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Gay & Bisex

036 IL MARTELLO


di CUMCONTROL
11.12.2024    |    590    |    0 7.0
"Poi però, nel massimo della mia cinematografica interpretazione drammatica, tra i cespi io vidi spuntare altri individui..."
La cosa simpatica di quando prendi botte e batti più volte la testa, è che 24 ore dopo, a medicazione conclusa, si resta scimuniti per un po’.
Si resta brilli. Piacevolmente brilli, e ti vien da ridere per ogni cosa.

Quella scema della mia futura moglie aveva scoperto la mia infedeltà con un maschio. Non che non sapesse che mi piacessero i maschi, ma diciamo che si era persuasa che io con i cazzi avessi chiuso. Quando scoprì la mia doppiezza, andò su tutte le furie. Da quel momento lei si abbandonò a un’isteria senza riparo, e a nulla valsero le carezze gentili o le parole sussurrate della casa, che tentarono in tutti i modi di placarla.
Mia moglie era nana.
Il problema è che la mia futura moglie mal digeriva l’idea di essere nana. Non le era parso vero di essere stata promessa in sposa a uno gnocco. Non che fossi stato io a sedurla, sia chiaro, ma le nostre rispettive famiglie avevano deciso per noi. Così la nana era sistemata e il ricchione salvava le apparenze.
Nana e cornuta. Da chi poi? Da un fidanzato al quale piaceva il cazzo!
Questo mia moglie non lo tollerò, e si abbandonò a pianti irrefrenabili.
A dire il vero mio suocero fu stufo dei suoi piagnistei e la prese a schiaffi per giorni, non sapendo più come cazzo zittire quella pazza.

Ma era chiaro che all’origine di quel disordine familiare ci fossi io, e così presi mazzate pure io.
Devo dire che mio suocero si accanì con molta foga, quasi che la mia ricchionaggine fosse intenzionale. Eppure chi, se non lui, poteva capire più di tutti che non si può vivere in eterno senza cazzo, che un ricchione nasce ricchione, e questo doveva essergli ben chiaro, perché pure lui amava trastullarsi con i suoi maschioni.
Secondo lui però, io dovevo sposare comunque la figlia, la nana. Ecco tutto. Era dovevo dare a entrambi (padre e figlia) l’assoluto rispetto che ogni membro di buona famiglia pretende. Questa gente era profondamente convinta di essere perbene, e se possibile tutte le creature della terra dovevano dare loro il rispetto.
E la nana era delusa. La nana era offesa. La nana covava sotto la cenere atroci propositi di vendetta.
Mio suocero, esasperato, ripose sulla figlia ogni decisione sul mio conto.
Essa doveva decidere di sposarmi, nonostante tutto, oppure di buttarmi nel cesso.
La racchia volle prendersi qualche giorno per meditare.
Per giorni non scese in sala da pranzo per i pasti. Gina, la migliore delle cameriere, tutti i giorni le portava le vivande in camera. La sentivamo urlare, piangere, maledirsi. Checcazzo si poteva fare?
Dopo una settimana però, la nana spuntò. Fece la sua apparizione mariana sotto le tende della sala da pranzo. Era pallida, avvolta in un velo lilla di taffetà. Bella pareva.

Alta un cazzo e due barattoli. Nuda, e con solo un velo più volte messo tutt’attorno. Era chiara l’intenzione di fare la risentita, ma ciononostante non cedeva sui suoi propositi di sedurmi, secondo lei, velando le disgrazie del suo corpo nella sua toilette di lillà. Si sentiva irresistibile.
Quando giunse nel centro della sala da pranzo, la si poteva vedere meglio sotto la luce giallognola del centrovolta, con quella sua aria imbronciata, solenne, disgraziata. Era chiaro che stuzzicasse i miei sensi di colpa. Per quanto mi riguardava poteva ficcare tranquillamente due dita bagnate in una presa elettrica.
Due domestici la misero sulla sedia. La nana mangiava e guardava fuori. Era assorta, perduta in propositi di rivalsa. Il padre se ne stava dall’altro capo della tavola, a masticare il suo pollo con gli ossicini.
Suo padre stava seduto su coltri di cuscini. Seppi dalla cuoca che lui aveva bruciori al deretano.
Mio suocero aveva trascorso tutta la notte alla taverna del villaggio. Dopo l’ora di chiusura, il vecchio si era intrattenuto con il locandiere, un bel giovane ungherese, e alcuni agricoltori della zona.
Poiché molti di loro erano già ubriachi fin dalla cena, non avevano esitato ad accontentare le pretese del vecchio con le sue voglie strane. Fu così che per tutta notte il gruppo di fattori lo violarono con bottiglie ficcate a turno su per il culo secondo le sue desiderate.

