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025 LA VACCA FINALMENTE INNAMORATA


di CUMCONTROL
16.09.2023    |    7.205    |    5 5.7
"Poi mi diceva "tieni, fogna"..."
Anche se ai più giovani la caduta del muro di Berlino rappresenti un boh, per le più vecchie di noi, il 1989 rappresenta qualcosa. Poco per la verità.

Che minchia poteva rappresentare sto fatto?
Da noi poco o niente. Ma assicuro che nell'Est Europa la cosa fu vissuta con estremo entusiasmo.
Io mi trovavo in Ungheria a quel tempo, ed ero un piacevolissimo ragazzo.

Proprio nelle ore in cui si prendeva a picconate il muro, io giacevo in un furgone, messo di fianco, accovacciato come un bimbo, e dormivo ciucciando il pollice.

La mia psicologa tiene sempre a dirmi che dormire così implicherebbe dei trascorsi d'infanzia un tantino difficili.
E quando mi affretto a dirle che mi addormento pure con un bel dito su per il culo, ella mi dice che quest'altra cosa attiene invece a un mancato superamento della fase anale.
Ha una risposta per tutto la mia psicologa.
È molto brava.

Dice che molti gay non avrebbero superato la fase anale, e questo spiega perché noi omosessuali facciamo un uso smodato del nostro tubo digerente.
E se le dico che su per il culo mi compiaccio di infilarvi anche delle palline da ping pong, perche amo poi fa l'ovo, allora non vi dico.
Lei mi guarda con due occhietti a svastica, e si morde un labbraccio - dal rossetto color mattone un tantino sbavato e fuori moda - mi manifesta tutto un suo sentito schifo.
Ovvio che per farmi ben volere, le spiego le ragioni che mi spingono nel praticare le mie bizarre intrusioni anali.

È come dire...le dico io... È per il sommo gusto di quell'affascinante piacere della cacarella.
Cacarella?
Si. Cacarella.
Un piacere concreto che si prova nel trattenere nella propria trippa un qualcosa di indefinibile, un cazzo, che c'è e poi non c'è, che ti trastulla, che ti frulla, che ti riempie e ti spampana in orgasmi di diarrea mal voluta.
È una esperienza liberatoria, le spiego.
È come se si trattasse di una eterna cacarella.
È li che la mia psichiatra si alza, si aggiusta la veste e poi mi caccia, e strilla, e sbatte ogni cosa, pigliandosela per altro con la sua povera segretaria, Gilda, che dovrebbe - a suo dire - negarmi ogni appuntamento a prescindere.

Vabbè. Lasciamo stare quella lì e so che voi amati lettori invece saprete capire.

Come dicevo stavo in furgone, in Ungheria, e mi svegliai quando udii il mezzo rallentare.
Avevo la barbetta che profumava di culo, non per dire.
Avevo leccato il deretano al mio autista. La bocca poi mi sapeva di urina, e le ciocche dei miei capelli erano tutte appiccicate da schizzi di sborra. Fui schizzata a cazzo dall'autista e da altri furgonisti del parcheggio il giorno prima.
Poi la portiera si aprì, e scorsi la sagoma dell'autista, cui feci un sorriso carinissimo come di gratitudine.
Afferrato dalla recchia però, fui fatto scendere malamente dal mezzo, e fui condotto a strattoni davanti alle mura di un bellissimo convento ortodosso.
Bello, elegante, tutto pieno di muffa e di licheni.
C'era pure un inaspettato odore di letame che tutto sommato non guastava.

