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Gay & Bisex

Uomini confusi


di leatherbootsfetish
25.04.2025    |    931    |    2 9.2
"Io non faccio testo, ma era fuori di dubbio che gli stessero magnificamente..."
Sta dormendo accanto a me, col respiro profondo e lento, disteso come un dio pagano che ha appena finito di prendersi ciò che gli appartiene.
Io invece sono ancora sveglio. Ancora aperto, con le gambe leggermente divaricate, la pelle dei glutei arrossata e una goccia del suo piacere che mi scivola giù lungo l’interno coscia.
Ma non è questo che mi tiene sveglio. È quel pensiero ossessivo e ricorrente che mi batte in testa: chi sono diventato?

Nel corso degli anni la mia sessualità si è evoluta seguendo un percorso aperto, mutevole e piuttosto fluido. Mi piace fare sesso e ho attraversato confini, sperimentato ruoli, giocato con corpi di uomini e donne senza seguire alcuno schema predefinito. Senza dubitare mai della mia identità.
Io sono un uomo e mi piaccio così. Forte. Libero. Maschio.
Ma ultimamente qualcosa si è incrinato. E sta succedendo anche ora, mentre sono sdraiato a letto letto, con il suo corpo incollato al mio e il suo cazzo molle appoggiato tra le chiappe nude.

Mi passo le dita tra i capelli, quei capelli che non sono più corti e maschili come li ho sempre avuti. Ora cadono lisci e morbidi fin quasi alle spalle. È lui che mi ha chiesto di farmeli crescere così. Dice che gli piace accarezzarli e che lo eccito ogni volta che muovo la testa.
Per contro, lui ha tagliato i suoi, rasandoli corti ai lati e li esibisce andandosene in giro con quella sfacciataggine che gli viene così naturale. Inoltre, io sono costretto a rimanere completamente depilato, mentre il suo corpo è coperto dai peli biondi e sottili che ha deciso di lasciarsi crescere. Come se avesse voluto accentuare ancora di più la sua animalità. La sua virilità cruda.
Ed estremizzare le nostre differenze.

Non ho mai permesso a nessuno di entrare nel mio corpo se prima non fosse riuscito a entrare nella mia mente e Sergio ha avuto facile accesso a entrambi, tanto che quando mi prende in quella maniera ho smesso di chiedermi perché io glielo lasci fare.
Non c’è più razionalità, c’è solo un’attrazione primordiale che mi tira a lui come una calamita.
Lui mi ha portato a questo punto. Un passo dopo l’altro, senza fretta, senza farmi rendere conto che mi stava ribaltando come un calzino. L’evoluzione è stata lenta, quasi impercettibile.
Amo ancora dominare. Amo ancora prendere. Ma con lui … con lui adoro farmi prendere.

E il peggio, o il meglio, è che non riesco a cambiare queste dinamiche. Non voglio.
Desidero solo restare qui, rannicchiato tra le sue braccia forti, a sentire il suo odore che sa di sudore, di sesso e di testosterone.

Mi giro per guardarlo mentre dorme e penso a quanto mi abbia scolpito. Letteralmente.
Ha levigato e definito il mio corpo, come se fossi un oggetto da esporre. Ma allo stesso tempo mi ha consumato facendomi suo in modi che non ho mai permesso a nessun altro.
Un tempo pensavo di “sperimentare”. Ora non saprei più dire dove finisce il ruolo e dove inizia il mio vero io.

Quando vado con altri, quando cerco esperienze esterne per riaffermarmi attivo, forte, indipendente, lo faccio sentendomi ancora l’uomo che sono. Ma poi torno sempre da lui.
Non perché me lo imponga. Ma perché è diventato la mia ossessione.
La mia droga.

E adesso sono qui, incastrato tra le sue braccia, che ripenso agli avvenimenti della serata appena trascorsa, durante la quale il confine tra gioco e realtà è stato molto labile, quasi inesistente.

Stavo leggendomi un libro in attesa che tornasse a casa dopo aver passato il pomeriggio a farsi i cazzi suoi e lo sentii arrivare ancora prima di vederlo. Il rumore dei passi pesanti sul pavimento del corridoio, il tintinnio del mazzo di chiavi, il cigolio della porta.
Era di ottimo umore e si è avvicinato per darmi un bacio veloce sfoggiando uno dei suoi migliori sorrisi.
“Ti ho comprato qualcosa. Non ti muovere da lì” mi disse al volo prima di chiudersi in camera con tutte le borse con le quali era rientrato.
Sergio non è tipo da shopping e quella frase aleggiò nell’aria per un po’, stuzzicando la mia curiosità.

