lesbo
Il brevetto "TX-770" - 4° parte
di LittleMargot
10.07.2016 |
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"”, e Alejandro sentì ancora per un attimo la stretta alle braccia ed al petto..."
Alle 11.10 il treno giunse a Roma Termini. “Uff! Anche oggi cielo grigio”, disse Barbara cupa.“Porteremo noi un po’ di sole”, rispose Aleja cogliendo l’espressione simpatica della sua partner. C’era parecchia gente, e salutarono Tonio che contraccambiò. “Itinerario?”, chiese Aleja.
“Visitiamo qualche luogo e basta: abbiamo poche ore, il treno di ritorno è alle 18.50”, rispose Barbara. “No camminate lunghe, prendiamo un taxi via via che ci spostiamo”. Aleja approvò, e uscirono dalla stazione non senza attirare parecchi sguardi.
Giunte presso Piazza San Pietro non poterono avvicinarsi molto: era stracolma di gente, vista l’ora e il fatto che era domenica. Rimasero però soddisfatte e piene di gioia ammirando da lontano una certa finestra molto particolare, e si strinsero le mani l’una con l’altra. Alle 12.20 fecero due passi lì vicino e alle 13 entrarono in un ristorante. Gustarono bucatini all’amatriciana e coratella d’abbacchio con i carciofi accompagnati da un rosso novello dei Castelli romani. Aleja avrebbe voluto provare anche la coda alla vaccinara ma era già sazia, e così anche Barbara. “Che ne dici di un buon dessert?”, chiese Barbara.
“Non so se mi sta ancora qualcosa, addio linea”.
“Ah! ‘Ma che ce frega, ma che ce importa’...”, rispose Barbara canticchiando, convincendo Aleja. Ciascuna prese un bignè di San Giuseppe e una grattachecca per chiudere in bellezza.
Alle 14.15 un taxi le portò al Colosseo dove rimasero mezz’ora circa per poi chiamare un altro taxi che percorrendo Via dei Fori Imperiali le portò a Piazza Venezia: una breve camminata per ammirare l’Altare della Patria, il Foro Romano, la Basilica di Santa Maria in Ara Coeli e poi anche il Campidoglio, ma tutto velocemente e solo da fuori. Sarebbe stato bello poter andare alla Fontana di Trevi, a Piazza di Spagna e alla ‘grande scalinata’, ma il tempo era davvero poco. “Brevi, queste ‘vacanze romane’”, disse Barbara, erano già le 16.35.
“Ma intense”, fece Aleja.
“Ti vedrei bene con un trench rosso”, riprese Barbara.
“Davvero?”, sorrise Aleja con malizia.
“Andiamo”, disse Barbara facendo segno ad un taxi che le portò a Piazza del Popolo e, da qui, a via del Corso. “Questa strada è l’ideale per lo shopping”, continuò. Entrate in un bel negozio alla moda ne uscirono con due trench rossi impacchettati a dovere. Erano le 17.40 e ormai si doveva già tornare alla stazione. Camminavano spensierate a braccetto, la via del Corso era una vera attrattiva. Di colpo Barbara si fermò, Aleja sentì che le erano salite le pulsazioni. La osservò in volto, era chiaro che aveva appena deglutito.
“Cosa c’è?”, chiese Aleja allarmata.
“Andiamocene alla svelta!”. Aleja aveva notato che il suo sguardo era fisso su due uomini eleganti che, ad una trentina di metri, parlavano tra loro in modo gioioso e amichevole, quello anziano aveva una valigetta professionale.
“Chi sono quei due?”, chiese Aleja mentre si allontanavano veloci. Barbara aveva già fatto segno ad un taxi lì vicino e Aleja fu rapida a girarsi e scattare una foto senza che Barbara si accorgesse.
“Preferisco non dirtelo”.
“Dai!”.
“OK! Quello anziano è il professor Gozzi, un importante primario ospedaliero che chiedeva di continuo nuovi test alla Berenghi dicendo che era il direttore dell’ASL a volerli, quindi il ministero, ma non ne sono tanto certa, credo volesse fare come da filtro, per non dire da ostacolo, già da prima che ci fosse l’interessamento della Gothelm Co., grazie alla quale le cose si sono mosse rapidamente. L’altro, invece, è...”.
“E’?...”, insistette Aleja.
“...è Tiziano Salmari, il marito di Mara Berenghi! Cosa hanno da dirsi di così importante da trovarsi perfino alla domenica?!”. Detto ciò, erano già arrivate al taxi che le stava aspettando. Alle 18.35 erano alla stazione Termini.
La ‘Frecciarossa’ partì alle 18.50 e le due belle ragazze erano sedute una di fronte all’altra in prima classe, a lato di un finestrino. Barbara distese le gambe unite, era stanca, ma faceva trasparire anche dell’altro dovuto a quella fortuita coincidenza in via del Corso. L’arguta Aleja la osservava mentre si stava appisolando e, dopo averle preso le gambe tra le sue, diede una rapida scorsa alle foto scattate, tutte erano riuscite alla perfezione, nessuna esclusa! Alle 19.30 passò il carrello con le vivande, Aleja prese un panino vegetariano, un tè alla pesca e una fetta di torta alle mandorle; preferì non svegliare Barbara.
Alle 22.35 la ‘Frecciarossa’ giunse a Venezia Santa Lucia. Barbara si era già destata da venti minuti ma non era stata granché loquace e non aveva nemmeno fame. Scesero dal treno, andarono all’uscita e poi verso il Canal Grande.
Vicino al Ponte degli Scalzi c’era Carlino che le stava aspettando. Furono entrambe liete, era come aver ritrovato un caro amico: “Vi siete divertite a Roma?”.
“Sì”, rispose Barbara, “ma ci siamo anche stancate. Domani mattina alle 7.15?”.
“Come comandate, ai vostri ordini”.
Alle 23.30 erano già a letto così com’erano tranne le calzature, non ebbero il tempo e nemmeno la forza di darsi una rinfrescata.
La sveglia suonò alle 6.15 e si alzarono in un paio di minuti. Fecero la doccia assieme e passarono alla vestizione. Barbara osservava Aleja mentre sceglieva cosa indossare. “Ti vorrei anche oggi come ieri, e io farò altrettanto per me”.
“Però cambio corsetto e guanti, ricordami di comprare un trolley per metterci dentro i souvenir e i regali”, rispose. Barbara annuì dicendole che il trolley glielo avrebbe donato lei visto che ne aveva diversi a casa. Si cambiarono l’intimo e qualcos’altro di marginale. Alle 6.55 erano già preparate nonostante il poco tempo a disposizione e in qualche minuto sistemarono i bagagli. Alle 7.05 erano alla reception, Aleja pagò il conto. Un paio di brioche a testa ed un cappuccino, e alle 7.20 uscirono. Videro più avanti il taxi di Carlino, si avvicinarono.
“Buongiorno, ma siete in partenza?”.
“Già, un fine settimana veloce”, rispose Barbara.
“Dove vi porto?”.
“Tronchetto”. Contemplavano la laguna e il via vai sulle fondamenta, parevano ammaliate da quel paesaggio. Giunte a destinazione salutarono Carlino con grande cordialità, ed anche lui, specie quando vide la mancia che gli avevano lasciato. Poiché il parcheggio era già stato pagato fino alla sera di quel giorno, ritirarono il biglietto per uscire ed andarono alla ‘Lambo’ assieme all’addetto che aprì la cancellata. Aleja diede le chiavi a Barbara che salì al posto di guida, quel gesto era bastato a darle un po’ di quel colore e sprint che aveva perso la sera precedente, a Roma, dopo aver visto quelle due persone in via del Corso.
Poco dopo la ‘Lambo’ iniziò a percorrere il Ponte della Libertà a velocità moderata per non incappare negli autovelox. La giornata, col cielo coperto, non era l’ideale per una gita, ma era questo il desiderio di Barbara: “Senti, io non ho voglia di tornare adesso a Milano, voglio godermi ancora questa giornata con te. Poi, chissà quando ci rivedremo”.
“Vero! Hai qualche idea?”.
“Trieste!”, rispose Barbara decisa. Aleja guardava la laguna che l’aveva affascinata, fu colpita in particolare da una piazzola sulla destra: un’area verde con una statua e due cannoni che all’andata non aveva notato. Poi, le colonne bianche con i leoni alati che stavano a fianco delle corsie, sia da una parte che dall’altra, le fecero capire che il ponte era ormai finito, si voltò un istante e mandò un soffio di bacio.
