Lui & Lei
Pasta e patane
di tongue81
11.01.2024 |
2.538 |
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"A modo mio perché nun a facc ca a pancett..."
Pausa pranzo di una fredda giornata invernale: esco dall'ufficio intirizzito dal freddo e alla ricerca di un pasto caldo, solo, senza alcuna compagnia. Siamo falcidiati dall'influenza e dai malanni di stagione, siamo in sottorganico e oggi sono solo i due neoassunti, vegani. Essere vegani, a Napoli, è quasi come essere juventini: è un oltraggio a mamme e nonne che cucinano per interi battaglioni di bersaglieri, è un insulto alla mozzarella, alla margherita, alla genovese, alla pastiera. Fa davvero troppo freddo: non siamo geneticamente creati per vivere a 7 gradi Celsius, siamo figli del Vesuvio e del Golfo.
Mentre penso e rimugino, incontro Massimo, un collega di un altro ufficio, un simpaticone, 110 kg di contagiosa ilarità.
"Già mangiato?"
"No, stavo andando alla trattoria in fondo alla strada, quella ad angolo con il bar di Don Carmine."
"Ti dispiace se mi aggrego?"
"No... Onore e piacere! Però sappi che è un locale alla buona!"
Affrontiamo il gelo in silenzio, per evitare che l'aria umida ci penetri nella bocca, nello stomaco e nelle ossa. Il locale è piccolo e con cucina a vista, una quarantina di coperti in totale, arredato in modo semplice come le trattorie dei film di una volta dove i piatti non sono instagrammabili ma gustosi, un trionfo di sapori, profumi e grassi saturi. Ci accoglie una signora dall' età imprecisabile, capelli racconti in una crocchia e una simpatia inimitabile.
"Buongiorno dottò, apparecchio per voi e per il collega vostro?"
"Buongiorno Melì, t'aggi purtat nu nuovo cliente!"
"Buongiorno signora!"
Mi guarda torva e accigliata, come se l'avessi offesa, poi scoppia in una fragorosa risata: "Si nun sit nu guardio, chiammatame Melina. Signura o' dicen sul e guardie!"
Ricambio il sorriso e ci accomodiamo nel tavolo più lontano dalla porta, pensando a quanto sia fortunato a vivere in un metateatro costante, H24, pronto a portare in palcoscenico storie sempre nuove.
Melina porta l'acqua e un mezzo litro di vino, sottolinea che pur essendo servito alla mescita è un aglianico del Taburno, poi elenca i piatti in carta, soffermandosi a sottolineare i cavalli di battaglia del giorno, ovvero riso con la verza e pasta e patate.
"Scusate ma credo che due piatti di pasta e patane vadano bene, vero Massimo!"
"Abbondanti, però!"
Un goccio di vino e giù a parlare delle tre P che tanto piacciono agli uomini, ovvero pallone, pucchiacca e puttanate.
I piatti arrivano direttamente dalla cucina, serviti a tavola dalla cuoca, una bella ragazza dagli occhi nocciola e dalla bocca carnosa, con una cascata di capelli mogano che prova a sfuggire alla compressione della cuffia: "Dottò, eccovi a past' e patane a modo mio!"
"Perché esistono più modi di farla? Massimo, tu la sai questa storia?"
"Ne, facit poc o spiritos. A modo mio perché nun a facc ca a pancett. A mort ra patana è con la salsiccia!"
Mi rispose stizzita, infastidita, quasi in modo violento, dandomi le spalle per rientrare in cucina senza alcuna possibilità di replica.
In effetti, il piatto è ottimo, buono e saporito, cucinato da una persona che sa il fatto suo e che tiene anche un gran culo.
A fine pasto, dopo un eccellente caffè, è giunto il momento di pagare ma sia io che Massimo siamo senza contanti: la cuoca ci spiega che sono aperti da pochi giorni e il pos lo sarebbe andato a ritirare verso le 15:30 a fine servizio e mi propone di passare a fine giornata per pagare in contanti o con carta, tanto il mio collega è un cliente fidato.
Alle 18, terminato il lavoro, vado alla trattoria a saldare il debito: la serranda è quasi chiusa, busso e chiedo se c'è qualcuno: mi appare la cuoca in abiti normali, un jeans attillato che valorizza le gambe sottili e un dolcevita che non nasconde un seno invitante
"Siete venuto? Trasite!"
"Se preferisce, ho i contanti. Dato che ci ha fatto già lo scontrino, non vorrei farle avere problemi fiscali!"
Mi squadra dalla testa ai piedi, avvolto nel pesante giaccone: "Trasite! Andate di pressa?"