Sotto il portale stazionavano quattro fraticelli, due sulla settantina e due sulla quarantina, che suppongo avessero tutti il cazzo in tiro che sicuramente gli stava per scoppiare sotto il saio per il solo fatto di vedermi. Sicuro, ero un bel bocconcino.
L'autista fu pagato dai frati, e costui, solo quando vide i soldi mi mollò la recchia. Poi se ne andò.
Uno di quattro frati, il più anziano, parlava un poco l'italiano e mi chiese se avessi fatto buon viaggio.
Gli spiegai che avevo lo stomaco in subbuglio e che il trattamento del viaggio non era stato eccellente, ma che tutto sommato potevo dirmi integro.
L'anziano fu con me assai gioviale, e mi disse che avrei dovuto soggiornare per qualche tempo in quel luogo.

Pare che non fosse proprio cosa di proseguire il viaggio, visto i disordini dovuti alla caduta di sto cazzo di muro di Berlino.
Io non sapevo una minchia del muro di Berlino e quale fosse la destinazione ultima del mio viaggio, ma l'anziano mi prese per le spalle e mi disse di seguire gli altri all'interno del convento, in attesa di tempi più sicuri.
Poi si allontanò di qualche passo per accostarsi ad un pittoresco cespuglio di rose selvatiche e trattenne i conati del vomito.

Effettivamente erano settimane che non mi lavavo e la mia fiatella sapeva di piscio, nonché di sborra e di culo, che voglio dire, la peste.
Poi seguii gli altri e raggiungemmo tutti il centro del chiostro, ed io feci l'interessato di arte dicendo... Ma guarda che delizioso il campanile, e vedi come è bella la madonna e che carina è quell'edicola, cos' è, funeraria??

Fotteva na sega a loro. Fui sparata viva da lance d'acqua in pieno cortile. Poi fui aggredita da una mezza dozzina di frati che mi strofinarono con delle cazzo di spazzole che io strillai in un angolo.
Mi feci piccola piccola con le manine così, ma loro mi spazzolarono a cazzo.
Dallo scalone scese un frate dall'aria un tantino nazista e mi scaraventò in faccia un asciugamani che levai. Ma in faccia mi arrivò ancora una saponetta che levai pure quella, poi in faccia mi arrivò una bibbia, no vabbè, una statuetta ancora di una madonna ortodossa e po una sedia, così, sulla faccia, che io strillai... Ma in somma e che maniere sono queste.
Giustamente il frate mi menò due belle pizze in faccia, perché strillavo assai e dovevo sta' zitta. Muta.

Tacqui infatti. Fui presa però dalla recchia e fui trascinato da questi dentro il convento. Pensate. Camminando a strattoni osservai meglio questo ruvido ministro di dio.
La faccia era severa, impassibile. Per il resto era veramente brutto.
Una cosa però di lui mi fece squirtare di culo. I sandali indossati in pieno inverno, e due piedoni giganteschi e ben lordati. Unti.

Sgombro? merluzzo? ricotta affumicata? Di cosa cazzo mai potevano sapere ste fette. Le avrei assaggiate?
In corridoio sfilarono le celle dei frati ed io implorai al nazista di cambiare almeno la recchia perché stavo a diventà asimmetrica.
Ma quello mica mi capiva.
Poi spalancò la porta della mia cella e finalmente mi scaraventò sul letto.
Ora si dà il caso che io il giorno prima ero stata protagonista di una piccola ma suggestiva gang bang con tre autisti di furgone ampiamente descritta nell'episodio precedente.
Con tre cazzi una puttanella qualunque poteva dirsi sazia per almeno tre giorni, ma io, trattata cosi da questo nuovo signore un pochino maleducato, sentii nuovamente forte un'altra bella dose di minchia.
Se poi uno mi tira di recchia, apre una porta e mi scaraventa sul letto, be' io divento una belva famelica.

Su letto tirai irritata le unghie come una panteressa.
Cavai fuori la lingua e la vibrai per far intendere al frate che va bene la malacreanza, ma sarei stata adeguatamente risarcita se il sodale di Dio si fosse levato quel saio puzzolente per farmi gli onori di casa per esibirmi la sua bella mazza carica di ricotta.
Lui? Si sollevò l'abito, pose il lembo sotto il mento e protese il bacino davanti a me.
Gli calai le mutande. Fui schiantata da una zaffa improvvisa di cazzo umido che sapeva di provola e di broccoletto.
Strillai di felicità e mi imboccai il baccalà.
Mi aiutai con la mano. Spugnettavo e sbocchinavo la minchia con gli occhietti a stellina ed ero frenetica. Pazza di cazzo.