Passata una macchia d’alberi Barbara imboccò una salita, poi una lunga rotatoria con dei lavori in corso. Girò a destra dopo una grande area verde che ad Aleja sembrò un parco. “Questa strada gira attorno a Mestre, poi c’è l’autostrada”. Dieci minuti dopo erano sull’ultimo tratto della tangenziale di Mestre, Aleja osservava quegli svincoli e sovrappassi. Quando iniziò il rettilineo dell’autostrada erano quasi le 8.30. Aleja iniziò a gustarsi l’occhio ammirando l’autista supersexy, pareva che il bolide su cui stavano viaggiando fosse fatto apposta per lei, anche se lo conduceva a velocità tutto sommato moderata, non superava mai i 140 km/h. Barbara ogni tanto le faceva da Cicerone, spiegandole qualcosa circa il ponte sul Piave, e poi, passato il Tagliamento, le disse che si era in Friuli. Giunsero ad un grande bivio: “Per di là si va in Austria. C’è un locale, poco dopo il confine, che si chiama ‘Andiamo’, la battuta giusta si può fare solo in italiano”. Si fermarono alla stazione di servizio di Duino per fare rifornimento, scesero entrambe. “Ci fa il pieno, per cortesia?”, chiese ad un ragazzo giovane che lavorava lì, “Poi la parcheggia davanti al bar, per favore?”, aggiunse dandogli le chiavi.
Quel ragazzo le guardava mentre andavano a braccetto verso il bar, ancheggiando e tacchettando: ‘ve lo farei io, un altro tipo di pieno, a tutte due’, pensò prima che entrassero nel bar. Uscirono dopo 15 minuti, l’auto era parcheggiata dove era stato richiesto. Barbara andò alla cassa per pagare, ritirò le chiavi e diede al ragazzo una discreta mancia. Questi le fece l’occhiolino, e Barbara rispose con un sorrisetto malizioso: ‘ti farei lucidare gli stivali miei e quelli di Aleja’, pensò tra sé, ma ritenne opportuno che ciò restasse solo un pensiero. Lo salutò, e tornò verso Aleja, mentre il ragazzo si alzò e si sporse di lato per guardarle meglio: “Che donne! Straf... mmmhhh! E che stivali da urlo! Una lucidatina gliel’avrei data volentieri, volevo anche dirlo, così per scherzo, ma poi si sarebbe certo offesa, magari mi avrebbe anche denunciato! Meglio stare zitto, sì, e accontentarsi dei pensieri”, disse tra sé, tanto era da solo.
Ripresero l’autostrada. “Mancherebbe poco, però facciamo la strada panoramica, la costiera”.
“Tu sei l’esperta qui”, rispose Aleja. Uscirono presso Sistiana ed imboccarono la Statale 14 che porta a Trieste costeggiando il mare, panorama che Aleja gradì molto, specie quel breve passaggio in una galleria scavata nella roccia che pareva cadesse in mare.
“Ah, che idea! Una sosta qui è quasi d’obbligo”, disse Barbara rallentando per poi svoltare a destra facendo quasi un’inversione ad ‘U’. Parcheggiò e spense il motore. “Siamo al castello di Miramare! Dai! Scendiamo”. Era allegra come una studentessa in gita, la nebbia del ricordo della sera precedente si era dissolta, questo pensava Aleja, ma non era proprio così, qualcosa di celato la turbava. Stando a braccetto, dandosi dei dolci pizzicotti, fecero una bella passeggiata attorno al castello, e non mancarono di farsi anche delle foto.
Alle 10.45 giunsero a Trieste. Aleja la guardava, la vedeva molto sicura di sé. “Questa è la stazione ferroviaria, adesso seguiamo la riva e parcheggiamo nei pressi dell’acquario”. Passeggiarono lungo la riva tra le auto parcheggiate, incuranti degli sguardi che attiravano. “Attraversiamo qui”, disse Barbara, e giunsero in una piazza bellissima, Aleja guardava incantata i palazzi circostanti. “Questa è Piazza Unità d’Italia, quel palazzo in stile particolare e l’ex palazzo del governatore di Trieste, quando la città faceva parte dell’impero austroungarico assieme alle regioni della costa adriatica, l’ex Jugoslavia per intenderci”.
“Certo, ho anch’io qualche ricordo di storia, anche se queste zone le ho sentite nominare di più nei notiziari dei primi anni ’90 quand’ero ancora studente al ‘college’, quelle scuole che qui in Italia si frequentano tra i 14 e i 18 o 19 anni, prima dell’Università”, e sentì che Barbara ebbe un fremito. La guardò fissa negli occhi.
“Io ho cari ricordi di una gita di quasi una settimana, nel settembre 1992, prima che riprendessero i corsi universitari. Avevo 22 anni e mi sembra ieri. Dalla parte alta di Trieste si può ammirare tutta la città e il porto, all’epoca c’era la portaerei Saratoga al molo VII°, spesso nominato. Si vedevano i marinai nei bar, nelle sale da gioco, e in giro per la città. Eravamo in cinque! Oltre a me c’erano Carmela che adesso è funzionaria di banca, è sposata e vive a Genova, poi Giacomo che ha faticato per laurearsi ma lavora all’ufficio acquisti di una media azienda alimentare, quindi”, e le scappò un sorriso, “Menardo, già, si chiama proprio così, brillantissimo, si è laureato a 24 anni con una tesi eccezionale sull’economia americana degli anni ’80 rapportata a quella europea, è un consulente aziendale molto bravo ed ha anche una cattedra universitaria a Parigi, un corso da Ottobre a Febbraio con la sessione di esami. L’hai conosciuto anche tu, però come Mendry, vive da solo... o sola, in un bellissimo appartamento”, ed Aleja ne fu compiaciuta.
“E...?”, chiese Aleja incuriosita.
“Cosa?”.
“Hai detto che eravate in cinque”.
“Già, cinque!”, disse con tristezza, “La quinta persona era Demmy, così chiamavo la mia più intima amica, e io ero Baby. Vorrei proprio poter dire che lavoro fa adesso, ma il destino non è stato generoso con lei. Si era laureata da appena un paio di mesi, quando...”, e strinse Aleja con un forte abbraccio.
“Capisco, non continuare”, disse Aleja in tono dolce porgendole un fazzoletto. Proseguirono la loro passeggiata andando su per Piazza Borsa e poi per Corso Italia.
“Senti, è mezzogiorno: fermiamoci a pranzare, poi torniamo alla macchina. Vorrei andare in un posto qui vicino, davvero, ma non me la sento di andarci a piedi, ti dispiace?”.
“Certamente no”, rispose Aleja dandole un gradito pizzicotto sulla natica destra. Poco dopo le 13 la ‘Lambo’ partì con un ruggito, eccitata sotto lo stivale destro di Barbara che premeva in maniera seducente l’acceleratore. Fece alcune strade e qualche minuto dopo iniziò una salita.
“Questo luogo è ‘San Giusto’”, spiegò Barbara appena ebbe parcheggiato, “quello è il ‘Castello di San Giusto’, da qui si cammina un po’”. In pochi minuti giunsero al piazzale del castello, ci girarono attorno e scattarono delle foto. Poi andarono verso la recinzione, una bellissima terrazza panoramica da cui si poteva ammirare la città ed il mare. Barbara guardò verso una determinata direzione. “Di là si va verso Muggia, al confine con la Slovenia. Mi vengono in mente certi ricordi da bambina”.
“Dimmi, ti ascolto”, disse Aleja facendo emergere da sé la brava psicologa.
“Ero bambina, c’era la Jugoslavia. Prima della seconda guerra mondiale parte di quel territorio era italiano, vari nomi di città e anche di strade lo ricordano, anzi, portano ancora più indietro nel tempo, all’epoca della Repubblica di Venezia e all’Impero Romano, ma sono cose che già sai o che certamente hai studiato”, disse vedendola sorridere.
“Per mia passione e cultura personale: mio padre insegnava storia dell’arte all’università, è stato più volte in Italia, Grecia, medio Oriente ed Egitto. Mia madre, invece, di professione era psichiatra. Ora sono in pensione, sono sempre stati a Las Vegas, ma sei anni fa hanno comprato una casa a San Diego in California. Adesso vivono là, e nell’appartamento di Las Vegas vive mio fratello maggiore con moglie e due figli, il più grande ha 12 anni e il più piccolo 5”.
“Ho i ricordi di un’acqua limpida, fondo roccioso, diverso dalla parte veneta o emiliana dell’Adriatico, ed è stato lì che ho imparato a nuotare, in un’isola vicina alla costa dell’Istria, ora in Croazia, un’isola bellissima! Ricordo ancora quella natura verde, con un castello diroccato al centro, e anche un campo da minigolf, tutto molto semplice ma bellissimo. Avevo paura di gettarmi in acqua, mia madre mi spinse buttandomi in quella piccola insenatura, e così imparai a nuotare”.
“Forse voleva affogarti”, disse Aleja maliziosa.
“Io affogo te adesso”, disse Barbara stringendola forte, quindi tornarono alla macchina. “Ti va di provare un po’ di brivido?”. Aleja annuì. “OK allora, si parte”. Barbara riaccese il motore e partirono. “Tra poco vedrai!”.
“Non vorrai andare oltre confine, spero, guarda che potremmo avere guai”.