Ancora euforico, riapparve poco dopo vestito con una delle sue magliette strette e un paio di pantaloni in lucida pelle nera che mi lasciarono a bocca aperta.
Qualche tempo prima mi ero offerto di regalargliene un paio, ma lui aveva declinato. “Non saprei proprio come metterli. E poi, quella è roba da checche come te” mi aveva detto liquidando l’argomento con una risata.
Si era portato dietro i suoi stivali neri e si è seduto di fianco a me per infilarseli con grande calma, facendo finta di non guardarmi. Poi si è piazzato davanti ai miei occhi, facendo ondeggiare leggermente i fianchi mentre si sistemava il bigolo e faceva scivolare le mani sulle cosce per lisciarseli.
“Allora? Cosa ne pensi? Li ho presi pensando a te”
Conosce le mie ossessioni. La pelle. Gli stivali. Quel mix perfetto di forza e sesso che mi manda in tilt.
Lo sapeva. E li stava usando su di me. Per me.

Completamente frastornato da quella novità improvvisa mi soffermai a guardarlo. Così figo, maschio e incredibilmente arrapante. Avrei voluto fare qualche battuta, così, solo per sfotterlo. Per giocare. Ma il mio cazzo mi aveva già tradito, impossibile da nascondere sotto ai pantaloni della tuta. Così ho deglutito e ho fatto un mezzo sorriso.
“Una bomba», sussurrai. “Sei … devastante” gli risposi senza riuscire a distogliere lo sguardo dai bottoni della patta, la cui tensione tradiva il contenuto sottostante.
Quei pantaloni erano incredibili, a vita bassa e così avvolgenti da aderire perfettamente ai suoi fianchi senza stringere eccessivamente. Le gambe lunghe comunicavano potenza e virilità.
Io non faccio testo, ma era fuori di dubbio che gli stessero magnificamente.
Dato però che mi stava stimolando, decisi di stuzzicarlo facendo leva su ciò di cui è più orgoglioso.

“E poi fanno sembrare più grande il tuo pistolino” gli dissi per prenderlo per il culo.
Tornò a sedersi sul divano con sguardo di sfida. Quei pantaloni dovevano essere incredibilmente morbidi perché la pelle non fece nessun caratteristico scricchiolio. Mi prese la mano e se la passò voluttuosamente sull’inguine.
“Pistolino, eh? Non mi sembra che lo trovi tanto piccolo quando ti entra su per il culetto” poi allungò la sua per accarezzarmi l’uccello che continuava a prendere vigore sotto ai pantaloni della tuta.
“Ma qui sotto c'è qualcosa che si sta muovendo. Sbaglio?” aggiunse ridendo.
“Sei uno stronzo. Lo fai apposta”.
“Certo che lo faccio apposta”.
Poi mi prese la testa tra le mani e mi infilò la lingua in bocca. “Non c’è storia, Con te è decisamente troppo facile. Vedrai, stasera ci divertiremo” mi disse guardandomi negli occhi, tirandomi su con lui.
“Vieni. Ho un’altra sorpresa per te”

Mi portò in camera e si fermò accanto al letto facendomi cenno con un semplice movimento della testa. Sul copriletto c’erano solo due oggetti, perfettamente disposti. Un perizoma nero, sottile, ridotto all’essenziale e un paio di altissimi stivali in pelle con il tacco sottile e la zip laterale che, per certo, non erano stati disegnati pensando a un uomo. Ma così volgari e assurdi da essere perfetti.
Tutto pensato, preparato e disposto con cura.
Aveva pianificato attentamente la sua strategia sapendo con certezza che gli sarei andato dietro.

“Tu non stai bene, bello mio” gli dissi guardandolo.
Sergio replicò con un sorriso: “… disse quello che rischia di venire nei suoi calzoni ogni volta che gli capitano a tiro un paio di stivali”
“Touché”. Purtroppo, aveva perfettamente ragione.

“Quindi? Quali sono i tuoi programmi per la serata?” Cercai di guadagnare tempo guardandolo con sufficienza, evitando il più possibile di far cadere lo sguardo in mezzo alle sue gambe.

Sergio si avvicinò, fino a sfiorarmi con il corpo. Si tolse l’inutile maglietta che nascondeva l’ampio torace e i tatuaggi, tenendo addosso solo i suoi nuovi pantaloni e gli stivali. Il profumo del suo corpo mi entrò nel cervello, rendendomi molle, incapace di muovermi, ma ancora più eccitato.
Con grande calma, un’insolita gentilezza e un sorriso complice mi fece abbassare davanti a lui.
La patta era chiusa. Ma il gonfiore era evidente. Osceno e arrapante.
Non sono certamente l’unico frocio che va fuori di testa davanti a una patta gonfia, ma il gioco di luci sulla superficie lucida lo faceva sembrare ancora più grande e l’odore di cuoio che quei pantaloni emanavano era tanto forte da agire come un afrodisiaco incredibilmente potente.
Mi fece appoggiare la guancia sul suo inguine, guidando la mia testa con la mano per strofinarsela piano.
“Ti piace, vero?»
“Non potrei smettere nemmeno se volessi” annuii con un filo di voce, godendo di quel contatto.
“Senti com’è liscio e morbido? Riesci a percepire quello che c’è sotto?”
“Cazzo … sì”. Non riuscivo a smettere di accarezzarglielo facendo scorrere la testa.
“Bravo, così. Lasciati andare. Lascia che sia il tuo istinto a guidarti”