Non sapevo se odorare il cazzo o passare la lingua su quei due cocomeri gonfi, non mancando di leccargli pube e inguine.
A gesti, diedi a intendere che se avesse gradito mi sarei potuta occupare anche della leccatina di culo.
Ma quel frate non voleva mostrarmi il culo, forse nel timore che gli chiedessi di sfondarlo. Paranoia inutile.
Ad ogni modo io nitrivo come una vera cavalla, e completamente fuori di me strillavo la mia pazza gioia sditalinandomi la passera come un segnale inequivocabile che la cozza andava subito sgusciata.
Ma lui mi teneva per il ciuffetto frontale e mi sbatacchiava a strafottere perché ingoiassi la minchia in gola.

Non è che si curasse delle mie richieste di pausa per respirare, anzi mi tirava così tanto per i capelli che ne provavo dolore.
Lui si curava soltanto della mia gola profonda.
Nello sbrocco, tanto che mi usciva la saliva dal naso, egli forse s’immaginava di fottere una fica caldissima.
Ma può essere?
Ultimata la fottitura di gola, osservai che la minchia del frate era completamente lucida.
Non vi era più traccia di quell'afrore caseario e quelle concrezioni di vecchia sborra sulla sua cappella, dovute forse a vecchie pugnette mal ripulite. Quelle concrezioni erano state da me ingoiate con gusto, esattamente come si fa con gli ultimi rimasugli dello yogurt sul cucchiaino (magro, mai intero che siete già grasse).
Insomma, il frate mi guardava menandosi il cazzo e mi teneva per la mandibola mentre io tossivo, poiché la mia povera gola era già tutta sfondata.

Avevo peraltro una bellissima bava che colava dal labbro e lui la raccoglieva col dito cavandomelo in bocca, incurante dello sbrocco che il dito mi suscitava ficcato in gola. Se per caso, a istinto, afferravo il suo polso, ecco che mi strizzava le narici ed io sussultavo quasi come a sbroccare dalle orecchie.
Gli piacque tantissimo vedermi tossire con gli occhi di fuori, ma volle ripagare le mie fatiche da bocchinara voltandomi di faccia al muro.
Quindi mi abbassò calzoni, e le mutandine naturalmente.
Poi mi pose a pecorella, e procedette con una meticolosa leccatura anale.
No vabbè. E chi se lo dimentica più.

Fu per me la prima esperienza di rimming.
Strillai rallegrata.
Fino a quel momento ero stata io a far da bidè ai culi.
E' importante citare le mie esperienze precedenti per far capire al lettore la mia meraviglia del momento.
Nessuno si era preso cura di lavorarmi il buco del culo con la lingua prima di quel momento.
A cominciare da mio padre, anni prima.

Si, che per la verità papà non apprezzava l'idea di leccarmi il buco del culo.
Nei pressi del mio buco di culo, mio padre ci stava solo 5 minuti, per caricarlo di sputi.
Poi mi diceva "tieni, fogna".
Preferiva darmi il cazzo.
Pensate. Poca cosa.
Sul tema della leccatura del culo papà era poco disponibile.

Mi rifeci più avanti, all'istituto, in Svizzera, dove ci finii quando papà si stufò dei miei servizi anali.

In istituto mi ci dedicai con dedizione, e divenni un autentico bideè umano.
Facevo rimming praticamente a tutti i professori.
In istituto c'era un simpatico andazzo tra docenti e allievi, e presto scalai il successo come pulitrice di sudore anale scalzando una concorrenza piu che schizzinosa tra gli allievi.
Smisi a leccar culi quando mi fidanzai col mio professore.
"Tu non avrai culo al di fuori di me", mi pareva che mi sussurrasse.
Pensare che il prof mi chiamava purgy, purga.
Gutalax insomma.