“Buona, non sono così avventata”. Pochi minuti dopo Aleja intuì ciò che voleva dire Barbara, con quelle strade ad elevata pendenza, col motore che non faticava per niente in salita, ma in discesa pareva ci si andasse a schiantare. “Yahuuu, e vaiii!”, diceva ad alta voce tutta eccitata, le sembrava di rivivere i ricordi di quella gita ormai lontana nel tempo. Aleja sentiva l’adrenalina, Barbara era entusiasmata. Dopo alcuni giri nei dintorni di Trieste, dalla strada di Cattinara verso Longera e Guardiella, per poi andare al Conconello e quindi a Villa Opicina, di salite e discese belle ripide ne avevano fatte un po’. “Sei pronta?”, chiese ad un certo punto Barbara che, vedendo la sua compagna di viaggio annuire alzando i pollici, prese a ritorno la ‘Strada per Opicina’ e al giusto bivio scese per via Commerciale che, con la sua forte pendenza, le portò poi, in pochi minuti e con sorpresa di Aleja, dritte dritte nei pressi della stazione ferroviaria. Barbara sorrise e, da qui, tornarono al parcheggio lungo la riva. “Piaciuto?”.
“Altroché! Certo che, per essere stata qui solo pochi giorni, la conosci molto bene questa città!”.
Barbara rise: “Quella era stata la prima gita a Trieste, a parte i brevi passaggi di quando andavo in vacanza con i miei in Jugoslavia”, spiegò, “comunque, un mese dopo la laurea, nella primavera del 1996 venni a Trieste per uno stage presso un valido studio legale, volevo fare esperienza fuori casa, e così ho vissuto qui per circa un anno, tornavo a Milano per le festività canoniche e un fine settimana al mese, ecco svelato il mistero, sia della mia sicurezza che della mia... tristezza! Io non mi ero ancora laureata che Demmy già non c’era più”, e a quel pensiero prese di nuovo Aleja tra le sue braccia. Passeggiarono ancora, ma verso le 17 tornarono alla macchina e Barbara diede le chiavi ad Aleja. Salirono e partirono imboccando subito la strada del lungomare. Barbara le diede delle indicazioni per arrivare alla statale alta che da una parte porta all’autostrada per Venezia e Milano e, dall’altra, al confine verso Basovizza. “Prosegui dritta, e alla prossima gira a destra”. Aleja fece quanto le veniva detto, mentre Barbara osservava e si strusciava il mento con le dita come se stesse cercando di ricordare. “Più avanti, sì, a sinistra, ancora dritta e poi ancora a sinistra, perfetto, ci siamo quasi”, diceva Barbara mentre Aleja conduceva la ‘Lambo’ per stradine che si erano fatte strette e quasi deserte, tra macchie d’alberi e boschetti. Notò un sorriso gaudente sulle labbra di Barbara che le fece cenno di fermare di lato, un piccolo slargo tra gli alberi, nella quiete e nel silenzio, e, anche, nella semioscurità, vista la giornata plumbea col cielo coperto. “Fortuna che non piove”, disse Barbara, e scesero. La bella milanese aprì il bagagliaio per prendere il suo trolley, tirò fuori il beauty-case e un grande asciugamano da spiaggia. Guardò Aleja con occhi maliziosi e si addentrarono in quella macchia d’alberi abbastanza folta. Un attimo dopo erano sull’asciugamano. Barbara abbracciò Aleja e si distese sopra di lei tenendole le spalle per poi baciarle il collo, quindi iniziò a stuzzicarglielo con la lingua. Le risvoltò in su la gonna, lei si abbassò i pantaloni, e si adagiò ancora su di lei sentendo il calore delle cosce di Aleja, e lei sentiva il calore di quelle di Barbara che gliele teneva avvolte come in una dolce morsa. Barbara adagiò il seno sul petto di Aleja. Era abbastanza fresco, così come era fresco una certa sera di quella famosa gita di molti anni prima, e non era per niente il caso di spogliarsi, anche se gli umori e le sensazioni riuscivano a trasmettersi dall’una all’altra nonostante i vestiti, col sordo eco del rumore interno dei battiti, col respiro sempre più ansimante, con la turgidità dei seni di Barbara e del gingillino di Aleja. “Capovolgiamoci!”, disse Barbara con voce rotta dall’emozione. Barbara, stando sotto, toccò Aleja alle caviglie facendole capire di arretrare un po’, e con la mano le indicò di toglierle il perizoma, mentre lei lo stava già togliendo ad Aleja che poi si spostò di quanto bastava, stando in posa da ‘sfinge’, per avere il suo gingillino a portata di bocca di Barbara, ed ammirando il suo corpo disteso sotto di lei, dall’ombelico fino ai tacchi, praticamente era come se le stesse dando le spalle. La prima succhiata fu come un fulmine a ciel sereno, Aleja si inarcò tutta sollevando la testa e la gamba sinistra tendendola all’indietro, cosa questa che aumentò l’eccitazione di Barbara, vedendo con la coda dell’occhio quello stivale nero lucido proteso a mezz’aria che le fece balenare in mente con esattezza un’immagine molto lontana nel tempo. Aleja, puntando i gomiti sul terreno, pose le dita, stavolta in guanti di pelle, ma sempre neri, sui sodi seni di Barbara, stuzzicandole i capezzoli sui quali passò poi la lingua, con l’effetto che anche lei distese e allungò le gambe più che poteva. E mentre le labbra di Barbara massaggiavano il giocattolo di Aleja, con le mani le accarezzava le natiche, le massaggiava le cosce e poi le dava dei dolci e lunghi graffi con le unghie ben curate. Aleja chinò la testa, con una mano premette dolcemente il seno destro di Barbara in modo da non fare fatica a stuzzicarlo con la lingua, mentre con la mano libera prese a massaggiarle la farfallina ed il clitoride, allargando e restringendo le dita facendole danzare tra di loro a movimenti circolari, ad allargare e a stringere, e così via. “Aaahhh!!”, fece Barbara senza preoccupazione per il tono di voce, visto che la zona era deserta. “Aaahhh... mmmhhh... ooohhh”, gridava di piacere tenendo le gambe alzate e divaricate continuando a giocare col ‘cetriolo’ di Aleja usando le mani, senza far perdere il suo turgore. “Aaahhh!”, fece ancora Barbara sbattendo la mano libera sull’asciugamano mentre le sue lunghe gambe iniziarono a roteare facendo una specie di mulinello. Si concentrò, e riprese il giocattolo di Aleja tra le labbra, ma sentiva già una vampata di calore interno che le stava salendo, mentre gli umori la stavano bagnando.
“Mmmhhh...”, iniziò anche Aleja che sentiva di essere ormai quasi all’apice, cercando di trattenersi più che poteva. All’improvviso Barbara puntò i piedi per terra e fece uno sforzo per inarcarsi ma senza riuscirci, ottenendo con questo di eccitarsi ancora di più.
“Sìììì... ancoraaa... ancoraaa...”, diceva dimenando le gambe, “ooohhh... ooohhh... godooo”, ed allargò le braccia essendo giunta all’orgasmo. Aleja, cui mancava ancora un po’, le tamburellò con la lingua il clitoride per un altro paio di minuti. “Fermati”, le chiese Barbara eccitata ed estasiata, “adesso ci penso io a te”. Allungò una mano verso il beauty-case e tirò fuori lo strap-on, ci spalmò sopra la vasellina medicale e la stessa cosa fece con l’orifizio posteriore di Aleja che ora era pronta a ricevere le attenzioni della dominatrice. Barbara indossò con cura il suo attrezzo mentre Aleja si era già messa in posizione perfetta. Un attimo dopo Barbara iniziò a premere e penetrò Aleja con la dovuta cura mentre le mani continuavano a coccolare quel duro ‘cetriolo’. Poi si posizionò ancora meglio, tenendo ferma Aleja con un braccio sotto il ventre. Qualche minuto dopo la mano di Barbara provò la sensazione di alcune sere prima quando sentì che il giocattolo di Aleja stava per esplodere, e così fece un attimo dopo, spruzzando come un geyser islandese. Si distesero sull’asciugamano, stanche ma felici, viso contro viso, Barbara la accarezzò dolcemente.
“E’ qui che tu e Demmy avete fatto all’amore, una sera, durante quella famosa gita?”.
“Sì”.
“Dimmi la verità, le assomiglio abbastanza, vero?”.
“E’ così. Quella sera al Nautilus, quando ti ho vista salire sul palco, ti assicuro che mi ha quasi preso un colpo. Però, non fraintendermi, ti giuro che non ti sto pensando come ad una Demmy-2, credimi, per me tu sei Aleja, e hai quel modo di fare e quel look che mi... non so neanch’io come dire, ma tu hai capito”.
