incesto
Con la zia in maremma - 2
di unodeidue
01.05.2024 |
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"Al mattino eravamo più felici, più innamorati che stanchi..."
Quindi niente più zia Wanda, e niente più Andrea, per quasi dieci anni. Niente fino a qualche giorno fa. Mamma, da un anno ormai, si era stabilita a casa del suo fidanzato Mauro, una brava persona, tutto diverso da mio padre: tanto mio padre è uno spiantato, puttaniere e sciupafemmine, altrettanto Mauro è un affermato civilista, persona per bene e fedele alla sua compagna. Mi aveva telefonato, mammina, per dirmi che si era sentita con sua cugina Wanda, si erano rappacificate, dopo tanti anni.
Tra un mese, tua zia, così la chiamava mamma, ma in realtà è una sua cugina di primo grado, non è mia zia, come ho già spiegato nel primo racconto, tra un mese tua zia Wanda compie gli anni, quarantacinque lei, mia mamma li fa solo qualche settimana dopo.
La zia vuol fare una festa a casa sua, a Manciano. E siamo invitati.
Il compagno di mia mamma, Mauro, non vuole che ci vada, forse ha paura di qualche corno, di qualche rimpatriata orizzontale di vecchi flirt giovanili. Per certi versi ha ragione, mamma è splendida, alta, un bel viso, occhi verdi, poche rughe, ben fatta, per niente sformata, grazie a palestra e piscina, con un seno dritto e gonfio, un culo che fa girare la testa a chi la incrocia. Insomma, una bella fica, che dimostra sì e no 35 anni.
Anch’io, ricordando l’atmosfera e quel simpatico giro di parenti e amici che avevo conosciuto a Manciano, anch’io sarei stato geloso di farla andare lì, da sola, con quella cugina (Wanda) che definire disinvolta è un eufemismo delicato, e quel mandrillo del fratello di zia Wanda, Andrea. Di sicuro un paio di cinque o sei corna ramificate le avrebbe portate in regalo al suo compagno milanese, di ritorno da quel weekend maremmano.
- Ma quando ho detto a Mauro che vieni anche tu, ha cambiato idea, allora è diverso, mi ha detto, sono sicuro che con tuo figlio vicino non farai cazzate.
E Mauro stesso me l’ha ripetuto quando ha accompagnato mia mamma, quel venerdì sera, a casa mia. Loro abitano a Milano 3, io sono vicino alla stazione Centrale; se avesse passato la notte da me, sabato mattina senza nemmeno prendere il taxi saremmo andati a piedi, comodamente, a prendere il treno per Grosseto.
- Francesco, mi raccomando, stai attento a tua madre, che non faccia troppo la sventata, come quando aveva sedici anni. A quell’età, si può capire. Ma adesso, alla sua età - senza dirlo voleva dire, adesso che è la compagna e tra poco sarà la consorte di un avvocato importante come sono io – adesso deve comportarsi da signora assennata e matura.
- Viene anche la tua ragazza? mi aveva chiesto preoccupata mammina, per telefono, quando ci stavamo mettendo d’accordo sul viaggio.
- No, lei no, non è il caso. Magari tra qualche anno, quando saremo ufficialmente fidanzati, andrò a Parigi a farla conoscere a papà e a Manciano dai tuoi parenti. Adesso è prematuro.
Dunque, il venerdì prima del viaggio Mauro mi aveva portato mammina a casa.
- Dove metto il trolley di tua madre? Si informava Mauro.
- Nella mia camera, io stasera dormo qui sul divano.
Appena se ne fu andato, chiesi a mamma:
- Meno male che vi siete rappacificate, tu e zia Wanda. Com’è successo?
- Ah, adesso ti racconto. Avevo esagerato io, lei me l’ha fatto nuotare, e io me ne sono ricordata troppo in ritardo.