Poi mi posizionò la testa facendo in modo che i miei occhi fossero puntati sul cavallo dei suoi pantaloni.
Mi lasciò lì, in ginocchio, in adorazione mentre mi accarezzava delicatamente i capelli.
Poi si abbassò verso di me e mi sussurrò all’orecchio:
“So quanto ti piace quello che vedi. E so anche che vorresti che ti dessi il permesso di aprire quei bottoni. Ma questo verrà poi. Adesso tocca a te fare qualcosa per me”
Stavo in silenzio con il cazzo durissimo e non riuscivo a staccare gli occhi dal suo inguine. Lo so, sono malato.

“È questo che voglio da te stanotte,” proseguì indicandomi ciò che stava sul letto. “Li indossi e io ti faccio godere come nessun uomo ha mai fatto prima”.
Poi mi costrinse a guardarlo negli occhi: “Li indossi e sei mia. La mia troietta. Ma sempre Paolo. Sempre il mio fottuto maschio con le palle. Solo, nella sua versione … migliore”

Mi girai di nuovo verso il letto. Li guardai. Il perizoma sembrava quasi innocente, eppure sapevo che una volta indossato avrebbe cambiato qualunque prospettiva. Gli stivali erano un atto di obbedienza. O di perversione. O forse entrambe.

La mia gola si strinse. Il mio cazzo era duro mentre i pianeti si stavano allineando.
La parte maschile di un uomo che per me è imprescindibile e la parte femminile che Sergio tende sempre a far emergere.
Due passioni opposte, talvolta così complementari. Yin e Yang.

Ma qui il gioco si stava facendo molto più tosto del solito e dei diversi ruoli che ho interpretato negli anni con i miei partner, quello della parodia dell’altro sesso non mi ha mai divertito più di tanto. Conoscendo però i gusti di Sergio, decisi che questa volta avrei dato tutto me stesso.
Anzi … tutta me stessa.

Mi tolsi la tuta piano, lasciandola cadere a terra.
Mi spogliai lentamente. Lo feci guardandomi allo specchio, osservando quel corpo che sentivo non appartenermi più del tutto.
Liscio, tonico, scolpito. Allenato e modellato per lui.
Sergio si sedette comodamente sul letto di fianco a me senza togliermi gli occhi di dosso.
Presi il perizoma tra le dita. La stoffa era leggera e lucida. Mi chinai lentamente per infilarlo e quando lo sistemai al suo posto lo sentii aderire alla pelle in un modo indecente. Il mio cazzo teso lo deformava davanti mentre dietro mi lasciava praticamente nudo.

Poi gli stivali. Mi chinai e li infilai, uno alla volta. Tirai su la zip con lentezza, sentendo il cuoio stringersi attorno ai polpacci depilati. Erano oltre ogni decenza. Alti, lucidi, aderenti. Mi slanciavano il corpo e mi destabilizzavano.
Non ero più io. O, forse, ero finalmente io.
Sergio si sporse in avanti e mi passò la mano sul fianco. Il suo palmo caldo sulla mia pelle esposta.
Poi il suo sguardo incontrò il mio. “Ora sì,” sussurrò. “Ora sei perfetto.”

Rimasi lì, in piedi, davanti allo specchio. Lo sguardo fisso sulla mia immagine riflessa. Il perizoma nero mi fasciava sul davanti, evidenziando l’erezione che non aveva intenzione di calare. Gli stivali mi slanciavano le gambe, dandomi un’aria quasi teatrale. Orribilmente irresistibile.

Eppure, io ero sempre io.
Il petto era ancora quello di un uomo. Le spalle larghe, la mascella ferma, lo sguardo che non cedeva. Non stavo diventato qualcun altro. Non mi stavo mascherando. Stavo solo giocando. Come ho sempre fatto. Solo che questa volta il gioco stava scavando più a fondo.
Dentro di me fu il caos mentre l’orgoglio si mescolava alla vergogna. Ma al centro di tutto c’era l’eccitazione pura. Primordiale. Quella che mi prende lo stomaco e me lo stringe. Quella che mi faceva venire voglia di mostrarmi così proprio a lui, solo a lui, perché sapevo che mi avrebbe guardato come nessun altro può fare.

Mi girai verso Sergio ancora seduto sul bordo del letto, il corpo disteso con i gomiti sul materasso, i pantaloni in pelle ancora addosso, le gambe larghe come un re che osserva il suo trofeo.
I suoi occhi azzurri mi divoravano. Ma non c’era derisione. C’era passione. C’era voglia.
Sentivo il filo del perizoma che si tendeva ogni volta che mi muovevo. Il cuoio degli stivali cigolava piano. E quel rumore, quel dettaglio, mi faceva impazzire.