“Certo, capisco”. In breve si sistemarono i vestiti e raccolsero le loro cose. Erano le 18.20 quando la ‘Lambo’, guidata da Aleja, correva sulla statale 202 verso il casello dell’autostrada. Barbara guardò i CD rom che stavano nella custodia e scelse quello di Donna Summer, l’album ‘Love to love you baby’. Ascoltava la musica e guardava Aleja che guidava stando sempre sui 160 km orari, una velocità buona ma che, per quell’auto, pareva fosse giusta perché sembrasse ferma. La musica e le canzoni che uscivano dalle casse rendevano Aleja ancora più eccitante. La guardava, la contemplava, l’accarezzava mentalmente, la mangiava con gli occhi, e il solo pensiero che quella sarebbe stata l’ultima sera passata assieme la faceva soffrire, ma doveva prendere le cose per come erano. Rallentarono per un tratto dove c’erano dei cantieri aperti, ma verso le 19.40 imboccarono il passante di Mestre.
“Fermiamoci alla prossima piazzola”, disse Barbara. Accostarono, Aleja la guardò e si baciarono a sfioro di labbra. “Ecco qui”, disse Barbara tirando fuori dalla borsa due panini, due bicchieri di plastica e una bottiglietta di tè alla pesca, “visto che abbiamo fatto bene a fare acquisti prima di uscire dal ristorante? Così non perdiamo tempo all’autogrill!”. Dopo dieci minuti ripresero il viaggio, alle 22.15 la ‘Lambo’ fu davanti alla casa di Barbara.
Qualche minuto dopo erano in soggiorno, una di fronte all’altra, in silenzio. Barbara si avvicinò ad Aleja e la strinse a sé: “ti vorrei qui anche stanotte...”.
“...ma il distacco mattutino non sarebbe altrettanto romantico”.
“Tu mi leggi nel pensiero”, disse Barbara unendo le mani tra loro.
“Cerco di capire e comprendere, penso alla storia che mi hai raccontato”. Aleja tirò fuori dalla borsa la sua pochette portachiavi Louis Vuitton ‘Monogram Empreinte’, piccola ma molto graziosa (in perfetta simbiosi con la sua proprietaria), nera, in pelle di vitello impressa in rilievo su cui spiccavano le parti metalliche dorate lucide. Oltre alle chiavi di casa sua, della Porsche e della ‘Lambo’, c’era una chiavetta USB.
“Cosa vuoi farmi vedere?”.
“Ascoltare...”, precisò Aleja, “...due canzoni che vorrei ascoltare stretta corpo a corpo con te, col solo chiarore proveniente dall’esterno”. Barbara accese il PC e le casse stereo ad esso collegate, inserì la chiavetta e passò il ‘comando’ ad Aleja che aprì una cartella dove c’erano due brani musicali. Avviò il primo e prese Barbara tra le sue braccia, nella posizione corretta per quella canzone. Barbara ebbe un fremito sentendo quel motivo musicale e le parole in spagnolo. Non conosceva né la canzone né l’autore, il suo pensiero andò al centro-sud-America. Si sentiva come trasportata su una nuvola leggera con la presa dolce ed allo stesso tempo forte e sicura di Aleja.
“Toglimi una curiosità”, disse Barbara, “tu pratichi arti marziali?”.
“Facevo judo fino a 7 anni fa, mi sono fermata alla cintura marrone, poi ho smesso. Marc, invece, è cintura nera, anzi, nerissima, di karatè, ma nei giochi con me preferisce il bianco... e non va mai in bianco”.
“Il boss è sempre il boss”, disse Barbara, “è una grandissima persona”; tacquero continuando la danza ben ritmata che Aleja conduceva con maestria facendo la parte maschile. Partì la seconda canzone e per tutta la sua durata stettero in silenzio, abbracciate tra loro, ascoltando e muovendosi come un unico corpo e un’anima sola in quella stanza buia entro cui filtrava un barlume di luce da fuori. Anche la seconda canzone terminò, Barbara si sentiva agitata dentro, tanto le piacquero che le diedero un effetto particolare ed elettrizzante. “Me le duplicheresti?”, chiese.
“Ecco”, disse Aleja estraendo dalla borsa un CD rom in custodia porgendoglielo, “è un album di Alexandres Pires, non credo conosci questo artista. Le canzoni che abbiamo ascoltato sono ‘Quitemonos La Ropa’ e ‘En El Silencio Negro De La Noche’, a me piace molto anche ‘Necesidad’”.
“Grazie Aleja, è un bellissimo pensiero da parte tua, lo apprezzo moltissimo”, e pose il disco nel ripiano a fianco dell’Hi-Fi.
“Bene, penso sia giunto il momento di salutarci”.
“Già”, fece Barbara sconsolata, “chissà quante cose avrai da raccontare a Marc”.
“Ne sarà felice, in tutti i sensi, anche in quello economico: credo proprio che quest’anno il suo conto farà i 9 zeri, supererà il miliardo di dollari con questo brevetto, è da qualche anno che pare ci sia sempre vicino, ma poi a quella cifra non ci arriva, mi dice che ci sono gli imprevisti, che non tutti gli investimenti rendono, perdite non prevedibili”.
Barbara ebbe un piccolo sussulto: “Non arriverà mai al miliardo!”.
“Perché dici questo?”, chiese Aleja perplessa.
“Lui non vuole: è ricchissimo, ma per lui la ricchezza economica non è tutto. Se avesse voluto, quella cifra l’avrebbe superata già da tempo, ma non vuole entrare a far parte del ‘club dei miliardari’, magari teme d’incontrare zio Paperone”, disse ridendo. Anche Aleja sorrise, ma aveva intuito che Barbara doveva sapere altro.
“Dimmi pure, anche se immagino sia un segreto di Marc, ti prego”.
“So che a te posso confidarlo”, riprese Barbara, “non ha avuto perdite o similari, in realtà fa donazioni ai paesi in via di sviluppo, in Africa e America latina, ma anche negli stessi Stati Uniti, lui è grande come una montagna e più forte di un toro, ma ha la sensibilità di un bambino. Per le donazioni il mio studio collabora con lo studio legale della ‘Gothelm Co.’. Lui dona con il proprio patrimonio personale: in questi ultimi 6, quasi 7 anni, poco dopo il divorzio dalla moglie Valery, che per fortuna non ha avuto a che pretendere essendo molto benestante, ha donato già circa 700 milioni di dollari, tutti per orfanotrofi, ospedali, scuole di ogni grado e tipo, soprattutto scuole materne e della prima infanzia, ha dato molto per la costruzione di scuole ed ospedali in Africa, e molto per i bambini, ma non ha mai voluto si sapesse, e adesso ho violato un suo segreto, ma so che non ne avrà a male”.
“Non preoccuparti, lo terrò segreto anch’io”, la rassicurò Aleja.
“Ricordo un fatto che mi ha raccontato Hans Bodecker quando era tornato da un viaggio di 20 giorni a Chicago, tre anni fa, sia per lavoro che per piacere, visto che era con la moglie. Un pomeriggio Marc gli chiese di accompagnarlo ad un incontro, presso una palestra, con un tizio amico di qualche consigliere o di un politico locale. Giunti lì videro che non c’era nessuno, oltre ad un tipo longilineo col naso ‘rapace’, un certo Golper, Walker... non ricordo. Questo aveva iniziato a fare strani discorsi, investimenti sicuri per non pagare tasse. Gli aveva parlato di un contatto presso uno studio a Panama! Beh, Hans avrebbe voluto avere una cinepresa: Marc, per tutta risposta, prese quel tizio per il bavero, lo sollevò viso a viso, quindi gli pose una mano sotto le terga e lo fece volare per sei, sette metri, facendolo planare su un materassone! Lo salutò dicendogli che la prossima volta, visto il posto, con lui ci avrebbe fatto un canestro da 3 punti”.
“Marc è un boss fantastico”, disse Aleja.
“Bene, abbiamo fatto anche l’aggiunta extra romantica”, disse Barbara sospirando. Uscì dal soggiorno per ritornarvi dopo tre minuti con il trolley promesso ad Aleja che ne rimase compiaciuta vista la notevole capienza. Quindi si avvicinò all’Hi-Fi, inserì il CD rom appena avuto da Aleja e scelse le stesse due canzoni ascoltate poco prima. Così, strette corpo a corpo, le ascoltarono di nuovo, stavolta in assoluto silenzio, chiudendo così quella loro breve ed intensa vacanza con un bacio a sfioro di labbra.
Erano le 23.25 quando, dalla finestra del soggiorno, Barbara osservò la ‘Lambo’ che, lentamente, faceva manovra per girarsi nel senso opposto. La seguì con lo sguardo finché, giunta al vicino incrocio, la vide svoltare per rientrare all’hotel.