Insomma stava ora mangiando a bocca aperta, come uno scimpanzé, seduto sui cuscini.
Mia moglie, senza guardarmi negli occhi, fissando in un punto vuoto fuori di là della finestra, disse:
- Papà?
- Tesoro?
- Portalo alle baracche.
Io guardai entrambi. Le baracche? Cazz’erano le baracche?
- Cum, lascia la cena. Và in camera e aspetta i domestici.
Mio suocero fu sentenzioso.
Che cosa volete che vi dica. Così feci.
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Attesi per lungo tempo in camera. Sentivo certamente un gran trambusto in casa, al piano di sotto, ma nessuno veniva di sopra a farmi visita.
Che cosa stava capitando? Dalla finestra, notai che in casa entravano alcuni individui. Avevano l’aria di essere molto frenetici, nervosi e delle torve espressioni facciali.
La cosa non mi piacque. Quella casa era sempre stata ferma, quieta, e ora come spiegare tutto quel trambusto?
Ebbi brividi di paura, poi ebbi caldo. Così che dal mio comodino estrassi un ventaglietto, dipinto a mano. Pensate che recava motivi veneziani assai gentili. Era il ventaglietto che avevo fregato dalla consolle della mia futura mogliettina perché lo ritenevo indegno per lei.
Mi accomodai sul pouf e mi feci aria freneticamente. Davanti a me, sulla parete, campeggiava il grande specchio. Mi sventagliavo nonostante fosse inverno e notai che di profilo, così seduto e con il ventaglio in mano, facevo proprio la mia porca figura.
Poi udii scalpitare per la scala e fu così che la porta si spalancò. Io restai impalata a sventagliarmi con il mio ventaglino. Alcuni di loro vuotarono l’armadio per buttar via tutti i miei effetti personali dentro buste della spazzatura.
Ammetto che mi sentii un pochettino la regina di Francia che stava per essere spedita alla Bastiglia. Due di loro vennero da me. Io li fissai. Ero bersagliata da quei loro occhi assassini, e uno dei due mi tirò una testata così forte che, con l’eleganza che mi contraddistingue, svenni ai suoi piedi.

Ripresi i sensi come l’addolorata ai piedi della croce. Stavo tenuta in piedi da due uomini che mi tennero da sotto le ascelle. Si andava veloci giù per la collina. Mi girava tutt’attorno. Avevo come delle visioni. Mia moglie, quella nana demnerda che aveva voluto tutto questo, stava su una nuvola sopra il bosco.
Erano le visioni dello stordimento. Nel miraggio quella nana di mia moglie giaceva come una santa sulla sua nuvoletta che si spostava veloce a zig zag nel cielo, e quella nana da lassù mi lanciava cetrioli a tutt’andare.

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Si scendeva di corsa. Ma poi uno dei due malfattori volle fermarsi. L’altro aprì la patta e iniziai a capire qualcosa.
Fui collocato tra due cespugli e ora anche l’altro si aprì la patta. I cazzi erano flosci ed io nonostante fossi del tutto rintronato dalla testata, ebbi la solerzia di cavar fuori la lingua, segno inequivocabile che avrei dato ricovero alle due minchie. Pregai iddio ringraziandolo per tanta bontà, ma i due però si tennero a distanza.
Quindi mi misi a carponi e gattonai attorno ai due maschioni che evidentemente se la ridevano. Fui giustamente riportato all’ordine contro il cespo, e stando sulle ginocchia, come una musulmana in pausa, attesi allora un incipit dai due tali.
Sapete? Fui pisciata come una cessa.
Io dapprima restai immobile muovendo la lingua ora in rotazione oraria ora in rotazione antioraria, così che i due tali potessero centrarmi nella gola.
Poi volli essere bagnata tutta. Io volevo sentirmi pregna della loro urina. Volevo sentirmi una modella immersa in uno spot pubblicitario di bagnoschiuma sotto una cascata scrosciante di piscia. Quindi mi mossi, felina, mi passai le dita tra i capelli con sensualità e poi mi misi a pecorella sotto lo diluvio, per poi finire ancora in terra sulle foglie morte per rollarmici sopra come una vera star.