Mi chinai su di lui e gli presi il mento. Volevo che mi guardasse mentre gli dicevo: “Ok. Hai la tua troia per stanotte. Ma sappi una cosa, bestione”
A quel punto appoggiai le mani sulle sue cosce, facendole poi scorrere fino alla patta dei pantaloni per accarezzargli con decisione il contenuto, tenendo però sempre lo guardo dritto nei suoi occhi.
“Questa puttanella ti farà godere come nessun altro uomo è mai riuscito”

Lui rise piano. Un suono basso, roco. Si alzò e mi prese per i fianchi, stringendo forte. La pelle delle sue mani era ruvida, calda.
“Lo so. È per questo che ti adoro”
E io, sentendo quelle parole, mi sono sentito invincibile.

Mi venne dietro alle spalle e cominciò ad accarezzarmi fissandomi attraverso lo specchio. Fece in modo che percepissi pienamente il contatto della pelle liscia dei suoi pantaloni sulle mie gambe e l'uccello che premeva contro il mio culo nudo.
Io non sono certo basso ma era evidente quanto mi sovrastasse in altezza.
Rappresentavamo due mondi opposti. Due corpi che si incontravano al confine dei desideri reciproci. Oltre la decenza.
“Io mi sono preparato per te”. Mi disse facendo scorrere le mani sulle cosce e sul culo fissando i miei occhi riflessi. “E ora tu l’hai fatto per me”

Mi prese per mano e mi riportò in salotto. Si sedette sul divano, le gambe larghe, lo sguardo famelico e le braccia aperte, invitanti.
“Vieni qua”
Mi accoccolai su di lui, come una gattina, il sedere sulle sue cosce, il busto contro il suo petto.
Mi accarezzò piano, la mano callosa già sul mio buco, il dito dentro, in profondità, senza troppi preliminari.
“Tu lo sai che mi fai impazzire quando fai la troia”
“Il mio obiettivo è proprio farti impazzire”
“Voglio vedere fino a dove riesci a spingerti per me”
“Non ti resta che mettermi alla prova. Potrei anche sorprenderti”

Gli infilai la lingua in bocca mentre gli accarezzavo il pacco da sopra i pantaloni. Il cazzo era duro, presente, già di dimensioni importanti.
Ma non avrebbe avuto tutto subito. Lasciai che si dedicasse un po’ a me mentre io mi prendevo cura del suo uccello attraverso i pantaloni lisci.

Visto che non prendevo l’iniziativa come al solito, mi fece inginocchiare davanti a sé. La verga ancora imprigionata, ma pronta a esplodere.
Avevo il cazzo duro che spingeva contro il perizoma, il filo sottile tra le chiappe che mi solleticava a ogni minimo movimento, e davanti agli occhi la visione di Sergio: seduto sul divano con le gambe divaricate, che non aspettava che me.
Gli sbottonai la patta lentamente, a uno a uno tutti i bottoni.
Il cazzo scattò fuori come una molla. Grosso. Caldo. Vivo.
“Lo vuoi?”
“Sempre”
“Dimmi cosa ti piace di lui.”
“Mi piace quanto è grosso. Mi piace che non vuoi mai nasconderlo. Mi piace la sua consistenza quando è molle e mi piace sentire come può diventare duro. Mi piace perché è parte di te”

Mi prese per la nuca con gentilezza, ma la voce era ferma. “Succhialo, bambina. Dimostrami che ciò che dici è vero”
Era pesante, pulsante, vivo. Lo passai sulle labbra prima di aprirle, guardandolo dal basso con lo stesso sguardo che avrebbe avuto un animale fiero: sottomesso, ma mai domato.
Lo presi in bocca. Con voglia. Con devozione. Volevo che Sergio fosse orgoglioso di me.
Quel corpo fuori controllo non mi apparteneva più.

“Fai lavorare quella bocca come sai fare”. L'urgenza stava aumentando.
Non mi tirai indietro. Gli occhi fissi sui suoi, la saliva che colava, il rumore umido della bocca che si apriva e si chiudeva sul cazzo. Sul suo magnifico cazzo.
“Ti piace farmi impazzire, eh?” ringhiò. Ma, avendo la bocca piena, evitai di rispondergli.
Lasciò che glielo succhiassi con calma, come se volesse gustarsi la scena. Mi accarezzò e mi guidò con gentilezza, tenendomi la mano sulla testa.
Il suo sguardo era quello di un predatore soddisfatto, uno che si gode lo spettacolo prima dell’assalto finale.
Lo guardavo dal basso, succhiando le palle, leccando la cappella gonfia, indugiando sul frenulo. Poi passai la lingua lungo tutto l’asta, lentamente, percependo le vene sotto alla pelle tesa.

