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037 LA BARACCA B


di CUMCONTROL
21.12.2024    |    6.224    |    4 4.3
"Maschi forzuti, maschi tozzi, maschi oblunghi..."
Quando aprii gli occhi, vidi l’infermiere sollevarsi di scatto e darmi subito le spalle.
Si mise a far dell’altro, rovistando nella scatola dei farmaci.
Poi corse via con il carrello dei medicinali.
Guardai in basso.
Ero scoperto.
Il mio pisello umido e tumido, mi parve fosse fuori posto.
Mi strofinai gli occhi. Ormai ero sveglio. Coi gomiti mi feci forza e mi sollevai appena.
Le mie mutande stavano a mezza coscia e le lenzuola erano spostate.
Mi toccai il pisello e notai che era inzaccherato di una sostanza vischiosa. Era saliva.

Che cosa ci faceva l’infermiere tra le mie cosce mentre dormivo confuso in quella stanza?
E quella stanza, e che cazzo era quella stanza?
E poi, perché cazzo non mi veniva in mente per quale motivo fossi finito in quel luogo?
Nulla ricordavo, perché?

Mi rimisi giù.
Dalla volta scendeva una grossa luce. Non ero legato, anche se tutto mi pareva davvero di stare in un film.
Poi la porta si aprì ed entrò un uomo in camice.

Era grassoccio, semicalvo dall’aria bonaria e due occhi vivissimi che quasi sorridevano dietro gli occhiali.
Mi sorrise.

- Allora ragazzo come andiamo
- Come dice? Ah si, bene. Dove mi trovo?
- Non è importante.
- Hey, calma. Lei parla italiano?
- Esattamente mio caro. Italianissimo. Firenze, conosce?
- Certo che si.
- CUM. Ti chiami CUM per davvero o hai altro nome?
- No. E’ il mio nome.
- E a cosa si deve questa singolarità.
- Il mio nome è curdo. I miei genitori vollero chiamarmi così dopo uno dei loro viaggi nel Kurdistan.
- E cosa vuol dire?
- Credo voglia dire venerdì.
- I suoi genitori sono curdi?
- No. Italianissimi
- Ho capito. Se faccio così cosa sente?
- Perché mi smanetta?
- Ohi andiamo mio caro. Non sia volgare. Il mio è solo uno screening.
- Comunque non sento nulla.
- E così?
- Dottore. No la prego, se mi succhia, mi viene lo schifo.
- Mmmmmmh
- Dottore no, la prego.
- Perfetto. Allora non continuiamo. Olga??
- Olga?
- E’ la mia assistente. Eccoti Olga. Olga sia gentile, mi porti per piacere la scatola.
- La scatola?
- Ohi, le piacerà. Oh grazie Olga. Ecco CUM se la sente di volturarsi anche solo di fianco?
- Mmmmm dottore ma se mi massaggia così io potrei non rispondere di me.
- Tranquillo, la sto solo preparando un po’.
- Cos’è?
- E’ strutto.
- Strutto?
- Si, strutto. In Ungheria non sono arrivati ancora certi prodotti come la vasellina. Ma presto li avremo anche qui. Ora la prego spinga l’ano ecco, da bravo, cosa sente?
- Nulla.
- Ora?
- Ora si inizia a ragionare
- Sono tre dita.
- La prego dottore vada di rotazione.
- E’ ben largo vedo. Sia gentile CUM, non mi faccia le puzzette però mentre la maneggio. Dopo avrà tutto il tempo di menare aria.
- Dottore… dottore la prego…
- Olga passami l’ortaggio. Si quello lì. Ecco CUM se le spingo con forza questo cetriolo cosa sente?
- Dottore la prego spinga spinga, la prego, spinga
- Benne, oplà, tolto.
- Prrrrrrrrrrrrrr
- Ecco, stiamo tirando via l’aria dal buco. Olga? Mi passi quella. Molte grazie
- Dottore la prego non perda tempo
- CUM, faccia un bel respiro potrebbe metterci diversi minuti perché possa incominciare a entrare.
- Ohhhhh mmmmmmmh. Dottore cos’è?
- E’ un grosso dildo di gomma. Viene da un calco esatto del frisone dello Zoo di Budapest. Conosce?
- No dottore, mi distrugga.
- Dio che troia. Il frisone è un magnifico cavallo nero. Che bravo CUM, è tutto dentro. Ora lo estraggo di colpo va bene?
- Si prrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrrr.
- Ora sentiamo..
- Dottore che fa, mi sniffa il culo?
- Mmmmmmh. CUM dovrebbe tenere un po’ di più alla sua igiene.
- E’ che nel bosco
- Nel bosco?
- Ricordo poco ma credo mi abbiano scopato nel bosco
- Ora si spiega l’odore di sperma. Olga? Può andare. Lei CUM è classificato come B.
- B?
- Bottom. Andrà a stare nella baracca dei Bottom. Ora si vesti. Questa è la sua cartella. La porti ai colleghi che stanno di là della porta.
- O….Ok.