- Devi sapere – aggiunse dopo qualche minuto – ma non dirlo mai a nessuno. Devi sapere che molti anni fa, quando aveva sì e no quindici anni, Andrea, l’hai conosciuto vero? Il fratello di zia Wanda. Bee, Andrea l’ho … gli ho … gli ho insegnato io come fare l’amore. E nessuno, tantomeno Wanda, si è scandalizzato all’epoca. Quindi…
Ancora qualche chiacchiera leggera, poi mi dice che vuole andare a dormire.
- Aspetta, mamma, prendo un cuscino e il pigiama. Io dormo qui in soggiorno.
- Ma neanche per idea. Ti vergogni di tua madre? Oppure ti fa schifo venire a letto con una tardona?
- Tardona? Ma se sei un pezzo di fica da urlo! E non credo di essere il solo a dirtelo.
- Lascia perdere. Allora dormiamo insieme nel lettone. Decido io.
Quando sollevai la coperta per infilarmi sotto le coperte, lei era già sotto, aveva una camicia da notte leggerissima, scollata, che lasciava intravvedere due tette alte e dritte.
- Dai, vieni vicino e dammi un bacio.
Ci siamo baciati, sulla guancia, regolarmente, come si fa tra mamma e figlio. Solo che lei si era avvicinata troppo, le sue tette gonfie mi premevano addosso. E mi piaceva sentirmele addosso.
Mi piaceva tanto. Ma proprio tanto. Ma proprio … Mi è venuto duro.
Mi sono spostato più indietro, mi vergognavo di far sentire la mia eccitazione a a mamma, ma più mi tiravo indietro, più lei mi veniva incontro.
- Ti sei eccitato, vero?
- Sì, mamma, scusami.
- Ma che scusami? Meglio. Vuol dire che ti piaccio come donna.
- Mi piaci da pazzi, sei troppo bella, troppo bona, sei una fica pazzesca – mi scappò di dire.
Non avrei mai dovuto parlare così, ma quelle tette gonfie che mi premevano, quel viso dolce, quegli occhi verdi che mi sorridevano … non riuscivo più a resistere.
Lei spostò la faccia e mi ritrovai la sua bocca sulla mia; e la sua lingua che s’intrufolava nella mia. Ci siamo baciati per bene. Le acchiappai una tetta. Non riuscivo a tenerla nella mano, ma quello che mi stava in mano era una roba soda, morbida e consistente, una tetta da toccare palpare stringere strizzare baciare mangiare.
- Fai piano, non farmi male.
- Sì, mamma, scusami.
- E non chiamarmi mamma, è meglio se mi chiami Giulia,
- Sì, Giulia.
Cominciò così. Di tutto e di più, quella notte. Baci, lingua in bocca, impugnando le tette come se fossero le manopole di un videogiochi, poi la mia mano sotto, per alzarle la camicia da notte e scostarle le mutandine ma, sorpresa, non aveva le mutandine. La stessa mano mia a tirar giù le mie. La sua mano a prenderlo in mano e menarmelo.
Sempre baciandosi lingua in bocca. L’altra mano sua a tenermi la nuca, a tenermi vicino, per non farmi allontanare dalla sua bocca. L’altra mano mia ancora ad impugnare la sua tetta. Poi le toccavo la fica, e la trovavo bagnata fradicia.
- Hai voglia, mamma? Scusa, volevo dire Giulia.
- Sì, Francesco, ho proprio voglia.
Se l’è portato lei tra le sue cosce e poi più su. L’ho scostata, per metterla con la schiena sotto e le sono montato addosso. È stato facile accostarlo lì e ci ha pensato lei a metterlo in posizione; c’è voluto poco, una piccola spinta, ed ero dentro.
- Mi piace, Francesco, mi piace davvero.
- Anche a me, anche a me, troppo. Sto per venire.
- Aspetta un secondo. Puoi venire anche dentro, ma lo vorrei ancora in bocca.