Era cosi stitico il mio professore, poverino, che ricorreva alla mia lingua tutte le mattine.
Mi svegliavo col suo bel culo già sulla faccia.
Io leccavo, e poi schizzava via.
Boh, se ne andava. Di colpo spariva, apriva la porta, e correva nella sua cella non troppo distante dalla mia cameretta.
Via. Andava via come un pensiero. Via come una primavera effimera. Via come la fioritura dei mandorli. Via.

Povero. Correva subito via per cacà.
Uno spavento per il corridoio.. Dei tuoni.
Però fu grato a me. Guarì dalla stitichezza. A gratis e non mi fece mai mancare il cazzo.
Si. Anche se non è che ci rimanevo bene quando rideva di me in classe.
Mi prescriveva agli altri come ottimo rimedio per la stitichezza.
E i ragazzi, si sa, sanno essere crudeli.
Dovetti prestarmi come leccatore di culi a tutti i miei compagni dopo la partita di calcetto.
È un trauma.
La mia psichiatra dice che per superare il trauma, io devo sublimare l'esperienza.
Benissimo.
Eccovi spiegata la mia apparente distorsione cognitiva sul perché amo le scureggiate dei maschioni sparate sulla faccia.

Ma torniamo all'evento del frate in convento dall'aria un attimino nazi.
Ora si dà il caso che il tale mi bagnò la passera.
Tanto mi fu dato il piacere della lunga leccata che il mio buco si allargò di gusto. Credo che lui avesse tutta la faccia affondata nell'ano che avidamente aveva assunto la foggia di un affascinante stappa lavandino.
Così mi voltai, fiera.
Ero sicura di non essere capita, ma gli ringhiai..
"Pezzo di merda, se non ti sbrighi a fottermi, giuro che ti spacco la faccia. Hai capito animale? Me devi scannà, stronzo!"

Lui non capì nulla, ovviamente, ma mal interpretò la mia veemenza in maniera molto brutta. Lui si levò il sandalo e con questo mi prese a schiaffeggiare. Poi mi obbligò a leccare la suola interna. Figuriamoci. E che io vado a nozze con le suole, meglio se unte da piedi sudaticci.
La zaffa acre di piede mi arrivò in botta al cervelletto. Taleggio puro. Giuro mio caro lettore, taleggio puro.
Be ' non ti dico,, mi levo il sandalo dalla mano e fui gonfiata di faccia, a botte di ciabatta e fui pure buttata in terra.
Cercai un riparo sotto lo scrittoio poiché era lì che era finito il sandalaccio fetente. Feci giusto in tempo ad afferrare la calzatura che quel frate un pochino grezzo mi afferrò per le caviglie. Quindi fui trascinata tipo lucidatrice, e riposta ai suoi piedi. Si buttò sopra, e fui inforcata.
Pensate.

Sfondata, al brucio, senza rispetto per la resistenza sia pur minima dei miei sfinteri.
Debbo dire che seppe schiacciarmi con ottime flessioni, e la cosa simpatica, io trovo, è che tra una trivellata e l'altra, si stappava di scatto da sbobinarmi la trippa.
Povero. Si vedeva che non fotteva da una vita.

Tra una stappata e una trivellata io strillavo, e lui non badava alle mie scorreggette sciocche che menavo ad ogni sturata.
Meno male che ero stata adeguatamente lavata in cortile con spruzzi inauditi senza riguardo per la mia preziosissima budella, ed ero tutta bella che pulita dal di dentro, che infatti, nell'aria della camera, insisteva solo l'olezzo di ricotta forte del suo cazzone e non certo derivante dalla mia suggestiva fichetta già tutta lavata.
Ciò che mi dispiacque tantissimo fu il fatto che non si spogliò del tutto. Dubito che fosse un bear, cioè quelli che hanno fatto palestra un tempo e che dal riso soffiato sono passati alla porchetta a colazione.