Cioè che cazzo era, un esame? E che cazzo era la baracca dei bottom?

Aprii la porta con la mia cartella sotto braccio ed ecco che io mi ritrovai nell’esterno gelato del bosco, e due tali, dall’aria tutt’altro che rassicurante, mi presero per la giubba e mi trascinarono a peso morto verso la famigerata baracca B.
Quando fummo dentro, in realtà, v’era una piccola anticamera. Piccola. Modesta ecco.
L’ambiente pareva sufficientemente scaldato e illuminato anche se la luce bianca dei neon non fosse da me molto gradita, poiché da sempre io amo la luce tremula e ambrata delle abatjour da comodino.
Ma c’era poco da far la raffinata in quel cazzo di posto. Non realizzai moltissimo, va detto, poiché i due signori mi svestirono strappandomi quasi i vestiti di dosso. Fui dunque denudato fino alle mutandine che mi furono letteralmente fatte a pezzi. Quindi fui picchiato sui polpacci con dei giunchi molto sottili e sti fetenti, mi percuotevano con fare assai molesto, anche se a dire il vero non mi capacitavo del perché di tanta violenza.
A suon di fustigate fui dunque sospinto verso le docce e in quel luogo, contro le piastrelle bianche scacazzate qua e là, fui schizzato in culo dalla lancia.

I due signori si divertirono tantissimo a vedermi liquefarmi sotto il getto dell’alta pressione e si piegavano letteralmente dal ridere a ogni polpettina che il mio povero culo sparava sul pavimento di cemento armato delle docce.
Io mi vergognai tantissimo e infatti glielo dissi ma quelli non capivano la mia lingua come d’altro canto io non capivo la loro. Quando fui del tutto svuotato, non è che la piantarono lì. No. Mollarono il getto solo quando dal mio culetto vi fuoriuscì dell’acqua completamente pulita, limpida come la verità e la vita, e quindi ci impiegai tantissimo.
Poi fui accuratamente strigliato con spazzole di saggina come una bella cavalla, e per finire fui introdotto in un locale attiguo, piastrellato pure quello, dove fui lasciato un pochino in pace. Certamente ero frastornato anche perché voglio dire quella luce bianca, accecante, mi dava l’idea di essere finito in un mattatoio, o peggio ancora, in un obitorio.
Mi accostai a un tavolo di marmo e mi tenni stretto stretto tra le braccia, poiché stavo un pochettino a infreddolire. Ricordo, mio malgrado, che mai ero stato svuotato così in profondità e soffrivo di male alla bocca dello stomaco. Va detto inoltre, a onor del vero, e qualche medico potrà darmene atto leggendo questo mio passo, che io fui del tutto deprivato di flora batterica. Fui così risciacquato in profondità che la mia flora era andata a farsi benedire.
Come lo sapevo? Mi piegai più volte perché sentivo una gran voglia di fare aria, quasi a volermi liberare di qualcosa, ma dal mio sfintere, nonostante l’impulso, non usciva nulla! In quella condizione mi rattristai moltissimo poiché sapevo bene che restare con la flora batterica a zero non si poteva di certo garantirsi la buona salute.

Ma perché ripulirmi così a fondo? Dovevano certamente predispormi a qualche imminente chiavata?
Ok ok, capisco che il doccino è necessario ma a me avevano debellato ogni traccia di vita intestinale.
Madonna, che cazzo dovevo fare? Quindi stavo per essere chiavato? E da chi? Eppure in quel freddo locale non vi entrò nessuno. Quindi mi disposi in un angolino, rannicchiato tenendomi abbracciato alle mie stesse gambe e tentavo, di tanto in tanto, di menare qualche scorreggino di buon auspicio senza tuttavia riuscirci.
Niente. Poi la porta si aprì e fui molto sorpreso perché Olga, l’assistente del medico italiano, venne da me, cavò fuori da una borsa di tela un pigiama e mi fece rivestire in fretta. Ricordo che poverina fece una gran fatica nel trattenersi dal ridere poiché il mio pisello, già piccolo di suo, m’era sparito per il troppo freddo. Poi aprì la porta, e fui nel cuore della baracca B.
Ciò che vidi mi lasciò di stucco.