“Sei la pompinara più brava che abbia mai avuto”. Sussurrò con voce roca.
Feci una pausa per rispondergli: “E tu hai il cazzo più buono che abbia mai preso in bocca”
Lo presi fino in fondo, le mani sulle sue cosce, i talloni sollevati per non perdere l’equilibrio sugli stivali alti.
Lui mi prese per la testa e cominciò a scoparmi la bocca.
“Aprila tutta, troia. Voglio sentire la tua gola che si stringe su di me”
Mi spinse leggermente su e giù, senza brutalità, ma con un ritmo deciso, autoritario.
Ogni tanto mi tirava fuori il cazzo dalla bocca e me lo passava sul viso, spalmandomi la saliva e il pre-sperma come se fosse il suo rossetto personale.
“Guarda come sei messo. Tutto bagnato per me. Ti piace, eh?”

E quella era solo la prima portata.

Mi afferrò per un braccio e mi sollevò di peso, spingendomi fino a farmi appoggiare le mani sul tavolo davanti al divano.
Il legno freddo sotto i palmi, il culo in aria, il perizoma tirato di lato.
Mi sputò sopra un paio di volte e poi scese con la testa.
La sua lingua era calda, esperta, decisa. Mi apriva centimetro dopo centimetro, infilava la punta e poi la lingua intera, mentre le mani mi tenevano spalancato, costringendomi a stare lì a gambe divaricate, esposto, vulnerabile. Il solletico della sua barba amplificava ulteriormente il mio piacere.
“Minchia, quanto sei buono. Hai un culo che chiede di essere distrutto”
Mi leccò fino a farmi tremare le gambe, alternando la lingua alle dita, fino a spingerne dentro tre tutte insieme.
Gemetti piano, ma era un lamento più animale che umano.

"Sei pronta?", sussurrò al mio orecchio.
“Sto per esplodere. Dammi tutto”
“No, cucciolo. Questa volta ti chiavo come si deve”
Si rialzò e senza nemmeno togliersi i pantaloni si posizionò dietro di me. Appoggiò la cappella sul mio buco e cominciò a spingere.
Lentamente. Con decisione.
Sentii ogni millimetro che entrava. Ogni vena. Ogni spinta. Il cazzo si fece strada come un ariete, lento ma inarrestabile, mentre mi si spezzava il respiro.
Ogni volta che lo sento è come se fosse la prima. E ogni volta il mio corpo lo vuole ancora di più.
“Merda … sei grosso”
“Zitta e prendilo. È quello che vuoi, no?"
Lo era. E lo presi tutto.
"Così. Tu pensa solo a godertelo, che io mi occupo del resto”
Mi scopò con forza crescente, tenendomi fermo appoggiando le mani sulle mie anche. Ogni spinta era un colpo secco, deciso, profondo.
Il mio corpo si adattava al suo, si apriva, lo accoglieva, lo voleva.
“Sei la mia bambola. Fatta per essere riempita”

Spostato il perizoma anche sul davanti mi afferrò le palle, me le strinse leggermente. Poi la mano mi accarezzò la schiena fino a salire dietro la nuca, costringendomi a tenere il volto schiacciato sul tavolo.
“Fammi sentire che mi vuoi”
“Ti voglio. Ti voglio dentro. Sempre più forte”

Mi schiaffeggiò il culo, uno, due, tre volte.
Si piegò su di me, ancora dentro, e mi morse piano il collo, poi lo leccò.
“Hai un odore da puttana. Sai quanto mi fai impazzire così?”
Mi tirò su per poi farmi girare. Il cazzo gli scivolò fuori, lungo e bagnato, luccicante di me.

Mi prese per mano e mi fece sedere su di lui, steso sul divano. Mi tenne per i fianchi e guidò la discesa.
Mi impalai da solo, sentendo la punta farsi largo di nuovo, più a fondo stavolta, ancora più in alto.
“Così, brava. Cavalcalo. Voglio vederti godere”
Mi muovevo a ritmo, con le mani appoggiate sul suo petto sudato, mentre lui mi stringeva i fianchi e mormorava cose irripetibili da quanto era eccitato.

“Cazzo, sei stretto. Ma così caldo”
“Tutto tuo. Solo tuo. Fammi tua fino in fondo”
Poi, come un fottuto padrone del gioco, mi bloccò. Mi lasciò lì, con il suo cazzo dentro, fermo.
Mi abbracciò, incastrando la testa nel mio collo. Il tono era caldo e gentile quando mi sussurrò:
“Non ti muovere. Voglio sentirti così. Piena. Orgogliosa. Posseduta”

E così rimasi. Immobile. Bloccato sopra di lui, con il cazzo che mi spingeva dentro come un chiodo, mentre le sue mani mi accarezzavano le chiappe, la schiena, la nuca.
Mi aveva appena impalato per l’ennesima volta, bloccandomi sopra di lui con tutto il mio peso.
Il cazzo duro e pulsante ancora al mio interno.
Non si muoveva. Non voleva ancora venirmi dentro. Voleva sentirmi. Tenermi lì. Usarmi come contenitore per il suo piacere.

