzo è duro come pietra, struscia nel vuoto, gocciola. I jeans abbassati lo stringono ancora sulle cosce, lo fanno sentire dominato, bloccato, preso.
Andrea accelera. Il respiro gli scappa tra i denti. Gli colpi diventano più pieni, profondi, bagnati. Il suono della pelle che sbatte contro la pelle riempie la stanza, scandisce il ritmo di un momento che non ha più ritorno.
“Luca, sto per venire … ti giuro … sto per …”
Luca geme forte, il viso premuto al muro.
E poi succede.
Andrea spinge forte, profondo, fino all’osso. Si ferma. Trema.
“Sì… oh, sì… cazzo…”
Viene.
Dentro di lui.

Luca lo sente: il calore, la tensione, i colpi finali del bacino che si muove appena mentre Andrea geme, affondato fino all’ultima fibra.
Il corpo di Andrea vibra. Le mani ancora strette sulla pelle di Luca. Il cazzo che pulsa, rilascia, riempie.
E Luca?
Luca viene senza neanche toccarsi.
Un orgasmo violento, puro, lo attraversa da dentro. Le gambe gli cedono, ma Andrea lo tiene. Il piacere lo prende alla gola, al ventre, al cuore. Il cazzo spara contro il muro, tra i jeans e la camicia, sporco, umido, vero.
Restano così. Fermi. Uniti.
Sporchi. Sudati. Liberi.
Andrea si piega su di lui, la fronte sulla sua spalla, ancora dentro.
“Porca puttana” si lascia sfuggire Andrea

Silenzio.
Solo i respiri. Il battito. Il corpo di Luca che trema ancora.
E il pensiero che, dopo questo, niente sarà più come prima.
Il corpo di Andrea si ferma.
Ancora qualche spasmo, il respiro che scende piano, il petto che si abbassa a scatti. Resta appoggiato alla schiena di Luca per qualche secondo, col viso poggiato alla sua spalla, il fiato caldo contro la pelle.
Poi, lentamente, con un gesto quasi timido, si sfila.
Esce.
Luca lo sente. Il vuoto improvviso. Il freddo. Lo scivolamento umido, lento, del cazzo di Andrea che abbandona il suo corpo. Il respiro gli si ferma in gola per un attimo.
Un filo caldo scivola lungo l’interno coscia.
Silenzio.
Andrea si passa una mano sul viso, si scosta un po’, gli occhi ancora opachi di piacere e stupore. Lo guarda. Luca si gira, piano. I jeans ancora abbassati, il petto nudo e segnato, il viso sconvolto, ma gli occhi sono vivi.
Per un lungo istante si guardano. Nudi, disorientati, veri.
Poi Andrea parla. Con la sua solita voce, quella da amico, quella che cerca di far tornare tutto familiare. Ma stavolta è più bassa. Più fragile.
“Ok, quello …” fa una pausa passandosi una mano tra i capelli “è stato intenso”
Luca abbassa lo sguardo. La voce gli esce appena. Riesce solo a rispondere con un semplice: “Sì”
Andrea si tira su i jeans, lentamente. Poi prende un respiro più profondo.
“Ma è stato solo un momento. Una cosa tra noi. Come dire, uno sfogo. Una curiosità. Niente che cambia le cose, no?”
Luca resta in silenzio. Poi annuisce. Senza convinzione.
“No. Non cambia niente. Te lo giuro”
Le parole galleggiano nell’aria, leggere. Ma dentro di loro pesano come pietre.
Andrea si avvicina. Gli mette una mano sulla spalla. Una stretta vera, quasi tenera. Ma non dice altro. Solo uno sguardo più lungo del solito, come se volesse dire qualcosa ma non trovasse il coraggio.
Poi si volta.
Va verso la porta della stanza, ma si ferma lì. Di spalle e aggiunge:
“Ma se… se volessi che cambiasse…non lo direi adesso”
E se ne va.

Luca resta lì. Nudo. Il corpo ancora caldo. Il cuore in silenzio.
Chiude gli occhi. E pensa:
“Anch’io non lo direi adesso. Ma, porca puttana, quanto vorrei”
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