Ai due la cosa divertì tantissimo e così mi feci pisciare tutta in mezzo al bosco. Ecco che uno dei due volle che gli leccassi le belle palle, quindi si tenne la minchia per il prepuzio e mi porse i due kiwi fuoriusciti a fatica dalla patta.
Io, genuflessa e bagnata, mi misi a leccare come una capretta. Era chiaro che l’altro non avesse intenzione di starsene solo a guardare, e volle infilarmi la mano nei calzoni così da sgrillettarmi l’ano. Ah se avessi saputo, mi dissi, avrei potuto darmi na lavata, ma poi mi rinfrancò l’aria pecoreccia dei due tali che senza dubbio non si sarebbero messi a sottilizzare.
Il dito del bruto mi volle setacciare il budello. Il solo vedermi muggire doveva aizzare le voglie strane di questi due soggetti che ritennero di darmi una bella punizione, per il mio essere così porca.
Pensate che mi presero energicamente a schiaffi. Fui denudato a strattoni nel bosco. Era bellissimo strillare un aiuto e non essere udita nel raggio di chilometri. Questo dava a tutti noi l’impressione di una violenza carnale che eccitò i loro istinti più bestiali.

Dapprima fui seriamente malmenato, e poi mi tennero giù così ai piedi di un rovere, così che a turno potessero montare sulla mia faccia per una perturbante leccata dei loro culi.
Pecorecci. Erano davvero pecorecci. I loro culi avevano un sapore deciso, terroso e leggermente amarognolo. Sapevano di aglio e di un aroma molto agreste, un po' come quelle del formaggio fermentato se vogliamo, ma egregio.
Il primo culo aveva un sapore più pungente, evidentemente tipico della zona perché avevo già sentito quel sapore in altre leccate di culo. Il secondo aveva contaminazioni più “marittime” diciamo, poiché all’aglio si fondeva un gradevolissimo profumo di sgombro in scatola.
Era bellissimo vederli calare i calzoni e piegarsi sulla mia faccia. Io mi tenevo alle loro caviglie e di tanto in tanto, con la coda dell’occhio, vedevo le loro vecchie calzature lerce e tanto seducenti.
Mia moglie mi aveva fatto un favore. E che se credeva di farmi un torto? Ad avercene gente così, coi loro culi pecorecci e minchie odorose.

Fatto sta che uno di loro volle letteralmente fottermi la faccia, ed io mi concessi seduta stante facendo molto teatro poiché mi dimenavo nel soffocone. Di tanto intanto riuscivo a togliermi il cazzo dalla gola, e facevo l’afflitta, come se in un campo di guerra dei soldati avessero preso d’assalto il villaggio e compiuto abominio sulle povere innocenti di cui io ero una di queste.
Poi però, nel massimo della mia cinematografica interpretazione drammatica, tra i cespi io vidi spuntare altri individui. Avevano la blusa mimetica dei cacciatori. Va detto che non vollero disturbarci. Pareva infatti che tenessero ad una certa discrezione. Si tennero a distanza e non vollero perdersi un solo fotogramma della distruzione della mia trachea. Con la coda dell’occhio li vidi sistemare delle cinecamere.
Mi sentii … che ti posso dire… mi sentii la protagonista di un casting e quindi mi cimentai nel soffocone recitando da vera diva il ruolo della costernata e anche un po’ lussuriosa. Il mio fottitore scopava la mia bocca con estremo vigore e con l’occhi di fuori mi misi in posa di tre quarti, poi di profilo, così che i cineasti avessero una visione onnicomprensiva dell’artista, che ero io. Insomma, una professionista.

Domandai ai cameramen se volessero che mi mettessi a leccare un po’ di scarpe, ma loro non capivano, poiché come ho detto nelle puntate scorse, io in Ungheria ci stavo già da qualche tempo ma non sapevo spiaccicà una sola parola di ungherese.
Poi a gesti diedi a intendere che potevano tranquillamente sfilarsi gli scarponcini così che potassero ficcarmi le loro fette in gola senza fa’ troppi complimenti.
Invece vollero documentare, passo dopo passo, ogni mia performance. Quando il tale mi sborrò nella gola, esibii l’impasto sulla mia lingua alle telecamere, così che fossi apprezzata dal pubblico che prima o poi mi avrebbe guardata nei cinematografi di Budapest.
Poi fui scaraventata di faccia a terra e i due signori vollero sollevarmi di culo così che uno di questi, quello che ancora non aveva sborrato, potesse finalmente sbattermi il deretano.
Mi fu atrocemente stuprato il culo. A stento però riuscii a tenere aperti gli occhietti, poiché l’altro, che nel mentre si stava asciugando il cazzo con un fazzoletto, mi teneva la faccia schiacciata sul suolo con il suo pesante scarpone.
Ad ogni modo un occhio riuscii ad aprirlo e fui lieta nell’osservare che i cameramen stavano riprendendo tutto, non mancando di palparsi il pacco perché un’altra porca così ma dove l’andavano a trovare?
Mentre ero completamente rilassato di sfinteri, lasciando che il tale mi bombasse il bidello come una fica, io sorrisi perduto nelle beatitudini.