Mi stringeva forte, il petto premuto contro la mia schiena, il respiro caldo sul collo.
Io ero completamente svuotato, ma pieno. Spalancato. Completamente in mano sua.
“Non ti muovere, bambolina. Rimani così. Sei perfetta con me dentro di te.»
Chiusi gli occhi. Avevo la pelle che bruciava. Il cazzo ormai molle dentro al perizoma fradicio, ma il cuore ancora impazzito nel petto.
Mi passò una mano tra i capelli e poi me li tirò piano, per farmi alzare il viso e guardarlo in faccia.
“Sei la mia piccola puttanella. Guarda come ti fai ridurre”

Lo fissai. E non c’era rancore. Né vergogna. Pura e semplice dipendenza.
“Sì. Sono tua. Fallo di nuovo”
Invece mi tirò su per sfilarsi e io persi l’equilibrio nel tentativo di mettermi in piedi. Ancora una volta mi ritrovai a terra davanti a lui.
Sporse il busto in avanti e allungò una mano per accarezzarmi i capelli
“Spogliami. Adesso cominciamo a fare sul serio”. Si appoggiò di nuovo allo schienale del divano allungando una gamba.
Misi entrambe le mani su primo stivale. Una mano sulla punta e l’altra sul tallone e cominciai a sfilarglielo. Poi l’altro. In silenzio, Sergio non mi perdeva di vista.
“Annusali. Sanno di me” e io eseguii.
“I pantaloni” proseguì soddisfatto.
Li presi dal fondo e glieli sfilai.

Poi si alzò e mi tirò verso di sé. Un bacio lungo, sensuale, con l’invadente presenza del suo cazzo duro e bagnato in mezzo a noi.
“Certe volte vorrei riprenderti col cellulare per poterti rivedere quando mi sento solo. Sei fantastico”
Quando mi prese in braccio mi sentii di nuovo saldo e mi aggrappai a lui permettendogli di portarmi di peso verso la nostra camera.
Mi buttò sul letto e mi fu addosso un attimo dopo.

Cominciò a baciarmi in modo lento, profondo, come se dovesse succhiarmi l’anima prima di prendere il mio corpo.
Mi sistemò supino sul bordo del letto, mi aprì le gambe mentre io lo guardavo da sotto.
Così, completamente nudo e dominante, ai miei occhi era bellissimo.
“Sai cosa voglio adesso, vero?”
Lo sapevo. Risposi come se fossi stato a un esame: “Tutto. Fino in fondo. Senza pietà". Ero pronto.
Afferrò il cazzo e se lo guidò dentro di nuovo, spingendolo con forza, mentre io agganciai le gambe attorno a lui il più saldamente possibile, gli stivali alti che sfioravano i suoi fianchi, i talloni che gli grattavano la schiena.
Entrò fino in fondo e cominciò a muoversi con forza e con profondità.
Mi guardava sorridendo. “Dovresti vederti adesso. A gambe aperte mentre prendi un uccello in culo godendotelo come una troia. Mi fai impazzire quando fai così”

Mi stava possedendo. Non solo nel corpo. Ma in tutto quello che mi aveva fatto diventare.
Le sue mani mi afferrarono i fianchi, poi il petto, poi la gola. Mi stringeva, mi accarezzava, mi parlava.
“Sei fatta per essere scopata. Guarda come prendi tutto. Sei nata per stare sotto, per farmi godere”
“Sì … sì, scopami … fammi tua … dammelo tutto”
Il suo ritmo aumentò, la pelle che schiaffeggiava la mia, il letto che scricchiolava, il mio cazzo che si raddrizzava di nuovo, duro, impazzito.

“Mi fai godere come nessun altro. Nessuno ti scoperà come me. Mai”
“Mai. Tu sei il mio uomo”
Quando venne, mi morse la spalla, urlando il mio nome, scaricandosi dentro di me con violenza, afferrandomi tutto il corpo come se volesse fondermi al suo.
Io venni un attimo dopo, senza nemmeno toccarmi, solo sentendo il suo corpo scatenarsi sul mio, mentre il perizoma si riempiva di seme caldo.

Il silenzio dopo fu pesante. Ma non vuoto.
Mi staccai da lui a fatica. Tremante e dolente, ma felice. Ero stato in grado di soddisfare il mio uomo, ricavandone un piacere immenso.
Finito il momento di delirio mi resi però nuovamente conto di quanto fossi ridicolo con addosso quei lunghi stivali femminili e mi affrettai a toglierli. Le gambe ancora scosse dai crampi.
Mi guardai allo specchio. Uno straccio.