Alejandro si svegliò poco prima delle 8. Non sentiva stanchezza, ma solo un senso di vuoto. Pensava ai giorni trascorsi con Barbara e al fatto che quello appena iniziato era il suo ultimo giorno da trascorrere per intero a Milano, all’indomani avrebbe intrapreso il viaggio di ritorno. Andando al bagno guardò il suo abbigliamento speciale riposto con cura sopra il comò: prima di andare a letto si era tolto il trucco e aveva fatto la doccia, cosa che si stava apprestando a replicare entro due minuti. Poi si vestì con un completo molto elegante e primaverile, anche se la giornata si annunciava con pioggia. Alle 8.50 scese a fare colazione, quindi risalì subito in camera a preparare con cura tutti i bagagli, compresa la documentazione relativa al contratto per cui era stato inviato a Milano. Fu davvero rapido, infatti poco prima delle 10 era tutto in perfetto ordine, e nel trolley dei souvenir c’era ancora abbastanza spazio, visto che alcuni li aveva messi anche negli altri bagagli temendo di non avere abbastanza spazio a disposizione. Gli dispiaceva vedere quel trolley mezzo vuoto. “Metterò carta di giornale per far stare meglio le cose senza che si muovano”, disse tra sé. Aveva messo via anche il suo PC da cui aveva risposto al consueto messaggio di Marc che il sabato precedente aveva ricevuto Veronica in ufficio per ‘dipanare una faccenda di contabilità interna, molto interna’. Decise che le foto le avrebbe scaricate a casa. Prese l’ombrello ed uscì per una passeggiata nei dintorni, sentiva dentro di sé un senso di malinconia. Avrebbe voluto fare una capatina alla GAR.TOM., ma ciò avrebbe vanificato il senso romantico dell’ultimo bacio a sfioro di labbra della notte appena passata, con ancora addosso la sensazione di essere stretto a Barbara ascoltando quelle canzoni. Guardava negozi e vetrine, aveva preso di tutto, souvenir di ogni tipo, statuine, oggetti caratteristici dei vari luoghi tra cui diversi vetri di Murano, libretti guida multilingue, francobolli, spille, cartoline, magliette e camicette, un set di trucco di alta qualità per la sua Valery (ma gli sembrava banale), un paio di modellini della Ferrari e della ‘Lambo’, ma sentiva che mancava qualcosa. Voleva fare un regalo particolare a Marc, ma non gli veniva in mente niente, e gli sembrava di essere stato molto banale, facendo il confronto con le sorprese fatte da lui (i biglietti per il Teatro dell’Opera con brindisi annesso, la camelia...). Niente! L’idea non voleva balenargli in testa, e poco dopo mezzogiorno rientrò all’hotel. Pranzò, e dopo aver letto qualche giornale nella hall, alle 14.50 salì in camera, si tolse la giacca e si distese sul letto, si sentiva manchevole verso Marc e, con questo pensiero, si assopì, con la sensazione di una mano leggera e velata che gli accarezzava il viso, mentre due occhi scintillanti lo guardavano con dolcezza e amorevolezza.
Si svegliò verso le 19, si diede una rapida rinfrescata al viso e scese giù per la cena. Uscì per una passeggiata, poco dopo le 20, pensando di andare alla stazione centrale, magari lì c’era qualche negozio interessante per il regalo da fare a Marc. Chiamò un taxi, e poco dopo giunse quasi a destinazione, chiedendo di scendere vicino un grande palazzo, un ‘grattacielo’ che lo aveva incuriosito. “E’ il Pirellone”, disse il taxista. Alejandro non aveva capito, ma annuì e pagò la corsa. Scese, osservò per un minuto quel grattacielo, quindi si voltò e riconobbe la sagoma della stazione centrale, essendosi documentato su internet prima di partire da Chicago. C’era movimento fuori e all’interno della stazione. Entrò dentro. Camminava per quei larghi corridoi, guardava a destra e sinistra, ma nulla gli faceva scoccare la scintilla. Scese delle scale, poi risalì, scese di nuovo, girò e si trovò in una zona poco illuminata e deserta, un corridoio senza anima viva, che aveva un aspetto surreale per non dire spettrale. Si voltò, gli pareva di essere seguito, ma non vide nessuno, e si sentì per un attimo come se una corda gli avesse stretto le braccia ed il petto, ma non era un dolore, quindi si voltò di nuovo per riprendere il cammino nella direzione di prima e notò più avanti la luce di un’insegna che prima non aveva notato; pensò tra sé che non ci aveva fatto caso per il senso di paura che si era insinuato in lui vedendosi solo in quel luogo sconosciuto, c’era solo l’eco del rumore dei suoi passi a fargli compagnia. Non c’era proprio nessuno. Si avvicinò a quella luce, e gli apparve come un bel negozio, con le vetrine piene di oggetti strani, pupazzi, souvenir, e tante cose particolari che attirarono la sua attenzione. Alzò lo sguardo verso l’insegna che, a lettere grandi e variamente colorate, diceva ‘L.M. WIZARD’.
“Ummhhh”, mormorò sorridendo, “’magia’ di L.M., interessante! Proviamo qui!”. Aprendo la porta fece suonare delle campanelle colorate con delle lucette attorno, di quelle che si usano per decorare l’albero di Natale. Guardò estasiato quegli scaffali pieni di oggetti, scaffali robusti, in legno, e si sentiva forte l’odore del legno vecchio, come in un negozio dei tempi andati, quel posto gli piaceva moltissimo, si sentiva a suo agio. Non vide nessuno dietro il massiccio bancone, ma un attimo dopo sentì aprirsi una porta di lato, la porta che comunicava col retro negozio.
Quando la porta fu aperta del tutto Alejandro sentì il suo respiro bloccarsi in gola, avvertì ancora quella strana sensazione alle braccia ed al petto. Rimase incantato nel vedere quella donna bellissima a qualche passo da lui. Era di media statura, dall’aspetto gagliardo e fiero, un viso molto ben curato, capelli corvini col taglio a caschetto con i tirabaci che facevano risaltare ancora di più un paio di occhi scintillanti. Nonostante avesse in testa un cappello nero cilindrico, basso, e con un largo bordo tutto attorno, Alejandro ebbe per un attimo un ‘flash’ nella mente, pensando alla sua prima cena all’hotel, quando aveva guardato un attimo di sotto, in Galleria Vittorio Emanuele II, ma pensò ad una coincidenza o ad un frutto della sua immaginazione, dopotutto Milano era pur sempre una grande città, e poteva anche essere possibile incontrare più donne con lo stesso taglio di capelli, ma il suo pensiero andò anche ad Aleja, il suo alter ego. Era vestita in modo molto particolare e bizzarro. Per quello che si poteva vedere indossava un mantello nero che le copriva bene anche buona parte delle braccia, poi degli splendidi guanti neri in cuoio e un paio di stivali neri particolari, molto alti e con gli speroni dorati luccicanti. Alejandro, d’istinto, arretrò di un passo per dare spazio a quella figura che gli era appena apparsa davanti. La vide sorridere ed appoggiare il cappello su un ripiano. “Buonasera”, disse Alejandro in un italiano che non nascondeva affatto l’accento straniero.
“Siete straniero?”, chiese la donna in inglese americanizzato, sorridendo come se già sapesse.
“Sì, sono americano”, rispose nella sua lingua, “voi parlate l’inglese?”.
“Sicuro, e conosco anche lo spagnolo. In una città come Milano, serve”, disse senza celare un velato sorriso.
“Perfetto, siete davvero gentile ed affabile”, la elogiò Alejandro.
“E’ una dote che mi ha sempre distinta... da secoli e secoli”, rispose la donna con un sorriso accattivante, “sapete, vi stavo proprio aspettando! Dopotutto, cosa può fare una donna sola da anni e anni se non aspettare, e, anche, sperare?”. Alejandro trovò che la conversazione si stava facendo simpatica ed interessante anche se, nella sua mente, gli sembrava di avere di fronte una persona davvero strana, ma allo stesso tempo affascinante. Le si avvicinò per darle la mano, ma lei si ritrasse di un passo. “Mi consenta”, riprese la donna, “ma sono molto riservata e... timida”, disse, con quell’ultima parola che palesemente era una bugia, ma di quelle maliziose che paiono dette apposta per stuzzicare ed eccitare. “Ditemi, cosa vi porta al mio negozio?”, chiese infine andando al sodo.
“Sono a Milano per lavoro e rientro domani, dopo due settimane. Non sono riuscito a trovare un regalo, un pensiero speciale per il mio fantastico ‘boss’”, disse allargando le braccia.
“Ah, dev’essere una persona davvero speciale da come lo definite”, replicò la donna con un sorriso di sincero compiacimento, a labbra appena socchiuse.
“Certo, e non voglio portargli il classico souvenir turistico, tanto varrebbe mandargli una cartolina”.
“Quanti anni ha, se posso permettermi?”, chiese la donna con fare malizioso, girando un po’ la testa di lato, cosa questa che ad Alejandro diede per un attimo la strana sensazione come se fosse la classica domanda fatta da chi ne conosce già la risposta, ma abbandonò subito quel pensiero che gli parve poco corretto, quella donna esercitava su di lui un fascino indescrivibile. “Proprio non me lo vuole dire?”, chiese sconsolata ma sempre maliziosa vedendo che il suo interlocutore era come impalato.
“Oh, sì, sì... compie 41 anni il prossimo mese, il giorno 11 Maggio”, rispose.