Mi ha scostato, ha messo la testa sotto e me l’ha preso in bocca. Solo poche boccate e qualche colpo di lingua e le sono venuto dentro e addosso. Mi ero tirato indietro, per non venirle in bocca, ma lei me l’ha tenuto e le ho sborrato tra le labbra.
- Mi piace, sai. Hai un buon sapore.
- Scusami, volevo aspettarti, volevo far godere anche te, ma era troppo bello e sono venuto subito.
- Non preoccuparti, c’è tempo. Riposati un poco e poi pensiamo a me.
Di tutto e di più, quella notte. Un lecchino, come mi aveva insegnato zia Wanda, all’epoca. A dire la verità, negli anni mi ero esercitato e sono diventato ancora più bravo, di com’ero allora. E mammina ha apprezzato la mia performance, schizzandomi la bocca e la faccia. Una pecorina, un altro pompino, specialità della casa, diceva lei, una ginecologica, una spondina. Io sotto e lei sopra.
Tutto il repertorio mio e suo, tutto il repertorio di famiglia. Mentre scopavamo, il nostro concerto di respiri affannosi e rochi faceva da colonna sonora.
Lei, vicina all’orgasmo, si lamentava, piangeva quasi, ma i suoi sospiri e lamenti erano disperati di gioia, quando glielo spingevo dentro forte, e di nostalgia quando lo tiravo un po’ fuori, per prendere la rincorsa. E sempre a chiedermi di più, più dentro, più forte, più duro.
Anche io respiravo forte, ansimavo, anzi rantolavo, mentre spingevo.
Poi la terra tremava tutta, perdevo i sensi, io. Ma anche lei.
Di tutto e di più, quella notte. Mi addormentavo di stanchezza. Mezz’ora, un’ora al massimo e mi riprendevo e lei era già pronta. Una volta mi sono addormentato di stanchezza, dopo esserle venuto dentro, e ce l’avevo ancora dentro. E lei se l’è tenuto, senza muoversi, così mi ha spiegato, per non perdermi, anche se era molle, aspettava che mi riprendessi, che mi svegliassi, che mi ritornasse duro.
Quando mi sono svegliato del tutto, non erano ancora le cinque.
Un attimo per riprendere coscienza e consapevolezza. Ero addosso a lei, già in posizione di spondina. Mi sono avvicinato di più, le ho alzato la coscia destra, era già umida. E ho ricominciato a pompare. Lei, nel dormiveglia, era contenta che mi fossi ripreso, come se non avessimo mai smesso di fottere, e mi incitava, ancora, dai, spingi forte, amore, fottimi dai, amore chiavami più forte, dai, ancora.
Di tutto e di più, quella notte.
Anche il culo.
Mi aveva detto che le andava fare un po’ di sesso anale.
- Veramente, dalle tue parti, in maremma, si dice in modo diverso.
- E come si dice?
- Si dice: mi va di pigliarlo ‘n culo.
Ci siamo messi a ridere tutti e due, poi lei si è messa a pecorina e io l’ho presa, con tutte le precauzioni, la saliva, dentro piano piano, e poi l’ho inculata forte, sempre più forte, forte forte come mi chiedeva lei.
Al mattino eravamo più felici, più innamorati che stanchi. Ci stavamo addormentando in treno, abbracciati come due fidanzatini; in un attimo di semi coscienza le ho chiesto:
- Viene a prenderci zia Wanda?
- Sì, così mi ha detto.
- E suo fratello, Andrea, ci sarà anche lui alla festa dei vostri compleanni?
- Credo di sì.
E dopo qualche minuto mi ha chiesto:
- Vuoi che lo chiami? Se ti fa piacere, lo chiamo anche subito. Fa piacere anche a me rivederlo, dopo tanti anni.
- Sì, mi fa piacere.
- Me l’ha detto zia Wanda, sai. Lo so, me l’ha detto. Che anche a te è piaciuto pigliarlo in culo da Andrea.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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