Ero ancora io. Ma diverso.
Ero la versione che lui aveva creato.
Un ibrido. Una creatura nuova. Una cosa fatta di carne, di piacere e di desiderio.
Mi venne vicino e si sedette dietro di me sul letto, tenendomi ancora una volta in mezzo tra le sue gambe mentre appoggiava il petto contro la mia schiena. Mi strinse tra le braccia e mi baciò il collo. Era di ottimo umore
“Tu mi mandi fuori di testa. Con quegli stivali addosso ti sei trasformato. Sei riuscito a dimostrarmi quanto puoi essere la troia appassionata che sei. Così accondiscendente, così ubbidiente. Totalmente passiva”.
“Tienili da conto”, sussurrò poi. “Li useremo di nuovo. Presto”

“Voglio che tu sappia una cosa”, risposi, guardandolo nello specchio davanti a noi.
“La prossima volta che mi vedrai con questi farai meglio a stare attento. Perché potrei usarli per cavalcarti fino a farti impazzire. Potrei anche arrivare a infilarti qualcosa nel culo e vedere che effetto ti fa”
Lui rise, basso. Ma nei suoi occhi non c’era solo divertimento.
C’era una scintilla.
Forse paura. Forse eccitazione.
O forse no. Mi stava semplicemente sfidando.
Forse era solo parte del gioco. E in quel gioco, io ero il suo giocattolo preferito.

Non riesco ancora a prendere sonno. I pensieri si affollano nella mia mente.
“Sei fatto per essere scopato” mi aveva detto. “Sei nato per stare sotto”
Ma non mi conosce abbastanza. In fondo lui non sa niente di me. Però mi fa incazzare che lo pensi, perché io so che non è così.
Poi un lampo nella testa e spalanco gli occhi. Ha ragione lui, cazzo, io sono effettivamente diventato così.
Ma non è stato lui a cambiarmi. Ho fatto tutto da solo. Mi sono annullato in lui per compiacerlo, convinto che quello fosse quello che voleva. Avevo trasformato il nostro rapporto ed era tutta colpa mia.

Le luci della notte filtrano attraverso le finestre. non c'è bisogno di accendere la luce.
Mi alzo, apro l’armadio e indosso i miei stivali alti e neri. No, non quelli fighetti da cavallo che metto spesso sotto ai jeans, ma quelli con la suola pesante e la fibbia all’altezza del polpaccio che non indosso da tanto tempo.
E così, nudo con i miei stivali ai piedi, non sento più il dolore al culo, ma solo la durezza del mio cazzo svettante che pulsa.

Sergio dorme.
Mi avvicino e gli appoggio la cappella alla bocca facendola scorrere sulle sue labbra.
Ecco, ha aperto gli occhi e sta cercando di capire cosa sta succedendo. Non una parola.
Non mi fermo e continuo a passargli la minchia durissima sulla faccia.
Adesso è lui a essere sotto. Mi eccita vederlo così. Adesso sono io a condurre il gioco.
Spalanca gli occhi, non occorrono parole, sorride. Uno dei suoi sorrisi di sfida. Ha capito.
Apre la bocca e comincia a succhiare senza perdermi di vista. Succhia con passione ma non mi basta.
Sappiamo entrambi cosa succederà ma voglio che sia pronto. Cosciente e consapevole.
Salgo cavalcioni sul suo petto, appoggio le mani sulla testiera del letto e glielo infilo di nuovo in bocca facendo muovere il bacino.
“Dimmi se è abbastanza grosso per te”. Lui sorride con gli occhi.

Abbiamo due modi completamente diversi di fare sesso:
Sergio è fisico, violento e totalitario. Possiede il suo partner come un animale, appropriandosi di lui per dimostrare di essere il più forte, il più potente. Il più maschio.
A me invece piace toccarlo, accarezzarne i muscoli. Entrare nella sua testa e restarci. E poi adoro baciare e assaporare il calore e l’odore del suo corpo.

Allungo la mano fino al suo uccello che sta prendendo di nuovo vigore. Lo impugno e me lo stringo tra le dita.
“Questa volta non ti servirà, bello mio. Ma stai tranquillo: stanotte avrai comunque il cazzo di un uomo a disposizione. Solo che, una volta tanto, non sarà il tuo”.
Carico a molla aggiungo “E se farai il bravo ti permetterò anche di leccare i miei stivali”.
Gli stringo i capezzoli e Sergio sussulta.

Il lubrificante è a portata di mano e lui se lo lascia spalmare. Non oppone resistenza nemmeno alle dita che lo allargano, che lo lavorano, che si infilano nel suo retto.
Non dice una parola ma non mi perde di vista nemmeno per un istante, sfoggiando lo sguardo da bastardo che mi ha sempre eccitato.
Mi prendo cura di lui. È stretto a causa mia, ma non rimarrà cosi ancora a lungo.
“Preparati. Sei un po’ fuori allenamento e ho paura che farà male”.

Con movimenti sicuri lo faccio voltare, le mani a stringergli i fianchi come ancore.
Adoro quell’uomo. Lo voglio. E la passione che provo per lui non ha carezze leggere: è fatta di forza e di desiderio.
Mi fermo a guardarlo ancora una volta. Avevo quasi dimenticato quanto fosse bello il suo culo e adesso sto per prendermelo.
Il mio cazzo è durissimo. Salgo su di lui facendoglielo scorrere nel solco tra le chiappe. Arrivo fino alla sua testa.
È lì che voglio entrare.