“Ah, bene! Un ‘boss’ giovane e in gamba! Quindi è nato l’11 Maggio 1973, magari più o meno alle 7 di sera, eh! Buon sangue non mente...”, disse sorridendo col volto radioso.
“Cosa vorreste dire?”, chiese Alejandro sorpreso, “Non so a che ora sia nato, però non penso abbia importanza”, continuò divertito, il modo di fare di quella donna lo attirava moltissimo, non solo come psicologo, ma anche perché aveva un fascino misterioso, un qualcosa di speciale ed ammaliante, sia nel suo aspetto fisico che nel suo modo di parlare e di atteggiarsi.
“Ogni particolare ha la sua importanza”, riprese la donna, “e per una persona speciale, ci vuole un regalo speciale e particolare. Al suo boss piacciono gli arcani ed i misteri o è un tipo che va sul pratico e semplice?”, chiese dandogli ancora una volta la stessa impressione di prima.
“E’ un uomo d’affari, pratico, ma semplice e schietto, molto generoso. Ha avuto una storia sentimentale difficile, vive da solo, ma ha molti amici e amiche”.
“Lo so... cioè, lo immagino! Guardi, in cima a quello scaffale c’è quello che fa per lui”, disse la donna indicando un oggetto che Alejandro non aveva capito cosa fosse. “Prendete quella scala, io ho qualche acciacco ed è meglio che non salga”, continuò sorridendo. Alejandro prese la scala, notando che la donna si era spostata di lato per porsi dietro il bancone, ed immaginò che voleva essere certa di non essere urtata o toccata neanche per sbaglio. Mise la scala in posizione e la aprì, era piuttosto robusta. Salì senza esitazione. Prese quell’oggetto e lo osservò estasiato e sorpreso allo stesso momento, sentì ancora per un secondo quello strano effetto di poco prima che entrasse nel negozio, una leggera stretta al busto e alle braccia. Scese e si avvicinò al bancone dove lo appoggiò con cura. Era una bambola bellissima e di fattura artigianale, in legno, molto ben proporzionata in tutte le sue forme, lunga circa 61 cm, 24 pollici. Con cautela la riprese in mano per ammirarla, tanto sembrava antica. La bocca era semichiusa in un sorriso che faceva apparire dei candidi denti, le labbra contornate di un rosso acceso, mentre il viso aveva un bel colorito che esprimeva un senso di buona salute. Gli occhi erano marroni e profondi, emanavano tristezza e solitudine. Erano contornati di nero, e c’erano persino le ciglia e le leggere sopracciglia, il naso un po’ grandicello e dei capelli che parevano veri, di color nero e a boccoli, che scendevano fino alle spalle. Aveva un busto di colore azzurro lucente, fatto di un tessuto liscio al tatto, con delle piume verde scuro sulle coppette che coprivano i seni, poi una specie di gonna con delle piumette nella parte alta e un volant che si allargava verso il basso. Portava infine degli eleganti stivali neri in pelle, una perfetta miniaturizzazione di un modello moderno e allo stesso tempo antico, come usavano solo le donne di alta levatura sociale (contesse, duchesse, principesse, o donne molto ricche o di famiglia ricca... non pensò al titolo di ‘baronessa’ che dava l’idea di una donna anziana: la bambola rappresentava una donna giovane). Infine, aveva dei guanti neri lunghi oltre il gomito, parevano in seta, all’anulare sinistro un piccolo anello dorato. “Se il suo boss è un tipo pratico, qualcosa legato al mistico ed all’esoterico è il regalo giusto. Che ne pensa?”.
“E’ meravigliosa”, disse incantato, “ma perché parla di mistico e di esoterico?”, chiese immaginando un prezzo molto alto, non meno di mille Euro, e che quella donna avesse pensato ad un raffinato stratagemma per vendergliela, anche se il prezzo non sarebbe stato un problema, ma questo quella donna non poteva saperlo, così credeva Alejandro.
“Si tratta di una strega vissuta diversi secoli fa, qui in Italia, nell’Appennino tra la Toscana e l’Umbria, in un piccolo borgo sperduto tra le colline...”, iniziò quella donna dagli occhi scintillanti calamitando l’attenzione di Alejandro, sempre più affascinato da quanto stava ascoltando pur ritenendo si trattasse del classico trucco per convincere all’acquisto, ma andava bene lo stesso e, in più, stava in compagnia di una donna bellissima, anche se molto riservata, questa era l’idea che si era fatto di costei, “... si chiamava Margot!”. A quel nome un brivido gli percorse la schiena, la memoria andò all’incontro di un mese prima con Marc-Valery, la domenica dopo quella del gioco del ‘rapimento di Valery’, quando gli aveva proposto di cambiare il nome d’arte da Valery a Margot, con tre lettere del suo nome e tre del cognome.
“Vorreste dirmi che questa bambola rappresenta una persona realmente esistita secoli fa?”, chiese Alejandro per fare conversazione e stare ancora un po’ con quella donna, anche se aveva già deciso di comprare quella bambola, dopotutto di storielle ne aveva sentite già molte dai suoi pazienti quando lavorava per il sistema carcerario a New York per la riabilitazione post-carcere, ed ascoltare una storiella in più non gli avrebbe certo fatto male, visto anche quanto era bella la donna che gliela stava per raccontare.
“Certo, diciamo 800 anni fa, infatti Margot nacque il 26 Luglio 1202, in piena estate, in un paesello alle pendici del Vesuvio, vicino a Napoli, e aveva 23 anni quando giunse nel borgo dove vivevo io, tra Umbria e Toscana. Era un periodo buio per la penisola, e non solo, tra malattie, epidemie, pestilenze e, in più, anche il fenomeno dell’eresia, con la santa inquisizione e la caccia alle streghe, e la bella Margot era una strega! Aveva due carissime amiche, una di nome Laurentia, di alcuni anni più giovane, e l’altra ero io... avevo qualche anno più di Margot, diciamo cinque, dai. Io e Laurentia eravamo anche intime in un certo senso, molto intime, questo Margot lo sapeva, e andavamo spesso alla sua magione fuori del paesino, per amoreggiare e stare con lei. Preparava cibi e pietanze raffinate, con spezie particolari, sapori e aromi che inebriavano la mente e l’anima, pozioni e profumi che vendeva a uomini e donne e che mandavano in estasi. Più di qualche oste la mandava al diavolo perché tanta gente preferiva passare a mangiare da lei, aveva sempre la dispensa piena, chissà come faceva, ma... era una strega”.
“Più che una strega, mi state descrivendo un’autentica chef e profumiera”.
“Lo pensai anch’io, ma dovetti ricredermi, già a quell’epoca e anche poco dopo la mia... prima morte”, disse con fare malizioso mentre Alejandro sorrideva tentando di frenare l’erezione che gli si stava manifestando dentro i pantaloni. “All’epoca dei fatti che contano, verso la fine del 1237, in Ottobre, mia nipote, una ragazza alta e bionda di nome Patrizia che aveva quasi 27 anni, aveva anche lei un’intima amica ed amante, una sua coetanea carina dai capelli neri e di media statura, un palmo più bassa di lei: si chiamava Rosalia, e aveva un dono speciale...”, e Alejandro sentì ancora per un attimo la stretta alle braccia ed al petto. “Margot, invece, aveva tutte noi per amiche! Era bellissimo stare con lei, passare serate e a volte notti intere a casa sua. Lei giocava e stuzzicava, ammaliava, coccolava, accarezzava, stimolava... ma non voleva avere rapporti intimi, mai conobbe uomo, e nemmeno donna, anche se tanti ragazzi ci provavano e, come si dice, perdevano gli occhi per lei quando la vedevano passare, tanto che ci furono episodi di forti dissapori in coppie, con ragazze e mogli gelose e inferocite, finché si sparse la voce che io, Laurentia, mia nipote e Rosalia eravamo state stregate da Margot per le nostre preferenze erotiche. Queste donne, infuriate, si rivolsero al capitano di giustizia, Gordonio Sala si chiamava, portandogli un profumo che una di loro aveva sottratto al suo consorte: il capitano, anche lui spasimante di Margot oltre che di me e di mia nipote, dovette suo malgrado fare rapporto a qualcuno più in alto. A metà Febbraio del 1238 arrivò al paesino una delegazione della santa inquisizione, con poteri decisionali assoluti, e fu così che la cara Margot fu fatta arrestare e condurre in una prigione improvvisata allo scopo. Quando passò per il paesello, incatenata tra gli armigeri, era stata fatta oggetto di scherno da quasi tutti, e anche da chi in realtà l’apprezzava, ma si comportavano così solo per timore e convenienza. Il processo fu una farsa, le prove a carico erano le sue ricette culinarie e i profumi. I giudici di quella delegazione erano il vescovo Georg Wilsenhem dalla Sassonia, padre Carlo Fernando de Fernandez da Burgos in Spagna, padre Worthon dall’Inghilterra ed il teologo Giuseppe Valcherio, da Roma. Tra i quattro, il peggiore era Valcherio, che con le sue teorie aveva soggiogato Wilsenhem, che non era certo uno stinco di santo, e purtroppo era lui a presiedere. Gli altri due, invece, dimostravano più buon senso, anche se Worthon era piuttosto arruffone e molto attratto dalle belle donne, cosa questa che lo rendeva debole davanti a Wilsenhem in caso di decisioni da prendere. Nonostante ciò, il processo pareva andasse bene: profumi, ricette, galli e gatti non vennero ritenuti elementi di prova e colpevolezza. Con dispiacere di Valcherio la delegazione, lui compreso, si stava orientando verso l’assoluzione piena di Margot che in quell’aula li guardava in modo neutro. Ma, all’improvviso, una vecchia mai stata moglie, senza mai figli e senza più voglie, si alzò in piedi gridando: ‘e questa che ho io cosa è allora? Era caduta di mano a Margot, ne aveva messe quattro sulle porte di casa dei ragazzi e delle ragazze più giovani del villaggio, ma la sua cara amica, che la seguiva, le toglieva e le strappava’, e consegnò quella piccola pergamena a Wilsenhem. Questi mandò Valcherio e due armigeri a casa di Margot con me, Laurentia e Rosalia al seguito, a dimostrazione che non si facessero imbrogli o manomissioni di prove. Margot aveva lo sguardo atterrito, ed io ne avevo intuito la ragione: in casa sua c’erano altre sette pergamene. Quel giorno, girando per le stanze di quella casa, Valcherio, in un momento che pensava di non essere visto, prese Rosalia per una mano, aveva intenzione di farla sua quella notte stessa, ma lei gli sputò in faccia ricevendo un ceffone sul viso, questo vedemmo io e una delle guardie che, per timore, preferì non dire nulla. Rosalia uscì da un’altra porta. Valcherio, credendo ancora di non essere visto, frugò tra i ripiani di una dispensa, prese un pugnaletto d’argento nascondendolo sotto il mantello ed infine uscì per la stessa porta da cui era uscita poco prima Rosalia. Trovarono le sette pergamene e le portarono a Wilsenhem che le mostrò agli altri delegati, Valcherio le aveva già lette prima. Quindi si alzò guardando Margot con aria severa e girò verso il pubblico una di quelle pergamene su cui si poteva vedere che c’era scritto qualcosa in rosso. Valcherio prese quello scritto, si alzò e lesse a voce alta:
‘Del mio sesso faccio omaggio
a colui o colei che avrà il coraggio
di star con me una notte a letto
sotto il mio tetto maledetto.’