No. Il mio prete aveva una tozza corporatura di suo, ed energia a suficienza per una trivellata di un' ora fino a farti cacare petrolio.
Quando mi voltai per guardarlo mi fece pena.
Nonostante fosse novembre egli sudava. Lo ammirai tantissimo perche si stava facendo davvero un mazzo per far godere la sua bella sniacchera.
Io gli supplicai di non fermarsi. Urlai implorandolo a che mi fosse rotto del tutto per ogni centimetro quadro di culo, e piansi perché gli supplicai di rompermi tutta e mandarmi all'ospedale.

Finita l'ora della trivellata mi fu data una pausa per scorreggiare un po'.
Non so perché ma egli rinunciò definitivamente a chiavarmi il culo. Preferì porsi dinanzi alla mia faccina e menarsi forte.
Mi rovesciò la sborra nella gola ed io ringraziai ingoiando tutto massaggiandomi il pancino.
Poi si accascioò stanco sulla poltrona. Io mi avvicinai a carponi per leccargli almeno un piede ma mi scalciò via.
Povero, era davvero stanco. Quindi ruttai.

Ruttai mostrando come rutta una bella cessa, ma egli urlò di brutto, indicandomi il catino che si intravvedeva nei pressi dell'uscio del cesso.
Eh!?
Che devo fa' col catino?
Poi sorrisi...
Malandrino.. Gli dissi.
Mi alzai e mi diressi a prendre il catino.
A lui stava scoppiandogli il cazzo perché sicuramente mi stava vedendo il culo alla pecorina.

Mi chinai, racolsi il secchio e lo riempii nella vasca da bagno lì vicino.
Nell'attesa osservai il locale che mi avrebbe ospitato in quel posto.
Era assai sobrio. C'era un lavandino e una vasca. Punto. In un angolo c'era un buco a pavimento, senza ceramica e tutto fetente. Era il cesso.Il cacaturo, insomma.

Poi presi il catino e lo portai ai piedi del prete. Mi sentii 'a Maddalena proprio e mi apprestai a lavargli le fette.
Ma lui si alzò, sollevò la toga e si chinò sul catino.
A squat. Hai presente come se stesse cacando?
Benissimo.
Intesi che dovevo lavargli il cazzo.
Lavai bene la cappella, i coglioni e il buco del culo e quando ultimai, mi levai la felpina e con essa asciugai.
Lui mi fissava. Fissava la devozione e la cura che ci mette una culatrona nel ripulire il maschio.

Poi mi fece cenno di tornare nel cesso a sciacquarmi la bocca. Effettivamente era un poco fetente.
Davanti allo specchio menai il grugnito di una dolce scrofa, e mi vidi bello, ebbro, e felice.
Misi una mano tra i capelli, sollevai un piedino di punta, posi l'altra mano sul ginochio.
Mi guardai allo specchio di profilo, non senza aver alzato una spallina..e feci Smak.
Poi mi voltai, mano tra i capelli, altro piedino sù, mano sul ginocchio giù..
Smak!!!
Mecojoni... mi dissi... Ma quanto sei sniacchera!?
MI avrebbe amato... Pensai.
Feci un rutto.
E poi mi dissi...
Ma lui?

Uscii e non c'era piu.
C'era la tinozza con l'acqua torbida.
Benissimo.
C'era la mia felpina nell'acqua.
No vabbè.
No, dico, lo vedi com'è?