Entro, accetto l'invito e la vedo calare la saracinesca mentre cerco il portafoglio nella tasca interna.
"Ma nun avit capito? La morte della patana è sempre con la salsiccia!"
Mi coglie alla sprovvista, le sue labbra sul mio collo, le sue mani sul petto vorrebbero togliermi il giaccone ma la mia incredulità le impediscono di muoversi efficacemente.
"Dottò, che're? Nun te piace a patana?"
Mi ha tolto il giaccone, siamo soli nella sala, mi provoca: "Fuss ca fuss nu poc ricchione?"
Ricchione a me? Lo sta dicendo a me questa vrenzolella?
Sento le sue mani scendere sotto la stoffa della camicia, indugiare e giocherellare con il folto ciuffo di peli sul petto, decido di attendere, di fare il mio gioco, di accettare le sue battute sulla mia presunta omosessualità.
Controllo il respiro e attendo, come un cobra: finalmente si stanca e si stacca, si gira e mi dà le spalle, cercando di afferrare la banconota caduta: è l'occasione che stavo desiderando.
"Famm' piglià sti sord... Aggia capito!"
Vedo il suo culo, pieno, carnoso, invitante e attacco: "E pigliat pur o cazz, chiapparè!"
La cingo da dietro, con forza le faccio sentire la mia erezione, inizio a trafficare con i bottoni del jeans e glielo abbasso rivelando un perizoma rosa in pizzo. Infilo la mano tra le cosce senza incontrare alcuna resistenza: "Stai tutta zuppa... "
L'altra mano vola sulla zip, tiro fuori il cazzo, sposto il filo del perizoma e sfioro le labbra con la capocchia: "Mo te lo schiatto dentro!"
"Allora nun sit ricchione!"
"Rincell a fratete che è ricchion! "
La riempio con un colpo secco, tutto il bastone dentro in culo colpo solo, non se lo aspettava ma le sta piacendo, afferra una sedia per appoggiarsi con i gomiti allo schienale, per trovare un appoggio che la sostenga.
La scopo forte, la insulto e la schiaffeggio, consapevole che era ciò che bramava: uso il filo del perizoma come maniglia e cerco di raggiungere i capelli per usarli come briglia necessaria a domare una cavalla imbizzarrita.
"Fa chiano che capill!"
"Statte zitta... e famm’ chiavà"
Lascio il perizoma e le assesto una nuova sculacciata, più forte: vedo il segno delle dita sulla pelle e inizio a scoparla come un dannato, come se volessi far entrare anche le palle nella fica. La sento venire, sento le contrazioni del corpo e dell'utero, sento i gemiti e il fiato corto e la sculaccio di nuovo, sempre sullo stesso punto, con precisione quasi chirurgica.
Mi sfilo da dentro di lei e con modi sbrigativi la faccio sedere sulla sedia pur sentendosi barcollare come un pugile suonato che torna all'angolo.
Via il maglione, via il top: stordita e sconquassata dal rapporto intenso, la vedo seduta con solo un reggiseno che non riesce a nascondere i capezzoli duri come chiodi.
"In ginocchio!"
Esegue l'ordine passivamente, si fa scopare la bocca senza battere ciglio, perchè non mi sta succhiando il cazzo, sono io le che martello gola e palato mentre le coppe del reggiseno vengono abbassate per consentirmi di saggiare la consistenza delle tette.
Si ribella inaspettatamente, si stacca e prende fiato, poi sale su tavolo e divarica le gambe.
"T'aggi ritt che a patana vo' a sasicc!"
Mi vuole nuovamente dentro, mi fiondo con impeto, pur consapevole che tra poco esploderò in una inevitabile sborrata.
"Prendo la pillola" mi sussurra flebilmente.
Le afferro le chiappe e in piedi la scopo forte, senza ritegno nè pudore, sfruttando la forza muscolare e quella inerziale: urla, svergognata e senza alcun pudore. Vuole sentirsi piena di cazzo, piena di sperma, di sesso e lussuria. La accontento ma voglio anche io la mia ricompensa. Vengo dentro la sua fica portandola ad un secondo orgasmo, estraggo il cazzo sporco di umori e glielo sbatto in faccia prima di rinfoderare la mazza.
Lei è sul tavolo, seduta a gambe aperte: penso che non conosco neppure il suo nome e me la sono appena chiavato come se fosse la mia donna.
Allunga una mano, raccoglie un po' di sperma dalla fica e lo assaggia: "La mantecatura è buona!".
Si lecca le dita con avidità e penso che, prima o poi, scoprirò il suo nome.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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