Poi si mise ad urlare: ‘questa è la prova che siete una strega, voi avete scritto queste parole... e anche col sangue!!’, e la povera Margot cadde secca nella trappola che gli era appena stata tesa da Valcherio, infatti rispose subito: ‘non è sangue, è un inchiostro rosso che produco io con...’ e si bloccò vedendo il ghigno beffardo di Valcherio, infatti lei stessa aveva così dichiarato di aver scritto quei versetti. A Valcherio interessava chi li aveva scritti, non con che cosa erano stati scritti, e per lui erano la prova di rituali strani e anormali che si sarebbero compiuti sotto un tetto maledetto, cioè coperto dalla maledizione, stregato!!”.
“Come finì?”.
“Passarono ai voti, il pubblico rumoreggiava additando Margot come colpevole anche se la maggioranza non la riteneva tale, era solo per opportunità: Worthon e Fernandez votarono per liberarla, Valcherio e Wilsenhem per condannarla, e poiché Wilsenhem presiedeva la delegazione, in caso di parità il suo voto valeva due: il destino di Margot era stato così segnato. Wilsenhem decise che Margot sarebbe stata impiccata il 5 Marzo, venerdì, mancava soltanto una settimana. Fu riportata in cella, ed il capitano Gordonio, che si era allontanato, svenne e fu aiutato dalle guardie che erano con lui. Le facemmo visita in cella, aveva chiesto una lunga pergamena e degli spilli. Con l’aiuto di Gordonio e di alcune guardie fidate, praticamente tutte, potemmo portarle ciò che aveva chiesto, capii che voleva scrivere davvero qualcosa col sangue. La sera del 4 Marzo andò Laurentia a trovarla, e Margot le consegnò quella pergamena arrotolata e sigillata con un impasto grigiastro che si scioglieva col calore della torcia, e poi si solidificava, fu Gordonio a procurare tutto, anche il contenitore cilindrico in legno di quercia in cui fu messo quel rotolo di pergamena scritto col sangue! Laurentia mi disse che Gordonio e Margot si misero viso a viso con le sbarre in mezzo, si accarezzarono, poi Gordonio uscì fuori a piangere. Il 5 Marzo, dopo l’ora del pranzo, Margot, con le mani legate dietro la schiena, fu condotta al patibolo, era vestita esattamente come lo è questa bambola. Worthon e Fernandez tenevano la testa bassa, Wilsenhem era neutro, Valcherio aveva uno sguardo feroce. Io urlai contro Wilsenhem, che avrebbe potuto salvarla, giurandogli guerra per tutta la vita, Fernandez mi guardò con ammirazione per il mio piglio battagliero. C’era tra la folla un mercante di tessuti giunto da Roma da tre settimane, un certo Lucio Ferro Nenfi, che aveva simpatia per Margot e urlò contro Valcherio: ‘Andrai all’inferno!’, ma lui lo guardò sogghignando. Poi Wilsenhem mandò il boia a mettere il cappio attorno al collo di Margot, e le chiese se avesse qualcosa da dire. Lei guardò la folla e si rivolse alla delegazione, la sua voce era molto calma e allo stesso tempo metteva paura:
‘Voi oggi spezzate la mia breve vita, 7 lustri, 7 mesi e 7 giorni... ma io vi giuro che voi e le vostre anime non avrete pace per i prossimi 7 secoli, 7 decenni, 7 anni, 7 mesi e 7 giorni a partire da oggi, fino a quando, allo scadere dell’ultimo giorno, io ritornerò a vivere libera nella grande terra oltre il grande mare dove presto ritroverò il mio amore illibato sulla ragazza dagli occhi azzurri. Questo accadrà nel momento in cui colei dagli occhi scintillanti tornerà a nuova vita da grembo e seme sterile, e così la sua compagna dal fiero portamento anch’essa nello stesso momento, ma dalle amanti dai capelli d’oro e d’ebano, che un giorno lontano si rincontreranno, ma daranno frutto sol quando la più piccola in altezza vivrà con gioia il suo alter-ego! I due nuovi frutti nasceranno dalla passione della notte di grande festa e baldoria, e così tutti ritroverete pace, tutti tranne uno, colui che con l’inganno ha rubato il mio prezioso artefatto d’argento! Egli, allo scadere del momento segnato dal destino, dal livello col numero del giorno odierno, scenderà giù in una spirale a lati diritti, uno strumento musicale ricorderà, e passo dopo passo, con le dita grosse delle mani, tornerà al giorno che sono nata più i giri su sé stessa della Grande Madre prima del giorno fatale, e questo sarete voi, Valcherio!’.
Margot aveva lanciato il suo anatema e Valcherio ebbe un leggero tremore pensando al pugnaletto con la gemma sulla testa del serpente che aveva sottratto di nascosto dalla casa di Margot, ma fu anche l’unico a ridere, quindi fece cenno al boia di procedere. Fu tirata una leva, e un attimo dopo Margot penzolava dibattendosi strenuamente per quegli ultimi secondi di vita che le restavano. La seppellimmo poco fuori del villaggio, e questo è tutto quello che posso dirvi sulla strega Margot, la mia ‘piccola Margot’”.
“Ora capisco cosa vuol dire l’insegna L.M., Little Margot, giusto?”.
“No”, sorrise la donna, “allora, che dite? La volete? Sì? Prendete quella scatola e la carta da regalo!”. Alejandro fece un bel pacco, aprì il portafoglio e prese la carta di credito oltre a diversi biglietti da 100 Euro. “Non ha prezzo, ve la regalo”.
“E tutta l’incredibile storia che mi avete raccontato? Credevo fosse per coinvolgermi e convincermi all’acquisto di un qualcosa che poteva avere un prezzo molto alto”, disse stupefatto.
“Per me ha un valore inestimabile, per questo ve la regalo”, disse infine. Un attimo dopo Alejandro uscì dal negozio, fece qualche passo e si girò indietro, scattò un paio di foto e poi proseguì nel suo cammino con quel pacco sotto braccio.
Erano le 22.15 e si rese conto che era stato un’ora in quel negozio, un’ora piacevolissima: “Che donna fantastica!”, mormorò tra sé, “E che fantasia! Mi ha narrato una favola mettendoci dentro lei stessa come protagonista, chissà quante volte l’ha raccontata per dare questa bambola, magari tutti gli altri sono usciti prima senza ascoltare come andava a finire! Me l’ha regalata! Che sia stato il premio per averla ascoltata? Io ci avrei fatto ben altro con quella donna... però, quella faccenda dell’alter ego, che strano...”, e sentì ancora quella stretta alle braccia. Subito fuori della stazione prese un taxi e rientrò all’hotel.