Gli uomini, sono tutti uguali.
Dopo aver fatto l'amore vanno via.
Hanno un timore innato dei sentimenti e temono di soffrirne.
Ero sicuro che qualcosa di me gli era entrato nel cuore, lo capii per la cura che lui ci aveva messo nel capire tutte le mie desiderata.
Sapeva che per rapirmi il cuore doveva trattarmi come una porca.
Non si capacitava di quanto fossi per lui così suina e unica.
Ma dove la trovava una come me. Eh?
Lo sapevo, lo sentivo.
Lui aveva paura dell'amore eppure... Mi amava.

Mi voltai... E infatti.... ne ebbi la prova.

Aveva pisciato tutto sulla mia brandina. Pensate.
Il cuscino, sul quale avevo tentato invano di scorgere un cuore disegnato a spruzzo, era la zuppa primordiale della mia vita.
Era tutto pisciato. Caldo. Zuppo.
Ma era chiaro... Inzuppandomi il letto, egli intendeva farmi pregna di lui, del suo odore... Con questo gesto lui voleva dire agli altri... Non toccatela. È mia.

Sicchè dall'odore tutti gli altri confratelli avrebbero fiutato di tenersi alla larga da me e dal mio culetto peperino.
Sempre sarei stato con lui.
Lui avrebbe officiato messa e gli avrei fatto da chirichetta.
A tutti sarebbe venuto il cazzo duro, e lui, fiero di me, avrebbe baciato l'altare a messa finita si sarebbe fatto seguire in sacrestia.
In sacrestia na bella pisciata in bocca non me lo avrebbe levata nessuno, e i fraticelli ammassati all'uscio, poverini, avrebbero supplicato il mio buco di culo, cinque minuti proprio.
Lui avrebbe detto no.
Perentorio.
Ma allora i confratelli avrebbero chiesto solo di compiere solo una scorreggiatina sulla mia faccia, magari infilata in confessionale nell'andirivieni incessante dei confratelli.

Ma lui li avrebbe stroppiati di mazzate tutti quanti, per me, urlando che nessuno avrebbe dovuto violare il mio culo, né farmi una scorreggiata in faccia in un confessionale.
Sempre con lui sarei stato.
Mi avrebbe scopata la gola tutta la vita. Per tutta la vita avrei succhiato le sue belle palle piene.
Per ringraziarmi, lui mi avrebbe incendiato la faccia di scorreggiate da maschiaccio, e se poco poco avessi desiderato sotto sotto delle altre minchie, lui se ne sarebbe accorto e davanti a tutti proprio mi avrebbe gonfiato la faccia perché solo sua dovevo essere.

Tutta la vita gli avrei cucinato la carne, gli avrei lavato le mutande di lana e pure sgommate.
Lo avrei fatto con umiltà, china per terra con una tinozza, sospirando a sollevare la ciocca dietro l'orecchio o a tirar su dalla mia spallina la bretellina di una sottoveste di raso.
Sarei ingrassata come una bear per una vita sedentaria di moglie, e se poco poco avessi espresso il desiderio di un concerto di Madonna o di Lady Caga, allora lui mi avrebbe fatta morire di fame.
Solo balli bulgari, mazzate e cazzi.

Che meraviglia pensai.... Mi abbracciai, mi dondolai, sospirando.
Era fatta. Ora ero impegnata.
Fidanzata.
Amata.
Piansi un po'. Quante traversie, quante tempeste, quante parole in una solaaaaAAaa.
AmmoOOOre.

Dormii in brandina e sognai l'ammOre.
Piansi di gioia. Zuppa mi addormentai.
Mi addormentai ciucciandomi un dito, e con l'altro dito su per il culo, aspettando il giorno dopo.
Lui mi avrebbe dato il buongiorno della colazione con una rosa rossa.
Zuppa di piscio nel mio giaciglio, sognai maiala questa e altre cose.

Zuppa dormivo.

Zuppa per sempre.
CUMCONTROL finalmente sarebbe stata amata.

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Questo racconto è tratto dalla saga
HUNGARIAN RHAPSODY
Autobiografia di un libertino.

CUMCONTROL 2023


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