“Ti voglio” gli sussurro contro la nuca. “E adesso ti prendo. Come un uomo prende un altro uomo”
Interpreto il gemito che ricevo come un assenso. Gli bacio la spalla, poi affondo le dita nei suoi fianchi.
Ogni movimento è lento, deciso. Controllato.
Lo sento tendersi sotto di me, freme, cede. E lo voglio ancora di più per questo. Perché lui è grande e forte. Ma ha accettato di mettersi in mano mia e lasciarsi possedere.
E in quella resa c’era tutta la sua forza.

“Guarda”. gli ordino indicando lo specchio davanti a noi. “Devi goderti ogni secondo di quello che stiamo per fare”.
Il sorriso di sfida. Lo sguardo complice. “Credimi, non mi perderò nemmeno un attimo. Datti una mossa e fammi vedere di cosa sei capace”.
I nostri occhi si incatenano. Lo prendo con forza controllata, appoggio la punta e lo penetro con un unico colpo. Graduale ma profondo.
Un lungo gemito sulla sua faccia contorta. Poi si calma.

Ci vado piano per farlo abituare cercando di interpretare i segnali del corpo e del viso.
Geme, mugola, ma non molla. Non è da lui.
Cerca di non distogliere lo sguardo dallo specchio e quando vedo il ghigno bastardo ricomparire sul suo viso mi sento autorizzato a continuare, accelerando il ritmo fin quasi a violentarlo E ogni colpo è più profondo.
La presa si fa più ferma. Il respiro più irregolare. Voglio guardarlo mentre mi prendo quel corpo, voglio vederlo lottare per poi cedere. Lo faccio girare, gli prendo le gambe, le sollevo, lo guardo in faccia.
Ogni volta che c’è l’ho davanti agli occhi non riesco a credere che lui sia mio.
Entro di nuovo, più profondo. Più forte. La suola dei miei stivali è incollata al pavimento impedendomi di scivolare.
“Guardami, bestione” mormoro, ansimante. “Guardami mentre ti scopo”

E Sergio mi guarda. Non parla, ma dentro quegli occhi, vedo tutto: il fuoco, la sfida, la resa. Ma anche qualcos’altro.
Mi accoglie dentro di sé. Le braccia sul mio collo e le gambe attorno alla schiena.
Il ritmo è lento all’inizio. Un mantra carnale. Voglio che capisca che ogni affondo dice “sei mio”
Lo bacio. Cazzo se lo bacio. E Sergio ricambia con tutto sé stesso. La sua lingua in bocca mi eccita ancora di più.

Il ritmo accelera. I nostri corpi si incontrano e si scontrano. Sudore, gemiti, mani intrecciate. E poi, l’inevitabile.
Il momento in cui i nostri corpi si sciolgono insieme e noi due diventiamo una cosa sola.
L’orgasmo è violento, parte dal centro del mio corpo e si scarica dentro di lui con un urlo liberatorio.

Resto dentro. Il petto contro il suo, la fronte appoggiata alla sua. Il cuore tamburella impazzito, ma sono al sicuro.
Lo bacio. Prima ruvido. Poi dolce.
“Mi sei mancata, troietta” sussurra Sergio, a denti stretti, come se ammetterlo gli costasse.
“Tranquillo, bestione. Sono tornato”.
Non esco da lui. Non subito.
Perché lui è casa.

Gli prendo l’uccello come se mi appartenesse. Glielo meno come fosse il mio, fino a quando non vedo il liquido bianco e viscoso che zampilla sporcando la mia mano, mentre il suo corpo immenso si irrigidisce. Lo bacio ancora.

Non c’è più tensione, le menti si sono aperte, le parole e le risate scorrono libere. Dopo una notte passata a parlare, confidarsi e capirsi meglio, ecco in lontananza i suoni della città che si sta svegliando.
Ma dentro questo letto disfatto, dentro questa stanza ci siamo solo noi due.
Due corpi che si sono dati a vicenda.
Due amanti. Due compagni.
Due uomini.

Sono stanchissimo e adesso ho solo voglia di dormire, ma Sergio si sistema sul fianco fissandomi, mentre la sua mano mi accarezza il petto. Non è una carezza lieve. Lui non ne è capace.
“Basta, cazzo. Dormiamo almeno un po’” gli dico ridendo.
Come se non avessi detto nulla, la mano continua a scorrere ruvida sul mio corpo.
“Sappi che mi tengo i pantaloni nuovi, anche perché non vedo l’ora di rivedere la faccia che hai fatto quando me li hai visti addosso”
Ridiamo entrambi come due deficienti.
Poi mi dà un pugno sul braccio e aggiunge: “Ma tu, domani, liberati di quegli assurdi stivali da donna”.

Si avvicina sfiorando il mio orecchio per sussurrarmi. “Tanto, ormai, non ne hai più bisogno”
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