La porta del retro negozio non si aprì, ma ne uscì un’altra donna bellissima, dai seni prosperosi coperti da coppette ricamate in color oro, che appariva più giovane e ben più alta, con un fisico atletico, aveva dei guanti rossi in seta lunghi oltre il gomito. Indossava un corsetto nero in pelle, con stringhe rosso acceso sulla schiena, ed un volant era sorretto da una cinturona. Le sue gambe erano lunghe ed affusolate, avvolte in calze autoreggenti leggere, ricamate in pizzo, e sotto facevano bella mostra un paio di stivali neri lucidissimi con bordature color rosso e oro, un discreto plateau con tacchi da 3 pollici e finitura a punta sulla parte anteriore. Sui capelli neri, ariosi e lunghi fino sotto le atletiche spalle svettava un cappello a cilindro con una rosa rossa.
“Tutto bene, allora”, disse la nuova entrata.
“Certo, sì... il destino ormai sta per compiersi, manca poco, ma dobbiamo vigilare e fare attenzione, e così Margot tornerà ad essere libera”.
“Perché gli hai raccontato tutta la storia così ben dettagliata?”.
“Riconoscerà i particolari, prima o poi, ricorderà i dettagli. Lui ha un dono che quella montagna umana del mio pro-pro-ecc. nipote non ha. Alejandro capirà chi è e chi è stato in passato, scoprirà da solo di essere un potente medium, e capirà anche il perché di Aleja... il primo incontro a New York con il suo futuro boss non è stato casuale, questo lo sai, ma per loro è come se lo fosse stato: ho dovuto far venire un forte mal di testa a quel detenuto che poi ha dato in escandescenze tanto da far chiamare il dottor Gutierrez ed il direttore proprio mentre quest’ultimo era a colloquio con il governatore e il mio pro-pro-ecc. nipote. Comunque, avendo raccontato quella storia nei dettagli, non sarà necessario fare un racconto appositamente per narrare una storia medioevale, con tutto quello che facevamo a casa di Margot, non sarebbe giusto nei confronti dei lettori, sai che noia!”, rispose maliziosa la donna dagli occhi scintillanti.
“Si potrebbe raccontare quella nostra storia parigina di quasi 34 anni fa, ricordi? Stavi per uccidermi, quando all’improvviso...”
“Shhh!”, la fermò la donna più bassa, “Non roviniamo la sorpresa!”.
“Hai ragione”, disse l’alta figura con la rosa sul cappello, “magari potrà piacere la nostra storia di quando ci siamo ritrovate nel mar dei Caraibi, all’epoca dei pirati”.
“Anche questa è una buona idea, ma ora pensiamo a qualcosa di più vicino a noi: il tuo micione e il mio ‘nemico giurato’ già ci sono, c’è anche il cattivissimo, e il mio amico che lasciai in mutande mi ha visto anche l’altra volta e mi rivedrà ancora, giusto per la sua gioia che merita... provvidenziale quel colpetto di corrente d’aria che ha spinto il suo curriculum sotto il naso del suo capo del personale che cercava una persona fidata proprio per quel posto!”, disse con un sorriso malizioso, “Quanto al mio pro-pro-ecc. nipote, la strada si sta già preparando quasi da sola. Torniamo alla cara vecchia fattoria, su!”.
“Cosa ne pensi, invece, se ci guardiamo un film di Zorro?”, chiese l’atletica figura.
“Ah ah ah ah ah”, rise la donna in nero, “mi piacciono, e guardandoli mi sembra anche di averli già vissuti realmente, almeno in parte, vero? Avrei dovuto brevettarmi all’epoca!”.
“Sei sempre stata la mia maestra e sempre lo sarai”, disse la donna alta, “ma di tutte le vite che abbiamo vissuto assieme, quella che ci ha più entusiasmato e ci ha fatte sentire vive più che mai, è stata quella del vecchio West, anche perché c’eravamo tutte, tranne Margot purtroppo, e tutti, anche il ‘principe azzurro’, sempre schierati un gruppo contro l’altro, da secoli e secoli”.
“Saremo sempre vicine io e te, Lolita mia, ma adesso è giunto il momento di preparare il terreno affinché Patricia e Rosalinda possano incontrarsi e scoprirsi di nuovo, e sono certa che ce la faremo, parola di Lady Margaret O’Brien!!”. Detto ciò, dopo un flash di luce, il negozio tornò ad essere ciò che realmente era, una vecchia cartolibreria vuota e chiusa da più di dieci anni, con le serrande giù e senza alcuna insegna.
Alle 6.10 del giorno seguente, mercoledì 30 Aprile, tanto per cambiare, il tempo non era proprio clemente: era un po’ freddino con il cielo coperto e minaccia di pioggia. Alejandro, seduto sul lato passeggero della ‘Lambo’, firmò i documenti necessari per l’autonoleggio e scese fuori. Con l’aiuto del solerte maggiordomo che aveva conosciuto al suo arrivo scaricò i suoi bagagli. “Ci salutiamo qui”, disse Alejandro un po’ triste.
Il maggiordomo gli diede una vigorosa stretta di mano. Lo guardò un attimo, quindi lo abbracciò come si fa ad un caro amico. “Le auguro buon viaggio, e anche a quella ragazza deliziosa di nome Aleja! Ci scriva quando arriva a casa, e spero di rivederla ancora”.
“Riferirò ad Aleja, non preoccupatevi, la conosco molto intimamente!”, e si salutarono con una gradevole risata. “Ah, porti i miei saluti al direttore”, e il maggiordomo rispose con i pollici in su, Alejandro gradì molto il gesto. Caricò i bagagli su un carrello mentre guardava quel gioiello di auto allontanarsi lentamente. Diede un’occhiata alle carte di viaggio ed entrò nell’aerostazione, fu molto semplice trovare il punto del check-in. Alle 6.40 si mise in coda, non c’erano tante persone, dopotutto si trattava della prima tratta fino a Madrid, e il volo AA-8755 era previsto per le 8 in punto.
Un’Audi A6 parcheggiò lì vicino, scese una bella donna vestita in modo elegante ma sobrio. Aveva un foulard avvolto attorno alla testa e portava un paio di occhiali da sole. Trovò anche lei con facilità il posto di un certo check-in. Si fermò quando vide Alejandro che ormai era abbastanza vicino al bancone, aveva solo 3 persone davanti a lui. Lo osservò un attimo, quindi gli mandò un bacio a labbra socchiuse: “Grazie per queste stupende giornate, Aleja”, mormorò sottovoce, quindi tornò fuori.
Poco dopo le 8 l’aereo iniziò a muoversi e, percorsa la pista, si alzò in aria. Alejandro guardò fuori dal finestrino per dare un saluto. Alle 10.20 atterrò a Madrid, una breve sosta prima di prendere l’intercontinentale. Era lieto che si andasse verso un fuso orario decrescente, l’arrivo era previsto per le ore 14 locali a Chicago, le 21 in Italia. Alle 11.40 il volo AA-8654 per Chicago iniziò a rullare verso la pista di decollo e poco dopo si librò in aria, sarebbe stato tutto un volo diurno fino alla fine. Alejandro si sentiva stanco, ma sereno e felice, chiese alla hostess una bibita al limone. La sorseggiava piano, guardando fuori dal finestrino, quando, ad un certo punto, intuì che stava iniziando la trasvolata dell’Atlantico.
Nella stiva, in una valigia piena di regali e souvenir, una bellissima ed antica bambola di legno sorrise e sbatté le palpebre, era al buio ma si sentiva a suo agio. Per Alejandro era da poco terminata la sua avventura milanese, e per Margot stava per iniziare la sua grande avventura americana.
* * * F I N E * * *
Nota: certi luoghi di ambientazione sono reali, ma i nomi dei personaggi, società, aziende e settori merceologici sono di pura fantasia. A dare un tocco realistico, l’uso di nomi di strade, locali, città e località reali. Non so se esista davvero una ‘cosa’ come quella del brevetto del racconto, come il nome stesso: è pura fantasia e, se davvero esiste, è puro caso; non so se un apparecchio del genere sia l’ultimo grido della tecnica, magari è già stato inventato tempo fa e ad oggi sarebbe obsoleto, ma non fa testo per questo racconto di pura fantasia. Non so se il 20 Aprile 2014 il ‘Nautilus’ era aperto e se abbia un palchetto per lap-dance; il 23 Aprile 2014 al ‘Teatro alla Scala’ è stato dato il ‘Macbeth op. 23’, non ‘La Traviata’, ma è un racconto di fantasia, credo si possa accettare la scelta di un’altra opera che si inserisse meglio con la trama ed i personaggi. Ogni riferimento a fatti realmente accaduti o persone omonime è puramente casuale.
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Vi invitiamo comunque a segnalarci i racconti che pensate non debbano essere pubblicati, sarà nostra premura riesaminare questo racconto.
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