Pensai ancora alla mia mogliettina, l’indignata, l’offesa, speranzosa che il suo castigo mi fosse di lezione. Non lo sapeva quella cretina che a noi ricchioni piace, tanto, essere messe a pecora e sfondate in barba ogni reticenza anale.
Stavo felicemente col mio culetto all’aria. Mi tenevo inarcato poggiato con le ginocchia sulla nuda terra. Il mio culetto slabbrato dallo sfascio prese a scoppiettare sbuffi d’aria, segno inequivocabile che la cavalcata aveva raggiunto una quota assai profonda nei miei intestini.
Poi il tale si staccò di brutto poiché voleva venirmi chiaramente sulle chiappe. Si stappò immediatamente ed io menai una sonora loffa che fu comunque gradita dai cineasti perché risero tantissimo.
Poi i due si passarono di mano un grosso martello. In quell’attimo io ebbi paura però. Non era forse un video porno quello si stava girando ma un autentico snuff movie?

No, la cosa mi gettò nell’angoscia. Io stavo per essere assassinato a martellate?
Quello che mi teneva sotto con il suo grosso scarpone, premette ancora di più, cos’ che io non potessi aver l’agio di vedere nulla. Strillai e l’altro vi infilò il calcio del martello su per il mio culo. Lo ficcò tutto e poi prese a ruotarlo, sbattendomelo fino in fondo che io nel pieno del mio dolore strillai di piacere.
Capii in quel momento quale fosse la vera finalità di questo strazio. Staccando via il martello con repentine manovre dal mio culo, si voleva dare spettacolo delle scorreggette che menavo così giusto per deliziare tutti con somme risate.
Ammetto che pure io mi divertii tantissimo. Fu davvero una cosa molto goliardica, tra amici, si può dire?
Quando dopo mezzora non ebbi più nulla da dare al pubblico ludibrio, ovverosia quando ultimai di scoppiettare scorreggette, il gioco del martello finì.
Fu gettato miseramente sulle foglie gelificate dal freddo e così mi fu impartito di alzarmi. Anche i cineoperatori fermarono le riprese ed io mi chiesi se i video fossero finalizzati a un dossier sul mio conto, a uso e consumo di qualcuno. Oppure, cosa che ritenni - sbagliando - più probabile, poteva darsi che le immagini sarebbero passate in post produzione per un film magari intitolato che so “La Cicciolona Ungherese”.
Ma davvero? Potevo diventare famoso nel mondo del porno? Presto sarei diventato famoso in tutta l’Ungheria. Torme di uomini mi avrebbero atteso nei night. Certamente avrei firmato autografi, e qualcuno mi avrebbe scritto in privato chiedendomi una notte d’amor.

Sceicchi persiani, venuti apposta in Ungheria per vedere i miei film, mi avrebbero promesso ogni cosa per una notte d’amore con loro, e le donne del Paese mi avrebbero odiata per essere potenziale rivale nelle cose del sesso. Magari avrei chiesto al regista di interpretare Salomè.
Ma come al solito vagheggiai di fantasia.
Quindi, rivestendomi, baciai tutti con la manina soffiando sul palmo e mi misi sotto braccio ad uno dei due fottitori manco si trattasse di un bodygard.
Ma furono entrambi a prendermi sotto braccio e di corsa, inaspettatamente, si lanciarono con me giù per il bosco in discesa.

E si correva giù, si capitombolava e capii alla fine quale fosse la mia destinazione.
Le baracche. Le due misteriose baracche in fondo al bosco.
Allora lì, alla vista di quelle due costruzioni sinistre e nere, io ebbi paura..








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Questo racconto è tratto dalla saga
HUNGARIAN RHAPSODY
Autobiografia di un libertino.

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