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Maschi.
Solo maschi.
Maschi di tutte le razze. Maschi forzuti, maschi tozzi, maschi oblunghi. Maschi solo maschi. Erano maschi colti nel cuore del loro sonno. Erano meravigliosi. Dormivano tutti, a due a due, distesi su amache di tela appese alle travi. Due per ogni amaca.
Maschi.
Solo maschi.
Olga procedeva davanti. Di tanto in tanto si voltava e con l’indice alle labbra mi faceva segno di fare piano.
Maschi.
Solo maschi.
Sotto le mie pupille sfilavano maschi abbandonati ai loro sogni. Nella baracca, procedendo fino in fondo, c’era un tepore di respiro e un odore acre di virili sostanze. La baracca B. C’era da non credere. Non era possibile che quegli esempi di virilità umana fossero dei bottom. Non nei miei sogni. Non nella mia realtà. Non era possibile.
Quando Olga, impeccabile assistente di volo si fermò davanti a una amaca, mi si voltò, sorrise, e indicò il posto assegnato.
Passivamente la guardai, sorrisi anche perché, sia chiaro, chi dormiva nella mia amaca era un vichingo con la treccia sulla barba. Non era possibile che fosse un bottom. Quindi pensai che presto ci sarebbero state delle belle sorprese e la fortuna avrebbe girato a mio favore.
Olga se ne andò, io le sorrisi a inchini ripetuti come un mandarino nella Città Proibita, e piano piano, mi disposi di fianco al mio vichingo. Volli abbracciarlo, volli accoccolarmi a lui. Avrei pigolato sotto il suo collo come un pulcino. Infatti il vichingo, accortosi della mia presenza, mi tirò una pizza in faccia. Quando lo guardai chiedendogli perché, coi miei occhiettini innocenti, egli non diede cenno di empatia alcuna e mi indicò di posare la testa di là, verso i suoi piedi, come tutti quanti gli altri.

Come una piccola cessa piagnucolante presi a stendermi dunque così, al contrario, e fui sommerso sotto l’unica coperta.
Il problema è che stando sotto la coperta, coi suoi piedoni nudi in faccia, mi fu davvero difficile addormentarmi. Non mi capacitavo che due grosse fette odorose, peraltro di un vero e proprio vichingo, fossero a due passi da me. Così mi persi ad annusar le sue fette, avendo cura naturalmente di non baciarli, per non destare nell’iracondo giovanotto delle secondarie reazioni barbariche.

Ma presto iniziai a svaporare nell’odor di sti due piedoni e siccome il tipo s’era messo a russare profondamente tentai la fortuna. Estrassi la lingua mi diedi a una fedele leccata prima a un piede, poi all’altro. Era bellissimo farsi carico in bocca di tutto quel taleggio della bassa bergamasca.
Mi addormentai come una bambina felice con un alluce in bocca, ma nel pieno della notte fui comunque ridestata con un calcio in faccia che temetti d’essermi rotta del tutto il setto nasale.
Come una cessa rotolai dunque dall’amaca e sussurrai Mallimortacci e corsi in silenzio sanguinando dal naso fino al fondo della baracca buia, con il rischio di svegliare tutti quanti. Quindi, a tentoni, cercai di aprire la porta, ma la porta non si aprì. Allora chiesi lamentosamente nel vuoto delle suppliche di una qualche infermeria nei paraggi.
Poi crollai nella solitudine più cupa.

Rimaneva poco della notte. Dalle finestre, e dalla cima degli alberi morti dell’inverno, si rischiarava l’orizzonte del cielo in un’alba di un nuovo giorno. Dovevo dormire. Dovevo assolutamente dormire. Non sapevo cosa mai sarebbe stato di me per il giorno dopo. Tutto era per me così nuovo.

Mi accasciai, mi tenni il naso, e mi addormentai così, in un angolo infreddolito e buio della misteriosa baracca B.








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Questo racconto è tratto dalla saga
HUNGARIAN RHAPSODY
Autobiografia di un libertino.

CUMCONTROL 2024

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